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Vittime di violenza basata sulla religione: Oidac, aumentati del 44% i crimini d’odio anticristiani in Europa

Sono aumentati del 44% i crimini d’odio anticristiani in Europa. È quanto denuncia l’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa (Oidac Europe) nel suo ultimo rapporto annuale. Il dato è stato rilanciato in un comunicato diffuso oggi in vista  della Giornata internazionale di commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sulla religione o sul credo che, istituita dalle Nazioni Unite nel 2019, si celebra domani, 22 agosto. L’Oidac Europe mette in guardia sulla violenza anticristiana presente purtroppo anche in Europa, “come dimostrano esempi recenti”.

“In Occidente tendiamo a pensare alla violenza contro i credenti religiosi come a un problema principalmente dei Paesi in Africa e Asia. Mentre è importante evidenziare questi drammatici esempi di persecuzione, dobbiamo anche prestare molta attenzione a ciò che sta accadendo in Europa”, afferma Anja Hoffmann, direttore esecutivo di Oidac Europe. L’Osservatorio, che ha sede a Vienna, monitora la libertà religiosa in Europa e ha riscontrato un allarmante aumento di crimini d’odio anticristiani nel suo ultimo rapporto annuale. “La maggior parte degli attacchi anticristiani in Europa sono diretti contro chiese e cimiteri, ma purtroppo continuiamo anche a vedere attacchi violenti contro individui cristiani”, spiega Hoffmann. L’Osservatorio cita come esempio il Ministero degli Interni francese che ha registrato quasi 1.000 crimini d’odio anticristiani nel 2023. Mentre il 90% di questi incidenti era diretto contro chiese e cimiteri, i servizi statistici del Ministero hanno anche documentato 84 attacchi personali con un movente antireligioso contro i cristiani. Secondo Oidac Europe, gli attacchi violenti non si sono fermati nel 2024. Dall’inizio dell’anno, l’Osservatorio ha documentato 25 casi di violenza fisica, minacce e tentato omicidio contro i cristiani nel Regno Unito, Francia, Spagna, Italia, Germania, Austria, Polonia e Serbia. In alcuni casi, intere comunità sono state prese di mira. A giugno, ad esempio, una chiesa avventista del settimo giorno a Digione è stata attaccata con gas lacrimogeni durante una funzione religiosa, causando panico e ferendone nove persone.

“Un gruppo particolarmente vulnerabile alla violenza sono i convertiti cristiani di origine musulmana”, rileva Hoffmann. A maggio, un tribunale britannico ha condannato un uomo alla prigione per aver tentato di uccidere Javed Nouri, un convertito cristiano di origine musulmana, perché considerava Nouri un apostata “che meritava di morire”. Ad aprile, un tribunale italiano si è pronunciato su un caso simile che coinvolgeva un convertito cristiano tunisino che era stato picchiato dai suoi connazionali per aver “frequentato una chiesa cristiana”. Secondo Oidac Europe, entrambi i casi hanno ricevuto solo poca copertura mediatica. “Il diritto alla conversione – conclude Hoffmann – è un elemento essenziale della libertà religiosa. I governi europei devono quindi fare il possibile per proteggere, in particolare, i convertiti cristiani di origine musulmana che sono ad alto rischio di violenza”.




Rete Pace e Disarmo: “Commercio armi continua ad alimentare le guerre”

“Oggi i civili continuano a subire i tragici effetti della guerra in numerosi contesti. Porre fine alla fornitura di armi alle zone di conflitto è essenziale per proteggere i civili e sostenere il diritto internazionale”. È quanto ribadiscono i movimenti pacifisti italiani, uniti nella “Rete Pace Disarmo”, in una nota diffusa in occasione della decima Conferenza degli Stati parte del Trattato Att (Arms Trade Treaty) che regola il commercio e i trasferimenti internazionali di armi e che si è aperta ieri a Ginevra.

Il Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) – spiega Francesco Vignarca, coordinatore campagne di Rete Pace Disarmo – “è un risultato normativo significativo, per cui abbiamo lavorato molto anche in Italia. Ma dobbiamo anche evidenziare i fallimenti degli Stati parte, perché molte aspettative del Trattato rimangono insoddisfatte”. Per questo, il mondo “pacifista” chiede “il rispetto e l’attuazione degli obblighi previsti nel testo” così come “la sua concreta implementazione”.

Approvato nel 2013 grazie all’enorme lavoro di informazione e pressione della società civile internazionale riunita nella campagna “Control arms” (di cui anche Rete Pace Disarmo fa parte), il Trattato è poi entrato in vigore la vigilia di Natale del 2014 a seguito della cinquantesima ratifica.

“Si tratta – spiega la nota – di una pietra miliare” poiché prima di quel momento “non esisteva alcuna norma globale che regolasse i trasferimenti di sistemi d’arma convenzionali, lasciata invece completamente in balia delle decisioni specifiche di ogni singolo Stato, oltre che agli interessi del complesso militare-industriale-finanziario”. Il Trattato Att chiede invece agli Stati parti (attualmente 115) e ai firmatari (al momento 27, mentre 53 Paesi non hanno ancora aderito in alcun modo) di proibire i trasferimenti di armi convenzionali se sono a conoscenza del fatto che verrebbero utilizzate in attacchi diretti contro obiettivi civili o usate per commettere o facilitare altri crimini di guerra. Se esiste un rischio sostanziale di queste conseguenze negative, lo Stato parte non deve autorizzare l’esportazione. Così purtroppo non è stato. “Il primo decennio del Trattato sul commercio delle armi – sottolinea infatti Hine-Wai Loose, direttrice di Control Arms – è stato oscurato da persistenti e gravi violazioni delle sue disposizioni, in quanto gli Stati parte hanno troppo spesso dato priorità alle alleanze politiche e ai profitti rispetto alle vite umane”. La nota esprime una preoccupazione: “Il commercio internazionale di armamenti sta infatti riprendendo vigore, anche a causa dell’inasprirsi sia dei conflitti tra Stati che di situazione di violenza e tensione strutturali. Lo evidenziano sia i dati che le notizie provenienti da troppi teatri di conflitto”.

Rete Pace e Disarmo chiama in causa anche il nostro Paese ricordando che l’Italia ha ratificato il Trattato nel 2013 “con voto unanime del Parlamento”. Ma anche nel nostro Paese si registrano “attività che minano nel profondo i principi e le indicazioni dell’Att”, con tentativi di modifiche legislative che indeboliscono il controllo. “Come nel caso attuale del Governo italiano – ricorda Vignarca – che ha chiesto al Parlamento di discutere una modifica della legge 185/90 (che implementa a livello nazionale il Trattato, come esplicitamente dichiarato durante il processo di ratifica) che ridurrebbe drasticamente controllo e trasparenza sull’export di armi italiane. Una scelta errata contro cui si è schierata una vasta coalizione della società civile italiana che ha promosso la mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi”.