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Bozzolo, al via la festa dell’oratorio. E in chiesa tre mostre dedicate a don Mazzolari

Quando la festa di fine estate d’oratorio cambia volto e diventa un’occasione per la comunità e per il paese intero di vivere i valori della Chiesa come luogo di formazione. Questa vuole essere, secondo le intenzioni del parroco don Luigi Pisani, la festa di Bozzolo, che si terrà dall’1° all’8 settembre.

«Ritengo – dichiara don Pisani – che la festa dell’oratorio non debba essere particolarmente ecclesiale, ma debba parlare alla comunità intera. Una comunità che qui a Bozzolo è sempre più multiculturale e multiconfessionale. Per questo motivo abbiamo scelto per la serata di riflessione il tema del cyberbullismo, che attirerà anche persone lontane dalla Chiesa a cui l’argomento, trasversale ad ogni realtà, può interessare».

Locandina con il calendario degli eventi

Dunque, una comunità aperta all’accoglienza e alla reciproca conoscenza, quella bozzolese. Proprio come il suo fondatore, don Primo Mazzolari, ha voluto. E proprio a lui sono dedicate tre mostre esposte presso la chiesa parrocchiale.

La prima, proposta come un percorso che attraversa la navata destra e conduce alla tomba di don Mazzolari, è la rassegna fotografica “Don Primo Mazzolari, tromba dello Spirito Santo in terra mantovana” di Elisabetta Saviola. Un’importante occasione per riscoprire la biografia di don Primo a cura di un’artista locale che, a partire dalla sua storia familiare, decide di ripercorrere le tappe salienti della vita di colui che Giovanni XXIII definì “tromba dello Spirito Santo” e lo fa fotografando personalmente “i luoghi dove don Primo ha cercato di cambiare il mondo attraverso amore appassionato e dedizione incondizionata”. L’esposizione contiene sia foto d’archivio di don Primo, gentilmente concesse dalla Fondazione Don Primo Mazzolari, sia scatti dell’artista che – grazie all’utilizzo della tecnica HDR – ha saputo riprodurre “le forti ombre del passato che hanno accompagnato la turbolente vita di Don Primo e le forti luci del presente e futuro cammino di speranza che Mazzolari ha scritto per noi”.

Dalla parte opposta della Chiesa si trovano invece due mostre scultoree.

Le terrecotte di Mario Giuseppe Spadari, intitolate “Tu non uccidere”, che conducono alla rilettura di uno dei valori e degli impegni centrali nella pastorale mazzolariana, il pacifismo. “Don Primo si sarà augurato di non sentire più parlare di guerre che non sono altro -dichiara l’artista- che devastazioni di città e uccisione di molte persone tra cui tanti bambini”. E la rappresentazione delle macerie conducono necessariamente il pensiero a quanto succede ancora oggi in tanti paesi del pianeta.

Infine le sculture del ciclo “La dolcezza del volto femminile nell’Arte Sacra” di Marco Ruffini, che propone alcune immagini di donne solenni e tenere al tempo stesso, in grado di farci entrare in  empatia, attraverso il volto della Vergine madre, con la teologia della tenerezza di papa Francesco e la cura per le creature, vicine e lontane che siano. Così come in quella stessa terra, pochi decenni prima, aveva fatto un pastore chiamato don Primo.




Alla Fontana la tradizionale festa per la patrona di Casale e del Casalasco

Le vie di Casalmaggiore si sono vestite a festa, con lumini e canti mariani, nella serata di giovedì 15 agosto, per accogliere e accompagnare il passaggio dell’immagine di Maria trasportata dalla chiesa di San Francesco al Santuario della Madonna della Fontana.

«Come ogni anno da circa una cinquantina – ci racconta padre Eugenio Perolini, guardiano e rettore del Santuario – i cittadini di Casalmaggiore onorano Maria quale patrona di Casale e del Casalasco, per ringraziarla di tutte le grazie ricevute nei secoli. E lo fanno proprio nel giorno della sua Assunzione al cielo».

Il pellegrinaggio è stato organizzato con l’ausilio del gruppo San padre Pio e Medjugorje, che hanno trasportato l’immagine su un carretto, e dal gruppo dei Terziari Francescani che hanno condotto la recita del Rosario. Presenti, oltre ai molti cittadini, anche i sacerdoti di Casalmaggiore.

Novità dell’anno è stata la folta presenza tra i pellegrini del Gruppo dei Cattolici Ghanesi, insieme di cattolici di origine africana che da dieci anni (ne ricorre l’anniversario il prossimo settembre) si riuniscono in maniera informale per condividere la loro fede con i cattolici locali. Con il canto “We Glorify You, Mary” hanno concluso il cammino prima dell’ingresso al Santuario, dove padre Eugenio, letta una preghiera di ringraziamento scritta da un confratello, ha impartito la benedizione e ha dato appuntamento a tutti al prossimo anno.




Ricordato Giacomo Maffei, giovane cui è intitolato l’oratorio di Casalmaggiore

“Vivere vuol dire essere gli infaticabili portatori del Cristo, che è Vita”. È con questa citazione da “Un corsaro di Cristo. Scritti di Giacomo Maffei”, edito da L.I.C.E. nel 1936, che il parroco di Casalmaggiore, don Claudio Rubagotti, ha voluto Giacomo Maffei, giovane casalese (nato il 9 novembre 1914) cui è dedicato l’oratorio della parrocchia di Santo Stefano. L’occasione è stata la Messa celebrata la sera del 24 luglio in suo suffragio. nell’anniversario della morte avvenuta all’età di 21 anni, nella notte del 24 luglio 1935. Un giovane distintosi “per lo sguardo e l’intelligenza rivolte a Gesù”, cui aveva dedicato la sua breve vita.

Iscrittosi presso il liceo “San Giovanni” dei Salesiani a Torino e poi al liceo salesiano di Valsalice, qui maturò la sua attenzione per i poveri e iniziò a prestare servizio presso la locale San Vincenzo.

In sua memoria l’arcivescovo Cazzani (postulatore della causa di beatificazione, terminata dopo la guerra) lo citò in una colletta quale “esempio diffuso tra la gioventù” per le sue doti umane e sociali.

Nominato dalla Chiesa quale “testimone della fede”, Maffei partecipò alla Gioventù fascista per poi prenderne le distanze quando nel 1931 il fascismo al potere si scontrò con le associazioni cattoliche. Per lui fu il momento della scelta, e scelse di stare dalla parte dell’Azione Cattolica di cui nel frattempo era entrato a far parte. “Sarò tra i giovani forti e generosi che non si vergognano di proclamare: noi siamo cristiani-cattolici” scrisse dopo aver apprezzato l’enciclica “Non abbiamo bisogno” di papa Pio XI.

Don Claudio Rubagotti, che ne ha conosciuto la storia prima di entrare in Seminario leggendo i suoi scritti in oratorio, lo ha poi scelto come suo “custode” nel momento dell’ingresso da parroco a Casalmaggiore. Tanto amato in gioventù, tanto vicino ora.




“Fare pellegrinaggio è faticoso come vivere”

“Fare pellegrinaggio è faticoso come vivere. Se decidiamo di non entrare nello stile di Dio la vita è ancora più faticosa”. Si potrebbe riassumere così l’originale incontro che i cittadini di Casalmaggiore hanno fatto venerdì 26 luglio, durante una mattinata all’insegna dell’accoglienza. Ad essere ospitati per un momento di spiritualità, nel piccolo gioiello artistico e storico che è la chiesa di Santa Maria dell’Argine, a Vicobellignano (frazione di Casalmaggiore), è stato mons. Guido Gallese, vescovo di Alessandria, e i suoi 15 accompagnatori. Motivo della visita una tappa durante il percorso sulle orme di San Marco intrapreso pochi giorni prima a partire dalla città piemontese per giungere a Venezia, dove saranno accolti dal patriarca della città e venereranno la tomba del Santo presso la Basilica a lui intitolata.

Per quanto possa apparire come un viaggio all’insegna della passione sportiva (mons. Gallese è uno sportivo amante dello stand up paddle) o alla scoperta di itinerari naturalistici, è lo stesso Vescovo a spiegare il vero scopo di quest’avventura durante la Messa concelebrata nella chiesa di Santa Maria dell’Argine con don Gabriele Bonoldi, parroco di Vicobellignano, e don Claudio Rubagotti, parroco di Casalmaggiore.

“Chissà se siamo capaci di riconoscere oggi Gesù tra noi. Il pellegrinaggio alla tomba di san Marco ha lo scopo di conoscere Gesù e camminare con Lui. Non c’è niente di più bello che essere in cammino con Gesù!”.

Partire per tornare cambiati. Viaggiare per convertirsi, cum-vertere, dare un nuovo verso, un nuovo senso, alla propria vita.

Navigazione e cammino per oltre 500 km (290 i km percorsi via fiume e 270 quelli che li attendono via terra) per riscoprire il volto di Gesù nell’oggi, nel quotidiano, nei nostri tempi e nelle nostre città. Per arrivare a comprendere perché è tanto difficile vedere Gesù. Lo stesso Gallese dichiara “Io sono vescovo eppure non l’ho mai visto! Eppure le sue tracce, le sue grazie, quante ne ho viste di quelle!”.

Un pellegrinaggio per dire, con forza e sostenuti dalle parole di papa Francesco, che i cristiani non sono “gente da museo”, incapaci di stare al passo con i tempi e di aprirsi al mondo. Perché “il cristianesimo non è una scienza archeologica”. Con lo sguardo puntato su Gesù i cristiani trovano il coraggio della conversione e, nonostante la fatica, “la vita diventa vivibile in modo più armonioso!”. Sul modello dell’evangelista Marco, che ha voluto raccontare l’incontro con un uomo che gli aveva cambiato la vita, così anche ai cristiani oggi è richiesto il coraggio di una testimonianza, che cambierà loro la vita.




A San Giovanni in croce la Festa in piazza per i Grest della Zona 4 (photogallery)

Giovedì 27 giugno dalle 12 alle 16 gli oratori di Sospiro, Vescovato, Pieve San Giacomo, San Daniele Po, Torre de’ Picenardi, Piadena, Scandolara Ravara con Cingia de’ Botti e Motta Baluffi, si sono dati appuntamento presso la Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, a San Giovanni in Croce, per las festa in piazza dei Grest della Zona 4 della Diocesi.

La giornata è stata aperta da un momento di preghiera, condotto da don Paolo Arienti, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile e presidente della Federazione Oratori Cremonesi, cui ha fatto seguito il saluto di don Davide Ferretti, parroco di Scandolara Ravara e Motta Baluffi, e vicario zonale della Zona 4, che dopo l’estate partirà per un’esperienza missionaria in Brasile.

Di seguito, il grande gruppo, composto da diverse centinaia di bambini accompagnati dai loro educatori, si è diretto al parco di Villa Medici del Vascello, dove è rimasto l’intero pomeriggio, tra giochi e animazione.

Diverse le attività da svolgere per raccogliere la tanto agognata moneta d’oro, che permettesse agli educatori di proseguire nel percorso della “Festa in piazza” e raggiungere Pinocchio, per vincere la competizione tra oratori. Dal Tiro alla fune, a Scala e serpente, da Twister a Dama, da Tris a Forza 4. Anche gli sport sono stati momenti coinvolgenti per tutte le età: basket, calcio, pallavolo, hockey su prato e da ultimo un originalissimo calcio dentro palle gonfiabili. Quest’anno il titolo se l’è aggiudicato l’oratorio di Vescovato.

Da segnalare anche la presenza di Padania Acque, che ha fornito acqua fresca gratuitamente a tutti i presenti in bicchieri riciclabili. Anche questo è un segno dei tempi. Dove c’è rispetto per le persone c’è rispetto per l’ambiente.

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Il 30 giugno a “Casa Giardino” pranzo catalano per aprire una finestra sul mare

La forza dell’amicizia non ha confini. A testimoniarlo ancora una volta suor Maria Buongiorno, della comunità “Figlie di Gesù sofferente”, che insieme alle consorelle gestisce la “Casa Giardino” di via delle Salde 11, a Casalmaggiore, realtà di accoglienza per persone con varie disabilità.

«Domenica 30 giugno presso la nostra struttura – spiega la religiosa – ci sarà un pranzo a base di specialità catalane organizzato da tre coppie di amici di Saronno che si sono offerti di raccogliere fondi per permettere anche quest’anno ai figliuoli di andare in vacanza al mare. È segno della bellezza ancora presente nella nostra società e che porta il nome di fraternità. Dobbiamo tornare a imparare quant’è importante stare insieme. Dobbiamo vivere nella bontà!”.

Gli amici di Saronno, località dove padre Giuseppe Renzi aveva fondato la comunità nel 1987, hanno scelto, come loro vocazione cristiana, di cucinare gratuitamente per chi ha particolari necessità.

L’iniziativa è rivolta ai casalaschi (prenotazioni allo 0375-201357) che, attraverso i fondi raccolti in questa giornata di festa, potranno permettere agli ospiti della casa di tornare, per il sesto anno, al mare di Punta Sabbioni, presso la struttura Villaggio San Paolo, gestito dalla Curia di Belluno, grazia anche al supporto di giovani volontari universitari. Una struttura con ampie stanza e grandi finestre: finestre vista mare.

Locandina dell’iniziativa




«Siamo tutti figli di Dio», festa e preghiera interreligiosa a Casa Paola (fotogallery)

Il grande spazio verde e soleggiato che introduce a Casa Paola, realtà nata in seno a Tenda di Cristo a Rivarolo del Re, domenica 23 giugno ha accolto molti visitatori, amicizie consolidate nel tempo, vecchi ospiti che ritornano per un giorno, o nuovi arrivati, che non conoscono ancora quella realtà tanto preziosa e originale che è “la Tenda”.

A richiamare vicini e lontani l’annuale festa intitolata dalla comunità “Famiglia dei popoli”, che da quest’anno ha introdotto un momento di spiritualità come se ne vedono pochi. Una preghiera interreligiosa, cui hanno partecipato il centro culturale Arrahma di Casalmaggiore, la comunità Sikh e la comunità cristiana cattolica.

La modalità scelta dai partecipanti, condotti da Monica di Casa Diego, è stata quella di partire da un punto di convergenza tra le tre religioni rappresentate e questo è stato trovato nella dimensione creaturale. “Il nostro obiettivo per questa giornata è quello di relazionarci con l’altro a partire da Dio e dal nostro essere tutti suoi figli” dichiara Monica introducendo il momento.

Se Youssef, in rappresentanza della comunità islamica, ha voluto narrare alcune esperienze del profeta Mohammed per indicare la strada verso la tolleranza e l’accettazione reciproca, Kaur per il Sikhismo ha recitato dei versetti del Guru Granth Sahib. E da ultimo Monica ha letto in maniera duale con i presenti i Salmi 102 e 145 che danno lode a Dio.

Un modo davvero originale di inaugurare una giornata ricca di spunti di riflessione. A partire dalla presenza del coro casalese dei Joy Voices, diretto dal M. Abele Zani,  la sfilata di abiti della coop. NonSoloNoi (commercio equo e solidale) di Casalmaggiore, fino alla danza collettiva di Daas guidata da Luisa Sartori, che ha portato sul palco un laboratorio condotto come ogni anno con la coop. Santa Federici di Casalmaggiore. Notevole attenzione è stata data anche ai più piccoli per i quali sono stati organizzati giochi di movimento, pitture a terra e letture di fiabe, grazie alla presenza della scrittrice Sabina Gallo, autrice di “Storia di una piccola fata senza nome”.

Insomma, una giornata da rivivere.

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“Corridoi umanitari. Salvare vite umane”. Incontro a Casalmaggiore (AUDIO)

Serata di straordinario spessore umano quella che si è svolta venerdì 22 giugno presso l’Auditorium della Fondazione Santa Chiara a Casalmaggiore. Organizzata da Tenda di Cristo di Rivarolo del Re-Casa Paola, la conferenza è stata intitolata “Corridoi umanitari. Salvare vite umane” e ha avuto come relatrice Valeria Gutterez, referente per la Comunità di Sant’Egidio a Roma dell’accoglienza dei profughi provenienti da Libano ed Etiopia, tramite corridoi umanitari.

La serata è stata aperta da un saluto inviato dal vescovo Antonio Napolioni, letto da padre Francesco Zambotti. “Vincendo la tentazione di chiudersi nella paura, chi accoglie vivamente il Vangelo di Gesù costruisce ponti, corridoi, case e tende.. in cui incontrare fraternamente l’altro, scoprendo il valore delle tante diversità che – persino in ogni nostra famiglia – possono essere motivo di gioia come di fatica”.
Lo stesso padre Francesco ha puntato l’accento sull’importanza che i laici si occupino dei problemi attuali, mettendo in gioco “il loro sacerdozio universale, che deriva dal Battesimo”. E ha proseguito con un invito a non dimenticarsi dei poveri “perché sarebbe come dimenticarci di noi stessi”.

Ma il cuore della conferenza è stata incentrato sulla nascita dei corridoi umanitari, che ad oggi in Italia contano circa 2.000 persone, di cui 1.546 giunte dal Libano dal 2016, anno della firma del primo accordo siglato tra la Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas. Di queste, il 95% è di origini siriane e per il 90% si tratta di nuclei familiari. Diversi i numeri dei profughi giunti attraverso il secondo corridoio attivato più recentemente, quello etiope, nato da un accordo tra la Comunità di Sant’Egidio con Cei-Caritas, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero degli Interni. Ad oggi dal Corno d’Africa sono state accolte 498 persone e a breve ne giungeranno altre 600. Sul modello italiano, primo in Europa, l’accoglienza tramite corridoi umanitari è avvenuta anche in Francia, Belgio e Andorra, per un totale di più di 2.500 persone.

Persone a cui è necessario dare un alloggio e una speranza lavorativa e di integrazione nella società di accoglienza.

“I corridoi umanitari – dichiara a questo proposito la Gutterrez – non si concludono a Fiumicino (dove arrivano in aereo i profughi, senza rischiare la vita, ndr). Il progetto prevede l’inserimento nella nostra società. I corridoi umanitari propongono un modello adottivo, dove famiglie locali accolgono una famiglia che diventa per così dire parente”.

E una di queste famiglie, giunta attraverso Sant’Egidio nel 2016, era presente. Mohamed e Sanaa (con i loro tre figli Ryan, Aya, Sidra) sono stati accolti a Pegognaga (Mantova) dall’associazione Solidarietà Educativa, di cui era presente Arnaldo De Giuseppe.
“Il nostro scopo è aiutarli a recuperare la speranza e a realizzare qualche sogno” dichiara. Così come quello di Mohamed è di essere “la voce di chi vive ancora in Siria”.

Insieme a loro anche un’altra realtà accogliente proveniente dalla stessa Pegognaga. Aldo Bottegazzi ha testimoniato a nome di un gruppo di famiglie sorto in seno alla parrocchia locale. Qui, grazie alle riflessioni di don Flavio Savasi, nove persone hanno deciso di accogliere nel nome del Vangelo.

“Siamo diventati talmente parenti della famiglia che abbiamo accolto che siamo sempre insieme. Si creano rapporti talmente intensi e belli che ci si sente proprio parenti. È un’esperienza che consiglieremmo a chiunque. Se testimonianza dev’essere è una testimonianza di gioia, perché è veramente bello nonostante le difficoltà”.

In conclusione una parola e un grazie sono stati aggiunti da Habi, che vive da due anni a Casa Paola, e che ha terminato lo scorso anno gli studi di licenza media presso il C.P.I.A. di Casalmaggiore.

La serata si è conclusa con un rinfresco siriano offerto da Rouni Astefan, residente anch’esso a Casa Paola.

Ascolta l’audio dell’intervento di Valeria Gutterrez




Dal campo da rugby al campo sportivo dell’oratorio. La vocazione di Antonello Livrieri

L’estate è arrivata e le novità per la parrocchia di S. Stefano a Casalmaggiore non si sono fatte attendere. Il Grest “Bella storia”, partito come ogni anno con entusiasmo con più di 100 iscritti, ha riservato a bambini e famiglie un’insolita sorpresa: a coordinare gli educatori è Antonello Livrieri, volto noto del Rugby Viadana con 20 anni di carriera da professionista.

“Dopo anni vissuti sul campo da rugby, dopo aver giocato il Torneo Sei Nazioni nel 2000 e conquistato il titolo di Campione d’Italia con il Viadana Rugby nel 2002, la mia vita è cambiata, andando nella direzione dell’educazione”. Su come Livrieri, detto “Anto”, abbia dato una svolta alla sua vita, è lui stesso a raccontarci.

“Nel 2006 avevo conseguito il diploma di Master in Psicologia dello sport e la mia passione per lo studio è proseguita durante gli anni da professionista, quando ho iniziato a frequentare la facoltà di Scienze e tecniche psicologiche, specializzandomi in Psicologia clinica dell’intervento sociale. Poi l’incontro con Il Cerchio onlus di Casalmaggiore, che mi ha dato fiducia e mi ha permesso di crescere professionalmente”.

Torinese d’origine, casalasco di adozione dal 1998, nel 2010 lascia il Rugby per intraprendere la strada dell’educazione, convinto che l’attività sportiva sia una delle tante vie per accompagnare nella crescita e nello sviluppo i bambini e i ragazzi. Dal 2003 ad oggi ha gestito settori giovanili del Rugby Colorno e ha coordinato campi estivi e centri ricreativi con fasce d’età dai 5 ai 14 anni, avendo a che fare anche con quelli che definisce “ragazzi con fragilità”.

“L’esperienza del Grest è, tra le tante che ho seguito, sicuramente quella che maggiormente coniuga gli aspetti educativi con quelli relazionali, senza trascurare la componente spirituale e morale. L’accoglienza che le famiglie, la comunità e don Marco mi hanno riservato sta facendo sì che tutto vada nella giusta direzione”.

Che altro non è che la direzione della Chiesa in uscita tanto cara a papa Francesco, possibile grazie all’apertura al territorio, ai servizi educativi già attivati da altri soggetti e alla fiducia accordata ai laici, che tanto hanno ancora da dare.




Don Paolo Antonini, il prete dell’accoglienza, “erede” di don Primo (VIDEO)

Si è conclusa domenica 16 giugno la tre giorni dedicata alla figura di don Primo Mazzolari “Rimandi Mazzolariani. Il fiume, la cascina, la pianura”, voluta da Fondazione Mazzolari in occasione del sessantesimo anniversario della morte di don Primo. Con il patrocinio di Regione Lombardia, Comune di Bozzolo, Comune di Sabbioneta, ass. FiloMeeting, ass. Gli Amici di Gemma, Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Francesco” di Mantova e naturalmente della Parrocchia di Bozzolo, la rassegna ha visto affiorare una modalità nuova di relazionarsi al pubblico che, numeroso, ha raggiunto Bozzolo in questi giorni: tanti gli appuntamenti dedicati alla figura di don Primo che, anche in simultanea, si sono avvicendati in diversi luoghi cittadini.

“La formula che abbiamo scelto per questa celebrazione è stata vincente – dichiara il parroco don Luigi Pisani-. Le persone hanno potuto partecipare in base alle loro preferenze. Abbiamo proposto dibattiti, ma anche momenti di riflessione a partire da letture delle parole di don Primo. E poi musica, cinema, arti visive. Senza dimenticare di dare spazio a momenti di animazione per bambini. Tra la fine dell’anno in corso e il successivo si succederanno altri eventi tra Cremona e Mantova in collaborazione con l’attuale rassegna bozzolese e ci auguriamo che questo sia l’inizio di un percorso che si possa ripetere ogni anno”.

Sul palco, anzi sarebbe meglio dire tra i borghi di Bozzolo, si sono succedute grandi personalità del panorama nazionale che nella più assoluta semplicità hanno dato vita a momenti di elevata riflessione: don Bruno Bignami (presidente della Fondazione Mazzolari e direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro), che ha aperto la manifestazione venerdì sera con una riflessione intitolata “In dialogo con don Primo Mazzolari”; Stefano Zamagni (docente di economia politica presso l’Università di Bologna e presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali) che ha presentato nel pomeriggio di sabato 15 una riflessione dal titolo “Redistribuire la ricchezza”; Moni Ovadia che ha proposto i suoi “Racconti di un viandante”.

Particolarmente significativo l’evento di apertura di domenica 16 quando, presso la sala  assemblee dell’oratorio, è stato presentato il docu-film “Don Paolo Antonini, il prete dell’accoglienza”. Ideato da un gruppo di volontari provenienti da diverse zone della Diocesi di Cremona, credenti e non credenti, legati alla figura di colui che dal 1978 al 1997 fu parroco a Casalmaggiore, produzione e regia di Gigi Bonfatti Sabbioni, il documentario è stato introdotto dalle parole di don Luigi Pisani.

“C’erano tanti preti che come don Paolo ripercorrevano le orme di don Mazzolari – ha dichiarato – ma se ai tempi di don Primo la profezia era nella base della Chiesa oggi è al vertice. Eppure una parte della base della Chiesa non la ascolta, non è sintonizzata con i valori di una Chiesa dei poveri e nemmeno con quelli espressi dal Concilio Vaticano II. Ma noi non possiamo tornare indietro”.

Una lettura attualizzata molto intensa della vita di don Paolo Antonini. Una lettura condivisa con l’amico e giornalista Nazzareno Condina.

“Nei dieci anni in cui ho avuto il piacere di collaborare con lui – dichiara – non l’ho mai visto rifiutare un aiuto a qualcuno. Non riusciva mai a dire di no. Don Paolo era una persona particolare già dai suoi modelli, che passavano dal pacifismo militante di Balducci ai teologi della liberazione, dall’inquietudine di Turoldo alla lezione di don Milani. Senza dimenticare il suo don Primo Mazzolari, che citava sempre. Don Paolo infatti era un uomo di cultura oltre che un uomo di profonda fede. E oltre che essere un uomo di cultura era un uomo di azione”. Azione che viene narrata proprio nel documentario.

Attraverso il racconto di testimoni oculari, Bonfatti Sabbioni ha riproposto la cronologia della storia di don Paolo dall’ingresso in seminario giovanissimo, dove venne ordinato sacerdote nel 1945, al decesso in Domus a Bozzolo nel 2009.

Don Paolo fu inviato giovane prete nella parrocchia di Breda Cisoni, dove sarebbe rimasto fino al 1961 per poi entrare in Gazzuolo e qui vivere il sacerdozio per 17 anni. Sono gli anni dell’apertura dei primi circoli ACLI della zona, a dimostrare l’interesse di un giovane parroco verso giovani uomini. E se già in quei primi anni si poteva intuire lo spessore dell’uomo oltre che del sacerdote, “mi dicevano di lasciar perdere gli scritti di don Primo e di dedicarmi allo studio dei testi” dichiara lo stesso don Paolo a Giancarlo Ghidorsi di Fondazione Mazzolari, il vero exploit si ebbe all’arrivo a Casalmaggiore, dove prese in mano la parrocchia che era appartenuta fino ad allora a Mons. Brioni. Qui l’apertura della Casa dell’accoglienza per quelli che allora venivano chiamati “extracomunitari” (termine oggi sostituito dal più inclusivo “migranti”), che fungeva inizialmente da alloggio per i lavoratori stagionali ma poi divenne rifugio per tutto l’anno, fu probabilmente l’opera che più lo identificò sia in paese che fuori.

Figura complessa e dedita all’uomo in tutte le sue sfaccettature, don Paolo viene descritto come il prete degli ultimi, degli emarginati, dei soli. Il prete che agiva la sua fede, a dirla con una sua dichiarazione rilasciata nel 1993 allo stesso Bonfatti Sabbioni, in “orizzontale”.

“Non è possibile vivere la nostra esperienza di fede limitandola ad un rapporto verticale, il rapporto con Dio, senza una dimensione orizzontale, quindi senza una dimensione sociale. Non si può andare a Dio se non si passa dall’uomo e il nostro andare a Dio rimanda all’uomo. Noi crediamo in un Dio che si è incarnato, Dio che fa della sua esistenza un dono all’uomo. Un Dio per l’uomo, un Dio con l’uomo, un Dio nell’uomo. Questo è il mistero dell’incarnazione e della redenzione”. E le sue non erano solo parole, ma diventavano accoglienza, ascolto, comprensione. Diventavano vicinanza a ragazzi dipendenti dalle droghe, a famiglie in difficoltà, a malati nel corpo e nella psiche. Diventavano alloggio per uomini e donne che venivano da lontano a cercare una vita migliore e tentativi di impostare, tra essi, il dialogo interreligioso proposto dal Concilio Vaticano II. Molto ancora ci sarebbe da dire, ma vogliamo rimandare al prossimo novembre quando, stavolta a Casalmaggiore, prenderanno avvio le celebrazioni per il decennale della sua morte.