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Don Claudio Rubagotti a Tv2000: «La mia esperienza con il Covid-19»

«Un prete che sa che esiste Dio». Così viene introdotto don Claudio Rubagotti, parroco di S. Stefano e S. Leonardo in Casalmaggiore, alla trasmissione Bel tempo si spera, in diretta lunedì 20 aprile sul canale TV 2000.

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Invitato a raccontare la propria esperienza di sofferenza dovuta alla malattia ormai sconfitta (ricordiamo che dal 16 aprile scorso è risultato negativo al Covid-19, da cui è stato affetto), don Claudio ha narrato la difficoltà che lo ha accompagnato in questi tempi duri.

«Faccio parte di questa storia perciò non mi sono chiesto perché proprio a me. Più che alla morte ho pensato all’incontro con Dio. Ma la vera tragedia l’ho vissuta quando ho capito di aver potuto contagiare altre persone. Sentirsi untori è tragico. Questo è stato il vero affacciarmi alla croce di Cristo».

Per onorare il grande sacrificio della Diocesi di Cremona, in termini di perdite di sacerdoti, durante l’intervista è stato proiettato il video di Cristian Chiodelli, pubblicato su Riflessi Magazine, che ritrae alcuni stralci dell’attività pastorale di mons. Alberto Franzini, chierichetto di don Primo Mazzolari, per 17 anni parroco a Casalmaggiore e dal 2014 parroco della Cattedrale di Cremona, sconfitto dal virus nella notte tra il 3 e il 4 aprile scorso.

«Don Alberto mi ha accompagnato nei primi passi del seminario – ha ricordato don Claudio, citando anche la memoria di don Vincenzo RIni e degli altri confratelli scomparsi -. Per noi cristiani e preti c’è uno sguardo verso chi ci accompagna tra la morte e la vita». È lo sguardo che rende immuni dalla disperazione e dalla paura, e che prepara all’incontro con il Risorto.

L’intervista di è conclusa con un augurio della giornalista. «Prenditi cura dell’anima di don Franzini e torna ad essere untore di bene».




In un video gli auguri delle scuole ai “nonni del Busi” (VIDEO)

Iniziativa singolare quella lanciata in occasione della Pasqua dalla scuola primaria di Vicobellignano (Istituto Comprensivo G. Diotti di Casalmaggiore) in risposta all’appello lanciato dagli operatori della Fondazione Conte Carlo Busi onlus. La struttura per anziani casalese, che dal febbraio scorso si trova in regime di isolamento causa emergenza sanitaria, ha invitato le scuole del territorio a sollecitare i bambini nel far sentire affetto e solidarietà verso “i nonni del Busi”.

«Sono stati 370 i disegni, le filastrocche e i messaggi arrivati da tutto il territorio casalasco agli anziani e consegnati agli ospiti insieme a 150 piantine fiorite» dichiara Donata Toscani, maestra e referente della scuola primaria di Vicobellignano, che ha voluto accompagnare l’invio dei lavori degli alunni con un giardino fiorito a domicilio.

«La scuola di Vicobellignano, che in genere in primavera rinnova il giardino e lo affida alle cure degli alunni, ha destinato i fiori di questa primavera agli ospiti della casa di riposo per portare un poco di colore nelle loro stanze», partendo dall’idea che «i bimbi non sono vasi da riempire, ma fiori da far sbocciare. E i nonni sono coloro che hanno concimato e nutrito con tanto amore, tanta passione e dedizione la buona terra che nutrirà il futuro».

Un bel modo per aprirsi alla solidarietà, accogliendo e ampliando una proposta giunta dal territorio, che parla a più generazioni di un dialogo sempre possibile, anche ai tempi del Coronavirus.




“Il Cristo deposto” di Carlo Fadani all’asta per garantire apparecchiature ai medici casalaschi

Il circolo ANPI di Casalmaggiore organizza la raccolta fondi “L’offerta del Cristo” finalizzata all’acquisto di presidi medici per fare fronte all’emergenza Covid-19. La raccolta fondi, promossa attraverso la messa all’asta dell’opera “Il Cristo deposto” (dipinto su tela dell’artista Carlo Fadani), permetterà di acquistare saturimetri e altre apparecchiature da distribuire, attraverso Consorzio Casalasco Servizi Sociali, tra i medici di medicina generale del territorio casalasco.

ANPI, in accordo con l’artista, si è impegnata nella donazione dell’opera alla comunità parrocchiale di Santo Stefano e San Leonardo, permettendo così di vederla esposta sia nei giorni del triduo pasquale che nel corso del tempo liturgico.

«Abbiamo accolto con estremo piacere la proposta che ci ha raggiunto e per cui ringraziamo gli organizzatori e l’artista – dichiara il parroco don Rubagotti -. È importante che un’opera d’arte possa essere fruibile dall’intera comunità.  Visto il soggetto del dipinto, la deposizione del Cristo, ci impegniamo a valorizzarlo liturgicamente nei prossimi tempi sacri e nel prossimo tempo di Pasqua».

Per contribuire alla raccolta fondi è possibile versare su conto corrente bancario di CONCASS (Iban IT10R08454 56740 000000270714 riportando in causale la dicitura “erogazione liberale per la donazione Offerta del Cristo”) oppure pagando con carta di credito tramite https://splitted.it/lofferta-del-cristo.




“Io avrò cura di te”, già diversi gli operatori sanitari accolti nelle strutture diocesane: le storie e le testimonianze

È un vero «ripensamento dell’accoglienza» quello in atto in alcune delle strutture caritative della diocesi. Ci tiene a sottolinearlo don Pierluigi Codazzi, responsabile di Caritas Cremonese. «I centri nati per l’accoglienza delle fragilità – sottolinea – oggi a loro volta accolgono persone che si sono messe a disposizione per aiutare gli altri». Medici e infermieri giunti da altre regioni d’Italia per supportare il sistema sanitario locale in questo periodo di emergenza.

 

Cremona, Casa di Nostra Signora

«Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo». Lettera agli Ebrei, versetto secondo. E non solo. Anche l’idea alla base di «Io avrò cura di te», progetto di accoglienza attivato dalla Diocesi di Cremona per offrire alloggio gratuito a operatori sanitari giunti sul territorio per prestare servizio presso gli ospedali locali o impossibilitati a rientrare a casa per evitare il contagio dei familiari.

«Prendersi cura significa preoccuparsi per qualcuno e nello specifico cerchiamo di ricambiare la sollecitudine che queste persone stanno dimostrando nei nostri confronti». A parlare è Nicoletta D’Oria Colonna, responsabile di «Casa di Nostra Signora», struttura di accoglienza femminile della Caritas che, dal 2014, ospita donne in situazione di fragilità e da qualche settimana, con loro ma in ambienti separati, una decina tra dottoresse e infermiere provenienti da diverse città italiane.

Come Elisa Violi, infermiera pediatrica di 25 anni, calabrese ma domiciliata a Torino. «Sono venuta a Cremona vista la situazione critica che avvolge gli ospedali lombardi. Dopo essere stata contattata dall’ospedale di Cremona, tramite il personale amministrativo, sono venuta a conoscenza della possibilità di soggiornare a Casa di Nostra Signora, che ha offerto gratuitamente degli alloggi per noi operatori sanitari, gesto molto apprezzato, data la mole di stress psicologico e fisico che affrontiamo tutti i giorni».

O come Silvia Ianni, 45 anni, infermiera a partita iva, che a Roma, dove vive, ha lasciato i genitori anziani e il servizio prestato come volontaria con i ragazzi del quartier Quarticciolo, periferia che non esita a definire «dura». «I primi di marzo ho mandato disponibilità immediata, il 17 sono stata contattata e dopo un paio di giorni ero in reparto a far visite e notti. Ho trovato una città in guerra, ospedale reinventato, un altro costruito nel parcheggio e soprattutto ferite già profonde. E poi tanto coraggio, tanti grazie e pure accoglienza». Così ci racconta. E prosegue «Non vado via. I sanitari locali stanno pagando un prezzo troppo alto per lasciarli soli».

Anche questa è accoglienza presso Casa di Nostra Signora. Non solo lo stress generato dalla difficile situazione di stallo e di convivenza forzata tra realtà delicate, ma anche scambio continuo tra le diverse storie che si intrecciano in un groviglio di umanità in divenire.

«Sembra un controsenso accogliere in un momento in cui ci viene chiesto di isolarci – dichiara ancora Nicoletta D’Oria Colonna – ma la vicinanza finalmente sembra essere riscoperta come valore imprescindibile dopo decenni di individualismo esasperato». Vicinanza su più fronti e a tutti gli effetti. Non solo materiale, ma anche psicologica e spirituale. Vicinanza tra chi non ha una stabilità economica, una famiglia, una casa, un lavoro (sono trenta le ospiti della struttura che vanno da madri con bambini anche neonati a ultra ottantenni) e chi ha scelto liberamente di lasciare la famiglia, la casa, i propri affetti per un bene più grande, per rispondere alla vocazione che chiede di essere medico del malato, prossimo del bisognoso. E oggi Cremona e i suoi malati di coronavirus diventano «l’occasione di incontro con la vulnerabilità dell’altro che suscita in noi la cura, come il malcapitato fa buono il Samaritano».

Oggi più che mai ci si sente tutti figli dello stesso Padre, tutti ugualmente fragili. La donna, sia essa sola per mancanza o per scelta. Pur sempre donna che dà la sua vita per difendere quella dell’altro, nel riconoscimento che «solo il gesto che difende la vita la moltiplica, la avvalora».

E oggi più che mai risuonano profetiche le parole di papa Francesco quando l’8 marzo 2019, in occasione dell’incontro con una delegazione dell’American Jewish Committee, dichiarava: «La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi».

Sara Pisani

 

Cremona, Casa dell’Accoglienza

Se a Casa di Nostra Signora l’ospitalità è rivolta alle donne, in una parte riservata dalla Casa dell’Accoglienza, sempre a Cremona, c’è la possibilità di accogliere una decina di uomini. Già più della metà dei posti è occupata.
Un doveroso impegno che è anche implicito ringraziamento per la generosa disponibilità garantita da questi professionisti. «Mi piace in questo senso ricordare – continua don Codazzi – anche la disponibilità data per l’alloggio dal parroco di Monticelli d’Ongina, in casa parrocchiale. Una opportunità che al momento non abbiamo potuto sfruttare in quanto i medici e gli infermieri che attualmente ospitiamo non sono muniti di mezzi di trasporto propri e dunque gli spostamenti sarebbero difficoltosi». «In queste ore – conclude il direttore della Caritas – siamo stati contattati anche da un medico residente fuori città e che lavora all’ospedale di Cremona, interessato a poter avere un punto di appoggio fuori casa, per garantire maggiore sicurezza ai propri familiari».

 

Caravaggio, Centro di spiritualità del Santuario

In prima fila anche il Santuario di Caravaggio che ha aperto gli ambienti del Centro di spiritualità per la accoglienza di medici e operatori sanitari accorsi in rinforzo alle locali strutture ospedaliere. «In collegamento con la Caritas diocesana – precisa il rettore del Santuario, mons. Amedeo Ferrari – siamo stati invitati a contattare gli ospedali per sondare le necessità ed è emersa una condizione di bisogno presso i presidi di Treviglio-Caravaggio e Romano di Lombardia. La nostra disponibilità ad accogliere e ospitare gratuitamente i sanitari giunti a rinforzo da ogni parte d’Italia è totale e così sarà per tutta la durata dell’emergenza sanitaria».  Sono cinque i medici che hanno finora trovato ospitalità: professionisti con varie specializzazioni come biologi di laboratorio, chirurghi, dentisti e anestesisti. «Provengono da Napoli, Roma, Bergamo, Pistoia e Senigallia  – spiega ancora il rettore – hanno risposto alla richiesta di volontari e la loro giornata è sempre molto piena, assorbiti come sono dall’enorme e duro  lavoro ospedaliero e dalla loro grande responsabilità». Si tratta di un servizio prezioso quello offerto dal Santuario,  che riesce a trasformarsi in una esperienza arricchente per tutti. «Capita di parlare con loro e di ragionare un attimo su quanto sta accadendo – conclude il sacerdote –, si mostrano preoccupati ma testimoni di speranza e di coraggio».

Marco Galbusera

 

Come sostenere il progetto

È possibile sostenere il progetto «Io avrò cura di te» con un versamento su conto corrente postale 68411503 o bancario (Iban IT 57 H 05156 11400 CC054 0005161) intestati a «Fondazione San Facio onlus» e indicando la causale «Io avrò cura di te 2020». Informazioni e donazioni anche presso gli uffici della Caritas diocesana.

A Cremona la possibilità di accoglienza per le donne è presso Casa di Nostra Signora di via Ettore Sacchi (info al 334–1062553, e–mail cns@serviziaccoglienza.it), per gli uomini all’interno della Casa dell’Accoglienza di viale Trento e Trieste (335–354429, donpiercr@gmail.com). Disponibilità è stata garantita anche a Caravaggio, presso il Centro di spiritualità del Santuario (centralino 0363–3571, info@santuariodicaravaggio.org).

La presentazione del progetto

 


#restiamocomunità – #chiciseparerà




Covid, a Bozzolo un minuto di silenzio sulla lapide affissa in occasione della visita del Papa

Si è tenuto a Bozzolo martedì 31 marzo, sotto la Loggia del Comune in piazza Europa, di fronte alla lapide affissa per la visita di Papa Francesco e del Presidente della Repubblica avvenuta nel 2017, il minuto di silenzio con le bandiere a mezz’asta. Iniziativa promossa da ANCI a livello nazionale per ricordare le vittime dell’epidemia di Coronavirus, insieme al sindaco Giuseppe Torchio, ha preso parte alla commemorazione anche il parroco don Luigi Pisani che ha scelto di dare una speciale benedizione alla città e ai cittadini, in un momento storico in cui «è più che mai doverosa la vicinanza tra le istituzioni e la Chiesa, tra potere temporale e spirituale».

«La civiltà di un popolo si deduce dal suo culto per i morti. Il fatto che noi oggi non possiamo accompagnarli personalmente è forse la nota più buia di questa epidemia. Il gesto di oggi di fermare tutta la nazione per dedicare un momento di silenzio ai morti che non hanno avuto un accompagnamento di un famigliare sottolinea il valore degli affetti che noi gli vogliamo dare. Non è la quantità del tempo ma la profondità dei sentimenti ciò che ci qualifica. Per noi cristiani, poi, vale l’idea che la preghiera va aldilà della mia presenza fisica. Il prete dentro questo momento vuole dare sottolineatura ai valori cristiani per la vita aldilà delle nostre categorie» questa la dichiarazione di don Pisani al termine della commemorazione.


video e foto di Franco Saviola




«Di fronte alla morte un nuovo sguardo sulla relazione con Dio». Intervista a don Rubagotti, guarito dal Covid-19

“Per una didattica dell’essere Chiesa”. Oppure “Nuova evangelizzazione dai letti di ospedale”. O ancora “Come fare Pasqua guardando al Covid-19”. Sono solo alcuni dei titoli che si potrebbero attribuire a questa intervista-fiume al parroco di Casalmaggiore, don Claudio Rubagotti, da pochi giorni rientrato alla sua abituale dimora dopo tre settimane di ricovero perché positivo al virus.

Tra riferimenti biblici e conciliari, passando attraverso le memorie dei suoi compagni di viaggio in questa avventura che non esita a definire «del tutto nuova», don Rubagotti riflette sul suo rapporto con Dio e con la comunità, con uno sguardo esteso a quanto la Chiesa può e deve essere oggi, in questo tempo di sofferenza.

Si è Chiesa partendo dal singolo prete, come ama definirsi, che rivedendosi per la seconda volta di fronte alla morte, realizza i vuoti e i pieni della sua esistenza.

E lo fa partendo dalla Parola di Dio e in particolar modo dal libro sapienziale di Giobbe, sinonimo del giusto per eccellenza che, perseguitato e afflitto, non perde mai la fede in Dio e afferma, nel tempo del dolore, «io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero». Come a dire che il giusto e Dio si riconosceranno anche dopo aver percorso il buio del dubbio e della domanda: «Fammi sapere, perché mi sei avversario?». È il tema filosofico-teologico della teodicea, della giustificazione del male nel mondo nonostante la presenza di un Dio creatore buono.

«In questo tempo – riflette don Claudio – sospeso ho pensato che lo incontrerò da straniero. Lo straniero è colui che ha l’odore diverso dal tuo. Io e Dio, due odori diversi. Impegnato a far del bene, o almeno a provarci, stando in mezzo alla gente, ho trascurato il sole. Amo citare l’immagine di Ambrogio di Milano e Atanasio di Alessandria “La luna che vive di luce riflessa”. La Chiesa brilla finché guarda il suo Sole. A volte io mi sono dimenticato chi era la luna e chi il sole. In questi anni non ho acquisito l’intimità di avere il suo modo di guardare, il suo profumo. Il suo battito di cuore. Ho vissuto senza l’idea di abbandonarmi a Lui».

Il ricovero di don Claudio, avvenuto il 3 marzo scorso presso l’Ospedale Oglio-Po, è stato solo il punto di partenza in questa revisione del suo rapporto con Dio. Il clou è arrivato il 12 marzo, quando, in procinto di essere dimesso, ha visto la morte.

«Ho avuto un tracollo. E ho visto la morte. E come uomo di fede ho rivissuto il mio rapporto con Dio, mi sono posto davanti a Lui. Non era la prima volta. Già dodici anni fa mi era capitato. Eppure non è stato un tornare indietro, ma un affacciarmi nuovamente, adesso, davanti al medesimo mistero, che non è la morte, ma il mio stare davanti a Dio».

E scherza, come sempre ama fare, sul suo abituale disordine, con un proposito nei tempi grigi per il tempo a venire: «Mai più disordine, mai più scatoloni. E invece… Ho pensato a me, che mi sarei presentato a Lui “tra gli scatoloni” e ho compreso la grandezza di Dio e la mia pochezza».

E, citando Lettera ai Romani, dice: «Come scrive San Paolo, “io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”. Anche le omissioni sono male. Anche il non curare l’amore è male. Anche il non curare il tuo ordine è male».

E continua: «Il 12 marzo ho vissuto un momento forte, intenso, di sguardo reale sulla morte a colui che è Dio. Morire a Dio. Dio come il totalmente altro di fronte a me che sono una creatura».

Un secondo aspetto che don Rubagotti ha voluto affrontare è stata la sua umanità.

«Quando una persona è abituata a essere fonte di benedizione e la sua presenza è gradita o addirittura attesa, sia per il ministero che rappresenta che per il suo carattere socievole, riconoscersi ora come fonte di malattia, fonte di problemi, cambia la prospettiva su sé e sul mondo. Ci si mette in un’ottica mai considerata prima. Tu diventi protagonista di male. Ti percepisci come una persona che procura del male, oserei dire non più fonte di benedizione ma di maledizione. Questo ribalta la vita. L’uomo di fede è disposto a soffrire con gli altri, a condividere l’emergenza, ma non è disposto a essere considerato male per gli altri».

Eppure, anche in questa dichiarazione don Rubagotti riscopre la visione teologico-pasquale dell’essere uomo nel suo tempo, ma non del suo tempo.

«La vera vittima è Cristo e il suo sacrificio non è mai fine a se stesso. Noi partecipiamo a questo elemento redentivo. La sofferenza, anche quella dell’essere “untore”, è vista come liberazione. La sofferenza è Resurrezione».

Riprendendo l’immagine di papa Francesco, che definisce «uomo sofferente, avvolto da un tempo inclemente in una piazza San Pietro deserta ma riempita dal grido sgraziato dei gabbiani e dalle sirene delle ambulanze, di fronte a un crocifisso grondante sangue e lacrime del cielo», torna all’idea centrale della fede cristiana: «Non chiedo mai “perché, Signore, il male?”. Quando vivo il male penso sempre che il Signore l’ha vissuto con me, per me. Allora se Lui ha vissuto lo scandalo della morte, se Lui è stato considerato la causa del male e pertanto è stato crocefisso, questo diventa fonte di salvezza anche per la mia vita. Quello che noi tutti vorremmo evitare, lo scandalo della croce, è la salvezza per tutti noi».

Due ultime considerazione ci avviano alla chiusura di questa riflessione.

La prima: come essere Chiesa in questo momento e da questo momento in poi?

«Quando si dice che la Chiesa non è in mezzo alla gente, ebbene, noi siamo tutti qua, a dare il conforto dell’uomo religioso anche per chi non crede e il conforto della fede per chi crede. La Chiesa fa sentire la sua voce. Mi rendo conto che siamo sempre in tensione tra ministero ordinato e popolo di Dio. La Chiesa non sono solamente i preti che sono presenti, ma anche i tanti infermieri che in questo tempo hanno accudito i malati sino alla morte e il popolo di Dio che esercita il suo ministero in questa presenza».

«Bisogna stare attenti – continua – che questo modo di comunicare diventi una modalità normale. L’Eucaristia è con la comunità poiché la Chiesa è il corpo di Cristo. Ma in quanto fatto di carne non possiamo e non dobbiamo pensare di entrare in un tempo di tecnocrazia, in cui si delega alla tecnologia il nostro essere comunità».

È molto netto il giudizio di don Rubagotti su questo tema. «La tecnica, laddove c’è una difficoltà, è utile. Ma questa non dev’essere l’unica modalità di fare Chiesa. E non perché lo dice il prete, ma perché lo dice l’esperienza cristiana, che è guardare avanti con gli occhi fatti di carne. In questo tempo il pericolo è di entrare nella tecno-oligarchia, come già avviene in alcuni stati dell’estremo oriente. Questa è una reale minaccia per il presente».

E giunge accorato un appello alla sua chiesa, dalla quale, ci tiene a sottolinearlo, non si è mai sentito abbandonato. «Ho sentito la Chiesa diocesana e le parrocchie di Casalmaggiore come respiro di sostegno, che mi stanno aiutando ancora a sentirmi parte attiva nonostante tutto. In particolare un grazie va ai miei sacerdoti, don Arrigo in primis, per aver mantenuto vivi gli ambienti e aperte le chiese. E un pensiero speciale a don Cesare, che sta combattendo contro la malattia».

Nonostante ciò, secondo don Claudio «è auspicabile che, a partire da queste circostanze, che non sono una fase, ma danno avvio a un nuovo tempo della nostra vita ecclesiale, la Chiesa faccia delle scelte. Aspettiamo un’indicazione che la Chiesa italiana deve essere autorevole nel dare». Il desiderio è che possa essere concordato, a livello nazionale, un piano di vicinanza della Chiesa con il popolo di Dio, sia quello che desidera ricevere l’Eucaristia, sia chi sta perdendo un famigliare e vorrebbe essergli accanto.

«Occorre legittimare il fatto che, con le dovute protezioni, si possa andare nelle chiese a pregare e si possa celebrare l’Eucaristia. Che il prete possa essere messo in sicurezza e stare accanto a un famigliare che ha perduto un caro. Occorre pensare che lo stesso famigliare che voglia assistere il suo amato malato lo possa farlo. Perché non è forse Chiesa anche il famigliare che chiede di stare accanto al morente? Sento l’urgenza della voce dei nostri Vescovi come senso del popolo di Dio. La Chiesa ha sempre trovato modalità per essere, nella storia, casa tra le case».

E conclude: «Noi siamo popolo di Dio e questo popolo deve giocare la sua carta. Compagno di viaggio in questo viaggio di dolore ma anche di speranza».




A Casalmaggiore porte aperte per l’adorazione e lunedì le campane richiameranno alla recita del Rosario

Dare prova di comunità ai tempi in cui la separazione è imposta per decreto. Dare prova di unione nella fede e nella preghiera ai tempi in cui è richiesto tenere una distanza di sicurezza. Trovare il modo di essere uniti anche da casa, senza rinnegare la priorità dell’essere unica Chiesa, popolo di Dio in cammino.

A questo popolo di Dio, che si rinnova nella Chiesa “sacramento in Cristo”, si sono rivolti i sacerdoti della comunità di San Leonardo e Santo Stefano di Casalmaggiore, don Claudio, don Arrigo, don Cesare e don Angelo. E lo hanno fatto dalla quarantena a cui sono costretti dopo la scoperta che il parroco don Claudio Rubagotti ha contratto il temuto Covid-19. Nonostante l’isolamento in cui versano (e don Cesare da alcuni giorni è ricoverato all’ospedale Oglio Po), sono riusciti a mantenere le chiese aperte quotidianamente e a non interrompere la bella opportunità che don Claudio ha voluto offrire ai cittadini casalesi, credenti e non, prima di venire ricoverato: l’esposizione del crocifisso, datato 1676, donato da Padre Francesco da Modena alla comunità e che da allora viene venerato per chiedere grazie durante pestilenze e alluvioni. Come allora, oggi. Molti sono i passanti che si fermano per una supplica o una riflessione, e che hanno la possibilità di leggere la preghiera di affidamento che l’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI ha predisposto e diffuso in tutte le Diocesi italiane. Molti coloro che possono leggere dal breviario esposto le letture del giorno o portare a casa i sussidi per il tempo di Quaresima.

Non solo il Duomo però accoglie. Anche la chiesa di San Francesco è aperta tutto il giorno e al suo ingresso si invitano i pellegrini a far visita anche a San Sebastiano, piccola chiesa costruita come ex voto dopo la pestilenza del ‘600 e rimasta chiusa dopo il terremoto del 2012. «Andiamoci a pregare, come hanno insegnato generazioni di cristiani» è l’invito rivolto dal parroco alla comunità su un foglio esposto all’esterno del portone.

E da ultimo, ancora un’occasione pubblicata sui social locali in queste ore. «Affidiamoci particolarmente a Maria Santissima, a lei ci dobbiamo consegnare e affidare l’anima dei nostri fratelli defunti. Per intensificare la nostra preghiera siamo invitati a stringerci come comunità parrocchiali, per cui da lunedì 16 marzo alle ore 18, al suono simultaneo delle campane delle nostre chiese, reciteremo ognuno nelle nostre case il Santo Rosario» si legge sull’avviso. Un’occasione di preghiera comunitaria cha va ad aggiungersi alla quotidiana Santa Messa celebrata da don Angelo nella sua abitazione e da don Arrigo nella Cripta del Duomo e all’invio della riflessione settimanale che viene fatta circolare ogni domenica sui social.

Perché “dove due o tre sono riuniti nel mio nome – anche solo spiritualmente e virtualmente – io sono in mezzo a loro”.


#restiamocomunita – #chiciseparera




Sui passi del sacro per giungere al cuore della vita umana

La Zona pastorale V della Diocesi di Cremona ha celebrato sabato 1 febbraio la 42esima Giornata per la vita a Rivarolo Mantovano.

La Veglia, che si è svolta presso la chiesa parrocchiale di S. Maria Annunciata, è stata preceduta da una processione, partita dalla Fondazione Tosi-Cippelletti, ricovero cittadino per anziani, aperta da una coppia di sposi che ha condotto per le vie del paese un’immagine su legno della Presentazione di Gesù al Tempio.

Diversi i laici coinvolti nell’organizzazione della serata, proseguita con letture e canti di preghiera. Particolarmente suggestiva la proclamazione del Salmo 23 dalla voce di Giorgio Dall’Asta, giovanissimo parrocchiano accompagnato all’organo da Claudio Leoni e al coro dalla Corale della zona V, diretta dal maestro Donato Morselli.

Numerose anche le religiose e i religiosi presenti alla celebrazione, presieduta da don Davide Barili, vicario zonale, e concelebrata da don Ernesto Marciò parroco di Rivarolo Mantovano, don Angelo Maffioletti parroco di San Matteo delle Chiaviche e don Gino Assensi, parroco di Martignana di Po.

La Veglia ha rappresentato un singolare susseguirsi di momenti simbolici significativi. La partenza da un luogo che don Barili non ha esitato a definire durante l’omelia «luogo dove la vita giunge al capolinea», ha voluto rappresentare la presenza di posti dove «la vita umana è ancora accompagnata verso il suo naturale tramonto» e ha permesso a don Barili di ricordare che la Chiesa constata «con apprensione e amarezza come si chiudono i punti nascita alla vita umana».

Anche l’aver scelto per questa 42esima giornata il giorno in cui si celebra la festa della Presentazione del Signore al Tempio è stato centrale.

«Questa scelta ci aiuta a capire – ha proclamato don Barili – la sacralità della vita. Viene a rafforzare il messaggio che la Bibbia racconta fin dalla Genesi, quando si sottolinea che l’uomo esiste perché Dio lo ha creato». Pertanto la vita non può essere mercificata o messa a disposizione dei capricci degli uomini ma «è un valore sacro che viene prima di tutto il resto».

Gesù presentato al Tempio rappresenta il mistero di un Dio che, assumendo la carne umana, la eleva al ruolo di sacralità, come descritto nel Messaggio dei Vescovi italiani letto per l’occasione. Desiderare una vita sensata, essere riconoscenti, aver cura dei fratelli e del creato, ospitare l’ultimo, il debole, con nuove forme di fraternità solidale è il cuore del Vangelo.

La celebrazione si è conclusa con la venerazione alla Vergine Maria di fronte all’immagine della cosiddetta Madonna dell’Apocalisse, recentemente restaurata. «L’immagine rappresenta Maria incinta – ha spiegato don Maffioletti – nella sua esistenza storica data dalla gravidanza. Guardare questa immagine è guardare il centro della nostra fede. Maria ha partorito nella carne l’autore stesso della vita».




Aprite le porte alla vita: a Casalmaggiore le testimonianze delle famiglie Guarneri e Della Porta

Nell’ambito degli eventi promossi in diocesi in occasione della 42esima Giornata per la vita, che quest’anno si celebrerà domenica 2 febbraio, la Zona pastorale V ha organizzato venerdì 24 gennaio a Casalmaggiore, presso la parrocchia di Santo Stefano, l’incontro pubblico dal titolo “Aprite le porte alla vita”. La serata, introdotta da don Davide Barili, vicario zonale della zona V, ha visto la conduzione del dottor Paolo Emiliani, presidente del Movimento per la vita di Cremona, che da subito ha affrontato diversi aspetti che implicano la difesa della vita.

«Anche oggi come nel 1978 (anno dell’introduzione della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, ndr) il reato penalmente rilevante viene depenalizzato se sono presenti alcune circostanze. E in tutti questi casi l’eccezione porterà le stesse conseguenze del ’78». Conseguenze che contano in 47 milioni le vittime all’anno dell’aborto procurato nel mondo e 6 milioni in Italia.

Il riferimento diretto è ad aborto, aborto terapeutico, eutanasia. Non solo quindi il diritto del nascituro a vedere la luce per la dignità ontologica che porta in sé il suo essere persona, ma anche quello del malato terminale cui non debba essere negato un accompagnamento alla morte naturale. E sicuramente il diritto del bambino cui viene diagnosticata in fase prenatale una malattia congenita di nascere ed essere accolto con amore. Contrariamente allo sguardo strabico dell’attuale società, l’essere umano va ancora riconosciuto in ogni sua forma non certo in nome di presunti “attributi di qualità” che dovrebbe possedere, ma per il valore che incarna in quanto tale. Pregi e difetti. Ricchezze e limiti.

A testimoniare quanto sia ancora possibile vivere la gioia dell’incontro nonostante fatica e paure implicite in ogni salto nel vuoto, sono intervenute due famiglie che dell’incontro speciale con la vita che nasce hanno scelto di fare il loro baluardo e il loro segno distintivo. Nell’umiltà del racconto, Cristiano Guarneri e Giovanni con Elisa Della Porta hanno condotto l’auditorium presente nella sala Giovanni Paolo II (che per l’occasione era gremita) alla comprensione dell’intero ventaglio di umanità che impregna ogni gesto importante, ogni gesto di amore.

«Fiducia è una delle parole chiave per parlare di accoglienza» ha dichiarato Cristiano, genitore con sua moglie Silvia di quattro “figli accolti”, di cui due in affido, uno adottato e uno arrivato in modo naturale. Al centro il racconto della storia di un incontro, quello con Alessandro, bimbo accolto in famiglia nonostante la gravissima malformazione cerebrale da cui è affetto. Per Cristiano ogni incontro implica la capacità di fidarsi, aprendo le porte della propria vita ad un’altra vita che arriva, come simbolicamente riportato nel titolo dato dai Vescovi alla Giornata per la vita di quest’anno. La stessa fiducia con cui Cristiano e sua moglie Silvia hanno accolto l’arrivo in famiglia di Alessandro.

Leggi l’articolo scritto da Cristiano Guarneri per RIFLESSI MAGAZINE

 

Provare gratitudine per l’esperienza di amore vissuta, quindi, entrando in contatto con bambini malati, da cui si riceve un dono. Questo al centro del sì alla vita detto da Cristiano e Silvia. Così come da Giovanni ed Elisa, genitori di Benedetto, oltre che di altri 4 figli. Loro il sì alla vita lo hanno detto accogliendo la malattia di Benedetto, loro quarto figlio, tornato al Padre a poche ore dalla nascita. «Nonostante la malattia di Benedetto la nostra è stata un’esperienza di amore. Amore donato in maniera incondizionata. Ma anche e soprattutto amore ricevuto».

 




Aggiungi un posto a tavola: successo a Casalmaggiore per la terza edizione promossa dalle Acli

«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce (Is 9,1). Il Natale è una luce che illumina tanti luoghi bui dell’esistenza umana, tanti luoghi di dolore» (Comunità di Sant’Egidio 2019). Ispirandosi all’opera che Comunità di Sant’Egidio compie dal 1982 invitando a pranzo nel periodo natalizio migliaia di persone sole, povere, senzatetto, il circolo Acli di Casalmaggiore ha organizzato nella festività di Santo Stefano il pranzo di solidarietà “Aggiungi un posto a tavola”, giunto alla sua terza edizione.

«Sta divenendo una tradizione ormai attesa dalla comunità casalasca – dichiara Francesco Caffelli, presidente del locale circolo Acli -. Condividere un pasto caldo non è solo un modo per vivere una giornata in compagnia, ma anche per tessere legami che permettano di sostenere, nel corso dell’anno, le necessità di famiglie o singoli in difficoltà».

Tradizione, inoltre, che si coniuga con generosità. Tante le persone che hanno dedicato anche quest’anno il proprio tempo libero all’organizzazione della giornata, due i cuochi ai fornelli (Achille Perini e Claudio Zardi) oltre ai tanti aiutanti, e diverse le imprese locali che hanno donato prodotti alimentari per la riuscita del pranzo.

«Un sentito ringraziamento – prosegue Caffelli – va alla San Vincenzo de’ Paoli di Casalmaggiore, all’azienda agricola Il Germoglio, a Padania Alimenti, a Cafè Royal, alla Bottega NonSoloNoi del Commercio Equo e Solidale. Oltre alla parrocchia di Santo Stefano che ha sostenuto l’iniziativa mettendo a disposizione i locali e la cucina dell’oratorio».

Un centinaio i partecipanti tra cui molte famiglie con bambini, che hanno giocato e cantato, accompagnati dal gruppo dei Cattolici ghanesi, che hanno intonato canti sacri a cappella molto graditi a tutti i presenti.

Con i ringraziamenti gli organizzatori hanno dato l’arrivederci al prossimo anno.