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Rete di preghiera, in Cattedrale una serata di riflessione e adorazione con il vescovo

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Serata di riflessione e adorazione eucaristica, venerdì 10 giugno in Cattedrale con i numerosi gruppi di preghiera delle varie parrocchie che si sono riuniti insieme al vescovo. Una quarantina i gruppi, giunti dalle diverse zone pastorali, che hanno vissuto una intensa serata di silenzio e preghiera, guidati da brani del Vangelo, testi di Papa Francesco e di alcuni santi.

Insieme al vescovo i membri della Rete di preghiera di cui più volte Papa Francesco ha ribadito l’importanza, hanno potuto pregare per il mondo il subbuglio, per la Chiesa e per i fratelli che più di tutti soffrono, ricordando che, come ha sottolineato l’incaricato diocesano della Rete di preghiera, il canonico monsignor Antonio Trabucchi, «bisogna essere come sentinelle che vegliano, osservano con grande attenzione e annunciano, come dice il profeta Isaia, che la notte sta per finire e viene il mattino».

A precedere l’esposizione dell’Eucaristia e l’adorazione, la riflessione del vescovo che, richiamando il tema della veglia, si è domandato: «sentinella, quanto resta della notte?». E riferendosi al profeta Isaia, ha sottolineato che «l’abbiamo scelto per chi ha scoperto la bellezza della preghiera, chi sente la missione della preghiera e chi condivide anche la fatica della preghiera è come una sentinella. Ma non una sentinella armata che sulle mura difende la città del nemico, dobbiamo temere noi stessi piuttosto che gli altri. È una sentinella che la notte veglia in attesa dell’alba, in attesa di qualcuno, in attesa della vittoria», sottolineando che «quello che resta della notte è da vivere, da credente, non temerla e non fuggirla, abitarla con tutto il cuore, per questo stasera preghiamo per questo mondo, per questa Chiesa, per i nostri cuori chiamati a pregare così».

La serata diocesana di preghiera si è conclusa con la benedizione eucaristica e l’impegno alla preghiera che ciascuno dei presenti ha portato con sé per continuare a essere sentinella per l’intera Chiesa.




Presentati al Museo Diocesano i cataloghi della collezione Arvedi-Buschini

«Non è usuale il fatto che un museo venga inaugurato e subito ci possa essere una sua parte, una sua collezione, che presenti la possibilità di essere spiegata e raccontata all’interno di un catalogo. Credo, però, che sia importante presentare al pubblico la collezione Arvedi-Buschini, in quanto opere come L’Annunciazione di Boccaccio Boccacino sono un’estrema novità per il museo e forniscono innegabilmente un valore aggiunto alla proposta artistica». Con queste parole don Gianluca Gaiardi, direttore dell’ufficio Beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Cremona, ha condiviso l’emozione della pubblicazione dei due volumi della collana “La collezione di Giovanni Arvedi e Luciana Buschini”, editi dalla casa editrice Mandragora, presentati al pubblico nella mattina di venerdì 10 giugno presso la sala proiezioni del Museo Diocesano, dove sono disponibili per l’acquisto.

L’evento si è articolato nella forma di un viaggio storico, artistico e culturale che ha ripercorso e analizzato l’origine delle opere proposte, soffermandosi con particolare attenzione sulle vicende collezionistiche che hanno caratterizzato i dipinti e le sculture negli anni, fino ad arrivare al loro significato e all’analisi di alcuni dettagli di importante rilevanza, ricordando però che non bisogna sottovalutare il merito di chi raccoglie e conserva le opere d’arte, ovvero i mecenati, gli appassionati e i collezionisti, in quanto è il loro contributo che permette che queste opere possano conservarsi ed essere studiate, facendosi largo attraverso i secoli.

Hanno partecipato alla presentazione anche il vescovo di Cremona Antonio Napolioni, il sindaco Gianluca Galimberti e la signora Luciana Buschini Arvedi.

A descrivere il primo volume della collana, intitolato “Dipinti e sculture” e curato da Laura Cavazzini e Andrea De Marchi, è intervenuto il soprintendente alle Belle arti e paesaggio per le provincie di Cremona, Lodi e Mantova, Gabriele Barucca, spiegando che «la collezione consta di 18 dipinti su tavola e 7 sculture databili dal XII secolo fino ai primi anni del ‘500. Anello di congiunzione tematica della collezione è sicuramente la volontà dei donatori, ovvero dei coniugi Arvedi, di raccogliere opere con un profondo significato religioso, recuperandole con sguardo spirituale; insomma, attribuendogli il significato per il quale furono create». La collezione mostra pezzi eccellenti, in primis Boccaccio Boccacino, seguito dalla Madonna con Bambino che in principio fu una Maestà di uno scultore senese. Ci sono anche vere e proprie reliquie, come le due teste di Christus triumphans, una spoletina e l’altra pisana, che sono veramente uniche nel loro genere».

In seguito Francesco Frangi, docente di storia dell’Arte moderna e Museologia presso l’Università degli Studi di Pavia, ha analizzato con precisione il capolavoro di Boccaccio Boccacino, L’Annunciazione, ricordando che «l’artista è il fondatore della grande tradizione pittorica cremonese del ‘500 grazie principalmente al suo intervento all’interno del ciclo della cattedrale, dove grazie a lui si affermeranno nuovi artisti come Altobello Melone e Gian Francesco Bembo. L’occasione di vedere al Museo Diocesano opere di così grande spessore va sicuramente a valorizzare tutto il panorama artistico della diocesi e della provincia, già di per sé reso grande dal lascito di Boccacino che troviamo appena entrati all’interno della Cattedrale e che da sempre è lì presente».

A concludere la mattinata l’intervento di Andrea De Marchi, curatore dell’intera collana al fianco di Laura Cavazzini, che ha dimostrato l’impegno nel progetto di pubblicazione del catalogo dicendo che «nell’Università di Firenze dove insegno abbiamo organizzato un gruppo fra i migliori allievi, sia specializzandi che dottorandi, che ha lavorato con impegno alla stesura del catalogo. Per gli studenti è stato un modo di cimentarsi in prima persona lavorando direttamente sulle opere, potendole studiare e contestualizzare con criteri di ricerca scientifica. Un grande ringraziamento – ha aggiunto – va rivolto anche alla casa editrice Mandragora, che ha reso possibile la creazione della confezione finale, quella che è possibile acquistare e leggere».




Cremona, nella chiesa di S. Omobono la rinascita della “Madonna col Bambino” del Bembo

Nel tardo pomeriggio di domenica 5 giugno la chiesa dei Santi Omobono ed Egidio a Cremona ha visto i propri banchi e le sue navate animarsi di fedeli per assistere alla presentazione del restauro dell’affresco attribuito a Bonifacio Bembo, raffigurante la Madonna col Bambino, affiancata da Sant’Omobono e i fedeli in uno stile gotico-cortese della seconda metà del 1400. L’opera fu riportata alla luce grazie ad una precedente azione di restauro della decorazione quadraturistica settecentesca dell’abside nell’agosto del 2022.

Durante la Messa delle 18.30 che ha preceduto la presentazione dell’affresco, il parroco dell’Unità pastorale Cittanova don Irvano Maglia ha espresso gratitudine verso tutti coloro che han reso possibile il restauro, sottolineando l’importanza di chi in prima persona ha offerto con generosità per fare un dono a tutta la diocesi fino a ringraziare gli operatori che con impegno e dedizione han portato alla bellezza di un tempo la Madonna in trono col Bambino.

Al termine della celebrazione liturgica, a presentare i successivi relatori e l’importanza dell’affresco sono state le parole dell’esperta d’arte Roberta Raimondi, seguita nel suo intervento da don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per le Attività e i Beni Culturali ecclesiastici, che con passione ha raccontato che «l’affresco riportato alla luce è un gioiello bello e prezioso per tutta la città di Cremona. Al suo interno  – ha spiegato – è possibile ammirare la Madonna col Bambino seduta su un trono riccamente decorato, ma ad uno sguardo più attento si può capire che è una vera e propria chiesa, così Maria si dimostra madre di Cristo e di tutti i cristiani, di tutti gli uomini. Anche se purtroppo non ha più un volto, si può intuire una presenza molto cara a tutta Cremona nella composizione, deducibile da una borsa bianca retta in mano: quella è la borsa di Sant’Omobono retta da quello che si può con abbastanza sicurezza identificare proprio come il patrono cremonese. Intorno a loro, sempre come protagonisti, si raccolgono molte persone che sono i fedeli e i cittadini, che nel loro viaggio seguono l’esempio di Maria e dei santi. Come loro – ha aggiunto – anche noi oggi dobbiamo seguire la via della generosità e della carità, trasformando Cremona in un posto che assomigli di più al patrono che la rappresenta».

L’analisi di don Gianluca è stata poi seguita dall’intervento tecnico dell’architetto Paolo Rambaldi che ha lasciato la parola alla restauratrice Rosa Nolli, che in prima persona ha potuto metter mano sull’opera. Tra le tecniche esposte si è evidenziato che la prima operazione necessaria sia stata quella di rimozione delle vecchie stuccature tramite l’utilizzo di strumenti di precisione come bisturi e scalpelli, utilizzando successivamente un composto di acqua e ammonio per rimuovere la polvere presente sull’affresco attraverso l’interposizione di carta giapponese. Attraverso i fori e le fessure preesistenti sono state eseguite iniezioni di boiacca a varie diluizioni che permettessero il consolidamento del lavoro svolto, fino a giungere in conclusione ad una vera e propria azione pittorica attraverso colori ad acquerello sulla superficie decorata, affinché i colori originali potessero mostrarsi con la bellezza che ha affascinato gli osservatori molti anni fa.

La presentazione si è poi conclusa con la possibilità di visitare l’affresco dietro all’altare maggiore in piccoli gruppi, regalando così ai presenti una vera esperienza artistica che Bonifacio Bembo ha voluto donare a tutta la diocesi di Cremona in un lontano passato, ma che grazie all’impegno della comunità sarà ammirabile ancora per molto tempo.




“Come voce crocifissa”: un libro ricorda la passione educativa di don Giancarlo Gremizzi

«È da un’amicizia, da una cara e sincera amicizia che è nato questo libro. Grazie a don Giancarlo e al suo impegno, al suo pensiero e alla sua fede nasce anche l’associazione Autonomia Giovani, che nel ricordo del passato guarda verso il futuro, aiutando chi fra tutti ha bisogno ma ancora tante potenzialità da scoprire». Con queste parole Francesco Falasco, autore del libro “Come voce crocifissa” ha presentato, nella serata di venerdì 27 maggio presso la sala Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona, l’opera che raccoglie pensieri, riflessioni ed avvenimenti della vita di don Giancarlo Gremizzi. 

Un momento di intimità in cui il ricordo del compianto sacerdote cremonese, prematuramente scomparso nel 2015 a motivo della Sla all’età di 65 anni, ha coinvolto i presenti grazie a numerosi racconti di quelli che fra tutti l’han conosciuto nella sua umanità. Fra di loro il confratello don Giandomenico Pandini, Michele Bolzoni (ex studente del liceo Aselli presso il quale don Giancarlo ha insegnato), Franco Verdi (ex preside dell’Einaudi) e il rettore del Seminario di Cremona don Marco D’Agostino. Ognuno di loro ha saputo raccontare con umanità e calore i più bei momenti passati insieme a don Gremizzi, portato via troppo presto dalla sclerosi laterale amiotrofica.

Originario della città di Cremona, della parrocchia della Beata Vergine di Caravaggio, don Gremizzi trascorse quasi tutta la sua vita in città: dopo la parentesi di due anni come vicario a Soresina, immediatamente successiva alla sua ordinazione, il sacerdote tornò nella “sua” Cremona, prima come vicario a S. Agostino e poi a S. Sebastiano, sempre impegnato nell’ambito dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e con la partecipazione a diverse associazioni del settore educativo. La sua fu una vita spesa come insegnante di religione al liceo scientifico Aselli di Cremona e nell’impegno come assistente ecclesiale di diverse associazioni del settore educativo.

Lo scopo della serata, oltre al ricordo di questo sacerdote con la pubblicazione di una riaccolta si suoi scritti sul tema educativo, è stato quello di raccogliere fondi per l’associazione Autonomia Giovani, che proprio nella memoria di don Gremizzi si impegna nell’aiuto di ragazzi in difficoltà mostrandogli la strada da percorrere per poter affermare le proprie potenzialità. Fra i percorsi disponibili cinque ambiti si distinguono nel percorso didattico e sociale, creatività animazionale, salute e turismo, formazione ed educazione, arte e cultura ecogastronomica ed officina laboratoriale.

L’associazione accoglie i ragazzi dopo la terza media, affinché la scelta del percorso di studi possa essere ponderata ed efficace. A dimostrare l’efficacia del percorso due ragazzi del liceo musicale Stradivari di Cremona – Giulia Farina al violoncello e Alessandro Maffezzoni al contrabbasso – che hanno saputo incantare i presenti esprimendo con le note dei loro strumenti la passione musicale di don Giancarlo Gremizzi.

È possibile acquistare una copia del libro “Come voce crocifissa” presso la segreteria del Centro pastorale diocesano, in via sant’Antonio del Fuoco 9/A, a Cremona.




Sanità nel post-Covid tra crisi di valori e fuga dei medici

«Il disagio morale degli operatori sanitari è ormai un dato di fatto, molti medici giovani sono pentiti delle scelte prese e alcuni colleghi del pronto soccorso vogliono abbandonare l’area d’urgenza. La pandemia ha segnato profondamente la nostra amata professione, molti se ne sono già andati, viene quindi spontaneo chiedersi come sarebbe possibile mantenere standard qualitativi alti in questa situazione». A tracciare il quadro è la la dottoressa Rosalia Dellanoce, presidente dell’Associazione medici cattolici italiani di Cremona in occasione del convegno «Chi si prende cura di chi cura?» promosso ieri mattina in collaborazione con l’Ordine dei medici presso la nuova sede presso il polo tecnologico cittadino. E in questo panorama gli operatori cattolici sono ancora più in difficoltà, «poiché alcune scelte obbligate – evidenzia la Dellanoce – esulano dalla morale che un cristiano vuole seguire».

L’appuntamento formativo ha visto intervenire professionisti del mondo sanitario cremonese che hanno vissuto e continuano a vivere a pieno carico la pandemia e i suoi lasciti, fra i quali il lo spichiatra Franco Spinogatti e la psicologa Raffaella Galli. Ad aiutare la riflessione è stato quindi l’intervento di monsignor Renzo Pegoraro, medico bioeticista cancelliere della Pontificia accademia per la vita, che ha sottolineato l’importanza di «iniziare a riconoscere l’importanza del servizio medico, soprattutto vista la fatica fisica ed emotiva, che può portare inevitabilmente a quello che in inglese è definito “moral distress”, cioè il rischiare di trovarsi a non poter esprimere i valori della propria professione a causa della situazione vissuta». E ancora: «Non essere in grado di realizzare la propria volontà morale è un problema gravissimo, ma è necessario porre l’operatore sanitario nella condizione di poterla esprimere. Umanità, servizio, cura e accompagnamento sono i principali caratteri delle professioni sanitarie, sono i valori ispiratori del mestiere, e cristianamente significa prendersi carico dei malati con vicinanza, compassione, solidarietà e giustizia, insomma, un vero movente di umanità, affinché il sistema sia umanitario e umanizzante per tutti coloro che sono in difficoltà».

Il convegno si è concluso con una tavola rotonda che ha preso spunto dalla tradizionale giapponese «Kintsugi: l’arte di riparare le ferite con l’oro» per un ulteriore momento di confronto che ha coinvolto i presenti.




«Ricordare per guardare al futuro». Al Centro pastorale incontro per fare memoria della resistenza cattolica

Alle 16 di venerdì 13 maggio, presso la sala Spinelli del Centro pastorale di Cremona, in occasione del 77o anniversario della Liberazione si è tenuto un momento di ricordo storico e riflessione sula presenza dei cattolici cremonesi nella resistenza partigiana e antifascista durante gli anni della seconda guerra mondiale, fino ad arrivare all’evoluzione che questo movimento ha vissuto per arrivare fino ad oggi.

Ad inaugurare l’incontro le parole dell’ex senatore Angelo Rescaglio, attuale presidente dell’Associazione Partigiani Cristiani, seguito dall’intervento del vescovo di Cremona Antonio Napolioni che ha portato il suo saluto poi lasciato spazio alle riflessioni del professor Franco Verdi, membro della commissione centrale di beneficenza della Fondazione Cariplo, e di Dino Perboni segretario generale Ust–Cisl Asse del Po Cremona Mantova, organizzatrice dell’incontro insieme all’Associazione Nazionale partigiani cattolici.

«Se oggi siamo qui significa che in fondo non è vero che si è spento tutto, che rimaniamo fermamente legati al vincolo dell’amicizia, della responsabilità, del dare e del fare»: con queste parole si Angelo Rescaglio si è aperta la riflessione. L’ex senatore ha sottolineato come «questo convegno abbraccia tutta la risonanza che deriva dall’esempio di don Attilio Fontana, un uomo di Chiesa che ha voluto donare una storia ai cristiani attraverso la sua resistenza. Lo scopo è quello di rianimarsi e di trovare una forza viva. Duole ammettere – ha proseguito – che andare a Messa senza spirito non serve a nulla, ma all’uscita, se ci rendiamo conto che fuori bisogna creare qualcosa, allora ben vengano anche questi tempi. Speriamo che i giovani possano assolvere a questo impegno che mai può dirsi veramente concluso».

In seguito l’intervento del professore Franco Verdi: «Il tema dei cattolici cremonesi e la resistenza ha una sua ricchezza, una sua bellezza e una sua complessità, e merita di essere presentato. I cattolici nella lotta al fascismo della resistenza non sono estranei, non sono provvisori, ma son protagonisti che vivono un’esperienza di liberazione, termine biblico che spiega con particolare efficacia il percorso dell’opposizione alla violenza e alla dominazione, fino ad approdare alla terra promessa, nel nostro caso il traguardo della Repubblica e della democrazia».

Un concetto ribadito e sottolineato da Dino Perboni: «I valori della resistenza sono attualissimi, il mondo cattolico ricopre un ruolo importante nella società, e per questo è anche protagonista di quel movimento che coinvolse uomini e donne cattolici, sacerdoti e laici, che si sono fatti carico dei problemi di quel Paese, decidendo di agire favore dell’umano nei confronti del disumano. Molti sacrificarono la propria vita, e se oggi godiamo anche della possibilità di dissentire, è tutto merito di coloro che hanno anteposto alla propria esistenza il benessere delle future generazioni, quindi di noi tutti».




Madonna della Fiducia, a Isola Pescaroli una domenica di festa con la benedizione delle acque

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Lungo le rive del Grande Fiume, presso il piccolo paese di Isola Pescaroli (San Daniele Po), domenica 8 maggio si è tenuta la festa della Madonna della Fiducia, presso l’omonimo santuario. Una giornata all’insegna della storia e della tradizione che ha saputo far rivivere anche oggi lo spirito di un’antica devozione, attirando persone anche dai paesi limitrofi per questa giornata caratterizzata dalla scenografica discesa sul fiume dell’immagine di Maria, celebrazione che da ormai due anni non si era potuta svolgere per il Covid19.

A raccontare la storia del santuario è don Roberto Musa, parroco di San Daniele Po e cappellano del carcere di Cremona, spiegando che «la volontà di erigere il Santuario nasce dalla devozione di don Martino Aletti per la Madonna della Fiducia, nata durante gli anni del seminario a Roma e rafforzata ulteriormente dopo il miracolo del 1951, anno nel quale ci fu una grandissima e rovinosa alluvione che colpì tutti i paesi vicini, risparmiando però isola Pescaroli. L’anno seguente ci fu l’inaugurazione del santuario, eretto dalle spoglie della precedente chiesa di San Biagio in onore della Madonna della Fiducia, proclamata di conseguenza Regina del Po dall’arcivescovo Giovanni Cazzani. E fu Papa Pio XII a benedirne le corone l’8 maggio 1952».

Nel santuario della Madonna della Fiducia don Roberto Musa ha celebrato la Messa davanti ai fedeli, al sindaco di San Daniele Po Davide Persico, al vicesindaco Francesca Guarreschi e ai volontari della protezione civile, il tutto sotto lo sguardo attento e devoto di tre membri dell’ordine dei Cavalieri templari cattolici d’Italia che hanno prestato servizio per l’occasione.

In seguito, con in sottofondo la musica del Corpo bandistico Pizzighettonese, la protezione civile ha portato l’immagine della Madonna, scortata dai templari, in processione per le vie del paese, fino a raggiungere le rive del fiume, luogo nel quale, l’immagine sacra è stata posta sulla barca, accompagnata dal sindaco e da don Musa che, in mezzo al fiume, ha benedetto le acque affinché possano rimanere calme e tranquille. Quindi è stato gettato in acqua un mazzo di fiori, nel ricordo di tutti coloro che a causa degli infidi flutti sono stati portati via prematuramente.

Sempre accompagnata dalla musica della banda, l’immagine della Madonna della Fiducia ha fatto ritorno sulla terra ferma, per poi essere nuovamente accompagnata nel suo santuario, dal quale ogni giorno veglia sugli abitanti del paese e di tutti quelli che vivono lungo le rive del fiume Po.

 

Nella puntata del Giorno del Signore in onda il 14 e 15 maggio il servizio con le suggestive immagini della giornata di festa a Isola Pescaroli, la processione e la benedizione delle acque

 




Cresimandi e cresimati tornano ad accendere il PalaRadi. Il Vescovo: «Seguite la freccia scoccata da Dio»

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Con uno scambio di battute con i ragazzi che si son domandati che cosa significasse essere cristiani, il vescovo Antonio Napolioni ha introdotto l’omelia del tradizionale momento di preghiera presso il palazzetto dello sport di Cremona, che nel pomeriggio di sabato 7 maggio ha saputo raccogliere da tutta la diocesi i ragazzi che hanno da poco ricevuto il sacramento della Cresima o lo riceveranno nelle prossime settimane. Ad accogliere l’evento, accompagnato dalla musica del Grande Coro Diocesano diretto da Mauro Viola, la Federazione Oratori Cremonesi con il presidente don Francesco Fontana.

Animazione e preghiera, festa e tradizione, futuro e impegno, sono alcune delle parole che descrivono l’incontro dei cresimandi e cresimandi al palasport che da due anni, a causa del Covid-19, non si era potuta svolgere, ma che quest’anno è tornato più forte che mai.

Con ironia e abilità i ragazzi della FOCr hanno messo in scena un divertente spettacolo che ha raccontato di tre ragazze pronte a partire per le vacanze, ma che a causa di un improbabile gommista si son ritrovate a mimare un carretto, i cui componenti sono stati sostituiti dai ragazzi del pubblico che, pronti a unirsi a questa inusuale situazione, si son ritrovati anche loro ad esibirsi davanti ai coetanei, arrivando infine a ballare sotto le note di Bruno Mars un ballo che ricordava il cambio di una gomma, tra palloni che volavano, grida, gioia e spensieratezza.

A seguire il coro ha accolto con il suo canto il vescovo Napolioni, che ha chiesto al pubblico un forte “siamo qui”, per dimostrare che sia i cresimandi che i cresimati, così come i catechisti, sono una presenza concreta che si fa sentire, ricca di Spirito Santo, dimostrata anche dalla testimonianza di alcuni ragazzi che hanno raccontato della loro vita da cristiani, condividendo la gioia della fede con tutti i presenti che ancora stanno aspettando di viverla in tutta la sua pienezza. Aiuto, condivisione e testimonianza, “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, questo il motto che ha guidato la riflessione dei ragazzi.

“Vi siete posti delle belle domande, ma vedete, quell’uomo che veniva da lontano e andava al tempio ne tornava deluso, il suo viaggio non trovava una meta. Anche noi a volte andiamo al tempio per abitudine, con il rischio che Gesù diventi scontato. Leggendo il libro di Isaia si domandava di chi parlasse, e Filippo gli ha rivelato chi era Gesù”. Con questo commento al Vangelo posto nella forma di un dialogo fra i ragazzi, il Vescovo ha posto a tutti una domanda, “chi è Gesù?” rispondendo che “Lui è una freccia scoccata da Dio che ancora fa la sua traiettoria nel cuori”. “Seguire Gesù – ha detto ancora Napolioni – significa seguire quella freccia, non averne paura. Bisogna però scoprire chi è, e noi non lo sappiamo ancora del tutto, poiché il suo mistero é inesauribile, seguirlo è quindi un viaggio indimenticabile, quindi buon viaggio anche a tutti voi”. Quindi, chiudendo la propria riflessione il Vescovo ha chiesto ai ragazzi: “Vogliamo essere un popolo nuovo? Vogliamo essere la famiglia dei figli di Dio? Se c’è questa verità, se c’è questo fuoco, sarà una vita straordinaria”.

 

 

E se la vita è un viaggio, un’avventura straordinaria, ecco il motivo per il quale è stata regalata ai gruppi presenti una borraccia. Il segno dell’importanza dell’acqua durante un viaggio, della sete, ma soprattutto della condivisione, del sapere sfruttare ciò che si ha senza però ledere agli altri, sacrificandosi per il prossimo. “Quando andavo in montagna con i ragazzi – ha detto il Vescovo – ho sempre portato con me una borraccia segreta, una borraccia piena d’acqua che avrei tirato fuori solamente quando quella di tutti gli altri fosse finita, solo quando ce ne fosse stato veramente bisogno. In quel momento sapevamo bene che dovevamo solo bagnarci le labbra e non bere a garganella, perché così ognuno avrebbe avuto un piccolo ristoro per continuare la camminata, per continuare l’avventura. Così si impara a condividere e vivere per gli altri”.

Il cammino non finisce mai, e questo vale per tutti. Per dimostrarlo è stata regalata una borraccia anche al Vescovo. E quando in viaggio sta per iniziare, come nel caso del diacono William Dalé, che ha affiancato il vescovo durante l’incontro, allora la bellezza dell’avventura deve ancora arrivare: per questo gli è stato donato tutto l’occorrente per poter celebrare la Messa, quando a giugno sarà ordinato sacerdote.




Accettare il conflitto aprendosi al dialogo: tre realtà di accoglienza femminile insieme per educare alla pace

«La Pace non è assenza di guerra, il litigio e la disputa sono elementi caratterizzanti della natura umana, ma la capacità di dialogare e di confrontarsi è ciò che rende possibile appianare le divergenze, per creare così una situazione in cui la risoluzione del conflitto sia un traguardo possibile e chiaro». Con questa riflessione si è aperta la conferenza “Educare per la pace – La strategia del dialogo e dell’accoglienza”, che si è tenuta nel tardo pomeriggio di giovedì 4 maggio presso la sala eventi di Spazio Comune, a Cremona: un momento di dialogo reso possibile dal contributo a più mani della fondazione Madre Rosa Gozzoli, della fondazione Casa Famiglia S. Omonono e della Società Centrale Femminile San Vincenzo, realtà del territorio che gestiscono esperienze di accoglienza rivolte a donne in situazione di fragilità con o senza bambini.

Ospiti e relatori dell’incontro la psicologa e psicoterapeuta Laura Gerroni, da anni attiva nell’ambito dell’accoglienza di madri con bambini vittime di abusi e violenza, e l’insegnate Evelina Labianca, da venticinque anni docente della scuola dell’infanzia. In rappresentanza delle istituzioni cremonesi l’assessore alla politiche sociali e alle fragilità Rosita Viola e l’assessore al turismo, commercio e sicurezza Barbara Manfredini.

«Perché nel 2022, nonostante la connessione disponibile fra ogni persona del mondo, non è sempre possibile risolvere i conflitti e le più piccole divergenze senza l’uso della violenza?». Con questa domanda Laura Gerroni ha esposto alcuni caratteri della psicologia moderna, evidenziando che «alla base del comportamento umano è possibile isolare tre sistemi motivazionali che si attivano e disattivano in funzione dell’educazione ricevuta e della situazione in cui ci si trova. Di grande rilievo, oltre al sistema dell’affiliazione e della connessione, è quello della difesa, che entra in funzione in situazione di pericolo, oscurando completamente gli altri». «Questo fenomeno – ha affermato la psicologa – porta inevitabilmente a rispondere alla provocazioni come se fossimo davanti a dei nemici, e per evitare che ciò accada, per fare in modo che il bambino prediliga il dialogo, è necessaria un’educazione che si allontani dallo schema errore-punizione, che si fondi quindi sull’ascolto e l’apertura. In questo processo il ruolo dell’educatore e del genitore è di primaria importanza, se si riesce a controllare i propri sistemi di difesa ci si apre la possibilità di discutere, di condividere le idee diverse dalle nostre e di conseguenza appianare i conflitti in maniere che esulano dalla violenza».

A raccontare della propria esperienza nel campo dell’infanzia, l’insegnate Evelina Labianca che ha spiegato come «il conflitto nei bambini, il litigio, non deve essere bloccato e demonizzato, etichettato come sbagliato a prescindere dai fatti, ma va fatto scorrere, lasciando che faccia il suo corso: il bambino non ha la necessità di un mediatore, perché nella sua innocenza, davanti ai coetanei, troverà dei meccanismi che permettano di preservare l’amicizia». «Il conflitto – ha detto ancora la maestra – nei più piccoli dura poco, e serve da insegnamento per il futuro. Al fianco dei bambini è necessario che l’educatore sappia come affrontare tematiche importanti e per nulla scontate: citando un esempio, era successo che una bambina fosse disperata per la morte del propria gatto, in questo caso l’approccio migliore è quella della verità, parlare del fatto e fare in modo che lo si accetti, poiché inevitabile. Una bugia apparentemente a fin di bene avrebbe solamente portato la bambina a credere che le persone verso le quali pone fiducia le stessero mentendo, portando in futuro anche lei a usare questa strategia come meccanismo di autodifesa verso gli eventi della vita”.

Per giungere alla pace è quindi chiaro come sia necessario il conflitto, ma affrontato in maniera chiara e decisa, aperti al dialogo e accettando che tramite il discorso si giunge alla verità, e la verità non è mai unidirezionale. È fondamentale comprendere che le proprie convinzioni non sono necessariamente quelle giuste, infatti solo dal confronto si può giungere alla verità, quella che crea pace e democrazia.




La Pasqua in carcere con il Vescovo: “Farsi azzimi di verità”

«Dopo la risurrezione di Gesù che cos’è cambiato? C’è chi direbbe che non è cambiato nulla, che il mondo è ancora malvagio e corrotto, ma la verità è che nulla è più come prima, lui ha salvato il mondo dal peccato e ora tocca a noi investire i nostri talenti, farli fruttare per fare del bene, per migliorare ciò che già abbiamo e ciò che lasceremo». Con queste parole un detenuto del carcere di Cremona ha aperto, salutando il Vescovo, la Messa di Pasqua nella casa circondariale di Cremona celebrata la mattina di domenica 17 aprile alla presenza di monsignor Antonio Napolioni, affiancato dal diacono permanente Marco Ruggeri, operatore di Caritas Cremonese in Carcere, del cappellano don Graziano Ghisolfi e del cerimoniere don Flavio Meani, davanti ai detenuti, gli operatori e gli agenti della polizia penitenziaria e i volontari.

Il Vescovo, dopo aver ringraziato per l’accoglienza calorosa, ha spiegato che «per fare un pane nuovo bisogna togliere il lievito vecchio, in questo modo si farà un pane azzimo leggero, di una pasta nuova, la stessa pasta di cui dobbiamo essere fatti, una pasta speciale». E ha proseguito: «La farina del pane nuovo è fatta di umanità, è semplice ma pura, è fatta di piccoli granelli, e il Signore riconosce in ognuno di quelli un diamante, un’unicità. L’acqua con cui si impasta il pane nuovo è capace di valorizzare la farina facendola diventare pane, fa si che la polvere diventi fango e non si confonda». «Allo stesso modo – ha sottolineato il Vescovo – il perdono e le lacrime sono l’acqua di salvezza, l’acqua della rinascita». Concludendo l’omelia monsignor Napolioni ha quindi augurato che «come il pane nuovo anche voi possiate un domani, si spera il più presto possibile, possiate uscire da questo posto come persone rinnovate: uscite da un cammino produttivo e fecondo di riscossione per poter tornare ad essere uomini liberi e veri».

La celebrazione si è conclusa con un grande applauso per il Vescovo e per gli stessi detenuti che son stati capaci, con le loro parole, di dimostrare che anche il lievito vecchio può essere messo da parte per diventare leggere, nuovo e rinnovato.