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Il messaggio di speranza per i detenuti di Ca’ del Ferro dai vescovi di Cremona e Crema: «La comunità cristiana non vi dimentica e prega per voi»

Una Chiesa vicina a tutti, anche a quelli che la società considera gli ultimi e i più miserabili. Una Chiesa che ricorda come, ai piedi della Croce, siamo tutti ugualmente bisognosi di perdono. Un’attenzione che ha anche il Papa, come la Via Crucis dello scorso anno in San Pietro, con i testi scritti dai detenuti del carcere di Padova, ci ricorda. Non fanno eccezione le diocesi di Cremona e Crema che, tramite i loro vescovi, hanno fatto arrivare questo messaggio anche nelle carceri.

In occasione della Pasqua, infatti, monsignor Antonio Napolioni e monsignor Daniele Gianotti, non potendo visitare i detenuti come facevano abitualmente, perché le restrizioni dovute al Covid non lo permettono, hanno deciso di affidare ai cappellani della casa circondariale di Cremona il compito di portare la carezza e l’abbraccio della comunità cristiana a tutti.

«Cari amici, i limiti imposti dalla pandemia impediscono ancora di rivederci», si legge nel biglietto d’auguri dei due vescovi, «ma vogliamo farvi sentire la nostra vicinanza attraverso i sacerdoti e i volontari che vi sono sempre accanto, e vi inviamo una breve preghiera che ci faccia sentire uniti in questo tempo santo. Pensiamo alle vostre fatiche, alle paure, al pensiero costante che avete per i vostri familiari, al desiderio di uscire e vivere finalmente in pace. Non solo per voi questa vita è una via crucis, che il sacrificio di Gesù illumina e riempie di speranza». E ancora: «La vittima innocente salva il mondo, perdona i peccati, ci rende capaci di lottare per il bene e, soprattutto, rigenera l’amore in tutti i cuori che si aprono a Lui con umiltà. Unitevi al Signore e sarete meno soli, guardate con simpatia a chi vi sta accanto e gustate la gioia che viene da un gesto di solidarietà. La comunità cristiana non vi dimentica e prega per voi».

Proprio questa apertura è il cuore della presenza dei cappellani, come racconta don Graziano Ghisolfi, sacerdote cremonese in servizio presso la casa circondariale di Cremona insieme a don Roberto Musa. «Per noi stare accanto a loro è un privilegio. Cerchiamo di fare compagnia a queste persone con la nostra presenza, in maniera semplice. Adesso, a causa dell’emergenza, abbiamo optato per delle celebrazioni più frequenti, con i detenuti divisi in gruppi, così da evitare assembramenti. A ciascuno, però, garantiamo la possibilità di un incontro e un dialogo personale, soprattutto nel tempo pasquale. Sono momenti preziosi perché loro si sentono liberi di confrontarsi, di aprirsi», racconta il sacerdote. Che prosegue: «Con noi cappellani sanno che possono aprire l’animo a fondo senza essere giudicati. Penso specialmente a chi ha commesso i reati più gravi e vive nel rimorso o con il peso del male fatto. Un peso che è un macigno perché logora. Eppure questi momenti sono sempre occasione di ricarica perché anche il peccatore più incallito sa di essere accolto. Noi cerchiamo di far passare l’amore di Dio per loro. Null’altro. Quando finisce il colloquio si vede che la persona ha un volto diverso, più speranzoso, e questo cambia anche noi. Stare con loro per me significa incontrare la vita in tutte le sue sfaccettature. E mi insegna che male e bene sono dentro ciascuno, ma che il perdono e la redenzione, come la Croce e la Pasqua ci ricordano, sono una possibilità per tutti».




Una Veglia speciale: con un ramo di palma sulle strade dei giovani d’oggi (FOTO E VIDEO)

È stata una veglia delle Palme inedita: un viaggio per la città, verso le case e i luoghi dove i giovani vivono la loro quotidianità, accompagnato dalle parole della preghiera che ha dato il titolo all’ultima lettera pastorale del vescovo Napolioni: «Cristo non ha mani». E proprio il Vescovo si è messo in cammino tra le vie della città per incontrare giovani che, con esperienze e vite molto diverse tra loro, testimoniano però la bellezza della vita cristiana anche dentro un momento difficile come quello della pandemia.

Questi incontri – raccolti in un video – sono stati occasione per conoscere e condividere ciò che tanti ragazzi stanno vivendo nella scuola, nel lavoro, nelle relazioni affettive: le difficoltà da affrontare, ma anche la fiducia nella vita. «Questa Pasqua in zona rossa ci impedisce di trovarci in Cattedrale o al palazzetto – ha introdotto monsignor Napolioni – ma non potevo non andare a incontrare alcuni giovani della nostra Diocesi per portare loro la Parola del Signore e un segno di speranza. Perché Cristo ha davvero bisogno delle mani di tutti», ha esordito il vescovo nel video-racconto di questo percorso di incontri.

La prima tappa è presso l’Ospedale Maggiore di Cremona. Qui il vescovo ha incontrato Alice, giovane infermiera in cardiologia e mamma di due bambine piccole, alla quale consegna la palma. «Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre per fare oggi il suo lavoro», si legge in apertura della lettera pastorale scritta pochi mesi fa. E le mani di Alice si prendono cura dei tanti malati che affollano l’ospedale, ma anche della sua famiglia, ogni giorno. «Se guardo alla mia vita, non avrei mai pensato di essere infermiera. Ma spronata da mio papà e sulle orme del nonno, ho preso questa strada e ora non potrei immaginarmi diversamente ». E sulla scia di queste parole, monsignor Napolioni ha ricordato come proprio parole e momenti di persone siano parte di una regia di amore che ci avvolge e ci permette di andare oltre l’egoismo. Ecco, ha detto, perché ragazze come Alice scommettono ancora sulla vita nascente e sul proprio lavoro, in una vita che è dono di sé.

 

La seconda tappa – «Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri» – è a casa di Giacomo, un giovane musicista in procinto di sposarsi. La creatività, racconta il ragazzo, non è venuta meno nonostante le difficoltà e, cosa ancora più importante – è rimasto desto il desiderio di sposarsi con la fidanzata Francesca. «Il mondo col quale misurarvi lo avrete sempre, ma anche se nel giorno delle nozze non avrete la festa e tutti i cliché, saprete che anche la vita è così: sconvolge i programmi, ma bisogna restare col cuore aperto a tutte le sorprese dei giorni che verranno. A Pasqua Dio si fa sorprendente, perché ci salva con la morte del Figlio», ha chiosato monsignor Napolioni.

Il percorso del vescovo è poi proseguito con una terza tappa -«Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi» – questa volta a casa di Alessandro, studente al quinto anno del Liceo Vida di Cremona. Chiuso tra le quattro mura domestiche e un po’ insofferente a causa della didattica a distanza, il ragazzo però non si perde d’animo e spera che tutte le esperienze che oggi gli sono negate possano riproporsi in futuro con maggiore intensità. «Abbiamo un’esperienza che possiamo vivere intensamente oggi, la Pasqua. Ti porto la palma e una parola del Vangelo: Gesù fu dimenticato nel Tempio, e Lui quasi fu meravigliato quando loro tornarono a riprenderlo. “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ecco, magari questo tempo di abbandono ti aiuterà a scoprire il disegno di Dio su di te. Nel silenzio e nell’ascolto della Parola, vedrai che la festa rifiorirà» he detto il vescovo rivolgendosi ad Alessandro e, tramite lui, a tutti i suoi coetanei che ne condividono l’esperienza.

La quarta e ultima tappa è stata poi nella sede cremonese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove c’è Matilde, giovane ricercatrice. «Cristo non ha mezzi, ha soltanto il nostro aiuto per condurre a sè gli uomini di oggi», è il titolo di quest’ultimo abbraccio tra il vescovo e i giovani. Matilde racconta del lavoro e degli studi, delle sue esperienze all’estero dove si è confrontata con persone diverse ma con lo stesso desiderio di compimento. «Ti accorgi che c’è qualcosa di grande che unisce tutti», ha sottolineato monsignor Napolioni ringraziandola per aver ricordato che Cristo vive. E vive attraverso questi volti, gioiosi, capaci di affrontare anche la fatica a partire da una fede radicata e profonda. E per questo in grado di trasmetterla agli altri come recita l’ultima parte della preghiera che ha accompagnato guidato la veglia: «Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora, siamo l’ultimo messaggio di Dio scritto in opere e parole».

 

L’incontro del vescovo con i giovani è proseguito poi in Cattedrale. «Carissimi amici, giovani e adolescenti, giovani coppie, giovani adulti, fratelli e sorelle della nostra Chiesa. Siamo arrivati qui in Cattedrale dopo aver cercato lungo le strade della città e della nostra diocesi alcuni di voi, alcuni giovani, per salutarli, per consegnare la palma che anche quest’anno dobbiamo agitare per far festa al Cristo che viene, anche se non possiamo trovarci per una grande veglia in presenza come accadeva in passato. Ne abbiamo bisogno, ma anche Cristo ha bisogno di noi perché davvero non ha mani e non ha piedi se non ciò che noi gli consentiamo di realizzare obbedienti allo Spirito del Crocifisso Risorto che sarà il grande dono di questa Pasqua. Il grande dono di ogni anno, di ogni domenica, di ogni volta che nel dolore noi invochiamo la salvezza e Lui viene a riempirci il cuore di speranza».

 

Il vescovo ha chiesto di pregare per le famiglie, i malati, i più fragili perché tutti abbiano la forza di non sottrarsi «alla fatica luminosa di questo tempo». Dopo aver invocato l’aiuto dello Spirito Santo, monsignor Napolioni ha chiesto a tutti di dar voce ai desideri più profondi del cuore e di non smettere di domandare al Signore il compimento. Al termine della veglia è stato chiesto a tutti di contribuire a sostenere con un gesto di carità i bisogni dei più fragili e quest’anno, in particolare, le offerte raccolte durante la Quaresima di carità confluiranno nel sostegno a due progetto diocesani: quello della Borsa di Sant’Omobono, il fondo speciale per chi si trova oggi in difficoltà economiche, e quello per la missione di Salvador de Bahia dove operano i fidei donum cremonesi don Davide Ferretti e don Emilio Bellani.

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IL VIDEO DELLA VEGLIA

La veglia resta disponibile per la visione personale e la condivisione sul sito, sulla pagina Facebook su Instagram TV e sul canale Youtube della diocesi.

 




A Vitorchiano la professione solenne di suor Maria Carolina Omodei

In un mondo scombussolato da un virus invisibile, c’è chi non smette di vivere e donare la propria vita. Lo sa bene la comunità delle monache trappiste di Vitorchiano, che nella mattinata del 19 marzo, nella solennità di San Giuseppe, era in festa per la professione solenne di Irene Omodei, oggi suor Maria Carolina. Cremonese, classe 1986, originaria della parrocchia di Bonemerse, la giovane monaca nasce in una famiglia numerosa, vivace e ricca di fede, segnata però dalla prematura scomparsa della mamma Chiara.

Irene cresce sostenuta dalla compagnia di Comunione e Liberazione, movimento nel quale si riconosce e dove si spende creando una fitta rete di amicizie in mezzo mondo. Amante del bel canto (ha fatto parte del coro parrocchiale di Bonemerse, diretto dalla zia Ilaria Geroldi), ha sempre avuto un’attenzione particolare per i bambini e i ragazzi, specie quelli più in difficoltà.

La sua scelta vocazionale matura nel tempo, dopo gli anni intensi dell’Università Cattolica di Milano e dopo un’esperienza di insegnamento in Colombia che la segna profondamente.

Nel dialogo con alcuni amici sacerdoti, tra i quali in particolare don Cesare Zaffanella, e con alcune monache di clausura, intuisce che è attraverso il lavoro, il silenzio e la preghiera che può compiersi il desiderio di essere felice che ha sempre cercato e desiderato. Non una fuga dal mondo, anzi. Un modo di essere ancor più dentro il mondo che passa dal fare le marmellate, curare i campi e l’orto o la realizzazione di immagini sacre e poi nel silenzio, nell’obbedienza, nella castità e nella preghiera e nella correzione fraterna.

Così, rientrata da Bogotà, decide di entrare in monastero seguendo una delle sue più care amiche di Cremona, Maria Chiara Bruschi (oggi suor Maria Giulia) che poco tempo prima aveva fatto lo stesso. In monastero, luogo che pure conosceva da anni, scopre una realtà nuova, ben lontana dalla vulgata comune secondo la quale le suore si chiudono tra quattro mura per sfuggire alle pressioni esterne. Tutt’altro: sono anni di scoperte di sé, di dialoghi, di nuove amicizie e di una profondità che rende ancora più belli i rapporti anche con chi è rimasto “fuori”. Una ricchezza grande. Questo è evidente a chiunque varchi il cancello del monastero, che ogni anno accoglie nuove entrate e che proprio nei mesi scorsi ha dato vita a una nuova Fondazione in Portogallo (l’ottava).

   

In foto due momenti della professione solenne, nella Messa presieduta da padre Loris Maria Tomassini, abate del Monastero Cistercense della Stretta Osservanza di Frattocchie a Roma

Negli anni proprio il grande numero di vocazioni, in controtendenza rispetto ad altre realtà simili, ha portato Vitorchiano ad aprire nuove fondazioni trappiste in Argentina, Cile, Venezuela, Indonesia, Filippine, Repubblica Ceca, Congo. Misteriosamente, e con la grazia di Dio, il carisma benedettino continua a generare e l’amicizia speciale con tanti cremonesi lo conferma. Del resto suor Maria Carolina è solo l’ultima di una lunga serie di giovani cremonesi che hanno scelto l’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza per il proprio cammino di conversione e incontro con Dio.




Madonna dei poveri, inaugurato a Cremona un «laboratorio di socialità ispirata alla carità concreta»

È stata inaugurata nella mattinata di martedì 2 marzo a Cremona, in via Bonomelli 20, una nuova esperienza di accoglienza: il progetto “Madonna dei poveri”, esperienza di housing sociale nel cuore della città e legata all’associazione “La tenda di Cristo”. La presentazione ufficiale è avvenuta alla presenza del vescovo Antonio Napolioni, di padre Francesco Zambotti, di don Pierluigi Codazzi (direttore di Caritas Cremonese) e di Rosita Viola (assessore al Welfare del Comune di Cremona).

Nato dall’intuizione di padre Zambotti, fondatore dell’associazione “La tenda di Cristo”, e realizzato grazie a Fondazione Cariplo e alla Fondazione Arvedi-Buschini, con la collaborazione del Comune di Cremona, questo spazio è un sogno che si avvera. A raccontarlo è  lo stesso camilliano, una vita al servizio dei più poveri e bisognosi. «Questo luogo – ricorda padre Zambotti – nasce nel 1620. Qui sorgevano una casa e una chiesa, ribattezzata poi Madonna dei poveri. Oggi vogliamo offrire questi quattro appartamenti e uno spazio spirituale per un’accoglienza che non sia mera assistenza. Le persone che saranno ospitate, che ci verranno suggerite dal Comune, saranno accolte qui per sei-dodici mesi, saranno seguite da un educatore perché possano raggiungere presto una loro autonomia. Come sempre saremo guidati dallo Spirito Santo, al quale ci affidiamo sin dagli inizi».

La struttura consta di quattro alloggi nuovi, spiega Alberto Bonetti (responsabile della ditta che ha restaurato l’immobile). «È stato un lavoro lungo, anche a causa degli stop imposti dal Covid, ma dopo il necessario risanamento strutturale siamo riusciti a completare quattro appartamenti funzionali, con cucina, bagno, camera. Due di questi hanno più camere e sono quindi pronti ad accogliere anche delle famiglie qualora ce ne fosse bisogno».

Dopo questi due interventi, a prendere la parola è stato Franco Verdi, di Fondazione Cariplo. «Siamo in questo cortiletto e da sempre il cortile nella tradizione cremonese è luogo di socialità e servizi. Il colore giallo delle pareti ci ricorda la vicina chiesa, un tempo chiesa della Compagnia degli orafi. Ecco, io penso che siamo di fronte a una “consegna storica” che nasce dall’idea di bellezza. Noi restituiamo un po’ di bellezza a questo luogo. Fondazione Cariplo ha contribuito finanziandolo per metà, con un intento chiaro: creare le condizioni perché si costruiscano relazioni sociali e dunque comunità. Quest’opera nasce da un impegno comune, dal desiderio di costruire il “noi insieme” rispetto alle devastazioni dell’individualismo”.  Verdi chiarisce anche che la novità di questo luogo sta nella destinazione: «È un’esperienza nuova di casa, intesa come accoglienza ed educazione al vivere insieme e alla pienezza della libertà. Mettiamo questo progetto sotto il manto della Madonna, la madre dei poveri».

Prima delle benedizione da parte del Vescovo, l’assessore Viola ha evidenziato che il Comune di Cremona «dà il benvenuto alla Tenda di Cristo in città. Questo spazio – ha detto l’assessore al Welfare –  ci interessa non solo per l’aspetto sociale di risposta alla fragilità, ma anche per il recupero di uno spazio nel pieno centro della città». Il progetto sarà in convenzione con il Servizio politiche sociali del Comune.

Don Pierluigi Codazzi ha ricordato come solo 40 anni fa in queste stesse mura le Suore della Carità praticassero l’assistenza ai più fragili curandoli a domicilio. «Come Caritas siamo contenti che sorga una nuova opera, saremo lieti di lavorare insieme con sintonia».

Monsignor Napolioni ha benedetto la nuova struttura ricordando che tutto avviene sotto lo sguardo buono di monsignor Bonomelli che dal cielo  «guarda con benevolenza a questo laboratorio di socialità ispirata alla carità concreta». Un accenno infine al nome, “Madonna dei poveri”, per ricordare «che siamo tutti poveri, perché se non siamo poveri non siamo beati».

La fotogallery dell’inaugurazione




Protagonisti nella Chiesa e nel mondo: ieri sera in Cattedrale la Messa per Cl con il vescovo Napolioni (VIDEO)

Nella serata di lunedì 22 febbraio in Cattedrale alle 20.30 il vescovo Napolioni ha presieduto la Messa in ricordo di don Luigi Giussani, servo di Dio e fondatore di Comunione e Liberazione, a 16 anni dalla sua nascita al cielo. Diversi i sacerdoti sull’altare.

All’inizio della celebrazione don Marco Genzini, cappellano dell’ospedale di Cremona e assistente spirituale diocesano di Cl, ha letto il messaggio che il movimento ha diramato in occasione dell’anniversario.  

«Nelle difficili circostanze che siamo chiamati a condividere con i fratelli tutti, chiediamo al Signore una coscienza vigile e grata del dono ricevuto nell’incontro con il carisma di don Giussani per servire sempre meglio la Chiesa, nel riconoscimento che ogni istante che passa è abitato da Cristo presente, perciò non c’è niente di inutile e tutto è segno di una indistruttibile positività».  

«Nel segno di questa indistruttibile positività ci salutiamo anche umanamente questa sera», ha esordito il vescovo salutando i tanti fedeli presenti.

Dopo la lettura del Vangelo, monsignor Napolioni ha voluto riflettere su alcune immagini legate alla festa della cattedra di Pietro. Immagini, ha detto, che non sono illustrazioni da relegare nei libri ma che devono diventare vita vissuta, “scritte nel profondo della nostra stessa carne, del nostro spirito, della nostra storia umana”. La prima immagine evocata dal vescovo è dunque proprio quella della cattedra, luogo privilegiato di insegnamento e incontro. “E come negli altari la Chiesa, sin dagli inizi, ha custodito le reliquie dei martiri, io credo che ogni cattedra sia altare perché custodisce la fede del popolo di Dio. È da lì, dall’ascolto quotidiano dei fratelli e delle sorelle, che nasce una circolarità, una danza, uno scambio continuo tra pastori e fratelli che aiuta a vedere Cristo presente”.

Monsignor Napolioni ha così ricordato anche la visita pastorale che sta conducendo nella Diocesi, intitolata “Cristo per le strade”. Eppure, chiarisce, “non sono io che porto Gesù per le strade. Io vado a cercarlo, a riconoscerlo e cercarne la presenza discreta, capillare, operosa, silente ed eloquente allo stesso tempo perché quando ascolto certe testimonianze di fedeltà coniugale, certe testimonianze di servizio ai poveri… che magistero, che cattedra! La cattedra prende vita e ci riguarda tutti”. 

La seconda immagine citata dal vescovo è proprio quella del pastore, della guida, del re presente già nell’Antico Testamento (basti pensare al re Davide o al re Salomone): “Figure imperfette, ciascuno con i suoi peccati, eppure riconquistati nelle vicende della vita a una intimità sempre maggiore con quel Dio che dice: Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio. E poi Gesù, il pastore che dà la vita per le pecore, che si fa  Agnello”. Anche qui, ha proseguito monsignor Napolioni, “le categorie e le immagini non possono stare ferme, si dinamizzano e  ci permettono di risorgere”. 

Ecco poi la terza immagine evocata, frequentissima nella Scrittura: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Lo stesso Pietro, chiosa il vescovo, dirà ai suoi “voi siete pietre vive”. E allora, ha esortato all’indirizzo dei fedeli presenti, “siate protagonisti anche oggi di quella cattedrale nel mondo che è il rapporto tra la Chiesa e l’umanità. C’è necessità di tutto, non saremo mai così belli come quando l’ultimo arrivato, il più piccolo, l’ultimo convertito non avrà colorato con la sua piccola tessera il mosaico della comunione”. 

In conclusione ecco l’ultima immagine, quella delle chiavi. “Il potere delle chiavi. Dio ci dà le chiavi del Suo cuore, le chiavi della città santa di Gerusalemme, quelle del regno. Ci dice che tutto è alla nostra portata. Basta dare un bicchiere di acqua fresca, che anche l’ultimo minuto può essere quello della consegna di sé. Come accadde a quell’uomo  a cui Cristo disse: Oggi sarai con me in Paradiso.  Il Vescovo ha poi ricordato che tutti abbiamo bisogno di trovare le chiavi di casa, rinunciando alle critiche e al soggettivismo e permettendo a tutti di entrare. Perché il potere delle chiavi è quello di poterle regalare, di condividerle. 

“Come possiamo restituire a queste immagini freschezza e potenza? Accettando che Dio ci ponga quella domanda: E tu? E voi, cosa dite del Figlio dell’uomo? Sai condividere le tue chiavi? Sei felice di essere Chiesa dentro l’unico edificio della Chiesa? Sei grato di ciò che hai ricevuto in dono? Sei grato per la cattedra di Pietro? Occorre sempre il nostro atto libero di adesione e partecipazione: il Signore fa meraviglie.  E anche se la nostra risposta fosse imperfetta, ci pensa lo Spirito.  A Pietro non tornarono i conti per la sua intelligenza, ma per la sua docilità”. Un richiamo bello, dunque, a vivere l’esperienza del movimento uniti alla Chiesa cremonese, per essere sempre più fecondi e testimoni del Vangelo.

Al termine della celebrazione Paolo Mirri, responsabile diocesano di Cl a Cremona, ha rivolto un saluto e un ringraziamento al Vescovo e a tutti i sacerdoti presenti. “Siamo grati al servo di Dio don Giussani per averci insegnato ad amare questo Dio togliendolo dall’astrattezza. Viviamo un’esperienza cristiana presente, che risponde a quello che il nostro cuore cerca”, nonostante le cadute e i tradimenti, ha concluso, “come San Pietro siamo certi che l’amore di Cristo è più grande di ogni tradimento e per questo siamo grati e pieni di stupore per questo dono, il Movimento, nato dentro la Chiesa e che dentro la Chiesa continua a crescere”.

La fotogallery della celebrazione




«Testimoni fino in fondo», la Messa in Cattedrale nella Giornata per la Vita consacrata

Come ogni anno, il 2 febbraio ricorre la Giornata mondiale della vita consacrata, quest’anno nella sua 25ª edizione. Un giorno di festa per riflettere su questa speciale vocazione nella Chiesa e nel mondo e, per i consacrati, un modo per fare memoria e rinnovare la fedeltà alla chiamata. In questo contesto alle ore 18 in Cattedrale il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato l’Eucaristia alla presenza di molti religiosi e religiose che operano sul territorio diocesano.

«Oggi per noi è un giorno di ringraziamento per la vita consacrata, un momento di gratitudine al Signore per uomini e donne che ne sono testimoni fino in fondo. Sia dato anche a noi di riconoscere Dio in ogni esperienza umana, a partire da questa Eucarestia», ha esordito il vescovo all’inizio della celebrazione, che si è aperta con la tradizionale benedizione delle candele.

Durante l’omelia, mons. Napolioni, ha esordito: «Il Vangelo che abbiamo accolto per grazia di Dio, anche quest’anno ci fa fissare lo sguardo non sulla cornice (Simeone, Anna, Maria, Giuseppe) ma su Gesù. Contempliamo il Bambino che incarna il Figlio di Dio e offre a tutti noi il modello dell’uomo perfetto e dunque l’identità vocazionale vera, profonda, radicale a cui attingere. Gesù è certamente un laico, è cresciuto a Nazareth, tra la gente, ha lavorato con il padre e poi ha lasciato la famiglia per una missione che non si è caratterizzata secondo i canoni sacerdotali dell’epoca… tanto da essere rifiutato. È nato fuori dall’albergo, è morto povero tra i poveri proprio per dire a ogni membro del popolo di Dio quanto la Sua vita e quanto la vita di ognuno di noi sia innestata in Lui».

Ancora: «Ogni discepolo del Signore è innanzitutto colui che cerca di vivere in Cristo e lo segue. La prima tessera del mosaico della Chiesa è questa: siamo il popolo di Dio. Siamo tutti nati laici, e tutti dobbiamo avere una grande stima non per la sezione laicale della comunità ma per la natura battesimale della nostra esperienza di fede. Su questa radice fiorisce la nostra vita consacrata». Il vescovo ha ricordato poi che se nel laicato brilla la vocazione al matrimonio e alla famiglia, dove Cristo fa da faro della santità coniugale, è innegabile che ci sia stata una fioritura di santi anche nei carismi e nella vita consacrata. Ma, ha ricordato, «sono tutti frutti dell’unico chicco di grano marcito in terra per salvare tutti noi».

«Noi siamo piccoli frammenti di questa grande realtà, che quel Bambino rende presente nel Tempio a dire “ora c’è un nuovo tempio, la mia Presenza in ogni uomo, in ogni tempo, fino all’eternità”. Dobbiamo ricordarci questo per non affogare nei nostri calcoli che non tornano mai». Monsignor Napolioni ha poi ricordato come in entrambe le letture si presenti più volte il verbo “offrire”.

«Tutti gli amici di Gesù sono chiamati ad offrire, parlo dell’offerta di sé. Come quella di Gesù sul Calvario. Finché ciascuno di noi non scopre che la propria realizzazione si compie nel dono di sé siamo infelici. La vita cristiana, anche dei consacrati, è una lotta, impegnata ed esigente. Ma cosa vince? La resa. Un’offerta non nel segno dell’eroe, ma dello sconfitto. È una resa d’amore, una piccolezza benedetta perché scelta da Dio come luogo in cui manifestarsi». Conclude il vescovo: «Siamo in un tempo in cui di fronte a tutte le nostre opere c’è il segno “meno”. Facciamo una promessa stasera? Proviamo a rinunciare all’aritmetica vocazionale? Non ci serve contare sempre i numeri (le case, le scuole, le parrocchie…) ma chi ci segue tra i giovani se dovessero percepire che ci guida quest’ansia dei numeri o delle posizioni da tenere? La carne di Gesù è ogni uomo che vive. Ogni parola che ci scambiamo, ogni gesto che ci è dato di compiere nel Suo nome. Questa libertà ci impegnerà nella maniera giusta. Perché l’aritmetica del Signore prevede solo due numeri: uno e tutti. Uno e infinito. Dobbiamo essere fecondi e in un tempo di grande sterilità la preghiera, il servizio agli ultimi e la comunione tra noi non ci faranno mancare la fecondità che il Signore ha promesso».

La celebrazione si è conclusa con una speciale invocazione per i consacrati e il ricordo dei più significativi anniversari di professione:

  • 25° di professione religiosa: suor Daniela Lazzaroni, suor Louise Sarr, suor Sumithra  Costa;
  • 50° di professione religiosa: padre Virginio Bebber;
  • 60° di professione religiosa: madre Amalia Sartori, suor Maria Teresa Nava, suor Silvana Ventura, suor Raffaella Pastoressa, suor Gabriella Guggeri;
  • 70° di professione religiosa: suor Saveria Pozzecco, suor Adeodata Raimondi, suor Angelina Zof, suor Annunciata Adani, suor Giustina Pozzi, suor Paolina Brambilla.

La fotogallery della celebrazione

 

 




Giorno dell’ascolto, una opportunità di crescita che genera comunità

La Domenica della Parola che si celebra il 24 gennaio diventa occasione per ricordare che anche la Diocesi Cremona da tempo sta facendo un interessante e intenso lavoro di riflessione sulle Sacre Scritture, che impegna tutte le comunità parrocchiali. Una volta a settimana, infatti, vengono organizzati (in presenza quando possibile o online se lo richiede l’emergenza sanitaria) incontri di dialogo, condivisione, riflessione e meditazione sulla Parola.

Come racconta don Adriano Veluti, moderatore dell’unità pastorale di Casalmorano, «incontrarci ogni lunedì sera – siamo sacerdoti, famiglie, nonni, parrocchiani – è un modo per sentirci uniti nel cammino. Ci siamo accorti di quanto sia davvero importante recuperare il valore dell’ascolto, perché è una grande sfida in questi tempi frenetici, caratterizzati da chiusura e individualismo. L’ascolto apre, aiuta a superare pregiudizi e dà speranza. Ascoltare implica anche una pazienza, perché le relazioni buoni si costruiscono nel tempo. Sia con Dio che tra di noi. Anche se il tempo sembra lento e improduttivo, in realtà costruisce. Ci ridà il gusto delle cose, per imparare di nuovo il senso della gratitudine».

Gli fa eco da Rivarolo Mantovano don Ernesto Marciò: «Ci troviamo il giovedì, online, a leggere dei testi delle Scritture che scegliamo di volta in volta. In questo momento stiamo lavorando sugli Atti degli Apostoli ed è bello perché ciascuno può raccontare di sé a partire dalla propria esperienza confrontandosi con la Parola. Questo aiuta tutti noi ad avere uno sguardo più serio e profondo nei confronti della vita di tutti i giorni».

Anche don Federico Celini, dell’unità pastorale «Madre nostra» di Sospiro racconta entusiasta di questa esperienza settimanale che ormai vede partecipare fedelmente almeno 25 persone. «Ci incontriamo il venerdì sera, ma di settimana in settimana proponiamo il brano di Vangelo su cui riflettere, chiedendo a ciascuno di leggerlo e meditarlo almeno dieci minuti al giorno dopo aver invocato lo Spirito Santo. Così arriviamo al momento di condivisione preparati personalmente. Non è una lectio divina, non è una scuola biblica, ma è la condivisione di quello che la Parola di Dio ha detto in quella settimana alla nostra vita e come l’ha cambiata, per verificare come e se incide davvero. Tutti sono chiamati a condividere quello che hanno scoperto, senza nessun giudizio o pregiudizio».

 

Una sosta di discernimento

«La fede nasce dall’ascolto. La Chiesa, discepola del suo Signore, ha bisogno di evangelizzare continuamente se stessa, per essere riflesso credibile e vivente del Cristo. Non bastano le forme collaudate di incontro popolare con la Parola di Dio nella liturgia e nella catechesi, nelle diverse forme di predicazione. Occorre una sosta frequente dei singoli e della comunità, in cui chiedere proprio alla Parola di Dio di farci guardare con sapienza nel cuore, nella vita, nella Chiesa, nel mondo. È sull’ascolto della Parola che si fonda il discernimento ecclesiale». Così il vescovo Napolioni, ormai un anno fa, ha chiesto a tutta la Diocesi un impegno a lavorare e riflettere sulla Parola un giorno alla settimana con l’iniziativa, appunto, del «Giorno dell’ascolto».

 

https://www.diocesidicremona.it/domenica-della-parola-di-dio-il-papa-invita-a-mettersi-in-ascolto-20-01-2021.html




«Come i Magi, se necessario, cambiamo strada…». La riflessione del Vescovo nella solennità dell’Epifania (VIDEO)

Si è celebrata nella mattinata di mercoledì 6 gennaio in Cattedrale la Messa dell’Epifania, presieduta dal vescovo. «Vi siete accorti che quest’anno ascoltare e accogliere questo annuncio ha un senso molto diverso?», ha esordito monsignor Napolioni nella sua riflessione proposta durante l’omelia rivolto ai fedeli presenti facendo riferimento alla sequenza cantata dopo il Vangelo, nella quale è stato dato l’annuncio del giorno della Pasqua, che nel 2021 sarà il 4 aprile e da cui “scaturiscono tutti i giorni santi”.

Prima infatti l’Epifania, ha spiegato, in qualche modo ci metteva addosso un po’ di frenesia che ci portava a correre in avanti, a guardare già alla Quaresima e alla Pasqua. «Un treno in corsa, anche come chiesa. Una santa corsa, ispirata da nobili motivi, da tante esperienze importanti ma col rischio di inciampare, di essere consumatori di feste, di sagre. Quest’anno invece abbiamo pensato: arriveremo a queste date? In che colore di zona saremo? Andrà tutto bene? Ci saremo vaccinati? Porteremo la mascherina? Non lo sappiamo. Ma questo annuncio – ha detto riferendosi all’Epifania – ci ha detto ciò che sappiamo: qualunque cosa accada, sarà Pasqua. Qualunque cosa accada, quel giorno la Chiesa in festa o perseguitata, ricca o povera, radunata in cattedrale o dispersa nelle catacombe non potrà che celebrare il Suo Signore. Questo annuncio ci riconsegna – in un tempo di confusione, incertezza e paura – la certezza che anima la speranza».

Durante l’omelia il vescovo ha ricordato, come ebbe a dire una volta anche papa Francesco, che Cristo sempre ci precede. «E noi cosa dobbiamo fare ora che sappiamo che Cristo è nato, si è manifestato, ci accompagna, ci parlerà ancora, ci nutrirà di sé? Chi è che può testimoniare tutto questo? Come anche noi possiamo contribuire a far sì che questa notizia di salvezza arrivi a tutti in maniera efficace, per generare davvero consolazione e fiducia? Ci sono due tipi di persone e di ruoli: apostoli e profeti. Cioè quelli che Dio ha chiamato e inviato, quelli che Lui ha scelto. Come i sacerdoti. Ma ci sono anche i Magi, coloro che cercano, si interrogano, guardano le stelle, ascoltano il loro desiderio profondo, si mettono in cammino, portano i doni: esercitano dunque una grande libertà».

Sono, ha spiegato il vescovo, persone mosse dalla curiosità, dal desiderio, dall’intelligenza. «Il mondo ha bisogno di uomini e donne così, ha bisogno di cristiani così: che stimino il senso del dovere ma che lo riscaldino con l’avventura del proprio cuore inquieto, affamato della vera luce e del vero amore. Questo ci permetterà di essere creativi». In conclusione, il vescovo ha ripreso la parte finale del brano del Vangelo dove si racconta che i Magi, avvertiti in sogno, tornarono per un’altra via verso il loro Paese. «I Magi vivono con attenzione ciò che accade. Seguono la stella, trovano il Bambino, offrono i doni, ma nel sogno – nel dialogo profondo del cuore con il Mistero che ci avvolge – capirono chi era Erode. E presero un’altra strada».

Ecco quindi la lezione da trarre anche per il presente, ben esplicitata da monsignor Napolioni: «Nell’ascolto di Dio possiamo discernere di chi fidarci e di chi no, perché l’inganno è sempre possibile. Il Signore ci dà appuntamento ma ci chiede di vivere nella Storia, di assumerci le nostre responsabilità nella società, nella famiglia e nelle istituzioni. Se necessario cambiando strada. Siamo sicuri che dovremo tornare a tutti gli stili di vita che avevamo un anno fa o dobbiamo prendere coscienza che bisogna impostare diversamente priorità dell’anima, uso del tempo, uso del denaro, i criteri educativi e le piccole cose di ogni giorno? Ci può spaventare, ma se abbiamo chiari gli appuntamenti delle feste che l’Epifania non porta via, ma ci riconsegna come calendario di fioritura della nostra esistenza, non ci sarà virus che ce lo impedirà. Anzi sarà occasione per far emergere questa Grazia che ci è stata data in dono».

La Messa, concelebrata dal Capitolo della Cattedrale, è stata servita all’altare dai diaconi che nei prossimi mesi saranno ordinati sacerdoti, i cui compagni di Seminario hanno prestato servizio liturgico.

Il video integrale della celebrazione




Anche la Diocesi di Cremona aderisce al progetto Cei per il censimento delle chiese

In accordo con quanto richiesto dalla Conferenza episcopale italiana, anche la Diocesi di Cremona ha iniziato il censimento dei beni architettonici di proprietà della Chiesa cremonese. Un modo per poter conoscere la situazione degli edifici di culto, ma anche dei tanti gioielli nascosti talvolta dimenticati.

I lavori, iniziati il luglio scorso, fanno parte di un articolato progetto promosso dall’Ufficio nazionale per i Beni culturali ecclesiastici: un censimento informatizzato delle chiese esistenti sul suolo italiano per arrivare ad un inventario completo dei beni architettonici che, nel tempo, dovrà interessare l’intero patrimonio immobiliare di proprietà delle diocesi e degli enti soggetti al vescovo diocesano, quali episcopi e seminari.

Per l’attuazione del censimento è stato messo a disposizione delle diocesi aderenti un sistema online che permette di inserire tutti di dati relativi all’edificio oggetto di schedatura. La Diocesi di Cremona ha raccolto con entusiasmo la proposta, elaborando un progetto ad hoc per l’analisi dello stato di fatto degli edifici di culto (dunque la consistenza e l’uso), l’analisi degli aspetti amministrativi e legali (proprietà e possesso) e per individuare le finalità da conseguire una volta ottenuti i risultati delle ricerche (interventi, migliorie, etc). Il progetto è stato presentato a tutte le parrocchie, chiarendo l’esigenza di mappare e, soprattutto, conoscere in maniera completa e precisa la consistenza, il valore e lo stato di conservazione del patrimonio diocesano.

Come ricordato da don Gianluca Gaiardi, responsabile dell’Ufficio beni culturali diocesano, questo impegno non è senza uno scopo: servirà a capire meglio le effettive esigenze e necessità per un dignitoso uso cultuale (accanto a quello culturale) delle chiese, nonché a stabilire i criteri per un corretto utilizzo degli immobili, che sono un patrimonio che si è chiamati a gestire e soprattutto a tramandare nel tempo.

Sul piano operativo, all’interno di ogni zona pastorale è stato individuato dall’Ufficio uno schedatore che si occupa della verifica preliminare della documentazione e dell’inserimento online nel sistema messo a disposizione dalla Cei. Al momento il progetto riguarda la schedatura a livello di inventariazione delle chiese che risultano di proprietà di parrocchie o enti religiosi soggetti al vescovo.

Un lavoro che coinvolge circa 400 edifici e che si concluderà – salvo ulteriori rallentamenti dovuti al Covid – nel 2022. Il censimento attualmente viene fatto solo per le chiese attualmente in uso.

«Il censimento – precisa don Gaiardi – ha una valenza storica, ma al contempo permette un controllo della conservazione degli impianti e della sicurezza, in modo da poter fare adeguamenti per l’uso liturgico laddove necessario».

L’impresa coinvolge parroci, tecnici e archivisti. «I lavori di censimento – conclude l’incaricato diocesano per i Beni culturali – sono iniziati a luglio e ad oggi la zone stanno consegnando il materiale preliminare, siamo già arrivato quasi a metà del lavoro; circa al 25 per cento degli edifici censiti a dicembre 2020. La pandemia ha reso tutto molto più complicato». Ma non impossibile.




Da Cremona a Bahia, la preghiera è ponte di fraternità

A Salvador de Bahia, Brasile, la vita della Chiesa cattolica è da sempre molto vivace. Fondata nel 1549, è stata la prima capitale del Paese. Cuore pulsante della cultura afro–brasiliana, nota al mondo per essere stata la città ad avere importato più schiavi dall’Africa per le piantagioni di canna da zucchero, è da tempo luogo di missione. Anche ora che il coronavirus ha colpito duramente, pur rispettando le norme richieste per arginare l’epidemia, le parrocchie si sono organizzate per non lasciare sola la gente.

Lo sanno bene don Emilio Bellani e don Davide Ferretti, missionari fidei donum nel quartiere «Novos Alagados», dove si trova una delle più grandi favela dell’area. Qui la loro parrocchia – fondata oltre trent’anni fa e dedicata a Jesus Cristo Resussidado – sperimenta la freschezza e l’essenzialità di una comunità cattolica che vive il costante confronto con numerose chiese evangeliche e pentecostali. Sul territorio della parrocchia di Cristo Risorto si contano circa 35mila abitanti con una presenza cattolica del 30%.

Tra le tante iniziative portate avanti dai due missionari, ne spicca una: «Interconnessi». Di cosa si tratta lo spiega lo stesso don Ferretti, in Italia per alcuni giorni, e che ha presieduto le veglie di preghiera di Cremona e Scandolara. «Interconnessi è una proposta che nasce dal desiderio di mantenere vivo il legame che esiste tra la realtà parrocchiale che ci è affidata a Bahia e la nostra Chiesa cremonese».

Ogni giovedì nella chiesa bahiana viene esposto il Santissimo Sacramento e i fedeli si riuniscono per l’adorazione. Il tutto quando in Italia sono circa le 22. La proposta – rivolta a singoli, comunità parrocchiali, associazioni, movimenti, istituti religiosi della diocesi cremonese – è quindi quella di trovarsi in preghiera più o meno verso la stessa ora anche in Italia, tutti con lo sguardo fisso a Gesù Eucarestia. Solo un gesto potente come la preghiera vissuta in comunione può infatti annullare distanze – geografiche e culturali – che a volte potrebbero apparire come insormontabili. Come scrive l’Ufficio missionario diocesano, «sapere che qualche ora prima in Italia, o qualche ora dopo in Brasile, qualcuno ha pregato o pregherà insieme è di conforto e genera un senso di appartenenza ecclesiale. Non è una preghiera per, ma una preghiera con, per un cammino comune. Un’esperienza che può creare un ponte di bene in Gesù Cristo, affidando a Lui le nostre vite».

L’invito del Centro missionario è dunque quello di «inserirsi nella traccia della preghiera personale per far posto a una interconnessione con la comunità d’oltreoceano alla quale siamo legati da un progetto missionario». Per rafforzare ulteriormente questo legame – oltre alla necessaria preghiera che rimane il gesto più vero ed essenziale che si possa fare per vivere in comunione, nonostante le migliaia di chilometri di distanza – alle realtà diocesane che decideranno di aderire a questa iniziativa viene fatta un’ulteriore proposta: inviare una foto della propria chiesa e dei fedeli riuniti per l’adorazione da rilanciare sui social, molto frequentati dai parrocchiani di Bahia, desiderosi di conoscere la «storia» e la comunità d’origine dei loro sacerdoti in missione. Anche video di saluti o videochiamate possono essere una bella idea, un modo di trasmettere calore e mandare un grande segno di amicizia all’intera comunità bahiani, definita la 223ª parrocchia della diocesi di Cremona.