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Soncino in preghiera e in festa con la statua della Madonna pellegrina di Fatima

«Maria è un aiuto a fidarvi della fede, a fidarvi di Gesù, il buon pastore». Così il vescovo emerito di Cremona, Dante Lafranconi, domenica 30 aprile nella chiesa della Pieve, a Soncino, in occasione dell’accoglienza della statua della Madonna pellegrina di Fatima, giunta da Chieti e che rimarrà nel borgo fino a sabato 6 maggio per accompagnare le celebrazioni mariane del mese di maggio in parrocchia, in vista anche dell’apparizione della Madonna di Fatima a tre pastorelli, la cui memoria liturgica ricorre il 13 maggio.

La copia della statua giunta a Soncino è una delle sei presenti al mondo. Proviene dal Portogallo ed è realizzata in legno di leccio. Resterà in Italia per due mesi.

Ad accogliere l’effige della Madonna al Castello il parroco don Giuseppe Nevi con numerosi fedeli e insieme anche il sindaco di Soncino, Gabriele Gallina, e quello di Casaletto di Sopra, Roberto Moreni, gli esponenti delle associazioni locali e la banda. Sono stati loro ad aprire la processione che ha condotto la statua di Nostra Signora di Fatima dalla rocca alla Pieve di Santa Maria Assunta per la celebrazione solenne, presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi.

Se dal Vangelo di Giovanni emerge chiara «l’immagine di Gesù che è la porta verso la comunità cristiana», «il pastore, colui che ci guida», Maria invece «è colei che si è fidata della fede fino alla croce. O, meglio, è la donna che ha avanzato nella fede fino alla croce». Così il vescovo emerito Lafranconi nell’omelia, nella quale ha sottolineato che Maria «È colei che ci aiuta a fidarci della fede, che ci fa capire che Dio, anche nelle difficoltà, ci salva ed è con noi». E ancora: «Lo ha testimoniato con l’esperienza di Gesù, così ha scelto di mischiare la sua divinità all’umiltà, all’umanità. In questo momento difficile che stiamo vivendo, la fede ha bisogno di forza, di sostegno, di coraggio, ha bisogno di Maria, che ci aiuta ad avanzare con coraggio».

Le celebrazioni a Soncino alla presenza della statua della Madonna pellegrina di Fatima proseguiranno nel corso di tutta la settimana, secondo un ricco programma che potrà essere anche seguito attraverso il canale youtube della parrocchia. Ogni mattina, dopo le lodi mattutine delle 7, il Rosario alle 9 e l’adorazione eucaristica sino alle 12. Ogni sera alle 20.30 la Messa con meditazione.

Nel pomeriggio di lunedì 1° maggio appuntamento alle 15 di nuovo con il Rosario e alle 17 con l’inno akathistos alla Madre di Dio. Martedì, mercoledì, giovedì e venerdì al pomeriggio momenti di preghiera dedicati a bambini e adolescenti. Mercoledì spazio anche alle persone malate con alle 15 il Rosario insieme agli anziani e gli ospiti della casa di riposo. Giovedì 4 maggio la celebrazione serale sarà presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Sabato 6 maggio Messa alle 18 e alle 20.30, processione aux flambeaux fino all’oratorio e consacrazione al cuore immacolato di Maria prima della partenza della statua.

Di fronte a questa statua Papa Francesco ha consacrato l’Ucraina e la Russia chiedendo a Dio, per intercessione di Maria, il dono della pace. L’auspicio è che porti serenità a ciascuno di noi, in una settimana vissuta all’insegna della fede.

 

Il video integrale dell’accoglienza del 30 aprile

 

L’Immagine Pellegrina di Nostra Signora di Fatima

Scolpita seguendo le indicazioni di suor Lucia, la prima immagine Pellegrina di Nostra Signora di Fatima fu offerta dal vescovo di Leiria e coronata solennemente dall’arcivescovo di Evora il 13 maggio del 1947. A partire da questa data, l’immagine ha percorso, diverse volte, il mondo intero, portando con sé un messaggio di pace ed amore.

La genesi di questo percorso risale all’anno 1945, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando il parroco di Berlino propose che un’immagine di Nostra Signora di Fatima percorresse tutte le capitali e città episcopali d’Europa, fino alla frontiera con la Russia. L’idea venne ripresa nell’aprile 1946, da un rappresentante del Lussemburgo nel Consiglio Internazionale della Gioventù Cattolica Femminile e, nell’anno successivo, nello stesso giorno della sua incoronazione, ebbe inizio il suo primo viaggio.

Dopo oltre mezzo secolo di pellegrinaggi, durante i quali l’Immagine ha visitato ben 64 paesi dei vari continenti, alcuni dei quali per più volte, la Direzione del Santuario di Fatima ha ritenuto opportuno che questa non viaggiasse ulteriormente, se non in occasione di circostanze straordinarie. Nel maggio del 2000 venne collocata presso la mostra “Fatima Luce e Pace”, nella quale venne venerata da decine di migliaia di visitatori. Trascorsi tre anni, più esattamente giorno 8 dicembre 2003, ricorrenza dell’Immacolata Concezione, l’immagine venne consacrata nella Basilica di Nostra Signora del Rosario di Fatima, dopo esser stata collocata su una colonna accanto all’Altare Maggiore. L’immagine pellegrinò nuovamente il 12 maggio del 2014, inizialmente per una visita alle comunità religiose contemplative esistenti in Portogallo (visita che si estese fino al 2 febbraio 2015) e successivamente in visita a tutte le diocesi portoghesi dal 13 maggio 2015 al 13 maggio 2016. Queste uscite hanno avuto come obiettivo il coinvolgimento delle comunità di preghiera e delle diocesi portoghesi nella celebrazione del Centenario delle Apparizioni di Fatima.

Al fine di rispondere alle infinite richieste provenienti da tutto il mondo, vennero nel frattempo realizzate varie repliche della prima immagine pellegrina, fino a raggiungere un totale di tredici.

Da tutti i luoghi visitati provengono resoconti straordinari della presenza dell’Immagine Pellegrina, delle migliaia che accorgono al suo passaggio, delle partecipazioni, che mai prima si sono verificate nelle varie celebrazioni, di un grande numero di penitenti che si prostrano per ottenere il sacramento della riconciliazione, dell’affluenza massiccia di ogni genere di persone, sia bambini che giovani, che adulti e malati, provenienti dai più disparati contesti sociali e perfino da diverse confessioni religiose, insomma resoconti dei significativi frutti pastorali e delle abbondanti grazie concesse.




«Diciamo sì alla vita che vince»: i giovani della Zona 1 in cammino verso la Pasqua

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«In questa Settimana Santa diciamo sì alla vita che vince. Lo ha fatto Gesù prima di noi. Ora facciamolo anche noi nella nostra vita».

La voce di Linda Fanton, suora francescana del Gesù Bambino di Assisi, si fa spazio nel buio. È uno spiraglio di luce e di buone notizie nel cuore dei tanti giovani che hanno scelto di partecipare alla Veglia delle Palme, organizzata dall’equipe di pastorale giovanile della zona 1 nel santuario della Madonna del Riposo a Pandino. Si sono dati appuntamento lo scorso sabato.
Davanti agli occhi il crocifisso di san Damiano, di fronte al quale Francesco ricevette la chiamata del Signore. «È un’icona, che ci guarda. Ci regala lo sguardo glorioso e amante di Gesù, nonostante la sofferenza. È un dono, ci racconta che non c’è niente di definito e di definitivo. Neanche la morte». Nulla. Tranne l’amore di Dio: «I suoi occhi ci fanno sentire amati, così come siamo. Donano forza, libertà, forza di ripartire. Di entrare appieno nell’esistenza». Di vivere veramente.
Con un corpo, il suo, nudo, ferito. Ma risorto. «È lì, davanti a noi. È qui, in noi. Perché ciascuno di noi ha bisogno di riempirsi gli occhi di vita». Nel momento del suo limite, quello della morte, Gesù mostra un corpo luminoso: «È lo specchio del vostro corpo. Lo viviamo come un dono? Dovremmo, perché il nostro corpo è lo specchio della nostra storia. Delle gioie, delle sofferenze, delle ferite, dei segni. Siamo noi. È ciò che ci rende reali». Umani, imperfetti, «è dove risiede la felicità. Per scovarla Gesù ci invita a guardarci con i suoi occhi».

Serve anche «stare dentro alle mancanze, perché dentro un corpo imperfetto potremo vivere la perfezione dell’amore». È l’amore di Dio «che va oltre la morte».
Lo stesso che convince Maria a restare ai piedi della croce. Dopo aver visto suo figlio acclamato dalle folle come re e ora morente, Maria resta. «Anche noi lo facciamo ogni volta che non scappiamo dalle paure e siamo pronti a sostenere ed accogliere il dolore. Nostro e degli altri». Ché, oltre il buio, c’è la luce.

C’è musica per l’anima di ciascuno di noi. Pura armonia. In una serata piena di canzoni, di voci, di pensieri, ha vinto la vita. La vita di giovani che, in un periodo complicato, rispondono al rumore delle armi con il silenzio della pace e la fioca luce di un lumino nel buio della notte. Perché tante luci insieme aprono uno spiraglio. Di luce. E di speranza. È la forza di chi ha scelto di vivere veramente. «Morire è più facile, ma vivere appieno, è il dono più bello: diciamo sì alla vita. Oltre il buio, c’è sempre un passo fatto nell’amore di Dio».




Claudia Koll, una scelta di conversione: «Dio non mi ha tolto niente, ha benedetto la mia vita»

 

«Ho capito che non bisogna temere nulla. Perché la vita è più forte della morte. E l’amore di Dio ci guida. Mi sono innamorata della grazia di Dio perché mi trasformava, mi rendeva migliore. Perché ha reso chiari i miei rapporti con gli altri». Claudia Koll parla della sua conversione come di una scelta. «Non un sacrificio». Eppure non tradisce le parole. Piuttosto le pesa, tratta il tema che le è stato affidato con estremo rispetto. La locandina dedicata al primo evento organizzato dalla parrocchia di Arzago d’Adda campeggia all’ingresso della chiesa, gremita di persone, pronte per ascoltare un’esperienza ricca di vita, «di amore, di carità e di verità. Su questi baluardi si fonda la mia storia». Quella di Claudia Koll è un’esperienza che inizia con i riflettori puntati. Attrice, balzata agli onori delle cronache con Così fan tutte, ha calcato il palco del teatro Ariston con Pippo Baudo nel 1995 per poi approdare al piccolo schermo .

«Nella vita si sceglie. Oggi sono diversa, ma non rinnego ciò che ho fatto. Farà sempre parte di me. Dio non mi ha tolto niente, piuttosto ha compensato, ha dato senso a tutti gli aspetti della mia persona. Della mia vita: l’ha benedetta». Per questo «ho scelto di testimoniare il Signore, nonostante la fatica». La voce si abbassa. Il silenzio lascia spazio ad una consapevolezza, utile a scegliere con cura le parole, a governare le emozioni. Senza soffocarle. «Ho fatto un lungo viaggio, ma sono qui stasera, nonostante la bronchite, perché penso di avere qualcosa da dire, perché ho sperimentato la grazia di Dio. Alla base della mia esperienza c’è il rimettermi a Dio, l’essere strumento nelle sue mani. Perché io sono fatta per amare, non per odiare. L’ho capito quando ho incontrato il maligno. Aveva la voce di un’attrice famosa. Mi ha chiesto di odiare. Mi sono rifiutata. Sono fatta per amare, mi sono detta. Ho gridato la preghiera del Padre nostro e ho preso tra le mani un crocifisso. Da lì ho sentito Dio come pace. Mi sono sentita libera. Il mio peccato più grande? Aver fatto a meno di Dio, fino a quel momento». Da lì l’inizio di «un percorso di ricerca», avviato grazie «alla preghiera dei miei genitori, che mi hanno affidata, perché hanno capito che mi stavo perdendo».

 

 

La fiammella che Dio ha riacceso «è stata la mia relazione con Maria». Dopo aver varcato la Porta Santa nel 2000 «ho assistito ad un risveglio della mia coscienza. Ho cominciato a scoprire i miei limiti, ho appreso dal Signore la capacità di non interpretare più i copioni, il dolore, con le parole del passato». Ha iniziato a dire dei “no”. «A ruoli che non erano miei». Così ha sperimentato «la paura del futuro. Quando passi da una vita epidermica ad una contemplativa sperimenti novità, ma anche gli interrogativi su come continuare a vivere. Anche in quel contesto ho sperimentato la grazia di Dio, perché mi ha guidato fino ad oggi. La conversione non mi ha chiuso alla vita, mi ha fatto vivere nuove esperienze».

Dalla direzione di un’accademia di spettacolo per giovani, ai viaggi in Africa accanto ai più poveri. «Ho aiutato ragazzi con attacchi di panico a capire il loro vissuto, a trovare un punto di contatto tra le proprie emozioni ed i personaggi da interpretare». I poveri, invece, «mi hanno insegnato l’essenziale, con loro ho imparato a condividere».

Dopo la chiusura dell’Accademia, ha fondato un’associazione, “Le opere del Padre”, per sostenere gli ultimi, «coloro che hanno perso la dignità». «Ho capito che la mia relazione con Dio è fondata sull’amore per il prossimo. E allora questa associazione è stata una necessità. Perché la fede senza le opere è morta». Ma c’è un tempo e uno spazio per tutto. «Sono anche mamma». C’è tempo e spazio. Sempre. «Perché – chiosa al termine della serata il parroco don Matteo Pini – la vita vera si sente». In ogni attimo.




«Agire come uomini e donne di pace», il vescovo agli esponenti del mondo politico e sociale

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Amministratori, attori dell’ambito sociale, persone mosse dal desiderio di fare del bene per il prossimo. Sono stati loro i protagonisti dell’incontro organizzato dalla Pastorale sociale e del lavoro, guidato da Eugenio Bignardi, nel pomeriggio di domenica 22 gennaio in Seminario. L’annuale incontro con il vescovo Antonio Napolioni che ha voluto sottolinare come quest’anno il ritrovarsi «è una tappa del percorso sinodale. L’occasione per metterci in discussione come comunità cristiana, unita ma eterogenea». Il momento per «aprire il cuore e la mente alla società, alla marginalità. Per ascoltare le vostre convinzioni ed il vostro impegno. Per chiedervi scusa, per tutte le volte che, come Chiesa, vi abbiamo fatto sentire soli nel vostro impegno politico, squisitamente civico». Il protagonista «non è il vescovo», ha quindi precisato monsignor Napolioni: ma «le vostre convinzioni: è giunto il momento di guardarsi in faccia tra credenti, riconducendo tutto in una cornice teologica, quella del verbo che si fa carne». È opportuno agire per fare del bene, per essere «uomini e donne di pace».

A guidare la riflessione un brano simbolo del cammino sinodale tratto dal Vangelo di Luca. Al centro «l’idea della diversità come occasione di arricchimento, del dialogo tra i nostri territori, valorizzando le relazioni». Fili e reti indispensabili per non lasciare indietro nessuno. «Non è una questione ideologica, dobbiamo ripartire da chi è più fragile e accoglierlo. Per essere, davvero, comunità. Siamo tutti chiamati ad una integrazione personale e collettiva tra fare e essere». Serve attenzione alla cura, senza tralasciare l’esistente. Serve attenzione alla cura, senza tralasciare l’esistente. Senza perdere di vista l’importanza del binomio fede ed impegno civico. «Ascoltare Gesù significa ascoltare tutti, servire Gesù significa servire tutti. Ed è proprio Gesù che ci insegna ad accogliere le membra più fragili». Lui che da figlio di Dio si è fatto uomo, «lui che fa il bene con noi. Non impone la pace, non impone il bene, ma ci invita ad agire per questo. Andiamo avanti insieme per una maggiore consolazione nel quotidiano».

Subito dopo la riflessione del Vescovo ha preso il via il lavoro in gruppi: un dialogo, per mettere a confronto diversi punti di vista e per trovare un punto in comune. Non di omologazione, ma di sintesi. Per il bene di tutti e di ciascuno.

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La giornata si è conclusa con un momento conviviale offerta ai partecipanti che è stata ulteriore occasione in cui continuare il confronto e il reciproco scambio in un clima più informale e di amicizia.




No alla guerra: la veglia per la pace in Cattedrale ricorda che «siamo tutti fratelli»

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Un grido di fraterna umanità per dire no alla guerra. Per liberare la pace. Nella nostra quotidianità e in ogni zona del mondo. Da Cremona all’Italia, dall’Ucraina alla Siria fino al Sahel. La richiesta si è alzata forte e chiara durante la veglia per la pace organizzata in Cattedrale alla vigilia dell’Epifania. Guidata dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, la celebrazione ha previsto diverse letture e testimonianze dirette. Dall’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco alla voce ancora commossa di padre Gigi Maccalli, mentre raccontava del sequestro di cui è stato vittima. Il missionario cremasco della Società missioni africane, arrivato in Niger nel 2007, ha esercitato la sua missione presso il popolo gurmancé, nella parrocchia di Bomoanga, diocesi di Niamey. Nel settembre 2018 è stato rapito da un gruppo di jihadisti e portato in Mali, dove è rimasto prigioniero per due lunghi anni nel deserto, fino all’ottobre 2020. «Questo tempo di prigionia mi ha cambiato, mi ha dato la possibilità di maturare uno sguardo altro sulla missione, sulla vita, su Dio. Oggi mi è chiaro che non mi ha salvato il Dio onnipotente, il Dio degli eserciti, ma il Dio ferito, provato in croce e che mi è stato accanto nella croce del sequestro. Oggi più di ieri il mio Dio è come Gesù, onnipotente nell’amore impotente nei confronti di chi sceglie il male o oppone rifiuto all’amore. Questa esperienza mi ha permesso di vedere la mia vita dalla fine. E, allora, posso dirvelo: non sprechiamo la vita, scegliamo la pace. Liberiamo la pace. L’ho detto anche al capo dei miei oppressori: sono fratello universale. Che Dio ci aiuti a capire che siamo tutti fratelli. Ai miei oppressori ho offerto l’amore che mi lega alla mia famiglia, alla mia comunità».

Il pensiero si è poi spostato all’uso delle armi atomiche, definito da Papa Francesco: «immorale e illegale». Serve opporsi, «non dobbiamo permettere che diventi normale». La voce è quella  di Setsuko Thurlow, sopravvissuta di Hiroshima, premio Nobel per la pace come leader della campagna globale Ican per il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari. «Sappiamo che la guerra nucleare non può essere vinta da nessuno. In questi tempi di incertezze e di ripetute minacce atomiche dobbiamo riflettere e prendere coscienza della nostra responsabilità collettiva. Dobbiamo agire oggi, affinché l’era nucleare finisca o si cancelli dalla memoria umana». La differenza si può fare insieme. Perché non possiamo stare fermi.

Questo è anche il fulcro del pensiero del vescovo Napolioni. «Ci stiamo abituando a pensare che la pace debba essere solo nostra, facciamo fatica ad indignarci per il dolore, per l’odio, per la violenza. Per la guerra. Dobbiamo fare e agire come comunità, come diocesi». Dobbiamo fare «come singoli, ciascuno con il proprio impegno politico, culturale o spirituale che sia. Dobbiamo fare, senza rimandare». Riflettere insieme, con canti, parole e preghiere a cura delle monache domenicane di San Sigismondo. E poi continuare.

Dopo la Giornata mondiale della pace dello scorso 1 gennaio, prosegue l’opera di sensibilizzazione per chiedere il disarmo nucleare aderendo e promuovendo la campagna Italia ripensaci. Perché dopo la pandemia, serve la pace. Non la guerra in Ucraina, non le armi atomiche. Abbiamo bisogno di “liberare la pace”. Al più presto.

 




«Per una comunicazione che interpreta il cambiamento». Scambio di auguri con il vescovo a TeleRadio Cremona

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Il presepe illuminato e l’albero addobbato all’ingresso lo confermano: anche per Teleradio Cremona Cittanova, la società editrice che cura i contenuti della comunicazione diocesana e la redazione di Riflessi Magazine, è arrivato il momento degli auguri. Si è tenuto ieri sera il tradizionale momento conviviale con lo scambio di auguri tra i giornalisti e i collaboratori, il Cda di Trc ed il vescovo Antonio Napolioni. Un incontro importante per fare un bilancio dell’anno appena trascorso e darsi nuovi stimoli per il prossimo. «Quando comunichiamo – ha esordito il presidente Giacomo Ghisani – dobbiamo partire da alcuni presupposti». Il primo: «La comunicazione cambia, perché cambia il mondo. E noi dobbiamo farci interpreti di questo cambiamento, senza tralasciare la dimensione sinodale, lo stare insieme, il fare insieme. E poi, quando ascoltiamo, scoviamo storie, dobbiamo ricordarci che non siamo lì per imporre o per imporci, ma per proporre». Il segreto è non fermarsi, «non stancarsi, è sentirsi sempre interpellati nello svolgimento di un servizio che è un servizio pubblico per il nostro territorio».

Con lui anche il vescovo Antonio Napolioni: «Viviamo quotidianamente in una omologazione spersonalizzante. La nostra società ha perso la capacità generativa. Allora la vostra penna deve partire da lì: cercate di raccontare per generare. Per gettare nuovi semi. È necessario, per affrontare la notte del mondo». Non esiste solo la cronaca nera, «il declino, gli ostacoli, il pessimismo, le difficoltà, la morte. Le buone notizie servono». Perché fanno bene. Perché sono Bene. Per don Federico Celini, coordinatore dell’area pastorale Capaci di comunicazione e cultura della Diocesi di Cremona «centrale nel vostro lavoro è la dimensione dell’incontro e, insieme, dell’ascolto. Degli altri e tra di noi. Un ascolto libero, corresponsabile, professionale e franco. E allora, questa non è altro che una piccola esperienza di sinodalità. Ci piace raccontare e raccontarci, perché nel vostro lavoro la dimensione umana, empatica, deve essere il faro. Andiamo avanti così, con fiducia».

Un impegno necessario, che si alimenta di passione. E che continua a vivere grazie alla penna e alla passione di ciascuno di noi: «Serve stupirsi ancora della bellezza dell’incontro» e «riflettere per indagare ciò che c’è dentro di noi e far emergere bellezza e bontà» hanno detto alcuni colleghi. Per il responsabile dell’ufficio comunicazione della Diocesi Riccardo Mancabelli e il coordinatore redazionale Filippo Gilardi, i motori sono: «La passione e l’entusiasmo, con una spiccata attenzione ai diversi linguaggi, alle diverse forme e a chi ci ascolta. Quando lavoriamo dobbiamo sempre tenere a mente il mondo cambia. E con lui cambiano i linguaggi delle persone che guardano e ascoltano la nostra comunicazione». Mancabelli ha augurato a tutti e a ciascuno di «tenere vivo sempre, oltre il tempo che passa, l’entusiasmo del giovane giornalista, aggrappandosi alla libertà di sperimentare, di proporre sempre nuovi temi». Tenendo a mente – ha concluso Napolioni – «che “il più nuovo” è Gesù Cristo».

Prima dei saluti e dello scambio degli auguri, è stata presentata la prima raccolta di storie di Riflessi Magazine, un volume graficamente curato, pieno di volti, luoghi, immagini e storie del nostro territorio. Oltre 200 pagine che raccontano coraggio, paura, fragilità. E la forza di una comunità di sostenersi nella vita quotidiana. Pagine dense di vita, di sorrisi, di buone notizie. Oltre gli ostacoli. Con l’obiettivo di regalare sempre nuove occasioni di riflessione e di incontro. Un’opportunità per guardare la nostra realtà con occhi sempre diversi. «Con lo stupore ed il rispetto per le persone più fragili». Sono risorsa, perché ognuno di noi ha qualcosa da dire. È questo, parole, immagini e – soprattutto – volti, il “buon Natale” da Teleradio Cremona Cittanova.

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La raccolta di Riflessi. Le storie del magazine in un volume con l’introduzione del Vescovo: «C’è tanta bellezza intorno e dentro di noi»




La voce di speranza del “Violino del mare”, costruito dai detenuti di Opera con il legno dei barconi dei migranti

Lena Yokoyama suona il “Violino del mare”

Il colore del legno si mischia a quello del mare. Il suono è dolce, limpido, il messaggio duro e crudo: il “Violino del mare” posizionato nella sala Fiorini del Museo del Violino di Cremona scuote le coscienze. «Speriamo generi negli occhi delle persone che lo vedranno una metamorfosi. Affinché la cultura dell’indifferenza, lasci posto alla consapevolezza». Così il presidente della Fondazione Casa dello spirito e delle arti, Arnoldo Mosca Mondadori ha presentato lo strumento creato con il legno delle imbarcazioni che trasportano migranti dalle persone detenute nella casa di reclusione Milano Opera e donato nella al museo cremonese. «È un messaggio di vita, oltre la morte. Di speranza e di bellezza. Perché la bellezza salverà il mondo». È il tentativo di focalizzare l’attenzione, complice la musica, su ciò che ci rende uguali. Su ciò che ci rende umani.

Arnoldo Mosca Mondadori

«È un modo per dire che c’è sempre speranza. Che non è mai finita». Non è mai finita per quel legno intriso di dolore, ora pronto a dare nuova vita. Non è finita per quelle mani che hanno sbagliato, ma che ora, con il prezioso aiuto del maestro liutaio Enrico Allorto, possono costruire speranza. E ricostruire se stessi. Non è finita per noi. Perché, a volte, basta un suono nel silenzio a risvegliarci. A farci aprire gli occhi.

Da oggi il “Violino del mare” aprirà le collezioni del museo, accompagnato da un video che racconta il progetto. Realizzato in collaborazione con il Ministero degli interni, l’Agenzia delle accise, dogane e monopoli, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la Casa di reclusione Milano Opera, l’iniziativa vuole«parlare a tutti, ma soprattutto alle giovani generazioni», per costruire un domani differente. Sostenuta da Fondazione Museo del violino di Cremona, Fondazione Cariplo e Fondazione Vismara, ha visto la luce nel dicembre 2021, «anche se – spiega Mosca Mondadori – all’inizio l’intento era di costruire presepi».

“Metamorfosi” è il significativo nome dato a questo progetto nato nel dicembre 2021 quando, all’interno del Laboratorio di Liuteria e Falegnameria nella Casa di Reclusione Milano-Opera, la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti chiede al falegname di Lampedusa Francesco Tuccio, di portare dei legni per costruire dei presepi che, nel tempo della pandemia, potessero essere un segnale di speranza per tutti, credenti e non credenti. Nell’ambito di questa iniziativa, con gli stessi materiali, sotto la guida del maestro Enrico Allorto, è stato costruito un violino, utilizzando una tecnica perfezionata già nel sedicesimo secolo dagli artigiani cremonesi. Il 4 febbraio 2022, in occasione dei 10 anni dalla nascita della Fondazione, questo primo strumento, chiamato “Violino del mare”, inizia con la benedizione di Papa Francesco, il proprio viaggio di testimonianza.
Favorevolmente accolto in città, il violino «troverà posto qui e parlerà ai bambini. E questa per me è una cosa bella». Il ringraziamento anche alla Diocesi, rappresentata nel momento della presentazione dal vescovo Napolioni, «una Chiesa che accoglie un progetto trasversale, ad una città capace di ascoltare». Il messaggio è chiaro: «È speranza che arriva a tutti: credenti e non credenti, cattolici e non cattolici. “Metamorfosi” intende risvegliare la nostra umanità».

Per il vescovo Antonio Napolioni «tutto questo aiuta a com-muoversi. A muoversi con. A non restare fermi, a non restare a guardare. Lo fa in un momento storico difficile in cui banalizziamo tutto. Lo fa in un modo semplice, ma forte al tempo stesso, raccontando e facendo proprio il metodo del progetto di Dio. Lo fa grazie agli occhi limpidi del presidente Mosca Mondadori che scorgono la possibilità di creare oltre la morte, abbracciando il dolore».

Così la musica diventa voce. Di male e di speranza, di mani operose, capaci di rimediare agli errori. E di realizzare strumenti di bellezza. «Ci aiuta a ricordare chi siamo».

Secondo il sindaco Gianluca Galimberti riporta all’essenza della vita, al concetto che ogni politica migratoria non può dimenticare: «Su quel legno di morte hanno viaggiato vite umane. Persone, storie. Non numeri. Le loro fragilità e le loro gioie sono anche le nostre: siamo simili». Il dramma dei viaggi della speranza «va affrontato, ma bisogna cambiare approccio». Ed è un bene «è bello, che questo progetto ne parli alle giovani generazioni. Dobbiamo ripartire. A Cremona nel nostro piccolo, spesso soli, ci stiamo provando, facendo fronte ad un numero altissimo di minori stranieri non accompagnati: in città sono 260. Meraviglioso che questo progetto racconti una storia, anche qui e che Cremona voglia fare la sua parte».

Pochi attimi dopo lo strumento è stato accolto dalle mani della violinista Lena Yokoyama per una breve esibizione sulle note di Il canto del legno, la canzone appositamente scritta da Nicola Piovani.

Bastano le note: sono grido d’umanità.

 

Dalle mani degli ultimi il Pane della Vita: preparate dai detenuti di Opera le ostie per la Messa di dedicazione




Movimento Cristiano Lavoratori, aperte a Caravaggio le celebrazioni per i primi 50 anni di storia

Intendono portare la testimonianza dei valori cristiani nel mondo del lavoro e del vivere civile. Vogliono farlo con la stessa convinzione di ieri, ma con la capacità di restare al passo con i tempi di oggi per affrontare le sfide di domani. I primi associati del Movimento Cristiano Lavoratori di Crema, Cremona e Lodi, sono arrivati puntuali al Santuario di Santa Maria del Fonte di Caravaggio per la messa che apriva le celebrazioni «per i nostri primi 50 anni». Era infatti l’8 dicembre 1972 quando Santo Papa Paolo VI benedisse la nascita del movimento.

«In questi 50 anni abbiamo camminato accanto alla Chiesa e accanto alle chiese particolari del nostro territorio. A Crema siamo storici, siamo presenti sin dal 1972. Più di recente abbiamo avuto modo di diffondere il nostro impegno ed il nostro messaggio anche nelle vicine diocesi di Cremona e di Lodi, grazie al sostegno dei vescovi Antonio Napolioni e Maurizio Malvestiti», ha spiegato il presidente Michele Fusari. L’associazione oggi riunisce oltre seimila soci ed offre importanti servizi alla cittadinanza: dall’ambito formativo spirituale, a quello dei servizi alla persona (caf, patronato, sostegno a badanti, colf e immigrati) fino ad importanti proposte aggregative per giovani ed anziani.

 

«Nel tempo – aggiunge – siamo diventati vere e proprie antenne di quartiere nelle comunità di riferimento». Durante la celebrazione, presieduta dall’assistente ecclesiastico centrale don Angelo Frassi e concelebrata dagli assistenti dei circoli e delle comunità che il Movimento cristiano lavoratori serve sul territorio, il sacerdote ha ricordato «la necessità di ripartire proprio da qui con la speranza e l’ottimismo tipici dei cristiani anche in momenti di incertezza». Nell’omelia il sacerdote ha sottolineato come Gesù «ci invita alla cura. A quella cura che va condivisa sul territorio perché solo insieme possiamo divulgare il suo messaggio. Nel nostro impegno di testimonianza credente abbiamo bisogno di ascoltare e di fermarci alla scuola di Gesù. Ci esorta ad ascoltare il cuore per scoprire dentro a ciascuno di noi una fonte inesauribile di gesti buoni. Cerchiamo di essere sempre uomini e donne che sanno guardare il mondo e vivere con ottimismo. Buona strada».

Gli associati si sono poi radunati per un momento conviviale. Per festeggiare questo importante traguardo anche la delegazione di Cremona e Crema parteciperà alle celebrazioni nazionali in programma a Roma in occasione dell’Immacolata Concezione, giorno dell’anniversario di fondazione.




Scout Cassano d’Adda, 100 anni di storia e una strada verso il futuro

I palloncini bianchi e blu iniziano a scorgersi sul ponte di Cassano d’Adda. Un manifesto identifica il luogo della festa: cento anni di scoutismo per il gruppo Agesci Cassano d’Adda 1 si celebrano lì, dove tutto ha preso vita nel 1923: alla base La Colonia. Uniforme e fazzolettone indosso, i primi scout arrivano puntuali, subito dopo la Messa. Gli stand dei vari gruppi sono stati allestiti in mattinata. Bambini, giovani, adulti, scout di ieri, di oggi e di domani, sono pronti insieme a rinnovare la promessa. In cerchio, subito dopo alcuni momenti di gioco e l’alzabandiera. “Un rituale – hanno detto i capi scout – che abbiamo vissuto tante volte, ma che oggi assume un valore particolare. È bello ritrovarsi qui dopo tanto tempo, con le emozioni che lo scoutismo ci ha donato, per rinnovare quello spirito di servizio che appartiene ed apparterrà sempre a ciascuno di noi”.

Tanti gli ospiti accorsi per l’iniziativa che, domenica 16 ottobre, ha ufficialmente aperto le celebrazioni per il centenario. Dal sindaco di Cassano d’Adda Fabio Colombo, al parroco don Vittore Bariselli allo scout veterano Giorgio Varisco, in forze dal 1958 fino agli adulti del Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani). Colombo ha ricordato la sua permanenza all’interno del gruppo. «Porto con me l’essere scout in ogni giornata. Ogni giorno sono pronto per servire, forse per quello ho scelto di assumere un impegno civico. Perché, come dice il fondatore Baden Powell, è opportuno provare a migliorare un posto, rispetto a come lo abbiamo trovato. Voglio crederci, voglio provare nel mio piccolo a rendere il mondo e questo paese migliore».

Anche il vescovo Antonio Napolioni ha partecipato alle celebrazioni nel primo pomeriggio con il suo fazzolettone al collo. «È vecchio, è rammendato, ma c’è. Perché la verità è che non si smette mai di essere scout, nemmeno da adulti. Devo dire grazie a questo movimento: da piccolo mi ha insegnato lo spirito dell’avventura e l’arte di crescere, da capo l’importanza del Vangelo e ora da vescovo la pazienza di stare con tutti, non solo con gli scout. Ripartiamo da qui, preghiamo e invochiamo la pace in noi stessi, perché raggiunga anche gli altri. Perché raggiunga il mondo intero».

Subito dopo, il desiderio di divertirsi ha preso il  sopravvento tra quiz, giochi in mezzo al verde, tornei e tanti sorrisi. Gli stand raccontano un modo di essere tra gli zaini pronti per la route e i valori che accompagnano il gruppo.

«Quest’anno – ci ha detto il capo scout Stefano Amati – è sì un’occasione per fare un bilancio, ma è soprattutto un volano per guardare oltre, per andare oltre, con i valori di ieri e di oggi sottobraccio. Daremo vita a iniziative in sinergia con l’Amministrazione comunale, creeremo una carta dei valori condivisa da tutte le Istituzioni che a vario titolo si occupano di educazione e poi coinvolgeremo la nostra comunità nei tipici momenti del vivere scout: il torneo di roverino o la palla scout».

Le celebrazioni si chiuderanno a giugno del prossimo anno con una gita in perfetto stile scout: «Dormiremo in tenda tutti insieme – conclude Amati – e faremo festa ancora una volta per camminare dritti verso il futuro insieme e più consapevoli. Intanto, tanti auguri gruppo scout Cassano d’Adda 1».

 

Scout Cassano d’Adda 1: 100 anni di storia e un futuro da vivere




Scout Cassano d’Adda 1: 100 anni di storia e un futuro da vivere

Cento anni di storia, mani strette, sguardi incrociati, strade condivise. È quasi tutto pronto a Cassano d’Adda per la festa di domenica 16 ottobre, organizzata per il centenario del gruppo scout Cassano d’Adda 1. Fondato nel 1923, il gruppo apre così un anno di festeggiamenti, che si concluderà nel prossimo mese di giugno 2023.

«Un modo per incontrarci ancora con chi ha fatto parte del gruppo o semplicemente ha condiviso un tratto del percorso. Un modo per ricordare chi siamo stati, cosa abbiamo fatto. Per guardare a chi siamo e decidere cosa saremo». Un suggerimento giunge forte e chiaro da quell’uniforme che i “capi” Stefano Amati ed Elisa Leoni indossano anche durante una riunione su una piattaforma online. È sinonimo di fatica, ma soprattutto di sorrisi, di amicizie, di attimi condivisi che «da sempre donano benessere. Quando vivi un’esperienza che ti fa stare bene non puoi tenerla per te. Devi raccontarla agli altri. Lo scoutismo è contagioso». Lo è da un secolo. «Resiste, perché resistono i valori, che hanno portato i fondatori a credere nella forza di un gruppo che, anche zoppicando, continua a camminare».

Attenti, sognatori, possibilisti, ottimisti, competenti. «Gli scout si riconoscono». Non solo dall’uniforme, dal fazzolettone o dalle foto che raccontano la storia di un gruppo. «Si distinguono nell’attenzione al prossimo, nella propensione al servizio. Dopo 100 anni insegniamo ancora ai giovani a essere cittadini del mondo. Perché è vero, il tempo corre, il mondo cambia, i giovani sono diversi  e lo scoutismo si adatta, ma non perde di vista i suoi baluardi. Non può farlo. Essere cittadini del mondo significa essere attenti al proprio contesto di appartenenza, dandosi da fare nelle attività sociali, nell’impegno politico, nell’attenzione all’ambiente. Cerchiamo di esserlo con la fede salda nel cuore e l’esempio di Gesù come strada maestra».

Lo scoutismo educa «non impone. Viviamo una dimensione di gruppo, ma prestiamo attenzione alla singola persona, affinché viva un percorso individuale di crescita e giunga ad una scelta libera e consapevole». In parole povere «lo scoutismo – chiarisce Elisa – è per tutti, ma non tutti sono per lo scoutismo».

L’associazione resta, però, una porta sempre aperta. Casa di relazioni, sinonimo di comunità. «Imponendoci distanza, il Covid ci ha interrogato. Ci siamo chiesti più volte se fare riunioni dietro a uno schermo fosse scoutismo. La risposta che a Cassano ci siamo dati è sì. Perché gli strumenti cambiano: la vera sfida per il futuro sarà immaginare lo scoutismo vero anche con l’utilizzo dei social network, è lì dove stanno i più giovani».

Anche la festa di domenica 16 ottobre, che vedrà la partecipazione anche del vescovo Antonio Napolioni, è stata organizzata con modalità innovative: «Abbiamo trovato nuovi modi di fare rete. E continueremo a cambiare. Perché non c’è buono o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento».

L’appuntamento per domenica è fissato: alle ore 10 si terrà la Messa nella parrocchia di San Zeno, alle 11.30 l’accoglienza presso la base scout La Colonia. Alle 12 la cerimonia d’apertura con i saluti istituzionali e l’alzabandiera. Poi il pranzo e i giochi e, infine, i saluti.

«Questo è solo il primo di un anno di appuntamenti. L’obiettivo che ci siamo posti per il domani è quello di diventare sempre più presidio per il nostro paese, creando sempre nuove sinergie». Perché verso il futuro si corre solo insieme.