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Domenica a Pumenengo l’ingresso di don Fabio Santambrogio

Proseguendo il percorso di collaborazione già positivamente avviato tra le parrocchie di Calcio, Pumenengo e Santa Maria in Campagna, pur nella doverosa attenzione alle singole realtà (con le tre parrocchie che continuano a conservare la propria identità canonica), ma anche nel segno della continuità e del sostegno reciproco, lo scorso giugno il Vescovo ha nominato parroco di tutte e tre le comunità don Fabio Santambrogio, già parroco di Calcio. Proseguono il loro ministero nelle tre comunità anche gli altri sacerdoti già presenti, pur con una riorganizzazione degli incarichi. Novità che prenderanno il via ufficialmente con la celebrazioni di insediamento di don Santambrogio domenica 18 settembre a Pumenengo e domenica 25 a Santa Maria in Campagna (Torre Pallavicina).

A Pumenengo don Fabio sarà accolto alle 10 al Santuario della Madonna della Rotonda, al confine con Calcio. Dopo una breve preghiera da lì partirà un corteo, accompagnato dalla banda musicale San Gottardo di Calcio, diretto alla chiesa parrocchiale dove alle 10.30 si terrà la messa d’insediamento presieduta dal vicario episcopale per la pastorale ed il clero, don Giampaolo Maccagni.

A Santa Maria in Campagna il nuovo parroco sarà accolto presso il cimitero, dove si terrà un momento di preghiera prima della partenza del corteo, anche in questo caso accompagnato dalla banda musicale di Calcio, verso la chiesa parrocchiale. Lì, alle 11, è in programma la Messa solenne presieduta dal vicario generale della diocesi, don Massimo Calvi.

Con don Fabio collaboreranno don Michele Rocchetti, già vicario parrocchiale di tutte le parrocchie dell’unità pastorale, e don Silvio Soldo, don Andrea Oldoni e don Antonio Allevi in veste ora di collaboratori parrocchiali.

 

Biografia del nuovo parroco

Don Fabio Santambrogio, nato a Milano nel 1968, è stato ordinato sacerdote a Verona nella Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (Opera don Calabria) il 25 maggio 1996. È stato vicario in diocesi di Roma prima nella comunità cittadina di S. Maria Assunta (2004-2007) e poi a San Paolo in Genazzano (2007-2008). Dal 2008 al 2009 è stato collaboratore parrocchiale a Soncino (S. Maria Assunta e S. Pietro) e a Isengo. Nel 2009 è stato incardinato in diocesi ed è stato nominato vicario parrocchiale di Soncino (S. Maria Assunta e S. Pietro) e di Isengo dove è rimasto fino al 2013 quando è stato promosso parroco di Santa Lucia in Martignana di Po. Nel settembre 2015 ha fatto il suo ingresso come parroco della parrocchia “S. Vittore martire” in Calcio, che ora affiancherà anche alla guida delle parrocchie “Santi Pietro e Paolo apostoli” in Pumenengo e “S. Maria assunta” in Santa Maria in Campagna (Torre Pallavicina).

 

Il saluto di don Fabio Santambrogio

Carissimi parrocchiani di Pumenengo e di S. Maria in Campagna: sarò il vostro parroco e per Calcio continuerò a esserlo!
Vi saluto fraternamente nel Signore.
Il Vescovo Antonio mi ha chiamato a questo compito-missione.
Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore!” (Sl 115,12-13) Mi appresto a dire poche parole, partendo proprio da questa espressione del salmo: “Alzerò il calice della salvezza”.
Che cosa vorrei, che cosa sogno, che cosa desidero?
Che questa comunità (auspico fortemente che le tre parrocchie diventino UNA COMUNITÀ) e io, come suo parroco, in questo momento fossimo innalzati! Questa elevazione sarà possibile solo se ci lasceremo guidare da alcuni registri: anzitutto quello dello Spirito, quindi quello della qualità delle relazioni e, ancora, il registro della gratuità. Tutti e tre sono, si manifestano e si esprimono, nell’Eucaristia; essa è il modello del nostro essere, del nostro agire, del nostro vivere, del nostro testimoniare l’esperienza cristiana. Con il termine “cristiano” non si intende un aggettivo che si aggiunge alla nostra vita, ma si indica l’essere come Cristo e fare quello che Lui ha fatto. Ho poi un sogno, un desiderio che ritengo importante, una testimonianza dovuta agli uomini. Essi vogliono vedere da noi una qualità di relazione che non è semplicemente dettata dalle simpatie, dai favori, dall’interesse, ma unicamente e soltanto dall’amore, dal rispetto, dall’essere tutti e sempre come il buon samaritano che si prende cura, che è capace, come ci dice il Vangelo, non di amare perché si è stati amati, ma di amare per primi, di amare senza ritorno, di amare senza interessi, di amare tutti, di amare nonostante tutto, di amare il tutto. In tutta franchezza vorrei dirvi che ho intenzione di fare il parroco e non altro.
A ognuno il proprio compito!
Sarò, perciò, colui che vi aiuterà a vivere nella comunità le relazioni.
E questo mi impegna a mettermi in ascolto, a non chiudere gli occhi e, a volte, nemmeno la bocca. Vorrei che si mettessero a fuoco le relazioni.
La relazione con Dio, innanzitutto, perché sia una comunità secondo il Vangelo. In secondo luogo vorrei che ci si focalizzasse sulla relazione con gli altri, nella parrocchia e al di fuori di essa.
Ogni volta che ci chiuderemo nel difendere privilegi di lobby parrocchiali che dividono, deturperemo il volto bello della comunità.
Dobbiamo aiutarci a combattere quella “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco. Ogni persona del popolo e del popolo di Dio ha un valore assoluto e grande. Non possiamo lasciare indietro alcuno!
In questo cammino di servizio, noi cristiani siamo chiamati a essere testimoni di un amore ancora più grande, ancora più aperto, gratuito e generoso. Guai se elevassimo muri proprio noi!
Non possiamo preoccuparci soltanto di coccolare il sentimento religioso delle persone, perché noi dobbiamo costruire insieme la civiltà.
E questo richiede uno sforzo di accoglienza da parte di tutti.
Richiede l’impegno di un confronto e di una mano tesa da parte di tutti.
Così dobbiamo costruire! Altrimenti si creano realtà in cui ci si giudica, ci si condanna e non ci si stima. Un ultimo punto è la relazione con noi stessi, quella grande capacità di dialogo con la nostra vita, quel chiedere un di più a noi, quel chiedere in un rapporto difficile, sempre un supplemento di amore, di fiducia verso gli altri. Sono queste le piccole cose che vorremmo sognare tutti e se le sogneremo insieme si realizzeranno, perché fin quando un sogno è solo mio, resta tale, ma quando è condiviso, quando è un sogno di tutti, allora diventa realtà.
Ma ci sarà tempo, fratelli e sorelle, perché i sogni siano condivisi e diventino progetto e cammino. Invoco il nome del Signore su di te, carissimo Vescovo Antonio. Sempre e in ogni tuo intervento mi hai dimostrato il tuo affetto di padre, il tuo incoraggiamento, sostenendomi nell’accettare e nell’accogliere la volontà del Signore. Grazie! Invoco il nome del Signore su tutta la famiglia dei sacerdoti che collaborano con me in questa nuova esperienza: don Silvio, don Andrea, don Antonio e don Michele. Invoco il nome del Signore su tutta l’articolazione di questa comunità ricca e bella che il Signore oggi mi dà come un regalo, come una dote. Grazie! Cercheremo di vivere, di lavorare, di impegnarci tutti nella vigna del Signore. Concludo con un’immagine che vorrei donarvi come inizio di questa avventura e come provocazione e spunto di riflessione.
Mi sembra una bella parabola visiva: il relitto della Concordia.
A volte la Chiesa, come la Concordia, finisce sugli scogli. Conosciamo tutti la vicenda di quella nave da crociera. Era facile dire “È stato uno solo che ha sbagliato tutto”. Scusate, ma non ci credo! Non sono l’avvocato di Schettino. Ma la Concordia è finita sugli scogli, perché ha finito di essere Concordia ed è diventata discordia. Questo è il motivo! Io credo che possiamo farcela anche con la nostra comunità cristiana. Se siamo disposti a non essere discordia e opereremo per essere concordia, la nostra comunità potrà camminare e arrivare lontano. Questo credo sia il nostro programma da vivere assieme! Non ci rimane che cominciare a lavorare unitamente e ne ho proprio voglia!
S. Maria della Rotonda ci guidi e ci appassioni sempre di più in una fraternità cristiana!

Il vostro parroco

Don Fabio Santambrogio

 

 




L’arcivescovo Erio Castellucci a Rivolta d’Adda: «Anche noi come sant’Alberto possiamo essere operatori di carità e di pace»

Essere come sant’Alberto, operatori di pace e di carità che si rendono conto dei tanti doni ricevuti e provano gioia nel restituirli. È questa l’esortazione fatta ai rivoltani dall’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi Erio Castellucci, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, durante la messa solenne che lui stesso ha celebrato nella mattinata di domenica 3 luglio nella basilica di Santa Maria e San Sigismondo, a Rivolta d’Adda, in occasione della festa patronale di sant’Alberto Quadrelli, vescovo di Lodi nato a Rivolta (“Ripalta Sicca”) e vissuto nel dodicesimo secolo. Uno dei Santi che operò nella carità verso i poveri ma anche per la pace, due temi attualissimi, come ha ricordato il celebrante nella sua omelia.

«Alberto – ha detto l’arcivescovo Castellucci – si distinse per le opere di carità nei confronti dei poveri, ma anche perché operò per la pace, lavorando all’unità della Chiesa e della società del suo tempo». E ha proseguito con un accenno all’attualità: «La pandemia ha svelato tante povertà, non solo materiali, ma anche mentali, mentre la guerra in Europa ci sta dicendo che, nel suo cuore, l’uomo non ancora guadagnato la pace una volta per sempre». «Anche noi come sant’Alberto – ha quindi proseguito il vescovo – possiamo essere operatori di carità e di pace. Ce lo insegna il vangelo. Gesù ci chiede di assumere l’atteggiamento interiore della restituzione del dono. Ci chiede di vivere la gratuità, rendendoci conto dei tanti doni ricevuti e provando gioia nel restituirli». «Allora sì che la nostra vita, dal bianco e nero, passerà ad assumere quei toni colorati che solo la fede sa dare».

La Messa, animata dalle voci dei cantori della corale polifonica della parrocchia accompagnata all’organo da Fabrizio Vanoncini, si è aperta con il saluto del parroco, monsignor Dennis Feudatari (impossibilitato a partecipare), letto dal vicario don Michele Martinelli (che ha concelebrato insieme al collaboratore parrocchiale don Angelo Ferrari). «Ci piace pensare – ha scritto don Dennis – che la comunione dei santi Alberto e Francesco Spinelli illuminino ed intercedano per le nostre chiese. Non possiamo non riconoscere come l’esempio di carità di Alberto abbia performato questa comunità. Ne sono testimoni tuttora diverse associazioni di volontario a di servizio operanti nei settori della fragilità e della disabilità ed in stretto rapporto con l’Ospedale Santa Marta, anche nel recupero dalle dipendenze. Una rete che sottilmente ma efficacemente lega l’umano rivoltano. Non per questo però possiamo pensare di essere arrivati al dunque. Serve ancora lavorare a favore di un’umanità compiuta. È un percorso educativo in salita e mai definitivo. Sant’Alberto ci difenda da negligenze superficialità e partigianerie e ci insegni ad amare Cristo nell’uomo come egli ha fatto».

Ulteriore momento delle celebrazioni patronali nella serata di domenica 3 luglio con la processione per le vie di Rivolta con la reliquia del Santo, mentre lunedì 4 luglio la parrocchia sarà in pellegrinaggio a Lodi per la Messa solenne delle 10 in cattedrale, in onore di sant’Alberto; in serata in basilica, alle 21, la preghiera e il ringraziamento al patrono.

 

Sant’Alberto Quadrelli

Alberto Quadrelli nacque a Rivolta d’Adda e rimase parroco di quella antica e importante chiesa collegiata della diocesi per circa venticinque anni.

Nel 1168 dal clero di Lodi fu eletto vescovo, il primo della città ricostruita dopo la distruzione operata da Federico Barbarossa.

Vissuto in un periodo politicamente e religiosamente turbolento, in mezzo alle lotte tra i Comuni e l’Impero e a una Chiesa lacerata da scismi, Alberto viene descritto da un contemporaneo, suo avversario, come «uomo onesto, saggio, dedito alla preghiera, di vita integra, pieno di amor di Dio e di santo timore».

La costante tradizione della Chiesa di Lodi lo presenta come un pastore sensibile alle necessità dei poveri. Morì il 4 luglio 1173.




#WMOF22, Zona 1: nozze di Cana per ogni età

È stato il centro parrocchiale San Lorenzo di Arzago d’Adda ad ospitare, nel pomeriggio di sabato 25 giugno, la Giornata mondiale per le famiglie nella zona pastorale 1. Una trentina le coppie, alcune con bambini al seguito, che hanno partecipato.

L’incontro è stato coordinato da Elena Lingiardi, di Fontanella, presidente della cooperativa sociale “Agape” che gestisce il consultorio famigliare di Caravaggio e Treviglio. Filo conduttore di questa giornata, le nozze di Cana. E proprio su questo tema, dopo il momento dedicato all’accoglienza, i genitori sono stati sollecitati dalla relatrice in un laboratorio di manualità e di riflessione costruito su due momenti: prima la lettura del Vangelo di Giovanni, poi un confronto sui sentimenti scaturiti dalla Scrittura e da un’attività laboratoriale incentrata sulla decorazione, a piacimento, di uno degli oggetti posizionati su una tavola: tazzine, bicchieri, una caffettiera, delle posate, dei tovaglioli.

Aver decorato un oggetto, per le coppie presenti ieri, è stato come aver messo quel qualcosa in più, con creatività e fantasia, che permette, nella vita di tutti i giorni, di superare i momenti difficili e le crisi che non mancano in un percorso di vita. «Se è buona la quotidianità – ha detto la Lingiardi – anche la festa funziona». E ancora: «Gesù ci dà il suo amore, ma la fatica della quotidianità è nostra. Ed ecco che in questa quotidianità l’incontro con Lui sarà sempre più bello».

A chiudere la giornata arzaghese nella zona I la cena comunitaria, momento di convivialità e condivisione, che sta alla base dell’idea di questo evento, e un momento di festa, animata con canti e balli dai ragazzi e dalle ragazze della parrocchia di San Lorenzo in Arzago.




Adoratrici in festa a Rivolta d’Adda per la professione perpetua di suor Roberta Valeri

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Una famiglia, quella delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, in festa insieme a tutta la comunità di Rivolta d’Adda, per la professione perpetua di suor Roberta Valeri, effettuata nel pomeriggio di domenica 12 giugno nella basilica di Santa Maria e San Sigismondo, durante la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e animata dai canti dalla corale della parrocchia della Sacra Famiglia di Modena.

Accanto a Roberta, fisicamente e idealmente, c’erano la superiora generale delle Adoratrici, madre Isabella Vecchio, le tante consorelle, ma anche numerosi compaesani (compresi il sindaco Giovanni Sgroi e la sua vice Marianna Patrini) che non hanno voluto mancare a questo evento. Si, perché di evento si può parlare per il borgo rivierasco, dal momento che Roberta, 33 anni, di stanza a Como e là attiva nel campo dell’educazione, proprio di Rivolta è originaria.  L’ultima rivoltana a fare una professione perpetua fra le Adoratrici era stata suor Lidia Giussani (anche lei presente alla Messa).

«Che meraviglia». Ha esordito con questa esclamazione il vescovo nella sua omelia facendo una contrapposizione con i due funerali celebrati sabato nella stessa basilica, seguiti a due drammatici lutti che hanno colpito il paese negli ultimi tempi. «Che meraviglia – ha detto Napolioni – per questa vocazione. Una vocazione che ha radici lontane, radici che vengono dal cielo. Abbiamo bisogno di questo respiro di eternità. Un respiro infinito, queste radici lontane sono il fine più profondo della nostra esistenza». Rivolgendosi a suor Roberta il vescovo Antonio ha proseguito facendo riferimento al suo sorriso, immancabile: «Dietro il tuo sorriso, che cosa c’è? C’è un senso di pace che Dio regala a quei cuori che osano fidarsi di lui».

Infine, uno sguardo al carisma delle Adoratrici: «Da soli non siamo capaci di portare il peso di tutto ciò ci viene affidato dal Signore. E allora ecco l’invocazione quotidiana dello Spirito Santo. Adorare per servire è una continua esperienza dello spirito. Il servizio vi rimanda all’adorazione. Questo ci dà pace, sicurezza e fiducia e responsabilizza te, suor Roberta, e tutti noi, in preghiera oggi e per tutti i giorni della nostra vita».

Terminata l’omelia suor Roberta ha fatto la sua professione perpetua al cospetto del vescovo, prima rispondendo alle sue domande, poi prostrandosi a terra al canto delle invocazioni dei santi guidato dal vicario don Michele Martinelli. E, infine, recitando, accanto alla superiora generale, madre Isabella Vecchio, la formula di rito: «Io, suor Roberta Valeri, faccio voto per tutta la vita di castità, povertà e obbedienza secondo la regola di vita e di comunione delle suore Adoratrici del Santissimo Sacramento». Da neo-professa Roberta ha poi ricevuto l’anello, simbolo di assoluta fedeltà a Cristo.

A fine celebrazione il saluto del parroco di Rivolta d’Adda, monsignor Dennis Feudatari. «Grazie suor Roberta per la tua testimonianza e per la tua preghiera. Continueremo a pregare per te».

Poi le parole di madre Isabella Vecchio: «Ringrazio la tua famiglia (papà Pietro, mamma Giuliana, la sorella Sonia e il fratello Simone erano tutti presenti in chiesa), dove è nata la tua vocazione; ringrazio la parrocchia e ringrazio il nostro vescovo che fa sempre sentire noi Adoratrici parte importante della Chiesa”.

 

Domenica a Rivolta la professione perpetua di suor Roberta Valeri: ecco chi è




Compagni di viaggio, sabato sera al Santuario di Caravaggio veglia per i giovani della Zona 1

Un momento di preghiera e di riflessione prima dell’inizio della Settimana Santa. Nasce con questo scopo l’idea di “Compagni di viaggio. Hai un momento Dio?”, veglia in preparazione alla Pasqua riservata ai giovani fra i 18 ed i 20 anni delle parrocchie della zona pastorale 1 della diocesi, in programma sabato 9 aprile, alle 20.30, al Santuario Santa Maria del Fonte a Caravaggio.

Don Michele Rocchetti, vicario di Calcio, Pumenengo e Santa Maria in Campagna, don Andrea Piana, vicario di Caravaggio, e il tavolo zonale dei giovani della zona pastorale che già avevano in mente di proporre un momento di ritiro in Quaresima, hanno pensato a questo momento in sostituzione della tradizionale veglia delle Palme al palazzetto dello sport di Cremona, occasione solitamente presa dal vescovo Napolioni per incontrare i giovani della diocesi che però è stata spostata alla solennità di Cristo Re, scelta da Papa Francesco come nuova data per celebrare a livello diocesano la Giornata mondiale della gioventù.

«Lo scopo – spiega don Rocchetti – è prenderci un momento per fermarci, riflettere e pregare. Ci metteremo in ascolto della Parola di Dio. La serata, che avrà come tema guida l’ascolto, si svolgerà in tre diversi momenti: il primo, dedicato alla preghiera e alla meditazione della parola di Dio, il secondo all’adorazione eucaristica, con la possibilità per i ragazzi presenti di confessarsi. A conclusione della veglia ci sarà l’atto di affidamento a Maria. Siamo a Santa Maria del Fonte e ci affidiamo a lei. Per accompagnarci in questa veglia abbiamo invitato don Isacco Pagani, pro-rettore del seminario di Milano ed esperto della Bibbia».

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Zona 1, giovani in preghiera e ascolto al Santuario di Caravaggio per aprire la Settimana Santa

Ascolto. È questa la parola che ha guidato i giovani della zona pastorale 1 della diocesi di Cremona, ragazzi fra i 18 e i 20 anni, durante la veglia di preghiera in preparazione della Settimana Santa che il tavolo zonale dei giovani ha organizzato nella serata di sabato 9 aprile al Santuario di Santa Maria del Fonte.

È stato don Isacco Pagani, pro-rettore del Seminario di Milano, a presiedere la celebrazione. Sue le riflessioni che hanno caratterizzato la prima parte della serata, dedicata all’ascolto della Parola di Dio. Come spunto, il brano del vangelo di Giovanni che narra dell’incontro fra una samaritana e Gesù grazie al quale don Pagani ha posto l’accento sui concetti di ascolto di se stessi, di ascolto del Signore, di ascolto della realtà e di ascolto degli altri. «Ascoltando gli altri – ha sottolineato – puoi arrivare a chiamare Dio per nome».

La seconda parte della veglia è stata incentrata sull’adorazione eucaristica con i sacerdoti presenti che si sono resi disponibili per le confessioni. Il silenzio della meditazione, davanti al Santissimo e ai tanti ceri accesi poco prima sull’altare dai rappresentanti delle parrocchie presenti, è stato intervallato dai canti del coro “Effatà” di Calcio, che ha allietato l’intera veglia, e dalla lettura di tre brani tratti dall’udienza generale di Papa Francesco di mercoledì 27 marzo 2013. “Vivere la Settimana Santa – recitava un passaggio del testo – è entrare sempre più nella logica di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte ma quella dell’amore e del dono di sé che porta la vita”.

Terzo e ultimo momento, l’affidamento alla Beata Vergine Maria con i canti e la preghiera al termine della quale don Isacco Pagani ha consegnato una palma ad un rappresentante di ciascuna delle parrocchie presenti.




«Un prete, un cristiano, un cittadino di queste terre…», il vescovo a Rivolta per la festa di san Francesco Spinelli

Interrotta l’anno scorso dalla pandemia, la tradizione che vuole il vescovo di Cremona presente a Rivolta in occasione della festa di San Francesco Spinelli è ripresa quest’anno.

Così il 6 febbraio, nel 109° anniversario della morte di colui che è stato il fondatore dell’ordine delle suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, monsignor Antonio Napolioni ha prima presieduto i vespri nella chiesa della Casa madre delle religiose stesse, durante i quali due di loro, suor Silvia Calcina e suor Valentina Campana, hanno rinnovato le promesse, e successivamente la Messa solenne delle 18, spostata in basilica per ragioni di spazio.

«Un prete, un cristiano, un cittadino di queste terre che ha generato e rigenerato la storia tanto da vederne nuovi frutti anche in questo tempo»: così il Vescovo ha definito san Francesco Spinelli, ricordando come oggi il suo esempio sia più vivo che mai. Un uomo semplice, Francesco, accolto nella diocesi di Cremona dopo il periodo di grande difficoltà attraversato durante il servizio nella diocesi di Bergamo, capace di caratterizzare il suo ministero con la vicinanza ai poveri e agli ultimi. Beatificato nel 1992 da papa Giovanni Paolo II, è stato canonizzato nell’ottobre del 2018 da papa Bergoglio.

«Dopo una pesca difficile e poco fruttuosa in quel di Bergamo – ha detto don Dennis Feudatari, parroco di Rivolta, nel suo saluto iniziale a monsignor Napolioni, alle Adoratrici e a tutti i presenti – Cristo Signore ha condotto san Francesco Spinelli qui a Rivolta, dove sulla sua Parola si è lanciato di nuovo a pescare nel profondo e a riempire così la sua rete. Continui, il santo, a pescare anime per la famiglia da lui voluta e anche cristiani convinti per questa comunità».

«C’è un bisogno di salvezza, di speranza, c’è una ressa interiore – ha spiegato il Vescovo nella sua omelia –, c’è un traffico di pensieri che finisce con l’intasare l’anima. In questo tempo in cui la pandemia ci ha tolto il respiro, ci ha affannato il cammino, ci ha diviso e reso sospettosi, oggi siamo in festa grazie a Francesco Spinelli, più vivo che mai perché continua ad avere figlie ed amici che vogliono essere come lui, discepoli di Gesù. In questo tempo strano, in cui la Chiesa è sempre meno la capoclasse del mondo, un tempo in cui le parrocchie non sono più punto di riferimento dell’educazione e della vita sociale, in cui anche noi preti ci sentiamo smarriti, in cui le famiglie si sgretolano… in tutta questa realtà che cosa farebbe lui e cosa ci insegnerebbe? Ci insegnerebbe ad osare, perché san Francesco è stato uno che ha saputo osare. Ci ha creduto, ma tanto. È stato intraprendente sotto tre aspetti: quello spirituale, quello della carità e quello vocazionale. Lui ha chiamato, nel senso non solo di invitare qualcuno a farsi suora o a farsi prete ma di un richiamo alla conoscenza del Signore. San Francesco ha anche insegnato alle sue figlie che non esistono scarti. Questa è la Chiesa del futuro, una Chiesa che osa partire da un cambiamento interiore di tutti noi. Possiamo guardare avanti con il coraggio di chi deve mettere mano al cambiamento di sé e delle rispettive comunità verso un ritrovamento della vita consacrata e della vita sacerdotale. Aiutiamoci quindi tutti a vivere questo momento che proprio perché difficile diventa un tempo pasquale, di morte e resurrezione e san Francesco potrà essere per noi compagno di viaggio e maestro sicuro dal quale ricevere l’esempio».




La campionessa paralimpica Giulia Terzi testimone alla veglia della vita della Zona 1

“Custodire ogni vita”. Questo l’invito che il Consiglio Episcopale Permanente della CEI rivolge in occasione della 44a Giornata nazionale per la Vita. Invito che la zona pastorale I ha accolto radunandosi sabato alle 21 per una veglia nella chiesa parrocchiale Arzago d’Adda. Una serata di preghiera e di riflessione presieduta dal vicario zonale don Marco Leggio , parroco di Agnadello, e con una testimonianza speciale: quella della campionessa olimpica, europea e italiana di nuoto paralimpico Giulia Terzi invitata dal parroco Arzago e Casirate don Matteo Pini, “padrone di casa” per l’occasione.

«Non sono le difficoltà che abbattono i sogni, anzi – ha detto la ventiseienne campionessa arzaghese parlando ai presenti –, queste difficoltà rafforzano il nostro pensiero e ci spingono ad andare ancora più avanti. Io sono stata fortunata ad avere tantissime persone meravigliose attorno a me, a partire dalla mia famiglia».

«Quando sei in vasca – le ha chiesto don Pini – qual è la cosa che ti spinge a vivere con intensità questi momenti che per te sono così importanti?». «Sono gli obiettivi – ha risposto Giulia –. Io tutti i giorni, nonostante la fatica degli allenamenti, nonostante le giornate “no”, nonostante le difficoltà, cerco di vedere davanti a me i miei obiettivi che mi spingono a superare tutto quanto».

Nel corso della serata anche don Marco Leggio ha offerto una breve riflessione. «Tutto – ha detto – parte dal sogno di Dio di prendersi a cura l’umanità e con san Giuseppe continua il sogno di conservare questo suo Figlio che sarebbe diventato nostro Dio, nostro fratello, nostro compagno. Stasera siamo invitati a continuare questo sogno e a dire: Signore, sulla tua parola continuerò a sognare. Grazie per la vita che ci hai donato; vogliamo custodirla in tutti noi ed in tutti i nostri fratelli».




Soncino, otto nuove campane per la Pieve

Saranno benedette nel pomeriggio dalla solennità dell’Immacolata dal vescovo vescovo Antonio Napolioni, per poi essere montate giovedì 9 dicembre, le otto nuove campane in bronzo della pieve di Santa Maria Assunta. A Soncino, dopo qualche anno di silenzio, in coincidenza con il periodo natalizio si tornerà quindi a sentire i rintocchi provenienti dal campanile della più importante e più grande chiesa del borgo, nonché una delle più antiche opere d’architettura sacra cremonese che nell’antichità fu persino sede vescovile per alcuni anni.

Un bel regalo per i soncinesi. «Le otto campane – spiega il parroco don Giuseppe Nevi – sono state realizzate presso la storica fonderia Grassmayr di Innsbruck. Sono state fuse un paio di mesi fa, nei giorni scorsi sono arrivate a Bergamo e a Soncino alla viglia dell’Immacolata. Saranno appese a travi in ferro di modo che possano essere suonate con un martello. Il vescovo Antonio, dopo la Messa che lui stesso presiederà alle 17 nella Pieve, le benedirà».

Sette di queste otto nuove campane sono state acquistate grazie alle donazioni dei parrocchiani, l’ottava è stata invece acquistata con fondi della parrocchia che l’ha dedicata ai defunti. «Perché la comunità cristiana non è solo quella terrena – precisa don Neci -. Spesso ci si dimentica anche il motivo per cui le campane suonano, un motivo che è legato alla spiritualità. Quando le campane suonano l’aria viene benedetta dalle loro note».

Quanto alle vecchie campane, che sono sette e che risalgono ad un periodo compreso fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, saranno conservate. Sono state tolte dal campanile nell’autunno scorso e sono conservate al riparo in un magazzino. Sono state pulite e saranno posizionate nel cortile fra la Pieve e la casa parrocchiale, in quella che sarà un’esposizione permanente. A beneficio dei cittadini e dei turisti in visita al borgo.




Immigrazione, mons. Perego: fenomeno da governare con intelligenza, con responsabilità, senza paura

Un fenomeno da governare con intelligenza, con responsabilità, senza paura. È l’immigrazione, che sta cambiando le nostre relazioni dentro la società, la famiglia e la Chiesa. Immigrazione che, anche a causa della pandemia, in Italia è in calo, per la prima volta in trent’anni, ma i cui numeri sono pur sempre notevoli se è vero com’è vero che i cittadini stranieri residenti nel nostro Paese sono 5.035.643.

Di immigrazione si è parlato nella serata di venerdì 19 novembre a Romanengo con monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio ed abate di Pomposa, presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni della CEI e presidente di Fondazione Migrantes, l’organismo che in passato aveva diretto. In chiesa parrocchiale è stato lui il relatore dell’incontro dal titolo “Uomini e donne come noi. I migranti, l’Europa, la Chiesa”, organizzato dai giovani della parrocchia.

«Trent’anni fa – ha detto l’arcivescovo di origini agnadellesi – potevamo solo immaginare quello che stiamo vedendo oggi, e cioè che queste persone stanno diventando parte essenziale di una comunità. Solo l’anno scorso 150mila stranieri sono diventati cittadini italiani, abbiamo il 10% degli studenti delle nostre scuole che sono stranieri, nell’ultimo anno abbiamo avuto il 14% di imprese straniere aperte in Italia e anche la Chiesa è cambiata: un milione di immigrati sono cattolici, provenienti da 120 nazioni. I più numerosi sono i filippini, poi ci sono i rumeni, i peruviani, gli ecuadoregni i brasiliani e i colombiani. Tutti questi volti stanno cambiando i luoghi della nostra vita».

Per leggere questo fenomeno papa Francesco, nell’enciclica “Fratelli tutti” chiama in causa quattro verbi. Monsignor Gian Carlo li ha elencati e spiegati: «Il primo verbo è accogliere. Un gesto che costa fatica, un gesto di gratuità, una sfida che consiste nel condividere qualcosa con un’altra persona». Il secondo è «tutelare, che è la prima cosa da fare quando si accoglie qualcuno». Il terzo verbo è «promuovere. Quando si incontra una persona occorre valorizzarne le sue capacità e le sue conoscenze». Il quarto è «integrare, dare la possibilità all’altro di sentirsi parte di una comunità». Quattro «verbi intelligenti, perché leggono la realtà e guardano al futuro».

«Ogni stagione della storia – ha affermato Perego – presenta gli stessi fenomeni migratori e ogni volta l’incontro non è semplice, in alcuni casi genera paura ma va governato. Invece noi spesso lo vediamo con gli occhi della sicurezza; basta pensare ad una legge ormai vecchia, ma basta anche fare riferimento ai tanti articoli di giornale che associano la parola immigrato alla parola criminalità. Eppure anche gli italiani sono migranti (solo negli ultimi anni 109.000 giovani hanno lasciato il nostro Paese e 120 sacerdoti seguono i nostri migranti nel mondo) e succede che anche gli italiani all’estero finiscano a volte per delinquere, segno che quando le persone vengono lasciate a sé stesse, sono uguali ovunque si trovino».

Infine, un accenno da parte dell’arcivescovo, ai muri. «Nel 1989 venne abbattuto un muro – ha concluso – e nacque la Germania unita, il più ricco fra gli Stati europei. Ora sorgono muri per lasciare fuori uomini, donne e bambini in fuga. Non possiamo accettare che un Paese costruisca muri».

Al termine, spazio alle domande dei presenti, aperte da un intervento di don Emilio Merisi, parroco di Romanengo.