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A Cividale Mantovano l’ultimo saluto a don Virginio Morselli

 

Tantissimi fedeli hanno riempito nel pomeriggio di giovedì 1° febbraio la piccola chiesa parrocchiale di Santa Giulia a Cividale Mantovano per dare l’ultimo saluto a don Virginio Morselli, nativo del paese, deceduto il 30 gennaio all’età di 84 anni. Le esequie, presiedute dal vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi (che ha portato la vicinanza anche del vescovo Antonio Napolioni, impegnato a Roma per la Visita ad limina), sono state concelebrate dal vicario generale mons. Massimo Calvi e dal parroco don Ernesto Marciò, insieme a una trentina di altri sacerdoti. Un forte segno di affetto per gli anni del suo ministero come parroco tra Gazzuolo, Salina, Rivarolo del Re e Viadana e come collaboratore in diverse unità pastorali dell’Oglio-Po. La liturgia funebre è stata accompagnata anche dalle musiche all’organo del maestro Donato Morselli, cugino del sacerdote, creando momenti di grande commozione.

«Credo che il messaggio più importante consegnatoci da don Virgilio è di vivere il nostro tempo presente senza mai dimenticare che la nostra vita sulla terra ci prepara per quella eterna», ha detto il vescovo emerito durante l’omelia. Un concetto ripetuto più volte e sottolineato dalla memoria della sua figura sacerdotale: «il ministero di un prete si appella costantemente alla Parola del Signore, cercando di preparare ciascuno verso quell’incontro con Dio». Ed ecco allora l’importanza di riconoscere nella vita cristiana una sorta di cammino «per essere uomini pienamente autentici». Ecco, quindi, l’invito di don Virgilio «a condividere la sua stessa beatitudine». 

Uno sguardo “oltre”, secondo Lafranconi, in grado di far nascere un ulteriore spunto di riflessione dall’esperienza di vita di don Morselli. «Leggendo il suo testamento spirituale mi ha colpito questo “ritornello” della gratitudine: a Dio, ai suoi genitori, all’educazione ricevuta… una serie di ringraziamenti al Signore e agli uomini che lo hanno aiutato a scoprire e realizzare la sua vocazione di Figlio di Dio, di sacerdote, di uomo destinato all’eternità». Di fronte alla nostra morte – ha riflettuto il vescovo emerito – abbiamo la capacità di ritrovare i motivi per dire “grazie” alla nostra esistenza, nonostante le difficoltà e le sofferenze provate. Esse non ci devono infatti impedire di tenere presente alla fine quel senso «di pienezza e le persone che ci hanno sostenuto, aiutato per poterci preparare alla pienezza di questo momento di passaggio».

Al termine dell’omelia ha preso brevemente la parola padre Attilio Martelli, frate cappuccino e sacerdote dell’Emilia-Romagna, per ricordare, anche a nome di don Maurizio Lucini, la figura di don Morselli durante la sue esperienza di parroco di San Pietro, a Viadana. «Grazie alla sua vicinanza lo abbiamo sentito come un padre e, nel 2002, nella sua chiesa, siamo stati ordinati sacerdoti. Mi ricorderò sempre lo sguardo contento e orgoglioso. Lo ringraziamo per tutto il bene che ci ha fatto».

 

Ascolta l’omelia del vescovo emerito

 

 

Profilo biografico di don Virginio Morselli

Ordinato sacerdote il 27 giugno 1964 insieme ad altri 17 confratelli (di cui oggi solo tre ancora in vita: don Giuseppe Bettoni, don Francesco Castellini e don Mario Marinoni), don Virginio Morselli ha iniziato il proprio ministero come vicario a Gazzuolo. Nel 1978 è stato quindi scelto come parroco di Salina, frazione di Viadana. Dal 1988 al 1997 è stato parroco di Rivarolo del Re e, successivamente, dal 1997 al 2014, della parrocchia di S. Pietro Apostolo in Viadana.

Una volta lasciato l’incarico di parroco per raggiunti limiti d’età, ha continuato a svolgere il proprio ministero come collaboratore parrocchiale: prima nell’unità pastorale di Casalbellotto, Fossa Caprara, Quattrocase e Vicomoscano (dal 2014 al 2017) e successivamente in quella di Belforte, Commessaggio e Guazzuolo (dal 2017 al 2022).

Da due anni don Morselli si era ritirato presso la Domus Pasotelli Romani di Bozzolo.

È deceduto nel pomeriggio di martedì 30 gennaio all’ospedale Carlo Poma di Mantova, dove era stato recentemente ricoverato per un peggioramento delle sue condizioni di salute.




Lunedì sera a Casalmaggiore una serata sul dramma della Terra Santa

“Dall’equidistanza all’equivicinanza: vivere il dramma della Terra Santa”. Il titolo è un gioco di parole per descrivere lo spirito e i contenuti della serata di lunedì 22 gennaio sul racconto in prima persona del conflitto israeliano-palestinese, organizzata dalle Parrocchie di Casalmaggiore nell’Auditorium Giovanni Paolo II alle ore 20.45. Ospite dell’incontro sarà don Maurizio Compiani, noto biblista, il quale racconterà al pubblico la sua recentissima esperienza nei territori di Israele e Palestina da lui visitati dall’8 all’11 gennaio 2024.

«A partire dalla sua personale esperienza di viaggio don Compiani ci porterà il vissuto degli abitanti di quelle terre – spiega il parroco don Claudio Rubagotti nel presentare l’iniziativa –. L’invito e il senso di questo appuntamento è quello della prossimità alle popolazioni coinvolte nella guerra, grazie anche ai brani della Bibbia scelti dall’ospite, abbandonando dunque l’atteggiamento di spettatori-tifosi e riflettendo invece sulle testimonianze dirette di questa realtà in divenire».




Don Mazzolari e don Milani uniti nella “Guerra alla guerra”

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Non esistono guerre giuste, «perché la forza non può essere la soluzione all’incapacità del dialogo politico di un problema di diritto; esiste la pace necessaria».

Un messaggio contro i conflitti attuale e controcorrente, come le parole dei due protagonisti del convegno Guerra alla guerra: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. In occasione dell’annuale Giornata mazzolariana sulla pace e nell’anniversario della nascita (13 gennaio 1890), infatti, nella giornata di sabato 13 gennaio a Bozzolo è stato organizzato un appuntamento in cui accostare il sacerdote cremonese e il parroco di Barbiana, nel centenario della nascita del sacerdote fiorentino.

L’iniziativa, realizzata grazie alla sinergia tra l’Ufficio nazionale della CEI per i Problemi sociali e il lavoro, la Fondazione don Primo Mazzolari e la fondazione I Care, ha visto la partecipazione di don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari, e Rosy Bindi, presidente del Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. L’incontro è stato introdotto da Matteo Truffelli, presidente della Fondazione Mazzolari e moderato dal direttore del quotidiano La Provincia Paolo Gualandris.

Circa quattrocento i partecipanti che hanno riempito la chiesa di San Pietro e ascoltato le parole e le riflessioni dei relatori sul carisma e la visione della pace di questi due pensatori liberi nella prima metà del Novecento, in grado di parlare ancora alla nostra attualità. «Sono stati due uomini, credenti e preti che hanno avuto e hanno ancora rilevanza nella formazione di tante coscienze – ha detto Truffelli nel ringraziare tutti i presenti e i volontari alla realizzazione dell’evento –. Un legame ancora più forte delle divergenze di alcune loro posizioni, ma saldo su alcuni principi comuni, sulla passione per la società, per la Chiesa e per gli uomini del loro tempo e sul bisogno scottante di vivere il proprio ministero dentro la storia».

La lettura di alcuni testi dei due sacerdoti, grazie all’attore e regista bresciano Luciano Bertoli, insieme dal messaggio di saluto e benedizione apostolica da parte di Papa Francesco, «con la speranza che l’evento susciti il rinnovato impegno nella promozione dell’autentica pace», riportato dal parroco don Luigi Pisani, hanno dunque introdotto i tanti temi di riflessione sul tema secondo le due visioni profetiche di don Mazzolari e don Milani.

Il prete fiorentino, in particolare, indicava ai suoi giovani una visione diversa delle leggi nella costruzione della pace: «Insegnava ai suoi ragazzi che l’obbedienza non è una virtù e che la legge andava sì rispettata, ma anche migliorata, perché ci sono leggi giuste e leggi ingiuste – ha spiegato l’ex ministro Rosy Bindi –. Giuste sono le leggi che proteggono i poveri e gli oppressi, ingiuste quelle che danno più potere agli oppressori».

 

Gli interventi di Rosy Bindi

 

Su un piano simile è anche la visione del parroco bozzolese, richiamata da don Bignami: «“Guerra alla guerra” è un’espressione che don Mazzolari utilizza negli anni ‘50 per dire qual è la condizione che il cattolicesimo deve promuovere nei confronti del tema, ed è un superamento determinante rispetto alla concezione della guerra giusta da cui si proveniva». L’esperienza di cappellano militare, infatti, lo portò «ad una maturazione convinta e convincente di quello che è un nuovo paradigma: la guerra non è più la soluzione praticabile».

 

Gli interventi di don Bruno Bignami

 

Dalle parole provocatorie e lungimiranti di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani sul tema della pace è scaturito un vivace e partecipato momento di confronto aperto tra i partecipanti.

Dopo gli interventi del mattino, nel primo pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Pietro le tematiche dell’impegno civile e cristiano verso la pace hanno orientato i gruppi di lavoro nella riflessione sugli interventi dei relatori e sui contributi emersi durante il convegno.

«È stata una giornata importante per la comunità di Bozzolo e il messaggio è di una attualità grande – ha affermato il parroco don Luigi Pisani –. Questo appuntamento è servito per riappropriarci di questo invito che arriva fino a noi dalle voci di due testimoni come don Mazzolari e don Milani. Come è stato evidenziato anche dagli ospiti all’incontro, noi cristiani abbiamo una responsabilità in più, perché il Vangelo ci spinge molto di più a essere protagonisti della pace, della giustizia sociale, nel rapporto tra i popoli e nel superamento delle barriere anche quelle sociali, tra credenti e non credenti».

Durante la sosta di commemorazione e preghiera sulla tomba di don Mazzolari si è infine sottolineata l’importanza del messaggio dei due sacerdoti «non soltanto da un punto di vista storico e culturale, ma anche come compito di aiutare l’ecclesialità e la cattolicità di oggi» nel dovere di impegnarsi secondo coscienza alla costruzione di una realtà pacifica e di un mondo unito.

 

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Casalmaggiore, nuova vita per la chiesa di San Rocco

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Torna a vivere a Casalmaggiore la chiesa di San Rocco. Dopo quindici anni di interventi di messa in sicurezza e quasi 300mila euro già investiti, la chiesa affacciata sul Grande Fiume torna a essere visitabile al pubblico. Un successo di comunità riuscito grazie alla dedizione e alla volontà di numerosi protagonisti che hanno creduto nel patrimonio storico e culturale di quell’edificio impresso nella memoria e nella devozione popolare.

«È stato un percorso lungo, ma i risultati ora saranno visibili nella loro interezza e bellezza», commenta l’architetto Gabriele Pezzini, che ha curato il progetto di recupero sviluppato in due “lotti” negli ultimi anni.

«Mai avrei pensato un livello di intervento così felice, ti si apre un mondo – afferma il parroco don Claudio Rubagotti. Insieme all’architetto Pezzini e al professor Marco Orlandi, vorrei ringraziare tutti gli addetti ai lavori, la Soprintendenza e la Curia per l’accesso ai fondi Pnrr e la società Abstract per aver gestito tutte le procedure amministrative e contabili derivanti dal finanziamento».

Il lavoro di riqualificazione della chiesa, in rovina dall’esondazione del Po del 1951, risale al lontano 2008 con i primi puntellamenti, poi fermati per mancanza di fondi. Quindi dieci anni di silenzio, rotto soltanto grazie all’opera di divulgazione del professor Orlandi e agli appelli da parte degli studenti dell’Istituto Romani con numerose iniziative. Solo nel 2019, grazie all’azione diretta di Gabriele Barucca, Soprintendente all’Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Cremona, Lodi e Mantova, furono stanziati 100mila euro alla parrocchia di Casalmaggiore per la messa in sicurezza dell’edificio, compromesso dopo il terremoto del 2012.

Nel dicembre 2021, al termine del primo intervento urgente da 56.620 euro, gestito direttamente dalla Soprintendenza, con un nuovo contributo condizionato al 50% di 76.412 euro dal bando di Fondazione Cariplo, è continuata l’imponente opera di restauro. Nel 2022 l’ulteriore finanziamento di 200mila,  grazie al bando del Pnrr gestito dall’Ufficio Beni culturali della Diocesi di Cremona, che ha sempre operato in accordo con la Sovrintendenza. Con questi fondi è stato possibile «recuperare le volte interne e i collegamenti verticali del vecchio campanile, realizzare una copertura leggera per la protezione dalle infiltrazioni meteoriche e una legatura orizzontale di rinforzo sismico, consolidare gli spalloni di sostegno dell’arcata a protezione degli angeli in stucco e di accesso all’edificio», ha spiegato Pezzini. Ora la facciata è libera dalle impalcature protettive, lo spazio interno del presbiterio è sicuro, la cripta sotterranea è visitabile.

Nel futuro imminente restano da salvare gli affreschi interni e ripulire definitivamente le sculture esterne e, grazie a questa oculata riqualificazione ambientale, far rivivere questo luogo caro ai maggiorini con nuove possibilità di utilizzo.




X Biennale Don Primo Mazzolari, fino all’11 febbraio 14 artisti in mostra a Palazzo dei Principi

Ritorna il Premio d’arte “Città di Bozzolo” dedicato a Don Primo Mazzolari dopo quattro anni di assenza e in una veste nuova e di largo respiro, con l’inaugurazione della mostra biennale internazionale da lui ideata nel 1954 e allestita nel rinnovato Palazzo dei Principi. Promossa dal Comune di Bozzolo e dalla Fondazione Don Primo Mazzolari e sostenuta da Enti e Istituzioni nazionali e locali, l’edizione 2023 è curata da Matteo Galbiati e vede 14 artisti partecipanti in corsa per il premio, assegnato da una giuria composta da esperti da tutto il mondo, e per un riconoscimento della giuria popolare, assegnato all’opera più votata dal pubblico dei visitatori.

Nel pomeriggio di sabato 2 dicembre, nella Sala Civica di Bozzolo, è stata presentata la rassegna d’arte, giunta alla XVI edizione sul tema mazzolariao “Ripensare lo spazio e il tempo” con alcune novità e che ha ottenuto l’alto riconoscimento della “Medaglia del Presidente della Repubblica”. Erano presenti, oltre al curatore, ai partecipanti e il pubblico, il sindaco Giuseppe Torchio, l’assessore comunale ai Beni culturali Irma Pagliari, il parroco don Luigi Pisani, il segretario della Fondazione Daniele Dall’Asta, il prefetto di Mantova Gerlando Iorio e il presidente della Provincia di Mantova Carlo Bottani. I quali hanno ringraziato tutti gli sponsor, i volontari, i collaboratori e gli studenti che hanno contributo alla realizzazione di questa manifestazione.

«Si tratta di una tappa importante nel percorso virtuoso per entrare nel sistema del turismo religioso e delle città patrimonio Unesco», ha esordito il sindaco Torchio nel complimentarsi con gli artisti. Nella prospettiva di valorizzare il patrimonio culturale locale, infatti, questa mostra rappresenta «il tassello di un quadro più ampio in grado di offrire al territorio delle nuove opportunità», per le ricadute sociali ed economiche.

Concetto ripreso anche dal presidente della Provincia di Mantova Bottani, il quale ha lodato queste operazioni «per rendere più attrattivi» questi nuovi «contenitori» alla comunità locale. Il prefetto di Mantova Iorio, citando don Mazzolari, ha voluto ricordare come queste iniziative siano tipiche dell’atteggiamento cristiano, «dell’uomo di pace e non dell’uomo in pace» in grado di modificare il tempo in cui si vive. Il segretario della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, Daniele Dall’Asta, infine, ha portato i saluti della presidente della Fondazione Paola Bignardi, ricordando come «il tema scelto per l’edizione 2023 permette di richiamare l’importanza che spazio e tempo ebbero nella vita di don Primo» e di come la mostra è un tentativo di reinterpretare «l’essenziale di un messaggio che è per noi preziosa eredità».

Dato quindi lo spessore di questo premio storico si è avvertita nel comitato tecnico-scientifico e nel curatore «la responsabilità di rinnovare il premio in alcune sue caratteristiche», ha spiegato l’assessore alla Cultura Pagliari. Più giorni di esposizione, una veste grafica accattivante, conferenze e laboratori didattici sono le principali novità; ma soprattutto «la proclamazione dei vincitori e la premiazione avverranno l’ultimo giorno della mostra per creare maggiore partecipazione del pubblico nel votare la propria opera preferita». Inoltre, il vincitore verrà premiato con l’allestimento di una esposizione personale nel corso del 2024.

In questa relazione tra innovazione e tradizione «anche un piccolo centro come Bozzolo può accogliere grandi progetti improntanti alla contemporaneità», ha detto il curatore Matteo Galbiati nel presentare la rassegna e il processo di selezione delle opere. Il tema è diventato così titolo sul quale il curatore della mostra e della successiva monografia ha selezionato gli artisti partecipanti «dal curriculum già affermato» e «giovani dallo sguardo più aperto possibile», in un «senso di responsabilità nei confronti del pubblico e di una figura lungimirante come fu don Mazzolari» in grado di guardare il presente e in avanti. Tra ottiche e prospettive nuove – fili rossi dell’inaugurazione – Galbiati ha cercato artisti «in grado di sollevare domande invece di confermare risposte». Pittura, scultura e fotografia le discipline in esposizione, in un percorso espositivo in grado di metterle in relazione tra loro «sui temi comuni della natura, del sociale e del trascendentale per ritrovare un senso di comunità».  La mostra sarà visitabile fino all’11 febbraio 2024 nel Palazzo dei Principi di Bozzolo

Questi gli artisti in mostra: Alessandra Baldoni, Cesare Galluzzo, Armida Gandini, Marco Grimaldi, Asako Hishiki, Carla Iacono, Tamas Jovanovics, Lev Khesin, Gianni Moretti, Patrizia Novello, Maurizio Pometti, Gianluca Quaglia, Lucrezia Roda, Attilio Tono.




La veglia della Gmg ha illuminato le strade di Cremona

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Luoghi, parole e gesti di speranza. È quel «sentimento di Dio», nella fatica e nel dolore, «capace di motivare l’impegno e la testimonianza concreta di cambiare in meglio noi stessi e il mondo in cui viviamo». All’alba di un nuovo anno liturgico si riverbera ancora la luce dell’esperienza della Gmg: nel pomeriggio di sabato 25 novembre, infatti, si è svolto il raduno diocesano della 28ª Giornata mondiale della gioventù, in comunione con tutte le diocesi del mondo. Insieme al vescovo Antonio Napolioni più di un centinaio di giovani, provenienti dalle varie parti della diocesi, hanno così vissuto la veglia itinerante di preghiera e riflessione lungo le vie del centro cittadino.

Un’edizione “ridotta” del grande raduno internazionale sul tema “Lieti nella speranza” scelto da Papa Francesco. Grazie alla collaborazione con l’unità pastorale Cittanova, insieme ai collaboratori della Federazione Oratori Cremonesi, guidati da don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile, e animato dal coro Effatà di Calcio, l’evento è stato caratterizzato da quattro momenti simbolici legati all’esortazione di san Paolo. Uno stimolo per le giovani generazioni a mettersi in cammino per le strade della città e in quelle fatidiche, ma entusiasmanti, della quotidianità seguendo questo atteggiamento dello spirito cristiano.

Nel cortile dell’oratorio di Sant’Ilario è avvenuto il ritrovo dell’iniziativa. Alcuni pannelli hanno raccontato la storia millenaria del monastero Corpus Domini, poi caserma e ancora centro di accoglienza degli ebrei liberati dai campi di prigionia e dei profughi italiani dalla guerra. Luogo di speranza nel passato in grado di parlare al presente; ambiente di ospitalità di chi aveva perso tutto; spazio di cura e crescita nella fede di ragazzi e famiglie. «Altri luoghi di speranza esistono anche oggi: le nostre case, gli oratori, i centri alla vita. Noi quali di questi abitiamo e con quale stile ci facciamo portatori di speranza con le nostre parole e i nostri gesti?». Lì l’accensione di una lanterna: luce che ha guidato la processione verso la vicina chiesa di Sant’Agata.

Accompagnati dalla riflessione di don Marco D’Agostino, biblista e rettore del Seminario di Cremona, i giovani hanno così ascoltato il capitolo 12 della Lettera ai Romani dell’apostolo. Allora come oggi, il testo si rivolge ad una comunità che sta vivendo un periodo storico di grande difficoltà. «Gioia e tristezza, fiducia e vuoto sono binomi dentro di noi: la speranza è, anzitutto, un risvolto che riguarda tutta la comunità dei credenti. Non è qualcosa di personale, che “ce l’ho”, oppure “mi manca”. La speranza è il fondamento, prima della tribolazione e della preghiera. Se si è insieme è tutta un’altra musica». Questa lietezza nasce dall’amore concreto e senza maschere di chi vuole amare ed essere amato; ed è il sentimento di Cristo riversato nei cuori di ognuno e grazie ad essa «è possibile avere fiducia in Dio e negli uomini».

 

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Finita la meditazione il gruppo si è incamminato in modo ordinato verso piazza del Comune, portando con sé altre lanterne; gesto simbolico per tanti coetanei afflitti da guerre e violenze a tenere viva la fede nel domani. Le luci sono state poi appoggiate davanti all’ingresso della Cattedrale, di fronte alla croce della Gmg. Dopo un altro intenso momento di raccoglimento, i partecipanti sono entrati in una chiesa in penombra, prima di illuminarsi per l’ultimo atto della veglia: l’esposizione del Santissimo Sacramento tra letture, preghiere, canti e silenzio. «È bello sapere che tanti altri giovani e chiese di tutto il mondo cercano e trovano in Te presenza e compagnia in grado di rimettersi in cammino – ha detto il vescovo nella meditazione –. Tu sei in chi ci sta accanto, a chi non c’è, anche a chi è più lontano e indifferente. Questa sera stringhiamo di nuovo il patto con te e con i fratelli e le sorelle ad essere cittadini operosi, membra vive e pietre preziose non per nostri meriti ma per ciò che tu fai di noi ogni volta che ci abbandoniamo con fiducia a te».

Dopo la lettura di un passaggio del messaggio del Papa è seguito il momento della preghiera dialogata in favore della pace, ispirata dalle parole del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, scritte alla sua Diocesi allo scoppio del conflitto in Terra Santa: «Non possiamo vivere questo tempo estremamente doloroso senza rivolgere lo sguardo verso l’Alto, senza guardare a Cristo, senza che la fede illumini il nostro sguardo su quanto stiamo vivendo, senza rivolgere a Dio il nostro pensiero». A concludere il momento in Cattedrale, la benedizione impartita dal vescovo, che ha consegnato ai rappresentanti di parrocchie, associazioni, movimenti e comunità religiose un piccolo cero a ricordo e invito di questa giornata a tenere viva la speranza.




Casalmaggiore, mentre Palazzo Abbaziale si prepara al prossimo vento presentato il calendario parrocchiale

Foto: Massimo Francesconi

Un solo dato, seppur approssimativo, può dare la forza di un progetto, di una visione, di una prospettiva. Nei quindici giorni di apertura della mostra circa 1.000 persone hanno visitato la rassegna d’arte contemporanea, curata da Paride Pasquali, allestita nelle splendide sale del restaurato Palazzo Abbaziale delle parrocchie di Casalmaggiore. Un chiaro segnale che l’esperimento di unire l’arte odierna con quella del passato, per dare un nuovo senso e vita a quegli spazi un tempo abbandonati, ha avuto successo. «Il bilancio è oltre ogni aspettativa», ha detto Pasquali, il quale ha ringraziato ancora una volta il parroco don Claudio Rubagotti «per la fiducia nel gestire per sei mesi questo bellissimo palazzo», gli artisti partecipanti con le loro opere, allo sponsor Borciani-Bonazzi e al corpo di ballo di Nilla Barbieri.

Nel pomeriggio di domenica 12 novembre, a chiusura della mostra è stato offerto un suggestivo spettacolo dalle ragazze della scuola Dimensione Danza della Barbieri. Le ballerine hanno espresso la poesia del movimento nelle sale dove sono state esposte sculture, pitture e ceramiche degli artisti provenienti dal comprensorio e non solo. Un dialogo tra le arti molto apprezzato dal folto pubblico presente. «Quanto abbiamo fatto è una piccola goccia nell’oceano, spero la nostra offerta serva a qualcosa per un territorio difficile e complicato», ha detto Pasquali.

Anche don Rubagotti si è detto soddisfatto del risultato positivo dell’iniziativa. «Mi ha commosso vedere così tanta gente, ma soprattutto così tanti giovani; e non mi sto riferendo ai bravi ragazzi dell’istituto ‘Romani’ coinvolti come guide dalla professoressa Chiara Zani, la quale ringrazio assieme a Pasquali, ai diciotto artisti e a Marco Visioli per il grande impegno in tutti questi mesi». Il parroco, infatti, ha ricordato lo scopo di far abitare nuovamente questi ambienti dall’intera comunità casalasca. «Non si tratta solo di aver recuperato un muro fine a sé stesso ma, come diceva anche don Gianluca Gaiardi all’inaugurazione, è anche necessario coinvolgere le persone affinché l’uomo abiti le sue strutture». A dicembre, grazie agli scatti del Fotocine Casalasco, sarà allestita una mostra fotografica per dare continuità e memoria a questa proposta di vivere il Palazzo Abbaziale. «C’è la possibilità di aprire questo spazio anche ad altre iniziative culturali o artistiche – sarà il palazzo stesso a suscitare nuovi progetti – a patto di prendersene cura e garantire appunto la continuità della struttura», ha aggiunto don Claudio. 

A chiusura della mostra d’arte contemporanea, sempre nell’ottica di promozione del patrimonio artistico e culturale delle chiese maggiorine, è stato anche presentato il nuovo calendario parrocchiale. Una tradizione cominciata qualche anno fa e curata da Angela Bigi, con le fotografie di Paolo Mangoni, per divulgare le opere artistiche degli edifici sacri. E come fu un tempo il Palazzo Abbaziale, stavolta il luogo poco accessibile da mostrare al pubblico è la sala con la volta a botte “lunettata” situata a destra della chiesa di San Francesco e i suoi affreschi. Come si legge nella presentazione del calendario, sono undici medaglioni «raffiguranti l’Adorazione dei Magi, l’Immacolata Concezione ed alcuni personaggi dell’Antico Testamento»; sono stati realizzati da Galeotti Sebastiano (Firenze 1675 – Mondovì 1741) per la sagrestia della chiesa francescana «e sono da mettere in relazione con i lavori di riedificazione del convento iniziati nel 1713. L’impatto è felice e sorprendente, con reminiscenze “tiepolesche”». Il ricavato del calendario, acquistabile a 10 euro nelle chiese della parrocchia, servirà per affrontare «l’urgente e non più procrastinabile intervento di restauro» degli stessi affreschi. Come ogni anno, il parroco conclude con una provocazione: «chi immaginerebbe, percorrendo via Cavour, che oltre la “foresta amazzonica” e l’edilizia post-moderna vi sia un ambiente così carico di fascino? Sorprendersi… coltivando la curiosità, indagando oltre l’apparente banalità». 




Casalmaggiore, una mostra d’arte dà nuova vita al Palazzo Abbaziale

 

Il Palazzo Abbaziale di Casalmaggiore non ha ritrovato solo la vita, ma finalmente anche uno scopo. L’edificio settecentesco, dopo essere stato presentato in tutto il suo splendore al termine dei lavori di restauro, torna a essere vissuto, abitato, condiviso dalla comunità di Casalmaggiore. Uno “scrigno”, come l’ha spesso definito il parroco don Claudio Rubagotti, un tesoro sepolto nel corso degli ultimi decenni la cui ricchezza aveva bisogno di un nuovo senso. E il modo migliore per celebrare questo “secondo” inizio dell’edificio parrocchiale è occupare con arte contemporanea le sue antiche sale recuperate dal degrado.

È stata così inaugurata nel pomeriggio di domenica 29 ottobre la grande mostra collettiva allestita all’interno delle sale Palazzo Abbaziale. Circa 200 opere di diciotto artisti, tra veterani ed esordienti, provenienti da Cremona fino a Verona, di diverse discipline e soprattutto stili differenti, per un’esposizione raffinata ma accessibile a tutti, in simbiosi con l’ambiente d’epoca delle splendide sale restaurate negli ultimi anni. La mostra sarà visitabile fino al 12 novembre tutti i giorni dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.00. L’iniziativa è stata promossa e curata dall’artista gussolese Paride Pasquali in collaborazione con le parrocchie di Casalmaggiore e realizzata insieme all’associazione culturale Inventio, all’I.I.S. “G. Romani”, con il patrocinio del Comune maggiorino e la sponsorizzazione del pennellificio Borciani-Bonazzi.

«Sono veramente contento perché si realizza un piccolo sogno, una piccola speranza», ha detto don Rubagotti davanti a un auditorium “Giovanni Paolo II” all’Oratorio Maffei affollato con il pubblico delle grandi occasioni. Tra i presenti, insieme al curatore Pasquali, il critico d’arte Gianluigi Guarnieri, l’incaricato diocesano per Beni culturali ecclesiastici don Gianluca Gaiardi, il sindaco Filippo Bongiovanni, la professoressa Chiara Zani insieme ad alcuni studenti del Romani e Sara Zanafredi in rappresentanza di Borciani-Bonazzi, sponsor principale della rassegna. «Mi piace pensare che questi ambienti un domani non saranno vuoti, ma siano un laboratorio di idee dove pensare e sognare di nuovo e stupirsi come oggi davanti a tante opere d’arte» ha aggiunto il parroco al termine dei ringraziamenti.

Gli interventi per guardare al futuro e i progetti per valorizzarne il presente, il rapporto tra vecchi committenti e nuove forme per rappresentare la spiritualità, il fascino dell’antico e la forza della contemporaneità: tutti temi che trovano nella mostra collettiva del Palazzo Abbaziale una sintesi stimolante e affascinante.

«La vostra numerosa presenza mi ripaga degli sforzi di questo progetto nato sette mesi fa – ha detto il curatore Pasquali –. L’intenzione era infatti quella di portare un gruppo di artisti, ciascuno con una propria personale e con una piccola offerta, per aiutare le parrocchie e don Claudio a concludere i restauri dei locali dell’edificio».

Opere di pittura, scultura e ceramica della contemporaneità, dunque, in dialogo con gli affreschi e le sale della vetusta dimora religiosa.

«Mesi fa ho avuto modo di vedere questa meraviglia nel momento del restauro e dissi a Paride di parlare degli spazi e del lavoro progettuale», ha raccontato il critico Guarnieri, il quale ha anche scritto l’introduzione del catalogo curato dal grafico Marco Visioli. «È come nell’antica arte romanica nella quale bisognava arrivare all’altare percorrendo lo spazio delle arcate; ogni scelta del curatore non è stata casuale, perché i colori degli affreschi sulle pareti e le opere esposte si integrano in un tutt’uno». Un dialogo molto difficile da costruire, dunque, tra le sale di un tempo e diverse espressioni artistiche, per raccontare non solo le opere ma anche gli spazi; «un percorso creato ottimamente da Paride nelle forme, nei colori e nella materia in grado di dare un senso unico e imprescindibile a questa mostra. Spero non sia l’unica volta e che in futuro si organizzino altri eventi in questo luogo».

A garantire questo passaggio di consegne ci penseranno alcuni studenti del Romani i quali, coinvolti dalla professoressa Chiara Zani, parteciperanno come guide per illustrare al pubblico la storia del Palazzo Abbaziale e le opere degli artisti in mostra. «L’apprendimento passa attraverso l’esperienza e questi ragazzi, mettendosi in gioco, hanno imparato anche la competenza della comunicazione – ha detto la docente –. Inoltre, in questa occasione, questi studenti hanno visto dagli adulti come dare vita ad un luogo per molto tempo nascosto e oggi di nuovo vivo. Si sono così legati alla storia della città e quindi, in futuro, conserveranno il ricordo di quanto sia importante la memoria e forse un giorno organizzeranno una mostra per dare vita a realtà dimenticate».

Don Gaiardi, invece, tornando sul rapporto tra arte religiosa e contemporanea, ha aggiunto come «abbiamo bisogno che gli artisti di oggi ci parlino della loro spiritualità e ci aiutino a comprenderla e coglierla anche nell’astratto». Ricordando l’importanza dei restauri finora svolti e la necessità di trovare una nuova destinazione alla struttura, «credo che una mostra di arte contemporanea in un contesto del genere serva per ricucire un rapporto deteriorato tra Chiesa e artisti, ma anche suscitare qualcosa del bello e del vero».

Il sindaco Bongiovanni, quindi, ha ricordato i primi finanziamenti nel lontano 2009 di Fondazione Cariplo e come «ci sia ancora bisogno dell’aiuto di tutti per cercare di riportare alla luce tutto il bello che c’è nel palazzo Abbaziale. Oggi vederlo recuperato, insieme a tutte le bellezze prima celate, è stata una piacevole sorpresa».

Un lungo lavoro portato avanti da numerose persone, «dopo tanti anni di lavoro, difficoltà e burocrazia, grazie alla collaborazione dei parroci che si sono succeduti, all’Ufficio diocesano Beni culturali e della Sovrintendenza di Brescia e Mantova», come ha ricordato il geometra Stefano Busi. «Siamo riusciti a rispettare la storia e il contenuto di chi ha avuto l’idea di realizzare questo bellissimo palazzo; un fabbricato storico che ha bisogno di essere vissuto rispettarlo e poi organizzare mostre come queste».

Infine Zanafredi, in rappresentanza di Borciani-Bonazzi, storica azienda manifatturiera di strumenti per l’arte apprezzata da artisti, grafici ed enti di tutto il mondo, ha sottolineato «l’impegno significativo di Paride e l’imponenza della rassegna; i locali sono preziosi e quanto di meglio si possa immaginare per un’esposizione simile».

Questi gli artisti in mostra: Roberto Bedani, Andrea Federici, Chiara Federici, Giordano Garuti, Andrea Ghisoni, Ulisse Gualtieri, Gioacchino La Barbera, Isaia Lazzari, Patrizio Marigliano, Cristina Mazzotti, Franco Mora, Paride Pasquali, Enrico Dennj Peretto, Roberto Sirocchi, Silvio Soliman, Francesco Vitale, Gianna Zanafredi e Giuseppe Zumbolo.




Casalmaggiore, al museo Diotti inaugurata la mostra che celebra Tommaso Aroldi

Una mostra in cui si illumina un territorio intero. Le chiese e le architetture civili dell’Oglio-Po da lui dipinte come “sale” di una grande galleria. Ma soprattutto i disegni inediti per scoprire la sua sconfinata curiosità. È forse questo il modo migliore di celebrare il talento poliedrico e inesauribile di Tommaso Aroldi, artista a tutto tondo e di punta del comprensorio casalasco a cavallo tra il IXX e il XX secolo, a cui è stata dedicata una prima personale inaugurata nella cornice del Museo Diotti di Casalmaggiore nel tardo pomeriggio di sabato 21 ottobre. Organizzata dall’ente museale insieme al Comune locale, con il contributo di Regione Lombardia, il patrocinio della Diocesi dei Cremona e la collaborazione del Comune di Guastalla, della Biblioteca Maldotti e della Pomì, la rassegna del pittore e architetto originario di Martignana di Po ha nel Diotti il punto di partenza del percorso creativo di Aroldi concentrato nell’arco di un trentennio. 

«Non è stato facile collocare una figura così ricca e variegata in questo luogo», ha esordito il curatore della mostra e del catalogo Valter Rosa durante la presentazione della raccolta d’arte. Alcuni ambienti del museo diretto dalla Roberta Ronda sono stati infatti riorganizzati in diverse sezioni, dagli esordi giovanili fino alle decorazioni d’interni, per offrire al pubblico «le numerose espressioni di questo artista prolifico e apprezzato anche a livello internazionale». Formatosi fra le Accademie di Parma e di Firenze dal 1885 al 1892 e attivo in un’area estesa della Bassa, comprendente Casalmaggiore e la provincia di Cremona, con importanti “sconfinamenti” nel Mantovano e nel Reggiano, Aroldi ha avuto una produzione intensissima praticamente in ogni campo. Dalla pittura da cavalletto dalle progettazioni architettoniche fino ai pendenti. Un’eredità così significativa, quella di Aroldi, «un “profeta in patria” in grado di disegnare l’aspetto e lo skyline della città», ha aggiunto il sindaco Filippo Bongiovanni. Considerevole è stata soprattutto la sua attività nell’edilizia urbanistica, come per il Palazzo Ducale e il Teatro Ruggeri di Guastalla, privata e dei luoghi di culto. In questo ultimo ambito fruttuosi e fecondi sono stati gli interventi pittorici o di restauro di Aroldi, sia di interi cicli decorativi come in S. Agata a Cremona, che di intera ri-progettazione, come la facciata della chiesa parrocchiale di Vicomoscano. 

Una rassegna dunque su larga scala, per la cui realizzazione sono state impiegate numerose forze e risorse, come ha ricordato l’assessore alla Cultura Marco Micolo, «grazie all’amministrazione comunale e all’impegno degli addetti ai lavori, in particolare allo studio e alla generosità del comitato artistico-scientifico e dei volontari di questa esposizione». Una rassegna resa possibile anche «grazie alla preziosa collaborazione dei discendenti», come ha ricordato Bongiovanni, e «ai proprietari delle abitazioni private», ha detto Rosa. In particolare, gli eredi hanno reso disponibili numerosissimi disegni – tra bozzetti, cartelloni e grafiche –, «del materiale mai visto prima e rivelatore sul talento e l’attività inedita di Aroldi perfino oltre i confini locali, oltre ad aprire nuove indagini sul profilo dell’artista» ha sottolineato Rosa. 

Un vero e proprio imprenditore dell’arte in grado di coinvolgere i più bravi artigiani della zona, oltre ai suoi più promettenti allievi della scuola di disegno “Bottoli” dove insegnò per quasi vent’anni, e lasciare un segno soprattutto nelle architetture civili e religiose. Si tratta di chiese, le cui aperture sono garantite solo a ridosso delle celebrazioni liturgiche, e di dimore private che – in quanto tali – sono visibili esclusivamente dall’esterno. All’interno del Museo Diotti è stato dunque installata una postazione con il quale integrare il percorso espositivo con la presentazione di materiali che per la loro natura risultano inamovibili. La mostra sarà visitabile fino al 31 dicembre 2023, con l’ingresso compreso nel biglietto d’accesso alle sale.




SOS dalla cupola del Duomo di Casalmaggiore: presentati gli interventi di recupero

È il simbolo della città e del suo importante passato. È quel “monte” visibile per chilometri e che attira gli sguardi su di sé, come ricordò il vescovo Antonio Napolioni nella sua ultima visita pastorale. È richiamata negli eventi, nelle feste, nelle iniziative della cittadinanza. È la cupola del Duomo di Casalmaggiore; una maestosità fragile e malata su cui le parrocchie casalasche hanno deciso di intervenire con un cantiere ad alta quota. Nel pomeriggio di sabato 7 ottobre, all’auditorium “Giovanni Paolo II” dell’Oratorio Maffei, è stata organizzata una presentazione pubblica dei prossimi e decisivi interventi strutturali all’edificio sacro. In particolare, si è mostrato l’iniziale e urgente restauro architettonico della lanterna della cupola della chiesa, ormai pericolosamente a rischio crollo dopo il terremoto del 2012.

Oltre al parroco don Claudio Rubagotti presente l’incaricato diocesano per i Beni culturali don Gianluca Gaiardi, il geometra e supervisore dei lavori Stefano Busi e il grafico Marco Visioli. Poco il pubblico presente, tra cui il sindaco Filippo Bongiovanni e il vicesindaco Giovanni Leoni. Un dettaglio che il parroco don Claudio Rubagotti ha rimarcato all’introduzione dell’appuntamento. «È qualcosa che riguarda e appartiene a tutti: il Duomo non l’ho fatto e voluto io ma, è una realtà condivisa. Spero ci sia un passaparola su che cosa si sta facendo a questa grande struttura e come intendiamo recuperare le risorse economiche per affrontare questa spesa immane».

Le operazioni di messa in sicurezza della lanterna e del tamburo della cupola, il primo e il secondo lotto delle tappe previste per il restauro della chiesa, comportano infatti da sole una spesa di circa un milione di euro. Un percorso finanziato per il 70% dalla Conferenza episcopale italiana tramite i contributi dell’8xmille per i successivi tre anni e svolto in sinergia con l’Ufficio Beni culturali della Diocesi, la Soprintendenza, le ditte partecipanti e i professionisti tecnici coinvolti. Le restanti e ingenti spese restano a carico delle parrocchie.

Don Gianluca Gaiardi ha descritto le scelte prese nel corso del tempo per il recupero e la conservazione della struttura, descrivendo questa progettualità «complessa, articolata e potenzialmente poco costosa» e in che modo la Diocesi «si è messa in gioco» nei processi burocratici per l’ottenimento delle autorizzazioni e dei contributi previsti «cercando di contenere le spese dei cantieri». Infatti, l’elemento oneroso dei preventivi di spesa è la creazione del ponteggio per la realizzazione del cantiere ad alta quota, a quasi 52 metri di altezza. «Ci auguriamo che le preoccupazioni non siano solo dei tecnici, dei sacerdoti o degli amministratori, ma anche di una comunità informata e che si prenda carico insieme di questa bellezza».

Il geometra Stefano Busi ha illustrato la critica situazione attuale e le soluzioni mirate a livello strutturale del “cupolino”, dove «la difficoltà maggiore è proprio l’altezza nel quale verranno eseguiti tali interventi». Se dall’esterno il suo aspetto sembra integro, all’interno i tecnici hanno rilevato «grosse sorprese purtroppo negative». Una volta costruito il ponteggio elevato e collaudato l’ascensore nel vano centrale, l’accesso all’interno della stretta lanterna ha mostrato la fragilità dei muri e come essa, durante il sisma, sia ruotata su se stessa e sia staccata dal resto della struttura, rimanendo «in piedi grazie alla forza di gravità».

L’intervento, dunque, consisterà nella sistemazione dei serramenti in ferro e nell’unione delle componenti esterne e interne del “cupolino” tramite perforazioni, in cui saranno inseriti dei tiranti d’acciaio per “ancorare” tutta la struttura in una sorta di “cintura” di sicurezza. La medesima operazione sarà eseguita anche con il tamburo sottostante, «rendendo tutta la cupola un corpo unico». Il secondo step, sfruttando dunque la presenza del ponteggio, «sarà risanare i serramenti lignei del tamburo, la verifica di tutte le vetrerie e infine il rinforzo dei maschi murari». In futuro si metterà mano al manto del tetto del Duomo e del sottotetto, anch’esso gravemente danneggiato dalle infiltrazioni d’acqua, «cominciando dall’abside alla sagrestia», per poi concludersi «sul portale d’ingresso e la parte sulla Fondazione Busi».

Da qui il nuovo appello di don Claudio a partecipare con una libera donazione, in particolare con l’iniziativa della raccolta fondi ogni terza domenica del mese durante le Messe, per arrivare alla copertura necessaria delle spese di cura questo simbolo incerottato.