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Il Vescovo alle Forze Armate e di Polizia: «Siete tanti angeli custodi visibili, uomini e donne che custodiscono»»

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«Attenti alla pace, attenti alla vita nel mondo, attenti all’ordine, attenti agli uomini e alle donne come noi, come voi. In questo giorno è la comunità cristiana che è attenta a voi». Con queste parole il vescovo di Cremona Antonio Napolioni ha introdotto la Messa con le forze armate e le forze di polizia, riunite in Cattedrale nella mattina di martedì 12 marzo.

«Celebriamo l’Eucaristia nell’imminenza della Pasqua – ha spiegato il Vescovo all’inizio della Messa – perché la Pasqua generi forza, potenza, secondo Dio. La potenza di Dio si è manifestata nell’impotenza del Figlio sulla croce, nella sorgente d’amore che ne sgorga per riscaldare il cuore degli uomini e delle donne, affinché siano davvero testimoni di Cristo, testimoni e operatori di pace».

Una Messa interforze per consegnare a chi difende lo Stato e i suoi cittadini il Precetto Pasquale, in un contesto attento e rivolto alla pace, dove Carabinieri, Esercito, Guardia di Finanza, corpi di Polizia e Vigili del Fuoco si sono uniti nella preghiera, affinché il loro operato sia guidato dalla fede e dalla carità. Nelle prime file erano presenti le autorità civili e militari del territorio, con il prefetto Corrado Conforto Galli, il questore Michele Davide Senigallia e il sindaco Gianluca Galimberti. Presenti in alta uniforme anche i comandanti delle forze armate e delle forze di polizia, insieme ad ufficiali, sottoufficiali, soldati e agenti. A delimitare il perimetro dell’altare le bandiere e i gonfaloni delle associazioni combattentistiche e d’arma.

I cappellani militari delle varie forze armate e di polizia hanno concelebrato la messa insieme al Vescovo, sottolineando il ruolo che la fede ricopre all’interno della realtà militare: don Andrea Scarabello, cappellano della Guardia di Finanza, don Marco Bresciani, cappellano dell’Esercito italiano, don Lorenzo Cottali, cappellano dei Carabinieri, don Stefano Peretti, cappellano della Polizia di Stato e don Roberto Musa, cappellano della casa circondariale di Cremona. A dirigere il coro della Cattedrale, don Graziano Ghisolfi, che insieme a don Roberto è cappellano della casa circondariale.

 

 

Nella sua omelia il vescovo Napolioni ha ripreso le parole del Salmo Responsoriale: “Il Signore degli eserciti è con noi”, specificando che «Il Signore è di tutti gli eserciti, l’unico Dio che ha creato tutti gli uomini e le donne che si amano e si odiano, che si conoscono e si ignorano, che si combattono e si riconciliano, in questo piccolo teatrino della Terra». Il rischio è quello di rendere il Dio di tutti un Dio personale, «questa è una grande tentazione, la tentazione di tirarlo dalla nostra parte, contro gli altri, la tentazione di sentirlo lontano, assente».

Ma il Signore non abbandona i suoi figli. Rivolgendosi ai militari, il Vescovo ha spiegato che «in effetti Lui mette in campo delle compagnie discrete, invisibili, amorevoli nei confronti di tutti noi, anche nelle situazioni più spinose che voi professionalmente affrontate nei diversi campi. C’è sempre una persona buona, c’è sempre una parola buona, c’è sempre chi dà buona testimonianza, c’è sempre chi sa capirci e incoraggiarci, c’è sempre la possibilità di ricominciare dal profondo del cuore, dallo spirito, da una preghiera». Una mano che veglia su di noi senza chiedere nulla in cambio, «un angelo custode invisibile e tanti angeli custodi visibili, gli uni per gli altri», ha aggiunto il Vescovo. «È un po’ la vostra missione, essere uomini e donne che custodiscono in nome della Patria, delle istituzioni, del bene comune, dunque anche del Signore».

«Tante sono le sfide che aspettano – ha quindi concluso mons. Napolioni, aggiungendo che – con Lui e uniti tra noi, in questa grazia dell’incontro vero con Colui che ci rende umani, allora saremo davvero capaci di essere operatori di pace».

E la riflessione è diventato ringraziamento, anche nel ricordo di chi ha sacrificato la propria vita spendendosi nel servizio per il prossimo, proprio come ha ricordato la Preghiera per la Patria al termine della Messa.




IA: più le opportunità che i rischi secondo i giovani italiani, che però sul tema sono meno informati che i coetanei europei

Le Intelligenze Artificiali stanno assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito etico e sociale. Ad oggi la paura che queste tecnologie possano prendere il posto del personale umano nei luoghi di lavoro è un sentimento diffuso, che mette in agitazione molte persone. Le capacità di automatizzazione, dimostrate in diversi settori del panorama occupazionale, non smettono di allarmare gran parte dei lavoratori, ma l’avvento delle IA è veramente un rischio concreto, o forse è solamente una questione di punti di vista?

Al Campus Santa Monica di Cremona, per rispondere a questa domanda, è intervenuta la professoressa Ivana Pais, docente di Sociologia economica presso la facoltà di Economica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in occasione del terzo incontro del ciclo di conferenze Intelligenza artificiale, chi sei? organizzato dal Centro pastorale della Cattolica di Cremona nelle settimane di Quaresima. Al tavolo dei relatori hanno introdotto l’incontro la professoressa Franca Cantoni, docente di Business Organisation, e don Maurizio Compiani, assistente del Campus.

Al centro della riflessione della professoressa Pais una domanda ha fatto anche da titolo alla conferenza: L’Intelligenza Artificiale ci cambierà la vita? Come ogni cambiamento, anche questo porta con sé paure e incertezze che, però, a volte, risultano farsi meno gravi quando si inizia ad approfondire con precisione la questione.

«Quella che stiamo vivendo oggi è una situazione un po’ nuova – ha spiegato la sociologa Ivana Pais –. In passato chi produceva dei rischi, come per esempio quelli di tipo ambientale, cercava di tranquillizzare l’opinione pubblica sull’effettiva presenza di questi; e poi c’era chi si batteva per impedire che si vivesse una situazione di pericolo. Oggi la situazione, nell’ambito delle Intelligenze Artificiali, si è totalmente ribaltata: i produttori delle IA ne denunciano i rischi, mentre i dati raccontano che la percezione dei giovani italiani nei confronti delle nuove tecnologie è positiva». Il principale rischio che oggi si percepisce è soprattutto quello legato al mondo del lavoro, ma si tratta comunque di un problema a lungo termine. Ma ce n’è un altro, molto reale, poco considerato. «Sono completamente sottovalutati – precisa la docente – i rischi ambientali legati all’Intelligenza Artificiale: noi continuiamo a considerare le IA come presenti solo nel mondo digitale, ma non è così. Allo stesso modo si stanno facendo concreti i problemi sociali che derivano dalla disuguaglianza fra chi è in grado di sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie e chi invece ne subisce gli effetti».

Alla base dello studio sociologico legato al mondo delle IA c’è l’analisi dei dati raccolti dall’Istituto Toniolo. I grafici mostrano che in Europa, e in particolare in Italia, le fasce più giovani della popolazione sono ben disposte nei confronti dell’avvento delle Intelligenze Artificiali, ma la positività nei loro confronti rischia di essere supportata solamente da una scarsa conoscenza dell’argomento. Infatti «dopo aver analizzato i dati abbiamo fatto una serie di riflessioni – ha detto la professoressa Pais – e abbiamo tratto delle conclusioni: gli italiani vedono nelle IA più opportunità che rischi, e su questo aspetto sono in percentuale superiori rispetto alla media europea, ma allo stesso tempo si è visto che i giovani italiani sono anche meno informati e meno consapevoli di cosa siano le Intelligenze Artificiali rispetto ai ragazzi europei. Si potrebbe quindi presumere che la positività nasca in parte dalla carenza di conoscenza dell’argomento. È anche vero, però, che questo aspetto fiduciario può essere un ottimo strumento che servirà per delineare quali sono i punti di forza e le debolezze che interesseranno la società del futuro».

Ed è proprio volgendo lo sguardo al domani che ci si è accorti che sarà necessario andare a tracciare delle linee guida che possano delimitare le applicazioni delle IA, proprio per questo la professoressa Ivana Pais ha spiegato che «si sta capendo che sarà necessario strutturare un regolamento che possa fissare dei limiti alle Intelligenze Artificiali, in questo modo si limiterebbero i rischi ed aumenteranno gli aspetti positivi. Ad oggi siamo in una situazione intermedia, nello stadio che in sociologia è descritto come posto tra la sicurezza e la distruzione, e per scongiurare le minacce e i pericoli che potrebbero verificarsi ci si sta muovendo per creare una normativa efficace che funga da binario per lo sviluppo e l’utilizzo delle Intelligenze Artificiali».

 

Il video integrale dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

 

Calendario dei successivi incontri:

Lunedì 11 marzo, ore 16.30: Religioni e Intelligenza Artificiale – Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de “Il Corriere della Sera” e di “Avvenire”)

Venerdì 10 maggio, ore 18.00: “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà – Paolo Benanti, professore di Teologia Morale (Pontificia Università Gregoriana, Roma). Incontro promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine.

 

IA, artefici di processi generativi o creativi?

 




Itinerario di arte e spiritualità, a Santa Monica presentata “Fragili rive” di Ettore Favini

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«Bisogna stare con gli occhi aperti e le orecchie tese per ascoltare il fiume, da sempre fonte di vita per il nostro territorio, ma anche per l’intero Paese». Con queste parole l’artista cremonese Ettore Favini racconta il significato della sua ultima opera, installata tra le aule del campus Santa Monica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona, dove un tempo scorrevano le acque del Grande Fiume. Fragili rive, questo il nome dell’installazione, una scultura realizzata in cemento e sabbia, nata dall’abilità dell’artista e valorizzata grazie all’impegno di alcuni studenti della Cattolica che, in occasione della terza edizione del progetto Itinerario di arte e spiritualità, si sono interrogati su quali fossero i legami che uniscono il vivere in città con l’ambiente naturale delle campagne.

Alla presentazione, giovedì mattina nella sede cremonese dell’Ateneo, è intervenuto il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Insieme a lui l’autore dell’opera e la co-curatrice della mostra, Monica di Matteo, il preside della Facoltà di Psicologia Alessandro Antonietti e Michela Valotti, docente del Dipartimento di Storia dell’arte, alla presenza anche del vescovo di Cremona.

 

L’iniziativa culturale

Eutopia – città, ambiente, comunità è il titolo che caratterizza l’edizione di quest’anno del progetto Itinerari di arte e spiritualità, ormai consolidato e da alcuni anni presente anche a Cremona. Un’idea che prende spunto dagli scritti dell’umanista inglese Tommaso Moro, che nelle sue opere parlava di una città ideale, solamente un’utopia. Nel titolo di questa manifestazione la «e» privativa di Eutopia dimostra come dall’idea si possa passare alla realizzazione del sogno, ammettendo che vivere in sintonia tra fratelli è davvero un futuro plausibile.

«Itinerario di Arte e Spiritualità – sottolinea il vescovo Giuliodori – è un’esperienza attuale e consapevole. Gli studenti hanno scelto un tema intrigante, un tema antico ma proiettato nel futuro. Le opere d’arte di quest’anno, infatti, si caratterizzano a partire da una convivenza tra le persone negli ambienti e nei luoghi, come le città, che possono essere ispirate da valori come la solidarietà, la fraternità, la stima reciproca e la collaborazione. Valori di cui abbiamo davvero bisogno».

 

L’opera d’arte

«Fragili Rive – spiega Ettore Favini, artista e creatore dell’opera – racconta di un fiume sofferente e debole: quello che vediamo è solamente una sindone del fiume, un calco delle sue sponde realizzato con la sua acqua e la sua sabbia. Le forme che il fiume crea con il suo flusso sono un racconto delle acque, flutti ricchi di storia e conoscenza, che vanno rispettati e ascoltati con attenzione».

Per realizzare l’opera è stata usata l’acqua del Po e la sua sabbia. «Ho aggiunto cemento e ossidi per conferire alla composizione il colore giallo della sabbia – racconta l’artista Ettore Favini –. Le forme dell’opera rappresentano le anse che il fiume crea lungo le sue sponde, in questo caso la sponda nord, quella cremonese».

E ancora: «Ciò che si vede è semplicemente quello che il cemento ha letto durante l’indurimento, avvenuto dopo che è stato messo nella sabbia del Po. Il fiume è come se fosse una corrente immobile, il tempo e lo spazio si condensano in un tutt’uno con l’acqua, le sponde e il cielo, creando così l’idea dell’infinito».

La decisione di creare Fragili rive è nata durante una secca, quando non si riusciva a vedere l’acqua, per immortalare con il cemento «la sofferenza del Po».




A San Marino un altare dedicato al beato Carlo Acutis

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Nella chiesa parrocchiale di San Marino, alle porte di Cremona, un altare è ora dedicato al beato Carlo Acutis, il ragazzo italiano scelto tra i 13 patroni della Gmg di Lisbona dopo essere stato beatificato nell’ottobre 2020, a quattordici anni dalla morte. Una vita prematuramente spezzata, ma sempre segnata da una forte devozione all’Eucaristia e una grande dedizione alla carità, che si faceva anche annuncio appassionato attraverso i più moderni mezzi della tecnologia. Il suo ritratto, riprodotto in un quadro dall’artista Michela Vicini, pittrice, street artist e maestra madonnara cremonese, che campeggia in una degli altari laterali della chiesa, è stato benedetto dal vescovo Antonio Napolioni in occasione della Messa celebrata nel pomeriggio di domenica 18 febbraio.

Proprio la figura del beato è stata al centro dell’omelia del Vescovo. «Qualche volta – ha detto – bisogna distrarsi dalle cose di quaggiù per farci prendere dalle cose di lassù. Questo è successo a quel bambino, quel ragazzo, Carlo, che si è fatto prendere sicuramente dalla scuola, dal gioco, dalla natura, dal computer e dagli interessi di un ragazzo della sua età, ma qualcosa di più gli accadeva spesso, sempre di più, tanto da avere proprio nella Messa quotidiana, nell’Eucarestia, nell’adorazione il suo appuntamento privilegiato». «Un giovane che ha dato una svolta alla su vita quasi senza rendersene conto», ha aggiunto Napolioni, spiegando che «nel tempo la fede ha bisogno di modelli. E ci accorgiamo che, come dice il Papa, ci sono anche i santi della porta accanto: un ragazzo tra tanti altri, un prete tra tanti altri, un malato come tanti altri».

Il Vescovo ha poi voluto rivolgere un augurio a tutti i fedeli, auspicando che «il sorriso, il volto del beato Carlo, la preghiera a lui siano per voi questa pagina di Vangelo in più da poter leggere ogni volta che entrate in questa chiesa». «E non ne fate solo un rimprovero, una pretesa per i vostri ragazzi – ha detto ancora –. Non rivestiamo di moralismo chi è una goccia stupenda di grazia purissima. Lui sapeva stare con tutti i suoi amici, con i poveri lungo la strada, lui sapeva stare con l’umanità e continuerà a stare con l’umanità, confusa, disperata, ma candidata ad essere innamorata del suo Dio».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

 

Insieme al vescovo Antonio Napolioni hanno concelebrato l’Eucaristia i sacerdoti dell’unità pastorale di San Marino, Gadesco, Pieve Delmona, Persico, Dosimo e Quistro: il parroco moderatore don Livio Lodigiani, il parroco in solido don Andrea Aldovini e il collaboratore parrocchiale don Gianpaolo Civa.

Al termine della Messa il Vescovo si è portato davanti all’immagine del beato Acutis per la benedizione dell’immagine, davanti alla quale dopo la celebrazione i presenti hanno sostato in preghiera personale.

«Acutis era un ragazzo che viveva una vita ordinaria resa tuttavia straordinaria per la capacità di riempirla con piccoli ma grandi gesti di fede – spiega don Andrea Aldovini, parroco in solido dell’unità pastorale –. Ed è questo che vorrei trasmettere ai giovani di oggi: anche in tempi come questi è possibile vivere la stessa vita in un altro modo. La figura di questo ragazzo mi ha sempre impressionato e interrogato per la sua testimonianza di vita cristiana e per il suo volto nel quale ho visto quello di Cristo».




IA, artefici di processi generativi o creativi?

Già agli inizi del secolo scorso i maestri del cinema rappresentavano sul grande schermo futuri distopici dove le macchine regnano incontrastate su tutto il genere umano. Queste venivano però rappresentate come automi grigi e privi di ogni forma di immaginazione, incapaci di creare qualcosa non identico a loro stesse. Oggi la potenzialità delle Intelligenze Artificiali (IA) ha raggiunto livelli mai visti prima d’ora: questi nuovi strumenti informatici sono in grado di creare opere d’arte complesse e profonde in pochi secondi, così come filmati, cortometraggi e tanto altro ancora. Si può quindi parlare di creatività legata al mondo delle IA?

La risposta a questo interrogativo è stata il fulcro dell’intervento del professor Andrea Gaggioli, docente di Psicologia generale della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che nell’aula magna del Campus Santa Monica di Cremona è intervenuto nel pomeriggio di martedì 27 febbraio come relatore del secondo incontro del ciclo di conferenze Intelligenza artificiale, chi sei? organizzato dal Centro pastorale della Cattolica di Cremona nelle settimane di Quaresima. A introdurre l’incontro sono stati il professor Daniele Cerrato, docente di Economia aziendale, e don Maurizio Compiani, assistente del Campus.

Siamo Uomini. La creatività nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Questo il titolo dell’incontro focalizzato sull’analisi del dualismo tra creatività umana e creatività artificiale, attraverso un percorso didattico volto a definire le caratteristiche che delineano le due correnti generative di opere d’arte e innovazione.

La creatività umana, secondo la scrittrice e docente di Harvard Teresa Amabile, è la produzione di idee nuove e utili. «L’Intelligenza Artificiale come la conosciamo oggi – ha spiegato il professor Gaggioli – nasce nel 2018: si può dire, quindi, che sia un’idea nuova. Allo stesso tempo, è innegabile che sia un’invenzione molto utile, immediata e pratica. Il processo che ha portato alla sua creazione è un’operazione di vera creatività». Il docente ha poi spiegato che «è più complesso capire se si possa definire un processo altrettanto creativo quello che le Intelligenze Artificiali generative compiono per produrre immagini e suoni. È corretto dire che una macchina svolge un processo creativo o è più opportuno descriverlo come un processo generativo?».

Per rispondere alla domanda il professor Gaggioli ha preso in esame la famosa intelligenza artificiale ChatGPT, mostrando ai presenti l’evoluzione della rete neurale di San Francisco, spiegando che «dal 2018, quando ChatGPT è stata presentata in rete, sono stati fatti passi da gigante nella qualità di generazione dei propri contenuti. Un’evoluzione ancora più visibile se si osservano le immagini e i video che vengono creati oggi, quasi completamente indistinguibili da quelli realizzati da un operatore umano». In merito a questo miglioramento, l’Intelligenza Artificiale è stata messa alla prova confrontandola con la capacità creativa di un essere umano. Ad entrambi i soggetti è stato chiesto di immaginare gli utilizzi possibili di una corda e poi quelli di una forchetta, e il risultato, pubblicato nel 2024 dal neuroscienziato e psicologo Kent Hubert, mostra come la macchina sia stata in grado di immaginare una serie maggiore di scenari nei quali utilizzare gli strumenti.

Il potenziale creativo delle IA è concreto e reale, ma volgendo lo sguardo al futuro è difficile prevedere come le intelligenze artificiali si affermeranno nella vita quotidiana. Il professor Andre Gaggioli ha descritto tre possibili scenari, dicendo che «nel mondo del futuro il rapporto tra le IA e l’uomo potrebbe tornare a essere quello di tipo contrario, proprio come nel passato», spiegando che «in questo tipo di coesistenza l’uomo dà un ordine e la macchina lo esegue senza aggiungere nulla. Si potrebbe parlare di sinergia, fra uomo e macchina: i processi creativi vengono integrati e ampliati grazie all’utilizzo della potenza della tecnologia, generando così risultati migliori, ma sempre nati da un’idea dell’uomo». Il terzo scenario «è quello del rapporto simbiotico, nel quale le IA e l’intelligenza umana operano come entità completamente integrate», ha spiegato il professor Gaggioli, sottolineando che «l’IA si innesta nei processi cognitivi umani attraverso interfacce celebrali che non richiedono più all’utente di elaborare un comando». Ha poi concluso precisando che «non esiste uno scenario buono e un altro cattivo, ma tutto dipende da quale scenario una persona decide di volere».

 

Il video integrale dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

Calendario dei successivi incontri:

Martedì 5 marzo, ore 16.30: L’Intelligenza Artificiale ci cambierà la vita? – Ivana Pais, professoressa di Sociologia economica (Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore)

Lunedì 11 marzo, ore 16.30: Religioni e Intelligenza Artificiale – Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de “Il Corriere della Sera” e di “Avvenire”)

Venerdì 10 maggio, ore 18.00: “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà – Paolo Benanti, professore di Teologia Morale (Pontificia Università Gregoriana, Roma). Incontro promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine.

 

Intelligenza artificiale, il percorso dell’Università Cattolica inaugurato insieme a un robot




Intelligenza artificiale, il percorso dell’Università Cattolica inaugurato insieme a un robot

 

La linea di demarcazione che divide il mondo concreto da quello virtuale è un confine che tende ad assottigliarsi sempre più velocemente. Le intelligenze artificiali si stanno affermando come il motore che alimenterà la vita del futuro, semplificando la routine quotidiana grazie alla loro potenza di calcolo.

Non si dubita dell’utilità di queste tecnologie, ma il dibattito etico e morale è aperto e complesso. Proprio con l’obiettivo di non limitarsi ad analizzare aspetti tecnologici e scientifici, ma aiutare a riflettere sulle implicanze che l’intelligenza artificiale ha nella comprensione che l’uomo ha di sé, della propria vita e del mondo, il Centro pastorale dell’Università Cattolica di Cremona ha promosso, nelle settimane di Quaresima, il ciclo di incontro Intelligenza artificiale, chi sei?  inaugurato nel pomeriggio di martedì 20 febbraio.

Conversazione con l’intelligenza artificiale era il titolo dell’incontro, un momento di approfondimento scientifico condotto dal professor Federico Manzi, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano, accompagnato da un ospite a dir poco inusuale: Nao, un piccolo robot umanoide alto non più di 60 cm e dotato di un’interfaccia programmabile che gli permette di svolgere funzioni tecniche e interattive.

L’incontro, introdotto dal vicedirettore di sede Marco Burgazzoli, è stato presentato insieme al professor Fabio Antoldi, docente di Strategia Aziendale e di Imprenditorialità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona, e don Maurizio Compiani, assistente del Campus di Santa Monica.

Dopo un primo approfondimento storico e culturale sulla figura del robot fino ad oggi, analizzata sia a livello letterario che cinematografico, il professor Manzi ha analizzato il ruolo che l’intenzionalità robotica ricopre in ambito sociale, soffermandosi sulle differenze di progammazione per un rapporto fra il robot e i bambini, piuttosto che gli anziani. «La human robot interaction – ha spiegato – è lo studio dell’interazione tra umani e robot. Quello che, nello specifico, facciamo nel nostro gruppo di ricerca è comprendere il lato umano, cioè quelli che sono processi e meccanismi psicologici coinvolti nell’interazione tra noi e questi artefatti tecnologici. Le esigenze di un bambino sono diverse da quelle di un adulto o di un anziano, quindi nella programmazione di un robot è necessario capire a chi è rivolto il prodotto finale, fornendo alla macchina capacità che risultino utili alla persona che ne sfrutterà i servizi».

Il dilemma morale generato dallo spaccato fra uomo e robot è un elemento che non si può trascurare durante il processo di creazione di un automa, infatti «nel confronto tra esseri umani e robot, il nostro atteggiamento morale privilegia sempre gli esseri umani – spiega il professor Manzi, indicando Neo al suo fianco –. I robot sono entità con uno status ontologico distinto rispetto a quello degli uomini, i quali vanno sempre preservati e custoditi».

Riferendosi poi a un esperimento volto a dimostrare la fiducia che un bambino pone nei confronti della macchina piuttosto che in quella di una persona, il docente della Cattolica ha dimostrato che «i più piccoli mostrano, indipendentemente dall’età, uno schema comportamentale che, nei confronti del robot è simile a quello con l’umano». Rassicurando: «Per quanto il comportamento sia simile, la fiducia superiore rimane però sempre nei confronti dell’uomo, e questa cresce all’aumentare delle fragilità del bambino dal punto di vista razionale».

Un vero e proprio rapporto uomo-macchina che con il tempo non farà che aumentare. Ma questo non è un aspetto da intendersi come negativo: infatti la centralità della persona deve sempre essere il fondamento dell’innovazione tecnologica, per questo «ogni progresso nel campo dell’interazione uomo-robot e delle IA deve essere orientalo a migliorare la qualità della vita delle persone», precisa il professor Federico Manzi. Aggiungendo poi che «lo sviluppo e l’uso delle tecnologia deve essere guidato da principi morali ed etici solidi, l’umanesimo deve farsi bussola morale per navigare fra questi cambiamenti così repentini. La strutturazione di un legame collaborativo multidisciplinare può fare da guida verso il futuro che ci attende, così da mettere a confronto le competenze degli esperti di diversi settori, ognuno con le proprie abilità».

 

Il video dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

 

Calendario dei successivi incontri:

Martedì 27 febbraio, ore 16.30: Siamo uomini. La creatività nell’era dell’Intelligenza Artificiale – Andrea Gaggioli, professore di Psicologia generale (Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore)

Martedì 5 marzo, ore 16.30: L’Intelligenza Artificiale ci cambierà la vita? – Ivana Pais, professoressa di Sociologia economica (Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore)

Lunedì 11 marzo, ore 16.30: Religioni e Intelligenza Artificiale – Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de “Il Corriere della Sera” e di “Avvenire”)

Venerdì 10 maggio, ore 18.00: “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà – Paolo Benanti, professore di Teologia Morale (Pontificia Università Gregoriana, Roma). Incontro promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine.




50 anni di Fism, una scuola che mette “prima i bambini”

 

Fondata nel 1957, la Federazione italiana scuole materne (Fism) festeggia quest’anno mezzo secondo di storia. Un compleanno festeggiato nella mattinata di sabato 17 febbraio a Cremona con il convegno “I bisogni educativi dell’infanzia nella realtà cremonese” promosso dall’Adasm (Associazione diocesana asili scuole materne) e Fism di Cremona insieme all’Ufficio diocesana di Pastorale scolastica. Una occasione di approfondimento e riflessione che ha visto la partecipazione di esperti nel settore dell’educazione.

A introdurre l’iniziativa, organizzata in collaborazione con la Fondazione comunitaria della Provincia di Cremona e ospitata presso il Centro pastorale diocesano di Cremona, è stato il presidente provinciale Adasm-Fism Sergio Canevari, che ha sottolineato che «le difficoltà economiche sono il principale problema delle scuole. Abbiamo fatto questo convegno per far conoscere la Fism a livello diocesano e provinciale, per questo abbiamo accolto anche insegnati provenienti dalla scuola pubblica. L’obiettivo è quello di lavorare insieme per il bene dei bambini: la scuola è fatta per il bene dei bambini. Bisogna superare quelle differenze fra scuole comunali, statali e paritarie, lavorando come comunità, senza per questo perdere la propria unicità».

Dagli anni ’70 la federazione si impegna a promuovere e sviluppare attività solidali nel campo dell’istruzione e dell’educazione, a beneficio ed assistenza anche economica delle scuole per l’infanzia paritarie, dedicando una particolare attenzione ai servizi prescolastici svolti dalle scuole aderenti. Oggi Fism conta più di 9mila istituti affiliati, composti da scuole materne, sezioni primaverili e nidi, per un totale di oltre 500mila bambini, di cui il 50% provenienti dalla Lombardia.

Dopo i saluti di don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per la Pastorale che ha portato anche la vicinanza del vescovo Antonio Napolioni, impossibilitato a essere presente a motivo della Visita pastorale, e dell’assessore all’Istruzione e alle Risorse umane del Comune di Cremona Maura Ruggeri, è intervenuta Cinzia Parimbelli, del Consiglio nazionale Fism, che ha anzitutto ricordato il motto Fism: “Prima i bambini”. «Per i 50 anni la Federazione ha ritenuto di aggiungere al motto anche le parole “prendiamo il largo”: finalmente prendiamo il largo in un’ottica di tutela, di servizio e di sostegno a tutte le nostre realtà, che di fatto sono funzionali alle famiglie, all’impiego femminile e soprattutto ai bambini, che saranno gli adulti di domani». Una questione educativa che, però deve fare i conti ogni giorno con le risorse disponibili. «Quest’anno siamo riusciti ad ottenere dal Ministero dell’istruzione 90 milioni di euro in aggiunta a quelli stanziati attraverso il Mef, che si tradurranno tra il 2024 e il 2025 in una disponibilità di circa 200 euro in più a bambino. Non siamo solo venali, ma è vero che questi fondi potranno aiutare le scuole a fornire un servizio migliore alle famiglie».

 

L’intervento di Cinzia Parimbelli

 

È poi intervenuto il professor Franco Verdi, che con entusiasmo e passione ha raccontato la storia di questi 50 anni,  «un excursus storico che parte dal bisogno educativo e si evolve fino a diventare diritto educativo. Passare da una scuola finalizzata a una forma assistenziale di cura a una scuola centrata sul diritto all’istruzione, sul diritto alla formazione, è un operazione che avviene in un contesto familiare e di vita comunitaria». Il professor Verdi si è soffermato sulla figura di don Ferrante Aporti, sacerdote cremonese, ma anche pedagogista e uomo politico, pioniere dell’educazione scolastica infantile. Vero fondatore di quella che oggi è chiamata scuola per l’infanzia. «Il paradigma aportiano – ha evidenziato il professor Verdi – segna la traccia del percorso educativo italiano, che vede caratteristiche interessanti, soprattutto nell’evidenziare che c’è una forte necessità di una convergenza, un mettere in opera quella che è la responsabilità educativa della società. Prima c’è la promozione dell’uomo, dargli cultura, sapere, conoscenza e abilità, e solamente dopo si potrà parlare di evangelizzazione».

 

La relazione di Franco Verdi

 

Nella seconda parte della mattinata è intervenuta la professoressa Angela Biscaldi, docente del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Statale di Milano, che ha descritto il processo educativo da un punto di vista più antropologico, focalizzando l’attenzione sull’importanza del ruolo del genitore, ad oggi estremamente complesso. «Porto oggi la mia esperienza ventennale sui temi della responsabilità educativa – ha spiegato la professoressa Biscaldi –, bisogna cercare di capire come il processo di deistituzionalizzazione della famiglia e del matrimonio abbia portato l’attenzione sociale a concentrarsi sul bambino e sui suoi desideri e bisogni, ma non tutti i desideri e bisogni sono veramente bisogni educativi. Si tende sempre più spesso a realizzare ogni desiderio che il proprio figlio esprime, ma essere buoni genitori non significa necessariamente accontentare sempre, certe volte è necessario distinguere quello che è veramente importante da quello che invece è un bisogno istantaneo, e quindi superfluo».

 

La relazione di Angela Biscaldi

 

Al termine della conferenza i presenti hanno potuto confrontarsi con i relatori sui temi che sono stati descritti durante gli interventi, portando le proprie esperienze personali in ambito non solo scolastico, ma anche familiare e più in generale anche educativo.




Come funziona l’intelligenza artificiale: intervento del professor Ferretti a Cristo Re

Questo gatto non esiste! Duo e tre cose che so dell’intelligenza artificiale. Questo il titolo della conferenza che nella serata di venerdì 9 febbraio si è svolta presso l’oratorio di Cristo Re. Al centro dell’iniziativa organizzata dal Consiglio pastorale parrocchiale, l’intervento di Gianni Ferretti, prorettore del Polo Cremonese del Politecnico di Milano e professore di Fondamenti di automatica.

Nella sua relazione, Ferretti ha affrontato da diverse prospettive i principi di funzionamento delle intelligenze artificiali e di come queste nuove tecnologie possano generare profondi cambiamenti nei nostri stili di vita: «L’intelligenza artificiale è come rinunciare all’amore per un piacere istantaneo. Si rinuncia alla conoscenza per trarne un vantaggio immediato». Con queste parole il prorettore del Politecnico ha dato il via alla propria spiegazione, aggiungendo che «l’IA nasce nel 1956 e da allora ha attraversato diverse stagioni; si sono verificati periodi di grande entusiasmo – ha spiegato – alternati ad alcuni di grande disillusione. Prima si percepiva l’intelligenza artificiale come un insegnamento dell’uomo nei confronti di una macchina, verso la quale si trasmettevano metodi di ragionare da esseri umani, dopo il Covid c’è stato poi uno scatto di applicazioni diverse che han fatto rifiorire l’argomento».

 

 

«L’enorme aumento delle potenze di calcolo, la disponibilità di grandi quantità di dati, l’algoritmo di applicazione di Google e l’abbandono del vecchio modo di pensare sono i principali protagonisti dell’evoluzione delle intelligenze artificiali», ha spiegato il professor Ferretti , descrivendo poi una serie di operatori responsabili della nuova visione della realtà informatica e digitale, come «il Machine Learning, una procedura nuova, basata su metodi statistici che permettono alla macchina di imparare dai propri dati. Questo metodo di apprendimento è formato dal sottoinsieme del Deep Learning, che si basa sul calcolo di reti neurali multi strato per analizzare i dati e produrre delle risposte. L’insieme di questi elementi divide il vecchio modo di pensare l’intelligenza artificiale da quello nuovo, che diventa molto più performante e innovativa».

Il professor Ferretti si è poi soffermato a descrivere l’ultima innovazione delle IA, spiegando che «l’ oggetto di discussione al giorno d’oggi è l’intelligenza artificiale generativa, ovvero quella che crea da un comando specifico, riproducendo oggetti digitali che non esistono e che non sono mai esistiti. Le intelligenze generative apprendono dai propri errori, sviluppando capacità che si fondano sull’esperienza, continuano a migliorare finché non raggiungono il risultato desiderato». Concludendo il suo intervento, il professor Ferretti ha spiegato che «non si tratta più dell’uomo che insegna alla macchina, ma è la macchina che spiega alla macchina come risolvere i problemi che le vengono somministrati. La realtà è un insieme di numeri, come diceva Pitagora, e come tale può essere analizzata e calcolata. Bisogna ammettere che in certi ambiti l’intelligenza artificiale è imbattibile e migliore rispetto alle capacità umane». Uno strumento potente, che è importante conoscere perché sia utilizzato nel modo giusto, per non ritrovarci costretti a «rinunciare all’amore in cambio di un piacere che dura un istante».




La scuola radice del futuro: tavola rotonda al liceo Vida

Integrazione digitale, flessibilità e innovazione sono solamente alcuni degli aspetti che caratterizzano un significativo e profondo cambiamento del sistema scolastico. Il liceo Vida di Cremona, così come tutti gli istituti che fan parte della cooperativa Cittanova, è stato capace di dimostrarsi pronto a comprenderne il significato, affermandosi come scuola capofila nel progetto di rinnovamento dell’istruzione promosso da Indire, l’Istituto nazionale documentazione innovazione e ricerca educativa, che nell’ambito del progetto Avanguardie educative promuove l’impegno per un’educazione moderna e fatta a misura di studente.

Da tre anni il liceo Vida sperimenta nuove tecniche di insegnamento che sono diventate trampolini di lancio per l’evoluzione degli istituti del territorio nazionale. Proprio per sottolinearne la buona riuscita è stata organizzata, durante la mattina di sabato 3 febbraio, presso il salone Bonomelli del Seminario vescovile di Cremona, una tavola rotonda in cui sono stati descritti i pilastri sui cui si fonda la riforma educativa, ponendo una particolare attenzione all’importanza dell’insegnamento, che per rimanere al passo con i tempi si fa sempre più trasversale e mirato alla creazione di competenze concrete.

Per raccontare ai docenti e ai genitori presenti i caratteri della riforma sono intervenuti don Marco D’Agostino, rettore del Seminario Vescovile e docente di lettere, la preside del liceo Vida Roberta Balzarini, il vicepreside del liceo classico Gianluca Mate e don Francesco Fontana incaricato diocesano per la pastorale giovanile. Durante l’incontro, in videoconferenza, è intervenuta anche Elena Mosca, ricercatrice Indire nell’ambito del progetto delle Avanguardie educative. La tavola rotonda è stata moderata dal docente di lettere e giornalista sportivo Gianluca Corbani. All’inizio della presentazione è intervenuto anche l’assessore alla cultura, giovani e politiche della legalità del Comune di Cremona Luca Burgazzi, a sottolineare il legame indissolubile fra la scuola e le istituzioni pubbliche.

«Ci troviamo davanti a generazioni di giovani che sono diverse da noi adulti — ha spiegato don Marco D’Agostino — e abbiamo bisogno di cambiare quelle che sono le norme della scuola. Non perché siano sbagliate, ma perché con il passare del tempo diventano inapplicabili. Elasticità e confronto sono i pilastri su cui si fonda l’innovazione. Oggi è l’educazione che deve porsi delle domande: che cosa bisogna dire che prima non si diceva? Tempo fa pensavo che il docente insegnasse ciò che sapeva, ma oggi è necessario che trasmetta ciò che invece serve: bisogna sapersi adattare alle situazioni più diverse».

Ha preso poi la parola don Francesco Fontana, che a fronte degli anni trascorsi come insegnate ha sottolineato che «Dobbiamo capire che lo spazio nel quale vivono oggi gli adolescenti è cambiato: non si può più parlare di distinzione fra spazio reale e virtuale, bisogna accettare che questi due mondi convivano fra di loro. La vita oggi è un continuo flusso di informazioni, è inutile allontanarsi dal mondo on life. Lo spazio che importa è quello da abitare con la propria mente, e non solo con il corpo, oggi si può essere fisicamente qua ma allo stesso tempo virtualmente altrove”.

«La scuola è un luogo di relazione, – ha affermato Roberta Balzarini, preside del liceo Vida – è qualcosa di dinamico, qualcosa che muta e che cambia. È chiaro che il cambiamento ci porta fuori dalla nostra zona di comfort, ma bisogna accorgersi che si tratta di un cambiamento necessario. La parola d’ordine oggi è essenzializzazione del sapere, strutturato sulle sfide della quotidianità e focalizzato a fornire gli strumenti di cui gli studenti hanno bisogno per affrontare le proprie necessità».

Il professor Gianluca Mete ha poi evidenziato che «la scuola cambia e noi cambiamo con essa. La mente umana non nasce con una predisposizione alla lettura, ma è una caratteristica che si sviluppa col tempo. Per questo motivo il nostro approccio allo studio non può essere destinato a rimanere sempre lo stesso, ma nel tempo cambierà, mutando e adeguandosi alle nuove prospettive della modernità».

La ricercatrice di Indire Roberta Mosca, collegata a distanza da Firenze, ha elogiato i meriti del liceo, dicendo che «il Vida è una scuola capofila del movimento per l’innovazione educativa, da essa le scuole “adottanti” prendono esempio e cercano di replicarne le modalità di gestione del sistema scolastico. Lo spazio e il tempo sono i punti fondamentali intorno ai quali ruota la riforma, bisogna leggere in maniera costruttiva questa riforma, senza opporsi a priori, ma piuttosto abbracciandola investendo sul capitale umano».

La riforma del liceo Vida si basa proprio su una rivalutazione degli spazi e dei tempi della didattica. L’idea nasce dopo pandemia: in quel momento ci si è chiesti come poter far fronte alle problematiche che emerse durante il periodo di didattica a distanza. La prima necessità è stata quella di proporre una nuova scansione oraria della giornata: ora il liceo Vida divide l’anno scolastico in tre periodi da 11 settimane ciascuno. Il questi periodi gli studenti passano a scuola 6 ore al giorno, nelle quali si affrontano 3 materie divise in blocchi da 2 ore ciascuna, limitandosi a non più di 6 materie diverse a settimana. Rispetto a questo processo di compattazione della proposta didattica i dati parlano chiaro: il metodo funziona e i risultati degli alunni sono migliori, con un notevole beneficio nella semplicità d’apprendimento.

L’insegnamento al Vida riflette l’importanza della propedeuticità, le materie e gli argomenti vengono affrontati in periodi temporali distribuiti in maniera tale da poter fornire ogni competenza necessaria agli studenti prima di poter cimentarsi in nuove sfide curricolari. Al primo anno il corso di Greco si affronta solamente dopo un primo trimestre incentrato sull’apprendimento del Latino, così da avere già una base solida e una buona conoscenza della lingua antica. Allo stesso modo per i liceo scientifico, Fisica si inizia solamente dopo un primo trimestre di Matematica, necessario che fornire agli alunni quegli strumenti che servono per la comprensione della disciplina. L’introduzione dello studio della Filosofia fin dal primo anno dimostra l’impegno del liceo cremonese di portare i propri studenti a sviluppare un pensiero critico e profondo sui temi dell’attualità e del mondo, focalizzando l’attenzione sull’importanza del dibattito e del valore culturale che questo porta con sé.

Ogni aspetto della riforma è sempre monitorato e analizzato grazie all’intervento di tutor, e allo stesso modo affiancato da uno studio costante dell’innovazione e delle nuove tecniche didattiche.




Il vescovo Guido Marini a San Luca per il centenario della morte del barnabita Serafino Ghidini

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Quella del venerabile Serafino Ghidini, giovane chierico barnabita originario di Cavallara (in diocesi di Cremona e provincia di Mantova) morto in concetto di santità a soli 22 anni dopo essere riuscito a pronunciare in ospedale la professione religiosa solenne, è una figura ancora carica di significato per i padri Barnabiti. Ed è per questo che nel centenario della morte la sua figura è stata ricordata nella solenne Eucaristia che nel pomeriggio di sabato 13 gennaio a Cremona è stata presieduta dal vescovo Guido Marini, pastore della Chiesa di Tortona e già Maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, nella chiesa di San Luca, dove ne sono conservate le spoglie. E proprio lì si è recato, prima dell’inizio della celebrazione, il Vescovo di Tortona per un momento di preghiera personale sulla tomba, cui è seguita la benedizione.

Alle 18 è quindi iniziata la Messa solenne, animata con il canto dal coro gregoriano “S. Antonio Maria Zaccaria” insieme al coro polifonico “Il Discanto”, accompagnati all’organo dal maestro Marco Brunelli.

Accanto al vescovo Marini c’erano il vicario generale della Diocesi di Cremona, mons. Massimo Calvi, e il procuratore generale dell’Ordine dei Chierici regolari di san Paolo, padre José Carvajal. Insieme alla comunità barnabita di Cremona, con il padre Emilio Redaelli che all’inizio della liturgia ha preso la parola per un momento di saluto, c’erano anche i confratelli di diverse parti d’Italia. Non mancavano i superiori degli altri istituti religiosi maschili presenti a Cremona (padre Virginio Bebber per i Camilliani e padre Andrea Cassinelli per i Cappuccini), il delegato episcopale per la Vita consacrata don Enrico Maggi, il parroco dell’unità pastorale Cittanova don Irvano Maglia e don Massimo Macalli, parroco in solido dell’unità pastorale “Servo di Dio Serafino Ghidini” di Cavallara, Correggioverde, Dosolo, Sabbioni di San Matteo, San Matteo delle Chiaviche e Villastrada.

All’inizio dell’omelia, monsignor Marini si è soffermato sul significato che hanno i tre segni di croce che ogni fedele fa prima della proclamazione del Vangelo, spiegando che «è un gesto semplice ma molto ricco. Abbiamo tracciato un triplice segno di croce, prima sulla nostra fronte, poi sulle nostre labbra e poi sul nostro cuore. Un gesto semplice che forse compiamo con un po’ di superficialità e magari avendo dimenticato il profondo significato che ha. Quando compiamo questo triplice segno di croce sopra di noi, affermiamo: Signore io desidero e voglio che la tua Parola entri nella mia intelligenza e divenga la radice di un nuovo modo di pensare. Desidero e voglio che la tua parola risuoni sempre sulle mie labbra e nella mia voce, così che il mio parlare sia un parlare secondo la Tua volontà. Desidero e voglio che la Tua parola entri nel mio cuore, così che il mio cuore e tutta la mia vita sia un riflesso della tua vita, del tuo cuore, del tuo amore». Un desiderio e una volontà che devono essere nel cuore e nello spirito dei fedeli che si apprestano ad ascoltare la Parola del Signore.

Il vescovo Guido Marini ha poi proseguito la sua riflessione sottolineando tre passaggi delle letture. «Neppure una parola di Dio cadde nel vuoto – ha ripreso riferendosi alla prima lettira, tratta dal primo libro di Samuele –. Samuele da quel momento in poi avrebbe accolto ogni parola di Dio, ascoltata come parola da vivere, come parola da annunciare, come parola viva della sua vita, Neppure una parola sarebbe caduta nel vuoto». Da qui una domanda: «Come accogliamo la parola che il Signore ci rivolge? Quante parole sono cadute nel vuoto perché le abbiamo ascoltate con superficialità, perché forse abbiamo avuto timore a viverle, siamo stati deboli e incapaci di renderle vita della nostra vita nella quotidianità. Quanto sarebbe bello se potesse essere vero per noi quello che è stato per Samuele. Neppure una parola, neppure una, di quelle ascoltate da parte di Dio caduta nel vuoto, ma ogni parola ascoltata da parte di Dio raccolta, amata, vissuta, praticata».

La seconda riflessione è stata a partire dal passaggio della prima lettera di san Paolo ai Corinzi, “Fratelli, il corpo non è per l’impurità, è per il Signore”. «Il nostro corpo e la nostra umanità – ha detto il presule – trovano ciò che cercano e la bellezza della vita quando sono per il Signore, non quando si perdono nell’impurità, nel peccato e nel male». Il Vescovo ha poi riflettuto sul problema del peccato e del male, dicendo che «quando il nostro corpo e la nostra umanità vivono per l’impurità, per il peccato e per il male, la nostra vita appassisce, si appesantisce, diventa opaca, oscura, triste, perché il peccato determina un cuore piegato, malato e smarrito».

Il terzo e ultimo passaggio sul quale il Vescovo di Tortona si è soffermato è stato a partire dal canto al Vangelo: “Abbiamo trovato il Messia”. «Siamo davanti a due testimoni, Giovanni e Andrea, testimoni e annunciatori del Signore Gesù attraverso il fascino della loro parola infuocata, il fascino della loro vita piena di un amore per il Signore – ha affermato analizzando il brano evangelico di Giovanni –. Parola e vita in loro sono stati la testimonianza bella del Signore Gesù per i fratelli che avevano accanto». E riferendosi poi ai presenti ha concluso: «Il nostro incontro con il Signore Gesù suscita nel cuore il bisogno e il desiderio di dire a tutti chi è Gesù, il bisogno e il desiderio di proclamare ad alta voce che Lui è il salvatore vero della vita, la necessità di andare e bussare alla porta del cuore per dire aprigli il cuore, perché soltanto in lui la salvezza, la gioia e la vera vita? Non dimentichiamolo: la fede, ovvero l’incontro col Signore, suscita questa passione e questo desiderio. Oppure dobbiamo dircelo: la nostra fede non è una fede viva, e l’incontro con il Signore non è davvero un incontro che ci prende la vita e la cambia».

Prima della benedizione finale monsignor Marini ha voluto rivolgere un pensiero e un ringraziamento al vescovo Antonio Napolioni per l’accoglienza in diocesi, così come alla comunità Barnabita che da anni opera sul territorio cremonese. Ha quindi preso la parola per un saluto anche il procuratore generale dei Barnabiti, padre José Carvajal.

L’omelia del vescovo Guido Marini

 

 

Il venerabile Serafino Ghidini

Serafino Maria Ghidini nacque il 10 gennaio 1902 a Cavallara (Mn). Inviato a Cremona come garzone in una cartoleria ebbe modo di conoscere e frequentare il Circolo giovanile Zaccaria voluto dei Barnabiti a San Luca. Il suo desiderio di diventare religioso, osteggiato dal padre, socialista convinto, si fortificò man mano nella preghiera e nello studio personale dopo le ore di lavoro. Nel 1919 riuscì finalmente a ottenere il consenso dei suoi genitori. La sua testimonianza di fede divenne realtà ancor più evidente quando iniziò a manifestarsi la malattia che l’avrebbe portato giovanissimo alla tomba.

Dopo un anno di studio a Milano, fu ammesso al noviziato dei Barnabiti di Monza, dove il 1° novembre 1923 pronunciò i voti religiosi. Avrebbe quindi dovuto recarsi a Lodi per completare gli studi liceali, ma per l’aggravarsi della malattia fu costretto al ricovero all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Rimase in ospedale ottanta giorni. Prima di morire in concetto di santità, il 13 gennaio 1924, riuscì a pronunciare la sua professione religiosa solenne.

Il processo di beatificazione fu stato promosso dai Padri Barnabiti. L’inchiesta diocesana, aperta il 9 marzo 1967, fu chiusa il 21 marzo 1975 e il decreto sugli scritti fu emesso il 28 maggio 1977. Dopo il Congresso dei teologi dell’11 gennaio 1994 e la sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi del 19 aprile 1994, con l’approvazione delle virtù eroiche del 2 luglio 1994, Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato venerabile il chierico Serafino Ghidini.

 

Il vescovo Guido Marini

Mons. Guido Marini è nato a Genova il 31 gennaio 1965. Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica al Liceo “C. Colombo” è entrato in Seminario. Ordinato sacerdote il 4 febbraio 1989 dal cardinale Giovanni Canestri, ha proseguito gli studi a Roma presso la Pontifica Università Lateranense, dove ha conseguito il dottorato In utroque Iure con una tesi inerente il problema dei rapporti Chiesa e Stato agli inizi del 1900. Nel 2007 ha conseguito la laurea breve in Psicologia della comunicazione presso la Pontificia Università Salesiana.

Dal 1988 al 1995 è stato segretario particolare del cardinale Giovanni Canestri, dal 1995 al 2002 del cardinale Dionigi Tettamanzi e dal 2002 al mese di agosto del 2003 del cardinale Tarcisio Bertone. Dei cardinali Tettamanzi e Bertone, come anche del cardinale Angelo Bagnasco, è stato maestro delle celebrazioni liturgiche, costituendo il Collegium Laurentianum, un’associazione di volontari per il servizio d’ordine e d’accoglienza della Cattedrale di Genova, soprattutto in occasione delle celebrazioni liturgiche diocesane.

Dal 2003 al 2005 è stato direttore dell’Ufficio diocesano per l’Educazione e la Scuola, con specifica competenza per l’insegnamento della religione cattolica.

Il 29 settembre 2007 Papa Benedetto XVI lo ha insignito del titolo di prelato d’onore di Sua Santità, mentre il 1º ottobre lo ha nominato maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, succedendo all’arcivescovo Piero Marini.

Il 17 gennaio 2019 Papa Francesco lo ha nominato responsabile della Cappella musicale pontificia sistina, contestualmente inserita nell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, affidandogli anche il compito di redigerne il nuovo statuto.

Il 29 agosto 2021 è stato nominato vescovo di Tortona, diocesi di cui ha preso possesso il 7 novembre, dopo l’ordinazione episcopale avvenuta il 17 ottobre nella basilica di San Pietro in Vaticano.