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Serata di musica e arte a Sant’Agostino per i 500 anni della morte del Perugino

Quella di Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, è una storia che inizia nell’Umbria del 1450, ma che si diffonde molto presto nelle principali città d’arte di tutto il Paese, da Perugia a Firenze, da Roma fino a Cremona. E proprio a Cremona il passaggio dell’artista lascia una traccia che si può ammirare ancora oggi, la Pala Roncadelli, una stupenda opera d’arte che si trova nella chiesa di Sant’Agostino.

Per i 500 anni dalla morte del pittore, CrArT (Cremona Arte e Turismo) ha deciso di organizzare un concerto in omaggio all’artista proprio nella chiesa dove è custodito uno dei suoi capolavori, attraverso un racconto non solo della sua storia, ma anche della musica che nel ‘400 caratterizzava la realtà di Perugia, sottolineando la vasta gamma di forme compositive e di strumenti musicali in uso in quell’epoca.

Lo spettacolo, che si è tenuto nella serata di sabato 9 dicembre, è stato diviso in sequenze caratterizzate dalla voce narrante di Simone Pepponi Fortunati che si sono alternate a momenti musicali offerti dall’ensemble I Trobadores, gruppo di musicisti reso unico dalla presenza di tre voci e di strumenti rinascimentali che producono melodie che trasportano l’ascoltatore in epoche passate della storia italiana, risultato ottenuto anche grazie allo studio del manuale 431, opera conservata nella Biblioteca Augusta di Perugia che raccoglie gli usi musicali del periodo quattrocentesco.

«Perugino è un artista che ha rivoluzionato il modo di vedere l’arte nella nostra città – ricorda Tommaso Giorgi, presidente di Cremona Arte e Turismo – partendo proprio dalla chiesa di Sant’Agostino, portando anche qua quella che oggi definiamo arte rinascimentale».

Una ricorrenza celebrata con un evento di narrazione e musica, facendo idealmente incontrare Cremona con l’Umbria, ascoltando la vita e le opere di un autore che ha aperto la strada a nomi come quello di Raffaello.

La serata in Sant’Agostino è stata un excursus storico attraverso i momenti più importanti e caratterizzanti della vita del Perugino, fra i quali i capolavori riprodotti nella Cappella Sistina a Roma, la produzione alla corte del Magnifico a Firenze, e ovviamente la commissione cremonese della famiglia Roncadelli per una pala d’altare da collocare nella chiesa di Sant’Agostino, luogo in cui di può tuttora ammirare.




Il vescovo Napolioni per i 120 anni dell’Unitalsi: «Un motore di carità, di condivisione, che fa bene a tutti»

 

Quella dell’Unitalsi è una storia di servizio che dal 1903, anno della sua fondazione, si è sempre alimentata del desiderio di essere uno “strumento” nelle mani di Dio, per portare la speranza dove c’è disperazione, un sorriso dove regna la tristezza. Partendo dai pellegrinaggi con i malati a Lourdes, con l’aiuto della Provvidenza, ha realizzato una serie numerosa di progetti in grado di offrire risposte concrete ai bisogni di ammalati, disabili e persone in difficoltà.

120 anni di servizio che sono stati celebrati dalla Sottosezione di Cremona dell’Unitalsi nella mattinata di domenica 3 dicembre, con la Messa presieduta dalle 11 nella Cattedrale di Cremona nel contesto della Giornata dell’adesione dell’Unitalsi, che come tradizione è stata vissuta nella Prima Domenica di Avvento. Presenti, insieme al presidente della Sottosezione cremonese Tiziano Guarneri, dame e barellieri, con volontari e amici dell’associazione che da più di un secolo è in prima linea nella missione dell’aiuto e del sostegno ai malati e ai bisognosi. Insieme al Vescovo hanno concelebrato l’assistente dell’Unitalsi cremonese, don Marizio Lucini, il rettore della Cattedrale, mons. Attilio Cibolini, e alcuni altri canonici della Cattedrale.

Nella sua omelia il vescovo di Cremona ha ringraziato l’Unitalsi e i suoi volontari per la presenza e l’impegno che muove le loro azioni, sottolineando che «è eloquente la vostra attività, ma soprattutto il senso di ciò che tanti anni fa fu intuìto come bello: accompagnare i malati a Lourdes e ai santuari d’Italia e del mondo». E riferendosi alla missione dei volontari, mons. Napolioni ha rivelato che «il senso è più profondo, è più universale, perché in questo gesto noi vediamo qualcosa che dice che la vita e la missione di tutta la Chiesa. Accompagna il mondo malato, di cui siamo parte, al tempio di Dio, cioè al monte santo, al santuario, laddove tutte le attese e le speranze vengono esaudite in maniera sovrabbondante dalla presenza misteriosa e fedele di Dio che dona se stesso, che dona il perdono, che dona la salvezza».

«Sono molto più frequenti e facili le guarigioni interiori che non quelle del corpo – ha ricordato il vescovo Napolioni –. Ed è quella la guarigione di cui tutti abbiamo bisogno, perché questa è la malattia del nostro tempo, aver smarrito il senso della vita, cadere nella disperazione, nella sfiducia», che è «tentazione radicale, costante del popolo di Dio, dell’umanità».

Ha poi concluso dicendo che «se Unitalsi significa trasporto ammalati, che bello che invece con il tempo cresca un’amicizia, una fraternità, un senso di comunità in cui io oggi aiuto te e domani tu aiuti me, e il più debole diventa un motore di carità, di condivisione, che fa bene a tutti. Questo è il volto di Dio incarnato».

I molteplici progetti dell’Unitalsi rappresentano da 120 anni un’opportunità per quanti vogliono condividere l’importante missione della carità, scegliendo l’ambito più vicino alla propria sensibilità e alle proprie attitudini, pronti a offrirsi per il prossimo, in un servizio fatto di vicinanza, ascolto e fede.

Per l’Unitalsi cremonese la mattinata si è conclusa in Seminario con un momento di festa condiviso.

 

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La storia di Unitalsi

La storia dell’Unitalsi ha un legame particolare con il Santuario Mariano di Lourdes che, ancora dopo più di cento anni dalla fondazione dell’Associazione, è la meta privilegiata dei propri pellegrinaggi.

Era il 1903 quando il fondatore, Giovanni Battista Tomassi, figlio dell’amministratore dei Principi Barberini, partecipò al suo primo pellegrinaggio. Era un ragazzo poco più che ventenne, affetto da una grave forma di artrite deformante irreversibile che lo costringeva in carrozzella da quasi dieci anni; molto sofferente nel corpo e nello spirito per la sua ribellione a Dio e alla Chiesa. Avendo saputo dell’organizzazione di un pellegrinaggio a Lourdes, Tomassi chiese di parteciparvi con una precisa intenzione: giungere dinanzi la grotta di Massabielle e, qualora non avesse ottenuto la guarigione, togliersi la vita con un gesto clamoroso. Ma ciò, fortunatamente, non accadde. Davanti alla Grotta dove l’Immacolata era apparsa a Santa Bernadette, venne colpito dalla presenza dei volontari e dal loro amorevole servizio vedendo quanto la condivisione dei volontari regalava conforto, speranza e serenità ai sofferenti.

Al centro della storia c’è, quindi, la carità vissuta come servizio gratuito dagli oltre centomila aderenti, uomini, donne, bambini, sani, ammalati, disabili, senza distinzione di età, cultura, posizione economica, sociale e professionale.




Il Vescovo nella Messa con i Vigili del fuoco: «La vigilanza non sia ispirata dalla paura, ma dalla tenerezza»

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Il 4 dicembre ricorre la memoria liturgica di santa Barbara, martire cristiana che rappresenta la capacità di affrontare il pericolo con fede, coraggio e serenità anche quando non c’è alcuna via di scampo. Per questo motivo è stata scelta come patrona dei Vigili del Fuoco, Corpo che ne incarna i valori e i principi, e che nella mattinata di lunedì 4 dicembre l’ha festeggiata anche a Cremona con la Messa presieduta alla 11 in Cattedrale dal vescovo Antonio Napolioni.

Per l’occasione i mezzi dei Vigili del fuoco sono stati portati in piazza del Comune: camionette e fuoristrada all’ombra del Torrazzo esibivano la livrea rossa del Corpo nazionale, mentre la Cattedrale accoglieva gli operatori in servizio e quelli già in congedo per la celebrazione della Messa.

Presenti nelle prime file le massime autorità militari del territorio, con il prefetto Corrado Conforto Galli, il questore Michele Davide Sinigaglia, l’assessore per la sicurezza Barbara Manfredeini, il comandante provinciale dei Vigili del Fuoco Antonio Pugliano e i comandanti delle forze armate della città, insieme alle altre rappresentanze istituzionali del territorio.

«Se tutti desideriamo questa sicurezza, questa pace, questa saldezza della Terra, questa qualità dell’aria che respiriamo, questa protezione dai rischi che la vita ci riserva, dobbiamo dire grazie a chi ha scelto di spendersi professionalmente e vocazionalmente per questo scopo» spiega il vescovo Antonio Napolioni nell’omelia riferendosi al Corpo dei Vigili del Fuoco, aggiungendo quindi: «Immagino che in certi momenti i Vigili del fuoco, la Protezione civile, chi va a guarire le ferite della comunità, abbia anche il diritto di arrabbiarsi, perché certe macerie, certi danni, ce li stiamo procurando noi. Allora non si tratta solo di curare. Vorremmo anche prevenire, vorremmo anche lavorare sulle cause che rendono così difficile garantire a tutti questa salvezza».

Il Vescovo di Cremona si è poi soffermato a ragionare sull’importanza della pace, un argomento ad oggi tanto urgente quanto necessario ed impellente, dicendo che «duemila miliardi di dollari o di euro spesi in un anno nel mondo per le armi, se anche solo un dieci percento fosse trasformato in ruspe che non distruggono, ma cantieri che ricostruiscono… Siamo impazziti! Credo che una rabbia e un senso di frustrazione debba prendere chi vigila, chi interviene, chi corre a destra e a sinistra mentre membri della stessa collettività generano queste sofferenze indicibili. Dire la Messa nel giorno di santa Barbara con i Vigili del Fuoco e i rappresentanti delle istituzioni deve essere un momento di presa di coscienza, di indignazione e di progetto politico, sociale, culturale, di cambiamento».

«Siamo chiamati a un cambiamento di stile di vita. I santi intercedono e indicano questa via – spiega mons. Antonio Napolioni – e lungo questa via c’è un passaggio decisivo, che è l’attenzione per la persona», concludendo la riflessione rivelando che «il grande scenario mondiale cambierà se ognuno di noi avrà cura delle relazioni faccia a faccia che lo circondano. Siete vigili di un territorio, ma innanzitutto delle persone che incontrate, e questo dono, questa peculiarità possa diventare il criterio di rinnovamento e di speranza che animi non solo il vostro impegno, ma quello di ciascuno di noi per la sua parte di responsabilità, di relazioni, di attività che fan si che la vigilanza non sia ispirata dalla paura, ma dalla tenerezza».

 

Omelia del vescovo Napolioni

 

Al termine della celebrazione ha preso la parola il comandante provinciale dei Vigili del Fuoco Antonio Pugliano, che con professionalità e precisione ha esposto i dati che dimostrano l’impegno del Corpo che fa di santa Barbara il proprio esempio: «3209, il numero totale degli interventi di quest’anno, 288 sono stati i servizi di vigilanza resi in eventi pubblici, 526 i controlli di prevenzione incendi evasi e 15 le segnalazioni di reati commessi alla mancata applicazione della normativa antincendio negli ambienti di lavoro – aggiungendo poi che – I dispositivi di soccorso locale diventano sempre più insufficienti verso eventi climatici la cui frequenza di accanimento e l’intensità degli effetti aumentano significativamente diventando sempre più estremi. I cambiamenti climatici sono una realtà verso la quale bisogna prendere atto, e che colpiscono persone che non hanno nessuna responsabilità nell’emissione di gas serra. Bisogna dare un senso nuovo al nostro lavoro, agire di più e assumere un impegno non rinviabile per fare il possibile al fine di ridurre la corsa al rialzo della temperatura, così come, nel frattempo, contrastarne gli effetti». La celebrazione della festività di santa Barbara si è conclusa con un grande applauso ai Vigili del Fuoco, che ogni giorno combattono per salvare la vita di chi è in pericolo, incuranti del pericolo e con la fede nel cuore.

 

Il saluto del comandante Pugliano




Master in Food & Beverage, un convegno nel campus di Santa Monica apre la terza edizione

 

Il Master in “Food & Beverage: gestione e sostenibilità dei servizi di ristorazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore” si riconferma nella terza edizione con un’intera giornata dedicata all’approfondimento dei temi chiave del percorso offerto agli studenti, con l’obiettivo di evidenziare l’importanza della formazione dei futuri manager della ristorazione sostenibile.

La giornata, il cui titolo è “Dal prodotto al consumatore: insieme per formare i nuovi manager di domani”, è stata moderata da Ettore Capri, direttore del Master, e dalla docente Lucrezia Lamastra, rappresentando un’opportunità unica per gli studenti e i professionisti desiderosi di approfondire le proprie conoscenze e acquisire competenze specialistiche nel settore alimentare e nel campo della ristorazione commerciale e collettiva.

«La parola d’ordine che descrive questa giornata è dinamicità – spiega Roberto Di Pierro, coordinatore e organizzatore dell’evento -. Gli studenti che hanno partecipato al tirocinio nell’anno accademico 2022/2023 hanno basato il proprio percorso di studi sul metodo del “learning by doing”, e oggi possono confrontarsi con le realtà del territorio che li hanno accompagnati durante le esperienze di stage. Il confronto in una tavola aperta con le aziende e i propri docenti è un’occasione preziosa di crescita personale e di miglioramento professionale».

Nel corso della giornata sono intervenute importanti figure di spicco che operano nel settore della sostenibilità alimentare. Il primo ad intervenire è stato Alessandro Billi, Patròn del ristorante Billi’s e consigliere dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, seguito da Matteo Angri, R&D innovation manager della Martino Rossi SpA. È stato poi il turno di Paolo Fiocchi, direttore tecnico di Marchese Adorno, mente a chiudere gli incontri della mattina è stato Marcello Balzarini, CEO di Capitelli F.lli.

Dopo una breve pausa, gli interventi degli esperti affiancati dai docenti e dai tirocinanti sono continuati nel pomeriggio. A dare il via è stato l’intervento di Chiara Fulgenzi, Operations Coordinator di Splendido Mare e Bagni Fiore di Porto Fino, insieme a Cristian Lertola, titolare di Kzero Piacenza. Come conclusione l’intervento di Luna Fantini, titolare dell’Olympia SRL.

«Il master raccoglie tutti gli studenti che sono accomunati da una forte passione per il mondo della ristorazione sostenibile». Spiega Di Pierro, aggiungendo che «il percorso di studio non è limitato solamente a chi conseguito una laurea in scienze agrarie, ma vuole essere una proposta interessante anche per altri ambiti culturali, basti pensare che non tutti gli studenti iscritti arrivano dalle stesse facoltà, tantomeno dalle stesse città. Per poter entrare nel settore della filiera agroalimentare servono capacità trasversali, i pilastri fondamentali che strutturano questa realtà si possono ritrovare nell’ambito tecnico, economico e anche in quello legislativo».

Competenza, capacità intersettoriali e adattabilità sono gli strumenti che il master in Food & Beverage offre ai propri studenti, dandosi come obiettivo quello di creare un futuro di produzione accorta e sensibile nei confronti dei metodi e delle attività ecosostenibili. Non si tratta solamente di produrre, la questione verte sull’importanza di riconoscere il valore dei prodotti del proprio territorio, valorizzandone le peculiarità alimentari e i benefici ambientali che derivano da produzioni a km 0 ed effettuate con tecniche moderne, innovative e green.

La giornata si è conclusa con la cerimonia di consegna dei diplomi di laurea magistrale, per poi riproporre le linee guida che caratterizzeranno il corso del prossimo anno accademico.




Il vescovo emerito Lafranconi ai Secondi Vespri di Sant’Omobono: di fronte ai pericoli delle divisioni «il nostro patrono ci insegna a vivere nella verità»

«C’è un aspetto della carità di sant’Omobono da cui emerge quell’amore per il Signore e per la Chiesa che è quello del vivere nella verità». Questo il cuore del messaggio di mons. Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona, durante la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità di sant’Omobono, patrono della città e della diocesi di Cremona celebrati in Cattedrale nel pomeriggio di lunedì 13 novembre.

Una giornata quella iniziata in Cattedrale con il solenne Pontificale presieduto dal cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como e già vescovo di Crema.

Per tutto il giorno, i fedeli si sono recati nella cripta sotto l’altare del Duomo per rendere omaggio alle reliquie del santo patrono, soffermandosi per una preghiera e qualche istante di riflessione, in questa ricorrenza così importante per tutta la città.

«Anche al tempo di Omobono, nella Chiesa, c’erano situazioni di dissenso, divergenze, movimenti che si arrogavano un’interpretazione corretta, vera del messaggio di Dio, in contrasto con il Magistero del Papa e dei Vescovi», ha ricordato mons. Lafranconi durante l’omelia proposta durante i Secondi Vespri, evidenziando la «passione per la Chiesa, per la comunità unita» da parte di sant’Omobono. «Anche nel nostro tempo – ha proseguito –  voci di dissenso si moltiplicano, a volte superficiali, a volte più radicate, ma il più delle volte inconsistenti, perché si accentuano così tanto delle differenze da farle sembrare delle contrapposizioni. Se noi non siamo sufficientemente avveduti cadiamo in questo tranello di scambiare una differenza per una contrapposizione. Questa è sempre stata l’origine dell’eresia».

Riferendosi poi ai rischi che gravano sul mondo e sulla Chiesa ha aggiunto che «per la corta veduta di molti cristiani, e anche per l’ignoranza della fede e della Dottrina, anche oggi nella Chiesa questo è un rischio davvero visibile», ha detto ancora mons. Lafranconi portando ad esempio quanti mettono in contrapposizione Papa Benedetto e Papa Francesco.

«Sant’Omobono ci insegna ad avere una sapienza umile – ha detto ancora il vescovo emerito di Cremona –, più attenta a mettere insieme le differenze per trovare la ricchezza di tutta la Parola del Signore e la ricchezza di tutto il mistero della Chiesa e che non cede, invece, alla tentazione di andare in contrapposizione. Chiediamo questa grazia a sant’Omobono».

Il vescovo emerito Lafranconi, pensando anche alle tante critiche e distorsioni rispetto al cammino del Sinodo, ha quindi condiviso un augurio, chiedendo che «sant’Omobono ci dia quella grazia della sapienza e dell’umiltà che ha contraddistinto il suo amore non solo per i poveri, ma per la Chiesa corpo di Cristo, per la Chiesa donata a noi dalla grazia del Signore come luce che orienta il nostro cammino e come grazia che conforta i nostri passi anche quando li troviamo un po’ faticosi e un po’ difficili per i cambiamenti, per le prospettive che si profilano, per un’adesione di cuore alla verità nella carità. Che è poi il corpo di Cristo, nella Chiesa, vera e santa nella carità».

 

Ascolta l’omelia del vescovo emerito Lafranconi




La famiglia Volpi ritrova la sua storia a Sospiro. Donazione generosa e una targa per i fratelli “ritrovati”

 

Alla Fondazione Sospiro, nel pomeriggio di mercoledì, è stata inaugurata una targa commemorativa che racconta una storia lunga quasi di un secolo e una donazione tanto generosa quanto inaspettata. Il racconto che porta con sé non è una favola, ma condivide con il genere letterario lo stesso stupore e la meraviglia che ne consegue.

Forte dei ricordi dell’infanzia, una mamma dell’Appennino parmense ha iniziato nel 2021 a ricercare informazioni sulle vicende che molti anni prima coinvolsero tre fra i fratelli e le sorelle di nonna Eugenia. Si tratta di Tina, Enzo e Nino Volpi, che molto tempo prima si ritrovarono ospiti della Fondazione Sospiro, fra le cure attente e professionali degli operatori della casa di cura.

Le informazioni sui prozii erano poche, e per la maggior parte derivavano da storie trasmesse oralmente a mezza bocca e sentite quasi di sfuggita. La ricerca ha portato la giovane mamma a ricongiungersi con i parenti lontani e sconosciuti che fino a quel momento non sospettavano alcun legame di parentela con lei, ma che condividevano, ognuno con dettagli nuovi, informazioni sui parenti apparentemente scomparsi dalle storie della propria famiglia.

Oggi questa famiglia si è ritrovata nei reparti della Fondazione Sospiro, dove grazie al presidente Giovanni Scotti e al direttore del dipartimento disabili Serafino Corti, insieme all’ambassador di Cascina San Marco Antonio D’avanzo e a don Federico Celini, è stato possibile inaugurare la targa commemorativa che ricorda i nomi dei parenti ritrovati, grazie ai quali la famiglia ricongiunta ha elargito una somma di 42 mila euro per il sostegno alla Fondazione.

«Questa storia porta con sé quattro tesori inestimabili – spiega il presidente Giovanni Scotti – il primo è quello che questa famiglia porta con sé, la gioia di essersi ritrovati per essere nuovamente uniti. Il secondo è quello dell’umanità, dell’amore incondizionato per il prossimo. Il terzo è quello della gratuità, del donare senza chiedere nulla in cambio. E il quarto, forse il più importante, è quello dello stupore e della gioia di questa splendida famiglia».

Il direttore del reparto disabili, Serafino Corti ha poi aggiunto che «lavorare per aiutare chi ne ha più bisogno è il lavoro più bello del mondo. Potete chiederci perché lo sia, ma non c’è una risposta, è un sentimento che si prova e si può capire solo quando lo si sperimenta».

La storia dei fratelli Volpi è uno stupendo esempio di come l’amore trionfi sempre contro il rischio di dimenticarsi dei propri cari, di come la famiglia sia il rapporto più forte e duraturo che ci sia, indipendentemente dal tempo trascorso o dalla distanza che separa chi si vuol bene.

La storia dei fratelli Volpi e di nonna Eugenia

Elisa è una giovane mamma di tre figli che vive nell’alto Appennino parmense. Nel luglio del 2021 inizia, per sua curiosità, una ricerca per approfondire la conoscenza della sua storia familiare. Così comincia a guardare all’indietro. Ad un certo momento scopre che nella storia c’è uno strappo, anzi tre strappi: nella famiglia della nonna Eugenia, oltre agli altri numerosi fratelli, ve ne sono tre che dal primo dopoguerra spariscono dalla vita familiare. Si informa e qualcuno, a mezza voce, le confida che effettivamente la nonna Eugenia accudiva una sorella, Tina, sordomuta, e due fratelli, Enzo e Nino, sordomuti e tetraplegici. Tra i più anziani del paesino d’origine c’è chi ricorda come Eugenia accompagnasse i due ragazzi paralizzati, li esponesse al sole nelle belle giornate, fosse tutta dedita a loro. Ma viene il giorno che la ragazza forma una sua famiglia. E qualcuno decide che non può condizionare il suo futuro con quei tre fratelli disabili che, dunque, le vengono sottratti e trasferiti in un istituto.

Elisa è curiosa, non si ferma e viene a sapere che i tre fratelli della nonna vennero portati in provincia di Cremona, a Sospiro. Allora si mette in contatto con questo istituto. Apprende che tutti sono già deceduti: Enzo un paio d’anni dopo il ricovero, Nino nel 1982 dopo quasi quarant’anni, Tina nel 2012, novantenne, dopo oltre sessanta anni di ricovero. Per tutto questo tempo praticamente più nessuno della famiglia si è interessato a loro.

Elisa, allora, capisce il volto triste della nonna che osservava da bambina, con lo sguardo nel vuoto, in certi pomeriggi. Vuole conoscere, fa ciò che altri in famiglia per decenni non hanno fatto: va a Sospiro, chiede i fascicoli dei tre ragazzi. Ci sono le cartelle cliniche, alcune carte personali, anche alcune foto di Tina: un sereno volto da nonna. E lì tra le carte della zia c’è anche la busta di una banca. Contiene un estratto conto bancario: la somma è interessante. Si fa una verifica.

Il conto è ancora attivo: un conto bancario dormiente. Elisa ha un sussulto: è stato questo istituto la vera famiglia degli zii ed è venuto il momento della restituzione di un’attenzione ricevuta. Per onorare la memoria di quei tre ragazzi e aiutare altri ragazzi come loro, quei soldi devono essere donati a chi se ne è preso cura per decenni. Torna a casa, rintraccia anche parenti non più visti da anni, quelli che hanno dimenticato i loro familiari per tanto tempo, cerca di convincerli a rinunciare all’eredità inattesa, perché altri ragazzi come gli zii possano essere sostenuti. La gran parte degli eredi condivide lo sforzo di Elisa. E lei fa in modo che una somma di 42mila euro vada a buon fine, per la realizzazione del nuovo Centro Nazionale Autismo.

Elisa torna a Sospiro, con la mamma e la figlia. Racconta la sua storia, il suo impegno, si emoziona e si commuove. Nella ricerca ha ritrovato una parte di se stessa.




In Cattedrale una inedita jam session per la pace

La guerra, i conflitti e le divisioni sono un rumore assordante che diventa sempre più forte in tutto il panorama internazionale, per questo è necessario fare in modo che un suono più dolce e rasserenante ricordi a tutti qual è lo spartito che guida la musica che riconcilia, la melodia che riporta la tranquillità. Una sfida importante e necessaria per frapporsi ai conflitti che con troppa frequenza diventano consuetudine. Si tratta dell’idea del maestro Fausto Caporali, organista titolare della Cattedrale di Cremona, che con la sua influenza artistica e la grande abilità musicale ha saputo portare nella città del Torrazzo alcuni degli artisti più capaci della realtà italiana, coinvolgendoli in una performance carica di emozioni e sonorità che all’interno del Duomo, nella serata di domenica 5 novembre, ha donato momenti di inestimabile bellezza armonica.

L’evento ha segnato la conclusione dei “Vespri d’organo per la pace”, rassegna concertistica promossa dalla Cattedrale di Cremona con l’obiettivo di diffondere la cultura musicale sacra in connessione con l’attualità più stringente dei tempi nostri.

Primo ospite della serata, in ordine di esibizione, è stata Aurelia Macovei, violinista d’eccezione che collabora con l’Orchestra da Camera Italiana e insegna violino presso l’Accademia di Musica di Lodi. Nella sua performance ha eseguito brani della tradizione colta, partendo dal Prelude for a Hope di Emerson e concludendo con l’opera di Francis Poulenc Priez pour Paix.

È stato poi il momento del maestro Andrea Dulbecco, docente di strumenti a percussioni al Conservatorio G. Verdi di Milano e di vibrafono e improvvisazione presso l’Accademia del suono di Milano, che con il suo vibrafono ha proposto al pubblico alcuni dei propri brani, nati dall’esperienza diretta in Sudafrica con le discriminazioni e le sofferenze di un popolo perseguitato.

Il maestro Emilio Soana, prima tromba della Civica Jazz Band, ha portato nelle navate della Cattedrale il suono del suo ottone esibendosi in brani gospel presi dal repertorio afroamericano, immortalando un’atra volta il suo forte legame con la musica jazz e le sue sonorità roche e arrabbiate, quasi a rappresentare la sofferenza per le vittime di tutti i conflitti.

La scena è andata quindi a Luca Colombo, uno dei più grandi chitarristi italiani e internazionali da poco tornato al fianco di Gianni Morandi in occasione del suo ultimo tour. Con in mano la sua fedelissima Dgt ha mostrato al pubblico le sonorità che un artista del suo calibro può raggiungere insieme all’elasticità esecutiva che tocca brani provenienti da diverse tradizioni. Master of War di Bob Dylan è stata seguita da una reinterpretazione del capolavoro di Schubert Ave Maria, concludendo con un’auto produzione dal titolo Tema della pace.

Ad accompagnare ogni artista lungo tutta la durata dell’esibizione, l’immancabile melodia dell’organo Mascioni della Cattedrale, reso vivo grazie all’abilità del maestro Fausto Caporali. Un accompagnamento che ha saputo legare i diversi generi musicali attraverso le grandi possibilità del suono liturgico, generando un’atmosfera spiritualmente profonda e significativa.

La performance musicale si è conclusa con l’unione di tutti gli artisti in un’unica melodia. Si è trattato di una jam session fatta di melodie vecchie e nuove legate al tema della pace. A legare fra loro tutti gli strumenti sono state le voci dei solisti del Coro della Cattedrale unite nel canto gregoriano Da pacem Domine, a simboleggiare che si ha sempre bisogno di Qualcuno che ispiri la pace, è poi compito degli uomini realizzarla.

Al termine dell’esecuzione ha preso la parola il vescovo Antonio Napolioni, che ha voluto sottolineare come «il messaggio che ho sentito è quello dell’invito alla compassione: quella forte, quella che non ha limiti religiosi, quella che non ha altro se non il dovere di esprimersi per il cambiamento». Da qui un vero e proprio invito a diffondere il messaggio della pace, coltivandolo nella meditazione e nella preghiera.




A Sant’Imerio la Messa per i 120 anni delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù

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Sono passati 120 anni da quanto, nel 1903, le suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù, giunsero a Cremona, su richiesta dell’allora vescovo Geremia Bonomelli. L’anniversario, che ricorre il 1° novembre, è stato festeggiato con la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni nel pomeriggio di lunedì 30 ottobre nella chiesa parrocchiale di Sant’Imerio, naturalmente alla presenza della comunità religiosa che dal 1930 gestisce la struttura di via Altobello Melone, oggi riservata all’ospitalità degli anziani.

Insieme alla suore carmelitane (in città le religiose sono una decina) era presente la comunità parrocchiale, con il parroco don Antonio Bandirali, e la fraternità di Cremona del Movimento carmelitano dello Scapolare, una realtà – quella di questa associazione di fedeli laici rivestiti dello scapolare e appartenenti alla Famiglia Carmelitana – presente dal 1995 a Sant’Imerio, dove il legame con il carisma carmelitano risale però già agli inizi del 1612, quando la consacrazione della chiesa avvenne unitamente all’annesso convento dei Carmelitani scalzi (il primo insediamento dell’Ordine nella Provincia lombarda con i frati che rimasero in questo convento fino all’inizio del 1800).

Nella sua omelia il vescovo Napolioni ha sottolineato che «le sorelle Carmelitane del Cuore Divino di Gesù hanno intuito, grazie alla loro fondatrice, che è possibile vivere tutto l’amore di Dio in mezzo ai piccoli, con una passione e con una dedizione che modella e purifica il cuore». Chiaro il riferendosi alle origini dell’Ordine, con un’attenzione riservate in particolare ai più piccoli. Così è stato anche a Cremona. «Ora vivete questo amore soprattutto fra gli anziani – ha proseguito il Vescovo –. E mi piace sottolineare quello che il Papa ci ricorda: l’alleanza fra nonni e nipoti. L’inizio e la fine della vita: fra chi è debole perché è anziano e chi è debole perché ancora giovane».

Il Vescovo ha poi messo in guardia da un pericolo che si fa sempre più concreto nella società odierna: «C’è una grande paura che le nostre società invecchiate crescano nell’invidia e nella paura dei giovani, nell’odio verso le nuove generazioni. Si è inceppato un flusso vitale nelle nostre comunità, con il rischio di massacrare tanto i giovani come gli anziani. Accade spiritualmente: bambini troppo viziati o troppo stressati diventano adulti troppo in fretta e non si godono l’infanzia per davvero».

Monsignor Napolioni ha quindi ringraziato le suore Carmelitane: «Io vi ringrazio, la comunità vi ringrazia e vi benedice. Ma ha anche bisogno di imparare da voi. Per avere sempre le suore, i preti, gli educatori, occorre che la comunità si prenda cura della vita, faccia spazio al senso del dono, e non lasci che prendano spazio i nuovi cattivi pensieri. Che l’Eucaristia che stiamo celebrando ci corregga il cuore e lo riscatti».

 

Ascolta l’omelia del vescovo Antonio Napolioni

 

Dopo la celebrazione, che ha visto l’esposizione di una reliquia della fondatrice, madre Anna Maria Teresa Tauscher van de Bosch, il Vescovo ha raggiunto la Casa S. Giuseppe e S. Lorenzo, in via Altobello Melone 33, per un momento di incontro con gli ospite e di festa per il 120° di presenza a Cremona delle suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù.

 

Le Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù e Cremona

L’ideale Carmelitano affascinò il cuore di una giovane protestante convertita al cattolicesimo, Anna Maria Teresa Tauscher van de Bosch. Nata il 19 Giugno 1985 a Sandow (attualmente in Polonia) da genitori luterani profondamente credenti, primogenita di otto figli. Maria crebbe e fu educata nella fede dei suoi antenati, ma non aderì mai volentieri al protestantesimo, per cui il 30 ottobre 1888 nella chiesa dei Santi Apostoli (Colonia) entrò a far parte della Chiesa cattolica. Questa decisione nella sua vita le procurò tante sofferenze: fu espulsa dalla casa paterna e licenziata dal suo lavoro. Senza casa e abbandonata da tutti andò in cerca di alloggio e di occupazione. Dopo tante ricerche, con l’aiuto di Dio, trovò una famiglia che la accolse come dama di compagnia. Il suo cammino di fede intanto proseguiva intrepido e generoso sulle vie di Dio, verso un ideale di totale consacrazione al Signore. Desiderava infatti farsi religiosa nel Carmelo Teresiano, ma il Signore aveva altri disegni per lei: lei stessa avrebbe fondato una nuova congregazione. Cosi avvenne che a Berlino nel 1891 aprì la prima casa per bambini, denominata “Casa per i senza casa”.

Le “Serve del Divin Cuore di Gesù” (primo nome dell’attuale istituto delle Carmelitane del Divin Cuor Gesù) giunsero in Italia e a Cremona su richiesta dell’allora vescovo di Cremona, mons. Geremia Bonomelli. Una presenza inizialmente rivolta all’assistenza di bambini e ragazzi nella casa di via Belvedere 9 (oggi via Ettore Sacchi 15), fondata ufficialmente il 1° novembre 1903.

Per il numero sempre crescente di bambini e la ristretta capacità ricettiva della prima Casa, dal 1927 iniziarono le trattative per l’acquisto dell’ampio stabile disponibile nella parrocchia Sant’Imerio, in via Altobello Melone 33, che si conclusero nel 1930.

Con il passare del tempo sorse la necessità di portare cure e assistenza agli anziani. Così il 10 agosto 1981 la superiora di Cremona, suor Cecilia Cesinaro, chiese di poter trasformazione dell’edificio di via Altobello Melone in ambiente di accoglienza di anziane signore autosufficienti. L’assistenza alle signore anziane iniziò il 7 novembre 1983 in concomitanza con la continuazione dell’assistenza ai bambini e ragazzi, che cessò definitivamente nel giugno 1989. Dal 1° gennaio 2017, la Casa “San Giuseppe e San Lorenzo” è gestita dalla “Casa di Procura della Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù”, che si occupa di tutte le attività apostoliche della “Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù”.




«Navigare Cieli»: i libri di Gabriella Benedini in mostra al Campus Santa Monica

 

Inaugurata nei giardini del Campus Santa Monica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona, la Settimana del Dono è un evento ricco di tradizioni e ricordi per la sede di Piacenza, ma che ora, all’inizio di ogni anno accademico, anche Cremona celebra con entusiasmo e spirito di comunità, proponendo ai suoi studenti e a tutta la cittadinanza una serie di incontri, spettacoli, mostre e concerti che ruotano intorno al tema della disponibilità, del volontariato e dell’aiuto gratuito e reciproco. 

A sottolineare l’importanza di questa settimana, nel Campus Santa Monica, da lunedì 2 fino a venerdì 6 ottobre, si sono passati momenti di grande spessore culturale e sociale, iniziati con la piantumazione dei gelsomini da parte degli studenti.

Venerdì alle 12, invece, l’ateneo ha accolto nell’aula magna un grande allestimento artistico ideato e creato da Gabriella Benedini, artista di origini cremonesi nata nel 1932, e che all’età di 91 anni compiuti proprio nel giorno della mostra si afferma come una mente brillante e perspicace, capace di affermarsi sul panorama artistico nazionale e non solo con autorevolezza e talento. Già nota per la sua abilità presso l’università Cattolica di Cremona, Gabriella Benedini aveva realizzato Le Vele presenti all’interno del Campus, un’installazione realizzata per la mostra Nulla Dies Sine Linea nel 2021 formata da cinque corpi verticali di diverse dimensioni, gusci in vetroresina ricavati dal calco di uno scafo di una nave abbandonata già diventati uno dei simboli più evocativi e riconoscibili del Campus cremonese.

Con lo stesso spirito di riutilizzo e riciclo, questa volta, per tutta la lunghezza dell’aula magna, sono stati posti 50 leggii da orchestra, sopra ognuno dei quali è presente un libro aperto realizzato dall’artista cremonese, che ricreando una biblioteca personale racconta momenti e storie della propria vita attraverso ogni singolo elemento artistico. Navigare Cieli, è un progetto molto più grande e complesso rispetto a quello mostrato; le opere totali sono infatti 360 e raccontano dei momenti personali dell’artista, dei suoi viaggi e delle sue esperienze dal 1982 fino ad oggi.

A presentare il lavoro di Gabriella Benedini agli studenti e agli ospiti è stato il responsabile del Campus Santa Monica Matteo Burgazzoli, affiancato sul palco dal professor Daniele Rama, docente del corso di Marketing Agroalimentare, e da don Maurizio Compiani, incaricato diocesano per la Pastorale Universitaria. 




Fondazione Germani premia la fedeltà e la competenza dei dipendenti

Mercoledì 4 ottobre, presso la sala consiglio della Fondazione “Elisabetta Germani” di Cingia de’ Botti, sono state illustrate alla stampa le nuove riforme economiche e lavorative per gli attuali e futuri operatori del centro sanitario assistenziale cremonese.

La Fondazione “Elisabetta Germani” si aggiorna continuamente per fornire servizi professionali e completi ai propri ospiti e alle loro famiglie, e per migliorare ulteriormente la propria realtà di centro sanitario assistenziale ha deciso di investire ulteriori risorse economiche e formative al proprio personale, come già aveva fatto lo scorso anno, in maniera tale da garantire agli operatori un ambiente lavorativo stimolante e appagante sotto ogni punto di vista. Lo slogan attorno al quale ruota il progetto è “Punto su di te!”, a dimostrazione della centralità che ricoprono gli operatori che rendono il Germani un’eccellenza del nostro territorio.

Il presidente della Fondazione Enrico Marsella e il direttore generale Ivan Scaratti hanno presentato le nuove riforme sviluppate anche grazie agli accordi con i sindacati. Primo fra tutti l’aumento degli stipendi per riconoscere il lavoro dei dipendenti e per incentivare nuovi operatori ad unirsi alla grande famiglia del Germani. Già lo scorso anno si era assistito ad un aumento degli stipendi annuo di 1170 euro divisi in tredici mensilità, oggi si è deciso di diversificare gli aumenti in funzione del ruolo svolto nella Fondazione.

Da dicembre, per i dipendenti con contratto stipulato dopo il 2013 si parla di 910 euro annui, eccezione fatta per i lavoratori con qualifiche di coordinatore, infermiere, psicologo, amministratore e dei servizi generali, che vedranno un aumento annuo di 390 euro, così come per i lavoratori che han stipulato il contratto prima del 2013. Per i terapisti invece l’aumento sarà di 1950 euro annui. Si manterrà inoltre un’indennità di produttività e una retribuzione aggiuntiva legata al raggiungimento dei risultati mediante l’utilizzo del welfare aziendale, per cifre di 640 euro per gli operatori e di 1600 euro per gli infermieri.

La Fondazione si impegna a riconoscere il lavoro dei propri dipendenti e di premiare l’impegno e la fedeltà, come già sta facendo da più di due anni, inoltre si focalizza anche sul cercare del nuovo personale. La Fondazione offre percorsi di formazione e di riqualifica per tutti coloro che sono stati assunti come alberghieri al fine di portarli a diventare Ausiliari Socio Assistenziali (ASA). Offre anche percorsi di carriera interna con corsi di riqualifica da ASA a OSS, per un totale di circa quindici ogni anno, definiti in base ai criteri di merito dell’operatore.

Per i nuovi assunti la Fondazione Germani offre un corso “on the job” per accogliere, accompagnare e far sentir parte dell’organizzazione grazie al tutoring di volontari aziendali che han già acquisito larga esperienza. Per accompagnare all’inserimento efficace gli operatori stranieri è stata inserita la figura del mediatore culturale, nata dalla collaborazione con l’Istituto Vismara, e per migliorare il livello delle competenze sono già attivi corsi di formazione in aggiunta a quelli che sono obbligatori.