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Giornata del malato, il vescovo in visita all’ospedale di Cremona. Il video della Messa e le foto della visita ai reparti

In occasione della Giornata mondiale del malato, che ricorre ogni anno l’11 febbraio nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria liturgica della Madonna di Lourdes, il vescovo Antonio Napolioni ha fatto visita, nel pomeriggio, all’Ospedale di Cremona, dove ha celebrato l’Eucaristia e ha portato in modo simbolico un saluto informale agli operatori e ai ricoverati di alcuni reparti.

Photogallery completa della visita

Ad accoglierlo al suo arrivo presso il nosocomio di viale Concordia erano presenti il direttore generale Giuseppe Rossi, il direttore sanitario Rosario Canino, il direttore medico di presidio Lorenzo Cammelli, insieme anche a don Marco Genzini, l’amministratore della parrocchia di Santa Maria della Pietà, la parrocchia dell’Ospedale di Cremona.

Un benvenuto che subito a voluto dare modo al Vescovo di conoscere più da vicino la struttura ospedaliera. A cominciare dal Pronto soccorso, rappresentato dalla direttrice Francesca Maria Co’ con la collega Lia a Beccara, Scilla Pagni (responsabile dell’Area Emergenza Urgenza) e Rosario Oddo (coordinatore Medicina d’urgenza). Incontrando lo staff ospedaliero monsignor Napolioni ha voluto sottolineare la guida “in rosa” del Pronto soccorso, che conta in tutto un centinaio di operatori.

Quindi la salita al settimo piano, per raggiungere il reparto di Terapia intensiva, dove ad accogliere il Vescovo c’erano il direttore Enrico Storti con il rianimatore Antonio Coluccello e la coordinatrice Carla Maestrini. Un momento particolare toccante, nel quale non è mancata una preghiera e una benedizione per ogni paziente, insieme al grazie per tutti gli operatori che quotidianamente devono confrontarsi con il tema della morte.

Sicuramente più leggera la successiva tappa nel reparto di Ostetricia e Ginecologia, dove ad accoglierlo c’era il direttore Aldo Riccardi con il collega Alberto Rigolli (direttore del reparto Oglio Po), Paola Parma e Laura Rossi (rispettivamente coordinatrici di Ostetricia e Ginecologia) e le équipe mediche, infermieristiche e ostetriche. Non è mancato l’incontro con alcune neomamme e la visita al Nido, dove Bruno Drera (responsabile Patologia Neonatale e TIN) e Monica Ravani (coordinatore Patologia Neonatale e TIN) hanno condotto il Vescovo sino alle culle dei neonati per una speciale benedizione a loro e alle loro famiglie.

Alle 16 all’interno della chiesa dell’Ospedale, dopo il Rosario guidato dai volontari dell’Unitalsi, il Vescovo ha celebrato la Messa, aperta dal saluto e dal ringraziamento da don Marco Genzini, amministratore parrocchiale, che commosso ha dichiarato: «Siamo tutti qui presenti per affidare a Dio la fatica della sofferenza, certi che nella sofferenza può nascere un giardino fiorito, grazie a chi si prende cura del malato con il suo lavoro, il suo volontariato, il suo tempo, la sua passione e la sua umanità».

Con don Genzini anche don Riccardo Vespertini e don Maurizio Lucini, entrambi assistenti spirituali dell’ospedale e quest’ultimo incaricato diocesano per la Pastorale della salute. Ha concelebrato l’Eucaristia anche il segretario e cerimoniere episcopale don Flavio Meani, con il diacono permanente Cesare Galantine che ha servito all’altare e alcuni seminaristi che hanno prestato servizio liturgico.

Durante l’omelia il Vescovo si è soffermato sul male di vivere dell’uomo di ogni tempo, la solitudine. Malattia che l’umanità condivide con il primo uomo e che la pandemia ha portato a riscoprire nel non poter stare vicini ai propri cari ricoverati in ospedale in tempo di covid. «È stato un dramma che ha generato un sottile senso di colpa collettivo – ha dichiarato – e che dobbiamo rielaborare per imparare la lezione. Prenderci più cura gli uni degli altri». E ha proseguito invitando a non lasciare nella solitudine chi opera in ambiente sanitario, facendo evidente riferimento al personale che in questi mesi si è adoperato oltre misura per colmare i bisogni dei pazienti, anche quelli affettivi dovuti alla lontananza dalle famiglie. «Il mondo ripensi se stesso, le sue priorità, l’investimento delle risorse, la politica e la vita personale» per guarire dalla solitudine in cui siamo immersi.

Facendo riferimento alla pagina del Vangelo, ha inoltre narrato di come una donna straniera abbia saputo convertire Gesù a intervenire con la sua G

razia senza fare graduatorie e classifiche. Lui che dalla cultura ebraica aveva appreso che il popolo eletto era uno, grazie ad una donna straniera dispensa la sua benedizione sull’umanità malata del 2021 senza distinzione alcuna. «Questo significa – citando papa Francesco- che ci salviamo tutti insieme e che se c’è un prima è quello del più debole, del più povero, del più solo».

Seguendo questa logica, che è la logica dell’amore, le risorse messe in campo si moltiplicheranno e resteremo stupefatti dalla creatività con cui chi opera per il bene può agire. Così il futuro della nostra società, dall’ambiente all’economia, dalla politica alla Chiesa, dipendono dal nostro agire oggi. E la pandemia diventa occasione e «sussulto che Dio sta dando a noi per chiederci di amarci come lui ci ha amati».

La Messa si è conclusa con una speciale preghiera di fronte alla statua della Vergine, per raccomandare malati, infermi, persone sole e anziane.

Terminata la Messa il Vescovo ha proseguito la sua visita in alcuni reparti, incontrando anche il direttore del Reparto infettivi Angelo Pan e quelli di Pediatria Claudio Cavalli.

Particolarmente attesa la visita del Vescovo nel reparto di Oncologia dove oltre all’incontro con il direttore Rodolfo Passalacqua e l’équipe sanitaria con la coordinatrice Morena Nazzari, mons. Napolioni ha incontrato personalmente diversi dei ricoverati, con cui si è soffermato a colloquiare in modo informale.

Prima di lasciare l’Ospedale il Vescovo è passato dal reparto di Pneumologia, dove lui stesso un anno fa era stato ricoverato. Accampagnato dalla cordinatrice Morgana Barbarini mons. Napolioni è tornato in quella che era stata la sua camera. Anche qui alcuni incontri personali con i ricoverati, tra ricordi e aspettative. Alla responsabile Monia Betti ha quindi voluto esprimere nuovamente il grazie per la professionalità e la cura che lui stesso ha potuto sperimentare durante il proprio ricovero, affidando idealmente tutti coloro che oggi devono fare i conti con la malattia e la sofferenza.

 

Sara Pisani

https://www.diocesidicremona.it/giornata-del-malato-2021-il-messaggio-del-papa-no-allipocrisia-prioritaria-una-relazione-personale-con-i-malati-13-01-2021.html

Giornata del malato. Don Angelelli (Cei): “Nella fiducia il senso della relazione di cura”

Giornata del malato, giovedì alle 16 Messa in diretta dall’Ospedale di Cremona




Mazzolari, fratello di tutti (Video)

Si è intitolato “Don Primo fratello di tutti. L’Enciclica di Papa Francesco nella prospettiva mazzolariana” il convegno promosso da Fondazione don Primo Mazzolari e Comune di Cremona con il sostegno di Diocesi di Cremona, Acli provinciali e Azione Cattolica diocesana, nell’ambito dell’anniversario della nascita di don Primo, avvenuta nel quartiere Boschetto di Cremona il 13 gennaio 1890.

L’evento, moderato dal giornalista Gianni Borsa, si è svolto in diretta web durante la mattinata di sabato 16 gennaio con la partecipazione anche del vescovo Antonio Napolioni attraverso un video messaggio registrato, vista la concomitanza con la visita pastorale. Il Vescovo ha ricordato l’importanza dell’essere profetico di don Primo che «ci esorta a non temere» e, suggerendo le parole chiave “profezia” e “attualità”, ha indicato la strada di una riflessione attorno alla sua figura senza retorica e sentimentalismi, ma lasciandosi inquietare e interrogare sulla gravi responsabilità di questo tempo. «Davvero un modo fraterno, dialogico, aperto, inclusivo – ha dichiarato monsignor Napolioni – è la vera grande risposta all’emergenza immediata e alle preoccupanti derive di violenza, chiusura, attacco alla democrazia e alla libertà, al futuro delle nuove generazioni». Senza dimenticare l’ispirazione di fede che guida don Primo e con lui noi tutti.

È seguito l’intervento del sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, che ha fatto della parola “assonanza” il concetto chiave del suo pensiero. Assonanza tra i nuclei fondativi della teologia mazzolariana e quelli di papa Francesco, assonanza tra «gli approcci di lettura della quotidianità e dell’umanità profonda nel dire alcune cose di potenza universale partendo dalla normalità dell’esperienza» che, sia nell’uno che nell’altro, mettono al centro la persona e la possibilità di guardare alla vita con uno sguardo nuovo. «Proviamo a diventare, con i nostri limiti, profeti a nostra volta – è stato l’auspicio di Galimberti – per rendere nuova la nostra comunità».

A seguire è stato lasciato spazio alla presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, la neoeletta Paola Bignardi, che ha brevemente tracciato la storia e le finalità della fondazione, a partire dagli oltre 35mila documenti raccolti dal 1981 ad oggi «attraverso l’impegno di tante persone, tra cui don Giuseppe Giussani, che è stato presidente della Fondazione dal 1992 al 2010 e che è da poco scomparso». «Intento della Fondazione – ha aggiunto la Bignardi – non è solo raccogliere documenti, ma anche ricavare ispirazione per l’impegno dei cristiani e di tante donne e uomini di buon volontà che si riconoscono in fraternità, pace e spirito di servizio».

Al centro della mattinata l’analisi, che il teologo lodigiano e membro del Comitato scientifico della Fondazione, don Cesare Pagazzi, ha condotto a partire da “La più bella avventura” (libro che don Primo Mazzolari pubblicò nel 1934, e per cui ricevette l’anno successivo la condanna dal Sant’Offizio) e creando delle connessioni con l’ultima enciclica di Papa Francesco, la “Fratelli tutti”.

Nel suo testo don Primo commenta la parabola evangelica del figliol prodigo. E lo fa giungendo a concludere che il rapporto problematico di quel giovane non fosse in realtà con il padre, ma con il fratello, come se il rapporto tra fratelli facesse scattare gelosie vane, che portano a scontri invece che a condivisione. «Il timore è che gli altri figli esauriscano le scorte della vita, privandoci dell’indispensabile – ha dichiarato don Pagazzi -. Non tenere conto di questa profonda paura significa esporsi al moralismo che scuote ma non tocca; urta, ma non smuove; urla, ma non incoraggia. Senza questa paura, non saremmo cattivi. Lo diventiamo certamente dandole ragione». E ha chiosato «A ben vedere il mirino della paura non è puntato innanzitutto su fratelli e sorelle. Il bersaglio è più in alto: Dio».

Il convegno si è concluso con i saluti e i ringraziamenti di don Luigi Pisani, parroco di Bozzolo e vicepresidente di Fondazione Mazzolari. Un intervento incentrato sul senso di speranza e di fratellanza. «La speranza è attorno al nostro lavoro sul pensiero mazzolariano che coincide con il pensiero di Papa Francesco», ha dichiarato. «Mazzolari ha interpretato la Chiesa che sarebbe arrivata con il Concilio Vaticano II e con Papa Francesco, una chiesa fraterna nella diversità. E lo sforzo che noi facciamo dentro la Chiesa, che è fatta spesso di persone diverse, dev’essere uno sforzo che insegniamo al mondo, un mondo fatto di culture e di religioni diverse», che possono diventare casa comune in cui tutti possono essere accolti. E ha concluso con un auspicio. «Il mondo può diventare una casa in cui ci si può trovare tutti. Che sullo stile evangelico di Papa Francesco questa Chiesa possa essere la nostra Chiesa e la Chiesa del futuro».

 

 

La riflessione proposta il 16 gennaio ha segnato l’apertura del percorso di formazione promosso dalla Diocesi di Cremona e rivolto in particolare agli operatori pastorali negli ambiti della carità, del servizio e nel sociale: successivi appuntamenti, sempre online, nelle serate di lunedì 1° e 8 febbraio, proseguendo nei giorni successivi con una riflessione condivisa in “social lab” sul gruppo whatsapp dedicato e al quale sarà possibile iscriversi scrivendo a segreteriapsl@diocesidicremona.it (leggi di più).




Casalmaggiore, appello per la cupola del Duomo (VIDEO)

È un appello accorato quello che arriva dal parroco di Casalmaggiore, don Claudio Rubagotti, che, con una lettera datata 15 dicembre 2020, invita la sua comunità a riporre attenzione alla struttura della chiesa abbaziale di Santo Stefano (1840-1846 su progetto di Fermo Zuccari), e in particolare al sottotetto della sua cupola, «magnifico per la sua architettura, tragico per la condizione in cui versa».

Un appello che prende la forma di una lettera e di un filmato intitolato “Il sottotetto del Duomo di Casalmaggiore. Imponenza e fragilità”, in cui vengono rappresentate le problematiche strutturali presenti, causate probabilmente dal terremoto del 2012 e dall’usura del tempo.

«Oggi – scrive don Rubagotti- dopo sedici anni (da un precedente intervento effettuato nel 2004, ndr) sono precarie le coperture: tegole mancanti o spostate rispetto all’alveo originale con conseguenti infiltrazioni piovane e canali di scolo compromessi. Di conseguenza l’acqua invade le volte e le absidi del Duomo e le travi portanti del medesimo».

Da una serie di perlustrazioni che il parroco ha voluto effettuare tra ottobre e dicembre, accompagnato da professionisti del settore edile quali il geometra Stefano Busi e l’ingegnere Aldo Gerevini, sarebbe anche emerso che la porzione del tetto sopra l’abside del presbiterio non presenta perdite visibili, il che significherebbe che «le infiltrazioni che hanno già compromesso l’affresco del martirio di Santo Stefano sono da cercarsi nelle murature dell’abside o altrove».

Il filmato, commissionato dal parroco e realizzato grazie a riprese da drone e fotografie di Paolo Mangoni e al montaggio di Gianluigi Signorini, ha lo scopo di «rendere edotta la comunità cristiana e la cittadinanza della situazione odierna della struttura» come si legge nella lettera aperta, nonché di «avviare una raccolta fondi atta a realizzare il progetto necessario per mettere in sicurezza le coperture del Duomo, tramite la partecipazione a bandi e alle offerte da parte di imprenditori, aziende e singoli fedeli».

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Chiara Lubich e la responsabilità del cristiano nel rendere “carne” Cristo (VIDEO)

La Messa del 3 gennaio, II Domenica del tempo di Natale, presieduta alle 11 nella Cattedrale di Cremona dal vescovo Antonio Napolioni, è stata un’occasione speciale per ripensare al senso di responsabilità che i cristiani hanno nel rendere “carne” Cristo venuto in mezzo a noi.

“Carne” (sarx nel testo originale ebraico delle Scritture) significa incarnazione di Dio fatto uomo e riassume il senso della gioia del Natale che, alla luce del Vangelo, i fedeli possono e devono trasfigurare nelle loro vite quotidiane. «Oggi abbiamo la responsabilità – dice il Vescovo – di vivere questa incarnazione nel piccolo del quotidiano e nel grande della nostra storia», quale contributo dato al pensare la propria vita come segno di condivisione e fratellanza.

Così come hanno fatto, in tempi di guerra, uomini e donne che hanno saputo e voluto intuire dal Signore la vocazione a dare vita a una fraternità universale, nonostante le divisioni imperanti. Prima tra tutte, il vescovo ricorda la figura di Chiara Lubich (1920-2008), fondatrice del Movimento dei Focolari, in una Trento afflitta dai bombardamenti capace di riconoscere che l’umanità è “carne da Vangelo” e non “carne da macello” come la guerra sembra far intendere.

Ed è un appello a interessarsi a Chiara, che il Vescovo ha avuto modo di incontrare, guardando “Chiara Lubich – L’amore vince tutto”, il film che domenica 3 gennaio sarà proposto in prima serata su Raiuno. Affinché si impari da lei, e dai tanti che hanno vissuto la guerra senza mai perdere di vista il senso di umanità, che è sempre possibile accogliere la Sapienza del Signore fatta carne.

«Questo è lo stile dei cristiani: accogliere la Sapienza che viene dall’alto comprendendo come incarnarla nei nostri giorni. Come Chiara Lubich che ha colto, in tempo di guerra, la possibilità di dare la vita a un grande progetto, a un nuovo modo di essere famiglia, a una nuova fratellanza, quella universale», dichiara Napolioni. E aggiunge: «Oggi è tempo di avere questo sguardo lungo, coraggioso, utopico sì, ma evangelico».

Oggi, ai tempi di una pandemia che spesso è stata paragonata alla guerra, è tempo di abbandonare il linguaggio bellico di chi “combatte in prima linea” contro “un nemico invisibile”, assumendo invece un comportamento «resistente e non violento, prendendoci cura dei più deboli, di chi non ce la fa, delle vittime».

Sull’esempio di donne e uomini che «si sono fatti santi e hanno seminato speranza, ricostruendo la pace sulle macerie dei grandi odi», l’invito di monsignor Napolioni è di fare ancora meglio dei grandi testimoni della storia, perché oggi più di allora siamo invasi dalla Sapienza di Dio.




«Il bene va detto perché Dio, dicendo il bene, l’ha operato» (FOTO e VIDEO)

«Il bene va detto perché Dio, dicendo il bene, l’ha operato». Così il vescovo Antonio Napolioni ha concluso l’omelia, densa di significato, della Messa della Notte di Natale, presieduta nella prima serata di giovedì 24 dicembre nella Cattedrale di Cremona, in modo da permettere ai fedeli il rientro nelle abitazioni prima dello scattare del coprifuoco, alle 22.

Con uno sguardo volto alla Parola e radicato nel tempo che stiamo vivendo, il Vescovo ha condotto l’assemblea a rinnovare la propria promessa in Gesù Cristo come unico salvatore, dopo averlo riscoperto nelle tante fragilità di questo periodo, come colui che, solo, può ravvivare nell’uomo la speranza. «Nei segni dei tempi – ha dichiarato Mons. Napolioni – i credenti sanno riconoscere la volontà di Dio, anche quando questa si manifesta in maniera esigente. Se sappiamo fidarci di Lui, accogliamo questi tempi e viviamo nella pace».

La venuta di Cristo nella storia si rinnova concretamente nella vicenda umana, conducendo l’umanità all’incontro con il mistero che la Chiesa celebra ad ogni Natale.

«La vicenda di Gesù non è una vicenda qualsiasi ma la sola – ha proseguito – che spiega, illumina, salva, trasfigura ogni vicenda umana». E ha invitato l’assemblea a cantare un canto nuovo al Signore, trasformando la vita in tempo di pandemia in un canto di preghiera, che consiste in un modo nuovo di parlare e di animare l’esistenza comunitaria. Cantare lode a Dio è benedire il Suo nome, annunciandone la salvezza e narrandone la gloria. E questo si realizza comunicando il senso della fede e dando testimonianza dell’amore che Dio ci ha donato in Cristo.

«Noi abbiamo il compito di cantare in maniera nuova e sempre più bella questa grande notizia, che è il Natale di Cristo – ha concluso – e che ci porterà ogni anno sempre più vicino al suo eterno compimento».

La Messa, che è stata concelebrata dal vescovo emerito mons. Dante Lanfranconi e dai canonici del Capitolo della Cattedrale, è iniziata con al benedizione del presepe allestito nella navata settentrionale.

Le offerte raccolte durante la celebrazione saranno devolute, come da tradizione, alle cucine benefiche della San Vincenzo de’ Paoli per le necessità della comunità.

La fotogallery della celebrazione




A Casalmaggiore il pranzo con i poveri si trasforma in una raccolta di solidarietà

Anche nell’anno del Covid-19 il senso di solidarietà di tante realtà sul territorio diocesano non si spegne e molte sono le iniziative messe in campo dai volontari aderenti alle associazioni del territorio. Come a Casalmaggiore, per iniziativa del locale circolo ACLI.

«Non potendo organizzare l’annuale pranzo del 26 dicembre con i nostri amici ospiti – dichiara il presidente di circolo Francesco Caffelli – abbiamo pensato di convogliare le nostre forze nella collaborazione con una realtà che esiste da tempo presso la parrocchia cittadina e che dà una mano a tante famiglie in difficoltà, la San Vincenzo de’ Paoli».

Caffelli fa riferimento a un’iniziativa nata nel 2017 per opera dei volontari aclini, con la collaborazione della parrocchia di Santo Stefano, intitolata “Aggiungi un posto a tavola”, volta a invitare a pranzo in un giorno di festa persone che altrimenti passerebbero da soli una giornata tanto speciale. Un pranzo che negli anni ha incontrato tante forme di generosità sia da parte di aziende locali che da parte di privati e di famiglie, che hanno donato prodotti alimentari e dedicato tempo alla cucina, rimanendo tutto il giorno a condividere racconti e musica con gli ospiti.

Poiché questa iniziativa è ora impossibile, il circolo ACLI ha pensato di sostituirla con un’azione che non richiede particolari permessi o rischi: rimpinguare i magazzini dell’associazione San Vincenzo de’ Paoli che da anni distribuisce settimanalmente, presso due locali della parrocchia di Santo Stefano e San Leonardo in Casalmaggiore, cibo a lunga scadenza e vestiti per adulti e bambini, incontrando le necessità di più di 150 famiglie che vivono in ristrettezze economiche.

«In un periodo in cui le nuove povertà sono in rapida ascesa, abbiamo pensato di non sottrarci al nostro dovere cristiano e umano di solidarietà, rendendo questo periodo un momento di riflessione attiva» continua Caffelli.

La collaborazione posta in atto da ACLI consiste nel devolvere a San Vincenzo cibo e abiti in buono stato, a cui per questo particolare periodo si aggiungono giocattoli, materiale scolastico e vestiti per bambini, che i volontari dell’associazione distribuiranno nei soliti giorni di apertura delle sedi. Alcuni di questi prodotti (vestiti e giochi) saranno ritirati dal negozio e dai magazzini di Casa Paola, realtà della Tenda di Cristo fondata da padre Francesco Zambotti, che raccoglie indumenti e giocattoli usati in buono stato, rimettendoli sul mercato a costi calmierati per incontrare le necessità di chi è più in difficoltà. Promuovendo così anche un’economia di tipo circolare che genera azioni virtuose.

«Tutti possiamo contribuire – conclude Caffelli – donando ciò che per noi è il superfluo, sia esso oggetti, tempo o denaro, in un’ottica di condivisione. Invitiamo singoli cittadini o associazioni e aziende che si vogliano mettere in gioco a prendere contatto con il circolo ACLI di Casalmaggiore».

Una bella iniziativa, quindi, che si preannuncia foriera di nuove collaborazioni.




Solennità dell’Immacolata: «I nostri “amen” sono figli del “fiat” di Maria e ci introducono alla familiarità con Dio» (VIDEO)

Nel giorno in cui la Chiesa Cattolica celebra il disegno di Dio verso l’umanità concepito nell’Immacolata Concezione di Maria vergine e madre (il dogma che sancisce il suo essere immune dal peccato d’origine risale al 1854), le parole che il vescovo Antonio Napolioni proclama dall’ambone della Cattedrale di Cremona in occasione della Messa dell’Immacolata Concezione celebrata nella mattina dell’8 dicembre, lasciano un solco profondo nel cammino dell’Avvento 2020, un Avvento a dir poco speciale.

«Il sì di Maria cambia la storia», esordisce Napolioni utilizzando un tempo presente che spiega quanto il cambiamento avvenga ogni giorno se lo permettiamo, «perché, introducendo il Figlio di Dio in carne umana, da allora cominciamo ad avere Gesù sulle nostre strade».

Quelle strade che oggi sono percorse da un male oscuro a cui non dobbiamo prostrarci, ma a cui dobbiamo rispondere con la gioia dell’essere figli di una madre tanto bella quale Maria è, capace di comprendere ed accogliere il disegno d’amore infinito che Dio ha avuto nei confronti suoi e dell’umanità intera. Un disegno sancito da quello che il Vescovo definisce «libertà creativa di Dio», che si incontra con la libertà di Maria e di tutti gli uomini. Laddove l’incontro avviene nella reciproca accettazione, quando l’umanità dice il suo “fiat” come Maria, tutto è possibile. Perché si lascia campo libero all’onnipotenza di Dio nelle nostre storie particolari e nella grande storia dell’umanità.

«Quante volte il peccato è il vero impedimento all’onnipotenza di Dio, ed è lì che si manifesta il suo progetto di salvezza, è lì che ci viene incontro». Da quell’incontro l’uomo può intraprendere un percorso di ascesa verso la santità oppure può cedere alle tentazioni dell’egoismo e della sopraffazione e lasciare ad altri la cura della realtà che gli accade intorno.

E, riportando un pensiero dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, il Vescovo dice: «Tocca a noi avere cura della realtà affinché sia amica anche quando siamo in un tempo di prova. Così è sempre tempo di grazia».

Se dunque «l’onnipotenza di Dio si manifesta nella misericordia e nel perdono», nella capacità di Dio di accettare anche i nostri no, l’auspicio che il Vescovo rivolge a tutta la comunità è che «questo tempo di Avvento possa essere tempo di verità, tempo di grazia in cui ci lasciamo purificare il cuore, tempo di speranza collaborando all’opera di trasfigurazione dell’egoismo in solidarietà, del vecchio in nuovo, di ciò che è mortale in ciò che è eterno».

Prima della benedizione finale il Vescovo ha voluto ringraziare le comunità del Capitolo e del Seminario, che hanno concelebrato con lui e che «rappresentano la fedeltà di Dio nei nostri confronti», destinando una speciale preghiera alle vocazioni.




Monsignor Perego torna a Paderno dopo 20 anni: l’esempio di San Dalmazio, via di santità per il nostro tempo (VIDEO)

Domenica 6 dicembre la comunità di Paderno Ponchielli ha voluto celebrare, pur con le restrizioni dovute al periodo, la festa patronale di San Dalmazio e lo ha fatto con un ospite deccezione. A 20 anni dalla sua partenza, infatti, la comunità ha riaccolto mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio che nel 2000 vi aveva svolto il proprio servizio pastorale e da cui è stata presieduta l’Eucaristia nella festa del Santo Patrono presso la chiesa parrocchiale.

Negli anni intercorsi mons. Perego ha diretto la Caritas Cremonese prima e Caritas Italiana poi, divenendo direttore generale di Fondazione Migrantes della CEI prima di intraprendere il suo mandato presso la comunità romagnola.

Una presenza, la sua, quale testimonianza costante di fede, che si situa nel solco dellevangelizzazione di San Dalmazio vescovo, martire ed evangelizzatore del III secolo dellera cristiana, e che riassume nella sua omelia in tre parole: consolare, parlare al cuore e gridare.

«Limpegno profuso da San Dalmazio devessere anche il nostro impegno oggi, in questo tempo segnato da un male oscuro» dichiara don Perego, aggiungendo: «Parlare al cuore è lo stile del nostro dialogo per essere vicini ai piccoli da educare come agli anziani da accompagnare e gridare è il desiderio che deve animare il nostro impegno per la denuncia di situazioni sociali, economiche e politiche che non tutelano i più deboli. Latto di amore più grande, come diceva don Primo Mazzolari».

Limpegno al martirio, allora, sullesempio di San Dalmazio, è segnato dalla preghiera e da una retta condotta di vita che rende tutti testimoni del Vangelo e che arricchisce il discepolo di Cristo nella sua umanità e in unesperienza di fede in cui convergono «vita spirituale, missione pastorale e dimensione culturale».

Secondo unespressione di San Paolo VI, più volte ripresa da papa Francesco e oggi citata da mons. Perego, «luomo cerca più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni».

Il cammino della testimonianza è già via verso la santità. La stessa che San Dalmazio ha prima percorso e poi indicato come un modello e che ogni cristiano può a sua volta intraprendere nelle tante occasioni che la vita gli propone.

La celebrazione sia conclusa con una speciale benedizione di fronte allimmagine di San Dalmazio e con la consegna del Dalmazio dOro 2020 alla signora Mara Scaglia, nella cui professione di infermiera si ricorda il volto bello della Chiesa e dellessere testimoni sulle strade del mondo.

 




Veglie missionarie/4 – A Scandolara Ravara tutti sulla sulla stessa barca della missione

La veglia missionaria dei gesti, colma di segni e di presenze. Così si potrebbe definire il momento di ascolto, preghiera e riflessione che, in occasione alla vigilia della Giornata missionaria mondiale si è svolto nella serata di sabato 17 ottobre presso la chiesa di Santa Maria Assunta a Scandolara Ravara coinvolgendo le comunità delle zone pastorali 4 e 5.

Presieduta dal vicario zonale della Zona 5, don Davide Barili, e alla presenza di altri sacerdoti tra i quali il parroco don Ettore Conti e il vicario zonale della Zona 4 don Antonio Pezzetti, la serata, che poteva essere seguita anche tramite ebook con apposita app, è stata suddivisa in tre momenti – la chiamata, la tempesta, la salvezza – con espliciti riferimenti alla vocazione di Giona e san Paolo.

A introdurre, un brano della meditazione di papa Francesco del 27 marzo scorso, in cui il Pontefice ha richiamato tutti gli uomini alla fratellanza e alla reciproca vicinanza in un periodo storico in cui “ci siamo resi conto di trovarci tutti sulla stessa barca”.

E proprio la barca è stata scelta dagli organizzatori quale simbolo della veglia, una barca a cui tutti i presenti hanno avuto accesso scrivendovi il proprio nome e da cui tutti hanno portato a casa un’intenzione scelta tra tante, segno di condivisione nel bisogno e nella richiesta.

Momento centrale della veglia è stata la testimonianza di don Davide Ferretti, in Italia in queste settimane per un momento di riposo a conclusione del primo anno di permanenza a Salvador de Bahia, in Brasile, in qualità di “fidei donum” insieme a don Emilio Bellani presso quella che il Vescovo Napolioni non esitò a definire, in occasione del suo mandato un anno fa, la 223esima parrocchia della diocesi di Cremona. Per lui, che a Scandolara è stato parroco per cinque anni, sino alla sua partenza per la missione, è stato un ritorno in famiglia.

Don Ferretti ha parlato della sua esperienza di crescita personale come di chi sta «imparando – dai fratelli brasiliani della favela in cui si trova – come vivere la fede» nel completo abbandono a chi ti cammina accanto in ogni situazione della vita. E dopo aver descritto la pastorale in un contesto particolare com’è quello del Covid 19, ha richiesto preghiere per chi «è dall’altra parte del mondo», perché nessuno si senta dimenticato.

La serata si è conclusa con il mandato missionario a tutti i partecipanti, affinché possano rispondere con generosità, nei luoghi dove dilagano malattia, sofferenza, solitudine, abbandono, smarrimento: “Ecco, manda me!”, come ricorda il messaggio del Papa per questa Giornata.




Primo novembre in Cattedrale: i Santi, modelli di fede, guidano verso la gioia che vince sulle tribolazioni (VIDEO)

Domenica 1 novembre il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato la Messa per la solennità di Tutti i Santi nella Cattedrale di Cremona

Introducendo la celebrazione, prendendo spunto dalla Parola del giorno, il Vescovo ha richiamato i fedeli a percepire nei segni della grazia la possibilità di essere tutti votati alla santità, sul modello di «fratelli e sorelle cui guardiamo per essere aiutati nel cammino della fede».

All’assemblea, accorsa numerosa ma nel rispetto dei protocolli di sicurezza, il Vescovo Napolioni ha lanciato l’invito a salutare, nel proprio pensiero silenzioso, «il Santo o la Santa a cui si è particolarmente legati da un sincero sentimento di affetto e che si sente testimone di fede significativo e attuale per la propria vita».

La riflessione proposta nell’omelia ha invece permesso un approfondimento a partire da tre parole emblematiche: tribolazione, gioia e responsabilità.

«Il confronto con i fratelli che hanno dato la vita per Cristo – ha detto monsignor Napolioni – può e deve diventare occasione per riconoscere con gioia la misericordia di Dio, che perdona ogni nostra fragilità e ci conduce nella realizzazione della nostra santità».

Anche se questa deve passare attraverso grandi tribolazioni, come quelle narrate in Apocalisse da S. Giovanni Apostolo (o dalla sua comunità) che trovano un’eco nel momento che oggi siamo chiamati a vivere in questo tempo di epidemia. Oggi come allora – ha osservato il vescovo – è nostro compito riconoscere che c’è un sigillo, una moltitudine, un popolo che attraversa una grande prova. E oggi come allora, siamo tutti chiamati ad affrontare da uomini giusti le sfide che la storia ci impone, senza comunque sottrarci alla grande domanda di Giobbe sul senso del dolore ma permettendo, come fecero i Santi, «l’esplosione dei frutti di questo travaglio dell’umanità, di cui Maria è l’icona più eccelsa».

Con uno sguardo al futuro prossimo, monsignor Napolioni ha invitato a custodire nel proprio cuore la gioia della chiamata, che permette di vivere il proprio tempo da uomini liberi, responsabili, capaci di abbandonarsi con fiducia al Padre. Com’è tipico di coloro che papa Francesco definisce “i santi della porta accanto” che sono stati in grado di rispondere alla chiamata a vivere, oggi e per sempre, nella casa di Dio.

«Custodendo la gioia umana e cristiana piena e adulta – ha concluso Napolioni – sarà più vero l’annuncio del Natale, quale incontro con il Salvatore nella mitezza e nella misericordia e non nel risentimento». Perché «abitare la vita come figli di Dio fa vincere la gioia su ogni tribolazione».