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Masci, a Cremona una due giorni nazionale di approfondimento sul tema dei legami

“L’accoglienza delle diversità condizione per relazioni armoniose” è il titolo e il tema del convegno promosso a livello nazionale dal Masci, il Movimento adulti scout cattolici italiani, e organizzato presso il Seminario Vescovile di Cremona. Una occasione per riflettere sullo spirito di accoglienza dell’altro, su una cultura del dialogo e del confronto, nella valorizzazione delle differenze.

Una cinquantina gli iscritti al convegno, che ha visto la presenza del presidente nazionale del Masci Massimiliano Costa e del segretario regionale Fabio Tognaccini.

L’incontro di sabato 11 è iniziato in salone Bonomelli con una introduzione per spiegare il tema della due giorni e un momento di preghiera.

La testimonianza di Leopoldo Grosso, psicologo, psicoterapeuta e sociologo, per molti anni coordinatore del settore di accoglienza del gruppo Abele e fondatore dell’Università della strada, ha trattato l’argomento “La comunità attenta alle fragilità e diversità” attraverso la visione e il commento di una video-intervista a una coppia di sposi. Mentre i coniugi Maria Grazia e Roberto Danesi, responsabili della pastorale familiare della Diocesi di Cremona, hanno successivamente approfondito la tematica de “L’accoglienza ed il convivere delle unicità in famiglia”.

Il pomeriggio è proseguito con i lavori di gruppo, nel giardino del Seminario, con lo scopo di individuare, a partire dagli spunti di riflessione emersi dalle testimonianze, possibili piste capaci di interrogare e far camminare il movimento nel prossimo triennio.

Nel pomeriggio anche la visita del vescovo Antonio Napolioni, scout che dal 1992 al 1998 ha svolto l’incarico di assistente nazionale Agesci. È stato lui, alle 18.30, a presiedere k’Eucaristia, concelebrata dal segretario vescovile don Flavio Meani e da don Francesco Cortellini, assistente cremonese del Masci.

Dopo la cena gli scout del Masci hanno potuto assistere a “Note di Bivacco”, spettacolo del coro scout di Ponte San Pietro (Bg).

A chiudere la due giorni, nella mattinata di domenica 12 giugno, l’intervento dell’avvocato Grazia Villa su “Far crescere una cultura dell’incontro”, quale condizione indispensabile per la costruzione di relazioni armoniose e generative.

Proprio Cremona ha segnato dunque la conclusione del percorso che il Masci sta compiendo per recepire “gli orizzonti di programma” delle assemblee nazionali del movimento. Dopo gli incontri “Il Masci e la Polis”, “Il Masci e la Chiesa” e “Il Masci e l’ambiente”, il percorso all’ombra del Torrazzo si è concentrato sulla gestione dei legami all’interno della famiglia e della società, con l’obiettivo di creare legami di pace.




Il Vescovo ai ministranti: «Servite il Signore nella gioia oggi e sempre, questo è il mio augurio!»

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Nel pomeriggio di giovedì 2 giugno il Seminario Vescovile di Cremona ha ospitato l’incontro diocesano dei ministranti.

Entusiasmo, partecipazione e spirito di aggregazione hanno caratterizzato il pomeriggio che ha coinvolto più di 200 giovani ministranti provenienti dalle diverse parrocchie della diocesi di Cremona accompagnati dai loro sacerdoti.

Il titolo dell’iniziativa riprende un’esortazione che spesso don Bosco rivolgeva ai suoi ragazzi: “Servite il Signore nella gioia”.

Il pomeriggio è iniziato con l’accoglienza dei giovani animata dai seminaristi e dalle novizie delle suore Adoratrici di Rivolta d’Adda che hanno organizzato l’incontro insieme al responsabile dei ministranti don Flavio Meani.

Il seminario si è fantasiosamente trasformato in Valdocco, l’oratorio fondato da Don Bosco dove si è svolta una particolare caccia al tesoro a cui hanno partecipato tutti i ministranti suddivisi in gruppi per fasce di età.

Ogni tappa è stata abbinata ad un gioco da svolgere nei diversi spazi del Seminario. Scopo finale è stato quello di trovare Vittorio, il tesoro che al termine de gioco si è scoperto essere Vittorio l’ostensorio.

Divisi in nuovi gruppi, ragazzi e ragazze hanno condiviso un momento di riflessione a sfondo vocazionale a partire dal dialogo fra San Domenico Savio e Don Bosco; “Io sono la stoffa: lei ne sia il sarto”.

Dopo la merenda una piccola processione con tutti i ministranti ha introdotto il momento di preghiera in chiesa presieduto dal vescovo Antonio Napolioni concelebrata con don William Dalè, il diacono che sarà oridinato sacerdote il prossimo 11 giugno.

«Abbiamo formato questa assemblea che, come vedete, è specialissima – ha affermato mons. Napolioni – Avete mai visto una assemblea liturgica in Chiesa in cui ci sono il 90% di chierichetti? – ha poi proseguito – Cerchiamo veramente di gustare questa assemblea speciale, una assemblea in cui non abbiamo trovato da fare per tutti. Forse è proprio questa l’immagine più bella: tutti al servizio, tutti al posto d’onore, tutti stretti intorno all’altare, alla parola, al Signore. Ma pensate, tutti siamo membra di un unico corpo – ha concluso quindi – Qui c’è una fraternità, i vostri diversi abiti cantano la stessa identità, oggi siamo davvero alla sorgente di tutto e allora servite il Signore nella gioia oggi e sempre, questo è il mio augurio!»

Ha concluso l’evento lo spettacolo di Stefano Priori sulla vita di San Giovanni Bosco alla quale si è ispirata l’intera giornata.




“Impegno con Cristo”: una rappresentazione per approfondire la conoscenza di Don Primo Mazzolari

Domenica 5 giugno, alle 20.45, sul piazzale della chiesa di S. Ambrogio a Cremona è andata in scena “Impegno con Cristo”, una rielaborazione teatrale originale ispirata all’opera di don Primo Mazzolari e riguardante la pace, la fraternità, la fede, il perdono.

La serata, aperta a tutti, è stata molto partecipata, presente anche Giancarlo Ghidorsi che è stato a lungo segretario della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, promotore della realizzazione di questo spettacolo e di tanti altri ispirati agli scritti mazzolariani. Regista e interprete della rappresentazione è stato Giuseppe Pasotti, da sempre affascinato dalle riflessioni di don Primo Mazzolari.

Lo spettacolo è stato caratterizzato da una lettura interpretata accompagnata dalle coreografie di due ballerine che, con i loro movimenti e la loro interpretazione hanno saputo dare ancor più significato alle riflessioni mazzolariane. Il tutto incorniciato da una suggestiva scenografia. Questa rappresentazione è solo un piccolo assaggio di uno spettacolo sulla pace che il regista ha ideato per l’evento “Brescia e Bergamo città della cultura” che si terrà a maggio 2023.

La serata, organizzata anche per approfondire la conoscenza di don Primo Mazzolari nell’unità pastorale recentemente eretta a suo nome, è stata introdotta da don Paolo Arienti, parroco di S. Ambrogio, ed è terminata con una riflessione di don Umberto Zanaboni, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Primo Mazzolari, che ha sottolineato: «Chi non è capace di capire e ascoltare con il cuore non è capace di capire Mazzolari».




Al Campus Santa Monica in scena “Un luogo libero cent’anni”

Nella serata di giovedì 19 maggio il Campus di Santa Monica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore è stato la suggestiva cornice dello spettacolo teatrale “Un luogo libero cent’anni”, realizzato dai ragazzi della Compagnia “ai due Chiostri” accompagnati dal responsabile don Daniel Osvaldo Balditarra. La compagnia, nata nel 2006 come gruppo di teatro vocazionale all’interno del collegio Augustinianum (maschile) e successivamente esteso agli altri collegi della sede milanese dell’ateneo, è ora costituita da studenti e studentesse iscritti a un corso di Laurea dell’Università Cattolica.

La rappresentazione teatrale si è svolta nell’incantevole cornice dei giardini del Campus cremonese rendendo ancora più suggestivo lo spettacolo.

«La volontà era quella di non raccontare tanto la storia dell’Università Cattolica, quanto il senso dell’Università Cattolica durante questi 100 anni – ha spiegato il regista Francesco Giorgi introducendo l’opera teatrale –. Il senso che si è tradotto nei valori di alcune persone e nei valori anche degli studenti che indirettamente hanno influito sulle menti dei professori e dei rettori che l’hanno abitata».

Sul palco i giovani attori hanno saputo mettere in scena i momenti cruciali della storia dell’università, a partire dal 1899, passando per eventi salienti come la Seconda Guerra Mondiale e il Sessantotto, fino ad arrivare ai giorni nostri. Gli interpreti, nelle vesti di Agostino Gemelli, Armida Barelli, Ludovico Necchi, Giuseppe Toniolo, Ezio Franceschini e altri personaggi importanti per la nascita e la crescita dell’Università, hanno saputo far emergere il valore della libertà nell’ambito della coesistenza e reciproco arricchimento tra scienza e fede.

L’accompagnamento musicale dal vivo ha reso ancora più suggestivo lo spettacolo.

A conclusione a serata Matteo Burgazzoli (responsabile della vicedirezione della sede di Cremona), organizzatore dell’evento insieme a don Maurizio Compiani (cappellano della sede cremonese e incaricato diocesano della Pastorale universitaria), ha ringraziato la compagnia per lo spettacolo molto coinvolgente al quale ha partecipato una platea numerosa.




“Contemplando il mistero della Croce”, la meditazione di don Compiani a San Luca

Nella serata di mercoledì 6 aprile nella chiesa di San Luca si è svolta la meditazione quaresimale dal titolo “Elevatio Crucis. Contemplando il mistero della Croce” a conclusione del percorso “La via della Croce”, proposta quaresimale pensata dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria in sinergia con la sede cremonese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e il Museo Diocesano di Cremona. A condurre la meditazione è stato proprio don Maurizio Compiani, incaricato diocesano e assistente della sede cremonese dell’Università Cattolica.

La serata si è articolata in tre tempi, con la riflessione su tre diverse letture bibliche: una dell’Antico e due del Nuovo Testamento, alternate da momenti di contemplazione musicale, poetica ed ecclesiale in canto.

Ascolta l’audio completo della serata

La prima riflessione proposta da don Maurizio Compiani è partita dalla lettura dal libro dell’Esodo (Es 15,22-27):«Ascoltare la parola del Signore che arriva, la sua legge, quello significa – come dice il testo – “io sono il Signore colui che ti guarisce”. Non ascoltare quella parola significa per il popolo avere dentro il “mara”, l’amarezza – e ha proseguito – il Dio che trasforma l’acqua da amara a dolce è lo stesso Dio medico, “Io sono il Signore tuo Dio che ti guarisce”».

Dopo una contemplazione musicale accompagnata dal suono dell’organo don Compiani ha proseguito con la riflessione dalla lettura dal Vangelo secondo Giovanni (19, 23-30): «Giovanni insiste sulla tunica, quella tunica che è senza cuciture – e ha continuato – il “kitò” di lino è la veste sottilissima che la persona porta sotto i suoi abiti, è la veste intima, quella che sta attaccata alla pelle. Tutti i Vangeli si chiedono che cos’è il momento in cui Cristo va in croce? Tutti ti diranno che è il momento dove l’adorazione di Cristo si fa piena, Cristo per sé non tiene nulla, dona il suo corpo, dona le sue vesti, ma quella tunica è quella che è direttamente a contatto con lui e in quel momento lui non dà solo quello, dà qualcosa che parla della sua intimità e quello che è fondamentale è che è senza cuciture».

Ha sottolineato poi don Compiani «I pPadri della Chiesa vedranno direttamente in quella veste l’immagine della Chiesa che diventa la comunità cristiana, la verità più intima che Cristo dà a noi».

A seguire la contemplazione della poesia “Io tua Madre. Maria si racconta”, dal testo di Giorgio Mazzanti e quindi la riflessione sul testo dl Vangelo secondo Luca (9, 22-25): «Rinnega te stesso, nega, nega. Non è vero che non sei niente, non è vero che tu sei la realtà del tuo peccato, Dio quando vede te vede te dentro il mistero dell’amore di Cristo, in te vede il suo figlio. Dio quando vede te vede colui per il quale il Figlio ha donato la vita, Dio non rinuncia a te».

Ha concluso la serata un canto intonato nella prima parte da un tenore a cui nella seconda parte hanno potuto unirsi tutti i partecipanti.

 

Giubileo 2025, don Maurizio Compiani nella Commissione Culturale




A Soresina la pièce “Maria e Giuseppe 2.0” ha chiuso il ciclo dei Quaresimali

Nella serata di giovedì 31 marzo si è tenuto l’ultimo appuntamento dei “Quaresimali a Soresina” presso la chiesa del Buon Pastore nell’oratorio Sirino con la pièce teatrale Maria e Giuseppe 2.0, interpretata da Angelo Franchini.

Nello spettacolo Giuseppe fa un salto nel 2021 per salutare Maria con la scusa di aiutarla a disbrigare la posta che le arriva, curioso di capire come la gente li vede in questa strana era, come sono percepiti da chi prega ancora, cosa sono diventati dopo duemila anni, chi sono davvero.

Tra ricordi di com’era una volta e personaggi della loro storia, nuove preghiere e vecchie generazioni, suppliche sincere e confessioni disperate, Giuseppe capisce che non è così semplice aiutare Maria.

Lo spettacolo alterna momenti di riflessione profonda a battute umoristiche che hanno saputo coinvolgere il pubblico.

«Con questo lavoro – spiega lo sceneggiatore – non voglio dare un messaggio, ma suscitare qualche domanda, emozione e commozione».

L’attore, sceneggiatore e regista Franchini, nato il 2 agosto 1963, inizia il suo percorso teatrale in un paesino del novarese nel 1981, entrando a far parte della rappresentazione sui Misteri Gaudiosi, ideata dal parroco Don Pino Sacco. Prosegue poi la sua carriera con l’allestimento di altri spettacoli con un gruppo di giovani dal nome Gedeone. Nel 1998 inizia il suo percorso da solista con numerosi spettacoli tra i quali: Testimoni oculari, Piccole luci nell’infinito, Caino e Abele?, Una sera qualsiasi.

I tour, con il tempo, dalla Lombardia si allargano nel nord e poi in tutta Italia, riscontrando grande successo in parrocchie, diocesi e case editrici che pubblicano Testimoni oculari e La guida di notte, testo sulla notte di Pasqua vincitore di un concorso nazionale. Contemporaneamente recita anche nel teatro di prosa in spettacoli semi-professionistici: Tre sull’altalena di Lunari, Due dozzine di rose scarlatte di De Benedetti, L’avaro di Goldoni, Aggiungi un posto a tavola di Garinei e Giovannini, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima di Campanile. Dal 2007 l’attore inizia un percorso particolare realizzando quelle che definisce “indagini su questa esistenza che ci sta capitando, chiamata vita” di cui fa parte anche la pièce Maria e Giuseppe 2.0.




Il Vescovo ai futuri sposi: «Che questo possa essere solo il segno, l’inizio di un dialogo sulla vita»

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«L’amore per l’altra persona si può esprimere in mille modi. Si può esprimere con un disegno, si può esprimere con la musica e in altri modi». Così Roberto Dainesi, insieme alla moglie Maria Grazia Antonioli responsabili dell’Ufficio diocesano per la Pastorale familiare, ha aperto l’incontro di futuri o novelli sposi con il Vescovo Napolioni. L’evento, che si è tenuto nel pomeriggio di domenica 20 marzo presso il Seminario vescovile a Cremona, intitolato “come sigillo sul mio cuore”, ha visto intervenire quanti hanno preso parte quest’anno agli itinerari in preparazione al matrimonio, insieme ai sacerdoti e alle coppie che li hanno sostenuti in questo percorso.

L’incontro, introdotto della canzone “Tutto l’universo obbedisce all’amore” di Battiato, come linguaggio della musica per esprimere l’amore, è stato caratterizzato anche dall’arte pittorica quale espressione di amore, attraverso il quadro “Compleanno” di Marc Chagall. Le coppie hanno posto su un pannello i frammenti che hanno composto l’opera simbolo dell’amore del pittore per la moglie attraverso un bacio in aria.

«Penso che sia stato bello il fatto che lo abbiate composto insieme: l’amore non è un fatto individuale, ma è qualcosa che nasce dall’unione innanzitutto delle due persone ma che ha bisogno dell’aiuto di tutti, che cresce grazie al contributo di tutti», ha sottolineato Maria Grazia Antonioli, prima di lasciare il microfono a Stefano Priori, che ha portato la testimonianza del suo rapporto matrimoniale attraverso un monologo nel quale ha raccontato aneddoti di vita quotidiana in modo ironico, sottolineando la ricchezza di essere diversi.

Le coppie sono state poi suddivise in gruppi, all’interno dei quali hanno ragionato su tematiche riguardanti il “tutta la vita”, la fedeltà, il “sì”, il dialogo, i figli e il sacramento. Riflessioni che sono diventate spunti di riflessione nel successivo dialogo con il vescovo Napolioni.

«Che questo possa essere solo il segno, l’inizio di un dialogo sulla vita nella comunità, in questo popolo, in questa famiglia di famiglie, come ci piace oggi sognare la chiesa», ha affermato monsignor Napolioni. «Il dialogo che abbiamo sperimentato deve poter continuare in piccoli gruppi, faccia a faccia, in mille circostanze e così la coppia impara, cresce, si arricchisce e si confronta, non ingigantisce i propri problemi perché li condivide con gli altri e magari le idee e le esperienze degli altri fanno si che nel momento di difficoltà ci sia lo scatto che permette di farcela». E ha proseguito: «Noi siamo la Chiesa, fatta così, di famiglia di famiglie, un popolo di persone semplici, ma non abbandonate a se stesse. Aiutateci a venire fuori dal guscio, a venirci incontro gli uni agli altri, a tessere questa rete, rinnovare il nostro patto lungo il nostro cammino»

L’incontro, che è stato molto partecipato, si è concluso con un momento di preghiera e la distribuzione a ogni coppia di una primula che è simbolo di speranza e nuovo inizio. E non è mancato neppure un segno di solidarietà, da parte dei presenti, nei confronti nelle famiglie vittime del conflitto in Ucraina.

 

Percorsi di preparazione al matrimonio: camminando insieme verso il «sì»




“La sfida e l’arte dell’amore casto”, l’intervento di don Marco Pozza a Soresina

«La castità è qualcosa di molto più grande di quella croce che è il tema del celibato» così ha iniziato don Marco Pozza il suo intervento nella serata di giovedì 10 marzo, primo appuntamento dei “Quaresimali a Soresina 2022” organizzati dalla parrocchia.

Don Marco, oltre ad essere dottore in Teologia, sacerdote di strada, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, scrittore, conduttore tv è noto per le sue interviste a Papa Francesco.

Tema della serata “La sfida e l’arte dell’amore casto”, affrontato a partire da un riferimento alle parole che Papa Francesco ha espresso ai ragazzi nel 2015 in occasione della visita alla Sacra sindone a Torino: «Cari ragazzi, devo dire qualcosa che non piace, che non è popolare. Ma anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità: l’amore è nelle opere e nel comunicarsi, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone, cioè l’amore è casto … io dico siate casti, siate casti!». Don Pozza ha commentato: «Non è soltanto amore dire ti amo ma è anche chiedersi: che cosa fai per amore? – e ha affermato – l’amore si fa nel dialogo, nella comunione, l’amore non è sordo, non è muto».

Ha proseguito poi la riflessione «L’amore casto non corrisponde alla verginità, sono due cose totalmente diverse – ha sottolineato –: se tu vuoi davvero capire che cos’è davvero la castità buttati dentro, anzi accetta di lasciarti guardare dagli occhi di un bambino».

Ha posto poi l’attenzione sulle parole che vengono recitate durante l’atto penitenziale nella Messa: «Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri parole opere e omissioni – e ha affermato – ci siamo confessati di non essere stati casti, perché il contrario di castità non è la prostituzione ma è l’incesto, che in parole molto semplici vuol dire quando non si è capaci di tenere divise le cose».

Don Marco ha poi mostrato l’estratto della lunga conversazione con Papa Francesco sui temi dei vizi e delle virtù, all’interno del quale vi è la testimonianza della storia d’amore tra Domenico, in detenzione nel carcere di Padova, e la moglie Daniela insieme ai loro tre figli. Con questa storia ha voluto evidenziare: «questa è una storia d’amore casta: non vergine, è molto di più. A Dio non importa la castità fisica ma Dio chiede di fare un voto di castità. Trattenere gli istinti è un gioco da bambini, allargare gli occhi è l’arte dei poeti».

«Quindi è possibile la castità? – si è domandato il sacerdote – La castità è la somma di tre fattori: la grazia di Dio, l’impegno personale e lo sforzo culturale».

La serata, che è stata molto partecipata, è stata introdotta e conclusa dal parroco di Soresina don Angelo Piccinelli.

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La parola “unità”, sinonimo di cristianità. Insieme come i Magi se conserviamo il Vangelo nel cuore

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In occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, giovedì 20 gennaio si è svolta la tradizionale veglia di preghiera ecumenica con la partecipazione del vescovo Antonio Napolioni, del pastore Nicola Tedoldi della Chiesa Evangelica Metodista di Piacenza e Cremona e di padre Doru Fuciu della Chiesa Ortodossa Rumena, e con la presenza dell’incaricato diocesano per la Pastorale ecumenica e il dialogo interreligioso don Federico Celini.

La celebrazione si è svolta quest’anno presso la chiesa parrocchiale della Beata Vergine Lauretana e San Genesio, nel quartiere Borgo Loreto di Cremona, data la coincidenza negli stessi giorni con la visita pastorale del vescovo Napolioni e per la presenza, sul territorio, della chiesa ortodossa, in quella che in passato era la chiesa parrocchiale di Borgo Loreto.

La veglia è iniziata con la processione dei concelebranti insieme ai tre rappresentanti delle diverse confessioni cristiane, che hanno acceso altrettante lampade dal cero pasquale.

Il tema del momento di preghiera – in riferimento a quanto caratterizza la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno –  è stato “In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”, tratto dal Vangelo secondo Matteo.

Nella sua riflessione monsignor Napolioni ha affermato che «il loro viaggio è unito da questo segno che li attira, suscita il desiderio più profondo, lo distilla, lo matura e lo rende punto di incontro con altri uomini di buona volontà, con altri cercatori di senso e di Dio». «Lungo la strada insieme vengono tentati da colui che difende il potere terreno – ha proseguito mons. Napolioni – insieme resistono e arrivano, si prostrano, adorano e consegnano i loro doni. La tradizione fa si che ognuno di loro secondo noi abbia un determinato dono, ma in fondo non esiste una classifica, non gareggiano, non sono rivali, la diversità esalta la bellezza di quell’incontro. Sono le nazioni, i popoli, le saggezze e le culture, sono le storie degli uomini e delle donne che davanti a quel bambino, segnalato dalla stella e a sua madre, si compongono nell’unità più perfetta, quella che dà loro la forza di cambiare insieme». «Anche noi – ha detto ancora monsignor Napolioni – abbiamo bisogno di cambiare tante strade della nostra vita, non solo personale, ma sociale, mondiale e se noi cristiani nella diversità delle vicende teologiche e spirituali, fatta di divisioni ma anche di possibili riconciliazioni, di rinnovati incontri, amicizie, vogliamo cambiare, possiamo farlo solo se ci decidiamo insieme, stimando il rapporto di ciascuno, partendo dall’essenziale, da quel Vangelo che non solo nel libro, ma nel cuore non dobbiamo più smarrire. Allora non sarà più solo la chiesa cattolica a fare sinodo, ma saremo tutti, con metodi, linguaggi, tradizioni diverse a camminare insieme, perché quella stella continua a splendere e a indicarci la via».

Il momento di riflessione è proseguito con le parole del pastore Tedoldi, che ha voluto sottolineare che «oltre pregare il Signore per la nostra unità dovremmo pregarlo intensamente perché ci aiuti ad essere veramente cristiani, attenti ascoltatori e fedeli testimoni della Sua parola perché ritengo che è Cristo l’unità dei cristiani, per cui, non abbiamo bisogno di attendere altro. Dio ci ha donato se stesso in Gesù Cristo perché potessimo essere tutti una sola cosa». E ha proseguito il pastore Tedoldi: «Credo sia giunto il tempo di capire che unità è sinonimo di cristianità” e conclude “nel nostro presepe spirituale i magi sono sempre lì con il loro carico di tesori pronti a camminare verso il Signore. Mi piace pensare che questo sia proprio il senso della nostra unità: camminare da luoghi diversi, da esperienze diverse verso Dio che ci attende».

Ha poi espresso il suo pensiero padre Fuciu: «Unità è la parola chiave, i tre magi rappresentano l’unità, ma anche l’unità delle tre persone del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che è la Santissima Trinità». E ha concluso: «Siamo qui per questa preghiera per l’unità dei cristiani rivolta a Dio per proteggerci e per essere benedetti».

La serata è quindi proseguita con un momento di dialogo e ascolto reciproco in stile sinodale. Divisi in tre gruppi i partecipanti hanno potuto confrontarsi, riflettere e condividere pensieri riguardanti l’unità dei cristiani e come testimoniarla nel mondo di oggi e di domani. Quindi le tre lampade, che avevano accompagnato i lavori di gruppo, sono state riportate vicino all’altare in modo da essere visibili a tutti.

La veglia ecumenica si è quindi conclusa con un momento di preghiera seguito dalla benedizione.

 

Settimana ecumenica, don Celini a “Chiesa di Casa”: «Come i magi, insieme verso Cristo»




Mons. Napolioni a Vescovato: “La vita di Luisito è stata una grande vigilia, ed è cominciata qui l’epifania di ciò che egli è veramente stato”

Nel pomeriggio di mercoledì 5 gennaio il vescovo Antonio Napolioni ha presieduto la Messa in suffragio di don Luisito Bianchi presso la chiesa parrocchiale di Vescovato, suo paese natale. Hanno concelebrato i parroci dell’unità pastorale Cafarnao: il moderatore don Giovanni Fiocchi, don Alessandro Bertoni e don Paolo Tomasi.

Don Luisito Bianchi è stato sacerdote, ma anche scrittore, poeta, romanziere, saggista, docente di materie letterarie e di sociologia, oltre che assistente provinciale delle ACLI di Cremona e centrale a Roma, operaio, benzinaio, infermiere e traduttore. Ha vissuto il suo ministero seguendo il passo del Vangelo di Matteo “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

Don Giovanni Fiocchi ha introdotto la celebrazione ringraziando il vescovo per la sua presenza in occasione del decimo anniversario dalla morte del sacerdote vescovatino e ha sottolineato: “Tutti noi siamo qui riuniti per i valori grandi di amore, di attenzione ai piccoli, di servizio che don Luisito ha saputo incarnare così bene e lasciarci come eredità preziosa”.

Nell’omelia mons. Napolioni, dopo la lettura della pagina del diario di don Luisito del 5 gennaio 1970, ha espresso: “In fondo la vita di Luisito è stata una grande vigilia, ed è cominciata qui l’epifania di ciò che egli è veramente stato. Non abbiamo ancora capito tanti aspetti del suo travaglio, delle sue scelte, del suo linguaggio, della sua poesia, della sua fede. Questo vale anche per il nostro tempo – ha continuato il Vescovo – sfidato non solo dalla pandemia, ma dalle contraddizioni di un mondo che noi non riusciamo a cambiare perché ci siamo viziati dentro, rischiamo di non cambiare strada, anche dopo la pandemia, dimenticando che il vero protagonista della storia è davvero il Signore”.

Ha poi concluso monsignor Napolioni: “Questo travaglio del parto dell’umanità nuova ha bisogno di profeti e poeti. Il profeta è colui che non parla le sue parole ma quelle che riceve dal Signore e poeta è colui che non crea semplicemente forme artistiche ma una realtà nuova e il fare che caratterizza la nostra terra, del quale io sono ammirato, ha bisogno di convertirsi a questa pienezza di senso”.

Un suggestivo momento di lettura di alcuni passi degli scritti di Don Luisito ha concluso la serata in ricordo del sacerdote originario di Vescovato.

Alla celebrazione hanno partecipato il sindaco di Vescovato e molti concittadini oltre i soci del Fondo Luisito Bianchi che, in occasione dei 10 anni dalla scomparsa del sacerdote, insieme all’associazione Amici dell’abazia di Viboldone, hanno distribuito la biografia scritta da Aldo Gasparini, per far conoscere la storia e il messaggio di don Luisito.

 

Profilo di don Luisito Bianchi

Don Luisito Bianchi nacque a Vescovato il 23 maggio 1927. Ordinato sacerdote il 3 giugno 1950, pur svolgendo il proprio ministero anche fuori diocesi rimase sempre molto legato alla terra cremonese e in particolare a quel “grumolo di terra e di case, nel cuore della Grande Pianura, dallo scanzonato e solenne nome di Vescovato”. Nella scelta di farsi prete prese ispirazione dalla testimonianza di vita di un altro grande sacerdote cremonese, don Primo Mazzolari.

Laureto in Scienze politiche a Milano, fu insegnante presso il Seminario vescovile (1950-1951), missionario in Belgio (1951-1955), vicario a S. Bassano in Pizzighettone (1956-1958), quindi ancora insegnante in Seminario (1964-1967).

Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta scelse di diventare uno dei primi preti-operai, lavorando dapprima in fabbrica, alla Montecatini di Spinetta Marengo, ad Alessandria, e poi come inserviente presso l’Ospedale Galeazzi di Milano. Sono di quegli anni alcune delle sue opere più mature, tra cui il capolavoro di narrativa moderna “La messa dell’uomo disarmato”, romanzo sulla resistenza nato da una profonda riflessione di Luisito sul senso della sua vita.

Testimone fedele del passo del Vangelo di Matteo “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, mise il tema della gratuità al centro della propria esperienza umana, snocciolandolo in tutti i suoi scritti, dai diari alle poesie, dalla narrativa ai testi della memoria: “Salariati” (Ora Sesta, Roma 1968), ), studio sociologico sul salariato di cascina nel cremonese; “Come un atomo sulla bilancia” (Morcelliana, Brescia 1972, riediz. Sironi, Milano 2005), storia di tre anni di fabbrica; “Dialogo sulla gratuità” (Morcelliana, Brescia 1975, riediz. Gribaudi, Milano 2004), “Gratuità tra cronaca e storia” (1982). “Dittico vescovatino” (2001), “Sfilacciature di fabbrica” (1970, riediz. 2002), “Simon Mago” (2002), “La Messa dell’uomo disarmato” (1989, riediz. Sironi, Milano 2003), un romanzo sulla resistenza; “Monologo partigiano sulla Gratuità” (Il Poligrafo, Padova 2004), appunti per una storia della gratuità del ministero nella Chiesa; diverse raccolte di poesie tra cui “Vicus Boldonis terra di marcite” (1993) e “Sulla decima sillaba l’accento”, “In terra partigiana”, “Parola tu profumi stamattina”, “Forse un’aia”. Nel 2010 ha pubblicato “Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada”, dedicato ancora una volta al tema della gratuità. Dopo la sua morte, avvenuta il 5 gennaio 2012, la pubblicazione postuma de “Il seminarista” (2013).

Per molti anni, e sino alla morte, avvenuta il 5 gennaio 2012 all’età di 84 anni, fu cappellano dell’abbazia di Viboldone, alle porte di Milano.

La sua casa natale a Vescovato, al civico 67 di via Matteotti, proprio per desiderio dello stesso don Luisito, diventò Casa Doreàn, riprendendo il nome che don Luisito dette a un cane trovatello e che significa “gratuitamente”, “in gratuità”. Un nome che identifica l’esistenza e il ministero del sacerdote vescovatino, di cui questa struttura – donata dagli eredi alla Fondazione Dominato Leonense – in collaborazione con il Fondo Luisito Bianchi intende custodirne l’immenso patrimonio librario, epistolare, letterario e musicale di Luisito per una sua una piena valorizzazione.