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Housing sociale, a Pandino parte un nuovo progetto

«Intendiamo coltivare bellezza e aiutare le persone che hanno perso la passione per il bello della vita a ritrovarlo. Faremo in modo di far sentire accolte le persone che ospiteremo non in quattro fredde mura, ma in una dimora, in una casa piena di legami». Aprono di nuovo le porte i locali rinnovati della Casa dell’accoglienza di Pandino intitolata a monsignor Luigi Alberti. Si trova all’interno del complesso del Santuario della Madonna del Riposo. I locali sono stati dati in comodato d’uso gratuito dalla parrocchia di Pandino, le progettualità e l’operatività di housing sociale verranno condotte dalla Fondazione Somaschi onlus, già nota al territorio per pregresse analoghe iniziative. All’inaugurazione, avvenuta nella mattinata di mercoledì 5 ottobre, hanno partecipato il vescovo Antonio Napolioni, il parroco di Pandino don Eugenio Trezzi e per la Fondazione Somaschi il presidente padre Piergiorgio Novelli, il direttore generale Carlo Alberto Caiani e la responsabile progettuale housing sociale Cristina Facchinetti.

Inizialmente gestiti dalla Parrocchia, gli spazi sono stati nel tempo dati in gestione a realtà del settore. «Perché esercitare la carità in modo continuativo è quanto mai complesso, abbiamo scelto di farci aiutare da professionisti», ha spiegato don Trezzi, ricordando anche il venticinquesimo anniversario della dedicazione del Santuario della Beata Vergine del Riposo, avvenuta proprio il 5 ottobre 1997. Un pensiero anche  all’indimenticato parroco don Gino Alberti, colui che attraverso l’infaticabile lavoro pastorale ha reso possibile l’edificazione del Santuario e di tutte le strutture a questo connesse. Da quest’oggi la Casa dell’accoglienza sarà intitolata a lui.

Gli spazi accoglieranno persone in stato di difficoltà, non solo con l’obiettivo di fornire un alloggio: «Il nostro intento – spiega padre Piergiorgio Novelli – è soprattutto quello di prenderci cura delle relazioni. Le persone con cui spesso ci interfacciamo sono sole. Non chiedono solo un tetto, chiedono soprattutto un aiuto a ripartire». Gli interventi avvengono in sinergia con i servizi sociali dei Comuni e si inseriscono nell’ambito del progetto di vita di ogni persona.

«Il nostro compito – spiega Cristina Facchinetti – è quello di aiutarle a coltivare una relazione con il territorio, a consolidare autonomie che per le vicende della vita sono state perse o sono rimaste impolverate». «Aiutiamo le persone a cambiare per migliorare», conclude il presidente della Fondazione Somaschi, realtà che si avvale di un’equipe multidisciplinare.

«Il nostro – chiarisce il direttore Caiani – a Pandino è un ritorno: 23 anni fa avevamo iniziato occupandoci delle vittime della tratta. Siamo partiti dalla strada per arrivare alla casa. Mi piace dire che per noi Pandino sia stata la strada verso casa. Faremo in modo che questi due modi di vivere continuino a comunicare, così che le persone che abiteranno queste mura siano parte della comunità. Speriamo di fare relazione, di far sì che queste persone si sentano davvero a casa. A partire, però, dall’idea che quello alla casa è un diritto di tutti quelli che lo meritano, di coloro che custodiscono, rispettano, onorano la propria dimora».

Il vescovo Antonio Napolioni ha ricordato la figura di Gesù «più accolto che accogliente. E poi di Gesù, povero, che accoglie». «Perché – ha sottolineato – l’accoglienza si impara». Lo dimostra la lunga storia della Caritas cremonese di cui si festeggia quest’anno il cinquantesimo anniversario. «È un bene che le parrocchie siano ricche di strutture ed esperienze – ha detto ancora il Vescovo –, possono diventare una ricchezza per l’intera comunità. Che qualcuno venga da fuori ad aiutarci è da considerare una grazia. La comunità di Pandino guadagnerà parrocchiani, guadagnerà interlocutori. Guadagnerà in termini di speranza. Lavorate insieme, perché questo non sia un luogo perso, ma un luogo in cui le presenze si moltiplicano e dove la sfida dell’accoglienza si porta avanti diffusamente insieme».

La mattinata si è conclusa con la benedizione, da parte del Vescovo, agli ambienti della Casa dell’Accoglienza, ma soprattutto agli operatori e ai futuri ospiti che nelle prossime settimane e mesi intrecceranno le loro vite in questo luogo in cui l’abitare diventa occasione di “vita buona” secondo lo stile del Vangelo.




Sabato a Rivolta d’Adda la professione perpetua di suor Evelina Dabellani

I capelli sono racchiusi in un velo di colore blu. La croce al collo si ferma proprio all’altezza del cuore. «L’amore di Dio è una cosa diversa, è totalizzante. Ti avvolge e ti cambia la vita. È presenza costante». Suor Evelina Dabellani emetterà nel pomeriggio di sabato 1 ottobre, alle 16.30, nella chiesa della Casa madre delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento, a Rivolta d’Adda, la professione perpetua davanti al vescovo Antonio Napolioni e alla superiora generale dell’Istituto, madre Isabella Vecchio.

Suor Evelina sceglie la via della vita religiosa a 56 anni, dopo il diploma da geometra e il lavoro nelle aziende come disegnatore meccanico. «Dopo le scuole superiori – ricorda – non avevo le risorse economiche per aprire uno studio tutto mio e ho scelto di andare a lavorare in ditta». Aveva anche smesso di frequentare gli ambienti religiosi. Poi la svolta: «Mi sono avvicinata alla vita comunitaria, prestando servizio in parrocchia e in oratorio circa una ventina di anni fa e ho capito che quella vicino agli ultimi, a servizio degli altri e a servizio di Dio era la mia strada».

Ha coltivato la vocazione lentamente nella sua parrocchia d’origine, a San Giovanni in Croce. «La mia esperienza – racconta – dimostra che nulla è impossibile, che la fede ci raggiunge e la presenza di Dio non ci abbandona più. Ci guida, ci sostiene». E alimenta la fiducia. «In questo percorso – aggiunge – mi ha aiutata ad abbattere i muri e le barriere che in questi anni avevano confinato il mio cuore».

Fondato da san Francesco Spinelli, l’Istituto delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento proprio dall’Eucarestia attinge «la fiamma della carità». Per questo le suore Adoratrici sono vicine agli ultimi, a tutte le persone «in quanto tali piene di dignità». Questo è il carisma che condivide anche suor Evelina: «Mi ha consentito di portare avanti un cammino, sotto la guida di un sacerdote, iniziato nel 2008 presso l’opera di carità Juana Coeli di Stilo de’ Mariani».

La prima professione nell’Istituto delle Adoratrici risale al 2019. Poi l’esperienza in una parrocchia della Calabria. Ora si trova nella casa di spiritualità di Lenno, sul lago di Como.

Il percorso è stato personale, ma non solitario. «Le scelte sono mie, è la mia vita consacrata a Dio, ma non sono sola. Avverto la presenza di Cristo, che è totalizzante, il suo aiuto e quello di quanti non mi hanno lasciato sola».

È un senso di accoglienza che ha generato consapevolezza: «La mia è una decisione in tarda età, ma convinta, frutto di un discernimento. Non può essere frutto di una delusione, durerebbe poco. Voglio invece convintamente mettermi a servizio». Lo prometterà sabato, per sempre.

«Sento un’emozione grande – conclude suor Evelina alla vigilia della professione –. Non ho paura, ma avverto una sorta di timore reverenziale. Dio mi ha chiamata, nonostante io sia così piccola, così piena di limiti, rispetto alla sua grandezza. Sono grata, immensamente. Pronta ad accogliere la sofferenza nascosta dietro occhi velati o la fatica che i giovani fanno ogni giorno. Voglio esserci. Ho scelto, ascoltando la chiamata di Dio».

 

La partecipazione della professione




Tempo del Creato, a Caravaggio riflessione su consumo del suolo e responsabilità civile

Si è svolto nel pomeriggio di sabato 24 settembre l’incontro al centro di spiritualità del Santuario di Caravaggio promosso dall’Ufficio diocesano di Pastorale Sociale e del Lavoro nell’ambito degli eventi zonali per il Tempo del Creato, “Il cambiamento parte da ciascuno di no”, con la collaborazione degli Uffici delle vicine diocesi di Bergamo, Brescia e Crema.

“Cosa possiamo fare concretamente per fare il bene del pianeta?”. È questa la domanda che ha dato origine all’incontro intitolato Homo agens.

A sostituire la relatrice Elena Granata, vice presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici, impossibilitata a partecipare per motivi di salute, è stato il componente della commissione zonale per la commissione Laudato Si’ Ezio Zibetti. «Dobbiamo partire dal messaggio del Papa che ci esorta ad ascoltare la voce del creato: le grida della terra, dei più poveri, dei nativi». Subito dopo la preghiera, condotta da don Maurizio Lucini, coordinatore dell’area pastorale “Nel mondo con lo stile del servizio”, il concetto di partenza è stato chiarito: «Serve una base etica solida per salvare la biodiversità, modifichiamo i nostri stili di vita». É quasi un imperativo , a fronte di alcuni dati preoccupanti, sviscerati dall’incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro Eugenio Bignardi in apertura: «Secondo dati relativi al 2021 il 10,5 per cento del territorio provinciale è cementificato. Il dato nazionale si attesta attorno al 7,1 per cento. La tendenza è in continua crescita tenuto conto del crescente aumento di poli logistici e centri commerciali. Ad oggi, in Italia ogni secondo cementifichiamo 2 metri quadri di superficie».

«Serve cambiare» ha esortato Bignardi. Lo possiamo fare anche noi, nel nostro piccolo. Lo dobbiamo fare anche noi». «Elena Granata – interviene Ezio Zibetti – ci dice come fare». Sullo schermo è stata proiettata un’intervista rilasciata dalla stessa studiosa su Raitre alla trasmissione “Geo & Geo”. «Dobbiamo partire da un concetto che emerge chiaro dall’Enciclica Laudato Si’ – ha ribadito quindi Zibetti – la terra è un dono di Dio, un dono per l’umanità. È una cosa da custodire, non da sfruttare. Elena intende il consumo di suolo come una questione civile e cerca di comprendere perché siamo così poveri di strumenti per prenderci cura del paesaggio».

La risposta è data dalla storia «dall’impostazione della nostra società. Per lungo tempo l’edilizia è stato il settore trainante della nostra economia. Questo ha portato gli uomini a focalizzare l’attenzione su ciò che accadeva dentro le mura di casa propria, piuttosto che all’esterno, nei legami con la comunità ed il territorio».

Segno incoraggiante «è dato dalle scelte dei singoli dall’agricoltura bio, all’attenzione allo spreco». Ciò che è importante secondo Zibetti, che si fa portavoce delle idee di Granata, è che questo pensiero individuale divenga «sempre più cultura diffusa». Per farlo, la vice presidente del Comitato scientifico delle Settimane sociali, nella sua intervista mette al centro il ruolo dei placemaker, «gli inventori dei luoghi che abiteremo. Coloro che, in un epoca in cui abbiamo aggiunto molto, troppo, fanno ordine per una città migliore e, se possono, tolgono». Come a dire: le città sono spazi da vivere, «bisogna smetterla di darle per scontate».

Anche il vescovo di Cremona Monsignor Antonio Napolioni nel suo saluto introduttivo, facendo riferimento all’alluvione che ha colpito la regione Marche nei giorni scorsi non ha nascosto «la tendenza a vedere l’ambiente come una minaccia, ma è lui il cattivo?». Il vescovo chiede alla politica di «recuperare lo sguardo comunitario, di tenere conto del bene comune» e agli uomini, tutti, di ritrovare la propria umanità e il proprio essere creature, custodi, non tiranni». Chiede, infine, «al Signore la gioia della fede e della fraternità umana. Ma una cosa è chiara – ha aggiunto – stiamo scherzando con il fuoco».




Gu-stare nel tempo, i sapori della terra per crescere insieme abbracciando la diversità

Puzzle di latte, minestrone di colori, parckwork di miele. Le attività vengono descritte nel dettaglio su un cartellone colorato pieno di cuori. Il percorso Gu-stare nel tempo: un intreccio di linguaggi, proposto dai giovani con disabilità del percorso personalizzato proposto dall’Ente professionale InChiostro e dai produttori Slow food del Mercato della terra vuole aiutare i bambini e i loro genitori a cambiare prospettiva.

«Presentiamo oggi un percorso, una serie di incontri che si svolgeranno in via Galantino durante i quali i nostri studenti con disabilità aiuteranno i piccoli e i loro genitori a conoscere i prodotti della terra», spiega la coordinatrice Laura Sivalli.

Così le ricette prenderanno forma dal burro, dal dado di zafferano, ma anche dal desiderio di stare insieme, di guardarsi negli occhi, di conoscersi «nel rispetto della diversità, per arricchirsi». Perché l’inclusione «si fa insieme, si fa cogliendo negli occhi dell’altro l’opportunità di apprendere anche attraverso linguaggi diversi da quelli convenzionali». L’obiettivo, dunque, è imparare. A costruire un mondo migliore, «partendo dal rispetto della terra e degli altri».

Il messaggio risuona forte nel cortile della scuola di via Galantino, voluta da santa Cerioli, nell’ambito delle iniziative promosse dalla Diocesi di Cremona e dalla Commissione zonale Laudato si’ per il Tempo del creato. I laboratori saranno proposti da ottobre a giugno a bimbi piccoli e mezzani della scuola dell’infanzia divisi in due gruppi.

«Il progetto mira ad un intreccio di linguaggi». Per il tutor del percorso personalizzato per persone con disabilità, Massimiliano Portici, è «l’occasione per sviluppare in una modalità creativa e adeguata ai più piccoli una riflessione sul tema dell’ecologia, del contesto di appartenenza, delle tradizioni e del cibo che mangiamo. Non possiamo pensare che questi temi siano tra loro scollegati. È tutto interconnesso. Proponiamo, dunque, un laboratorio che offre uno sguardo multiplo sulla realtà, a partire dall’idea che ciascuno di noi è risorsa. Il quotidiano confronto con ragazzi con disabilità ci aiuta a guardare il  mondo in modo diverso, ci aiuta a capire che nelle relazioni vive la bellezza. Anche in silenzio, anche sperimentando linguaggi diversi. L’apporto di ciascuno è indispensabile, perché la realtà è complessa. E sperimentarla insieme, significa comprenderla nelle sue mille sfaccettature».

La presenza di Slow food, associazione internazionale che promuove cibo buono, pulito e giusto per tutti, nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni locali, riporta tutto alle origini di InChiostro. Alla terra e all’amore per questa coltivato da santa Paola Elisabetta Cerioli. Per Claudio Pedrini, l’esperienza di Terra madre e dei mercati della Terra, vale a dire una comunità eterogenea di persone che lavorano per cambiare i paradigmi ambientali, «pone come prioritario il tema educativo».

Ecco spiegata la facile sinergia con InChiostro: «Il progetto lanciato sarà un bel seme, che potrà dare buoni frutti. Bisogna insistere per cambiare il pensiero». E gli stili di vita.

Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, ha riportato l’attenzione sull’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco: «In questo Tempo del Creato, l’obiettivo è quello di trasferire al territorio i contenuti dell’enciclica, a partire dal messaggio diffuso dal Papa che chiede di “ascoltare la voce del Creato”». L’invito è quello di «aderire ad un’ecologia integrale e cambiare il nostro modo di  vivere. Ovvero, praticare una spiritualità ecologica, comprendere le strategie fondamentali per partecipare alla casa comune».

Serve abbandonare lo sguardo individualista: «Ci è chiesto di ascoltare il grido d’aiuto della Madre Terra e dei nostri fratelli». E di agire: «Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo essere noi i primi a cambiare l’approccio nei riguardi del cibo, a combattere lo spreco alimentare, a comprendere ed interiorizzare l’agire ecologico, in un dialogo virtuoso con le istituzioni».

Parole di apprezzamento all’iniziativa sono giunte anche dal presidente del Consiglio comunale di Soncino Federica Brizio: «Un’opportunità per i nostri piccoli per cogliere nel confronto con l’altro l’occasione per crescere. Perché diversità è ricchezza».




Soncino, a Santa Maria delle Grazie un restauro-modello per riscoprire i capolavori del Campi

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Non si tratta di meri interventi a scopo conservativo. I lavori in corso presso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Soncino garantiscono «nuove prospettive di progettazione, di conservazione e di analisi delle tecniche di restauro del passato, restituendo al paese e alla diocesi di Cremona un importante patrimonio artistico». Per don Gianluca Gaiardi, direttore dell’ufficio diocesano beni culturali ed ecclesiastici l’intervento «costituirà un cantiere-modello che mostra la complessità di interevnire su un patrimonio così prezioso e complesso, ma che apre tante prospettive nuove per la progettazione, la conservazione ma anche di indagine» .

Grazie agli interventi in corso si sono aperti infatti «nuovi scenari di studio rispetto alle opere del pittore Giulio Campi, tenuto conto dell’importante lavoro svolto da questo non solo nell’arco trionfale, ma anche nei sei “affreschi strappati”, i cosiddetti “unghioni” raffiguranti i santi protettori dell’ordine carmelitano che costituivano l’abside della chiesa fino al 1960». Anche questi stanno per essere restituiti dopo i lavori della scuola di restauro di Botticino di Brescia, sostenuti dalla raccolta fondi di un comitato di associazioni soncinesi. Prima del loro ritorno nel luogo d’origine saranno accolti in una importante mostra-evento al Museo Diocesano, che tra fine anno e inizio 2023 sarà allestita grazie anche alla collaborazione del conservatore della Pinacoteca Civica di Cremona, Mario Marubbi

Costruita nel 1492 per volontà dell’Ordine religioso dei Carmelitani e del duca di Milano Gian Galeazzo Sforza, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie ha richiesto interventi urgenti nella zona dell’arco trionfale per «stabilizzare e consolidare la situazione, attraverso un percorso di conoscenza, diagnostica e intervento di miglioramento strutturale». Come spiega il direttore dei lavori, l’architetto Marinella Pedrini «l’ampia crepa che ha danneggiato l’arco compromettendo la figura della Vergine è da imputarsi al terremoto del 1802. Ora si denota un preoccupante abbassamento della chiave di volta, su cui grava la struttura muraria di sopralzo e il peso della copertura. L’ampiezza e l’estensione delle lesioni costituiscono un grave pregiudizio della staticità dell’immobile». Finanziati anche grazie al bando di Fondazione Cariplo Beni al Sicuro 2018, i lavori sono stati affidati alla ditta Rizzi, che sta operando in sinergia con Soprintendenza, Direzione lavori e Ufficio Beni culturali Ecclesiastici della diocesi. Gli esperti stanno «eseguendo una riparazione con materiali tradizionali e con l’uso di adeguate geo-malte nei punti di maggiore criticità. Poi si procederà alla messa in sicurezza e consolidamento degli archi di sostegno del solaio di copertura e delle murature del sottotetto e all’irrigidimento nel piano dei solai di copertura».

Per i restauratori «un intervento di questo tipo è una grande opportunità». Federica Cattadori racconta come «questi lavori consentano di conoscere più da vicino la bravura del pittore Campi. Sarà opportuno anche intervenire sulla parte pittorica laddove lacunosa per garantire unitarietà ad un’opera di così grande pregio». Al momento la pulitura della superficie pittorica e la conseguente asportazione delle stuccature si sono rese necessarie per visionare lo stato di conservazione e le fessurazioni passanti. «Abbiamo provveduto ad un immediato consolidamento con malte strutturali. Successivamente useremo calci più liquide per consolidare la parte interna della muratura».