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Presentato il volume “Gianmaria Potenza Cattedrale di Cremona”: l’adeguamento liturgico raccontato nelle foto di Paolo Mazzini

«Questo volume è una finestra, un canto che racconta l’ultimo degli artisti che con trepidazione ha messo mano alla nostra Cattedrale». Sono le parole con cui il vescovo Antonio Napolioni ha aperto, presso la sala Maffei della Camera di Commercio di Cremona, nella mattinata di sabato 6 aprile, l’evento di presentazione del libro “Gianmaria Potenza Cattedrale di Cremona”. Il volume è edito dalla Fondazione Potenza Tamini, in collaborazione con la Diocesi di Cremona e l’editrice Chiesa Oggi e racconta, attraverso le fotografie di Paolo Mazzini, l’opera realizzata dall’artista veneziano finalizzata all’adeguamento liturgico del presbiterio del duomo di Cremona.

Per l’occasione, la neonata Fondazione (ideata nell’agosto 2023) ha reso noto, attraverso la sua direttrice artistica, nonché curatrice del volume, Valeria Loddo, di voler appoggiare «giovani geni creativi attraverso progetti, il primo dei quali si concretizzerà nella mostra fotografica “Tratti. Profili d’arte”, la cui inaugurazione avverrà il 6 giugno presso il Museo diocesano». L’esposizione farà viaggiare i visitatori attraverso alcuni luoghi d’arte a Cremona, mostrandone il fascino grazie agli scatti di Paolo Mazzini che ha conquistato la stima del maestro Potenza e del suo staff.

Durante la presentazione del linro in sala Maffei, durante l’evento, un maxi schermo ha continuato a proiettare scorci della mensa del Duomo di Cremona, particolari della cattedra e dell’altare, frammenti di un’opera «che parla il linguaggio dell’astratto» – ha spiegato don Gaiardi – e che nasce dalla luce.

«Sono stato con mia figlia in Duomo e ho notato la luce – ha detto il maestro Potenza – così particolare da doverci tornare ancora alla sera per guardarla». Ed è infatti «basandosi su una ricerca sulla luce – ha chiarito Loddo – che il maestro ha operato. È la luce il principio ispiratore degli arredi sacri». Quella luce naturale che filtra dal rosone e che «è riverberata, come riflessa sull’acqua di Venezia» patria dell’autore, ha spiegato Loddo. Luce che poi «è un messaggio cristologico», conferma Napolioni. E che le foto di Mazzini sviscera e fa filtrare dai grafemi incisi sul bronzo e sulla pietra sia dell’altare, che dell’ambone come della cattedra e del porta cero pasquale.

Luce dunque protagonista di questi arredi sui quali si sono soffermati gli interventi prima del vescovo Napolioni poi di Caterina Parrello, direttrice di Chiesa Oggi, di don Gianluca Gaiairdi, direttore del Museo diocesano di Cremona, quindi di Valeria Loddo, curatrice del libro, e infine dell’architetto Carla Zito, che ha parlato a nome del team vincitore del concorso indetto dalla Cei nel 2018 per l’adeguamento liturgico della Cattedrale di Cremona.

Infatti l’opera di Potenza nasce da un progetto complesso che è partito dal voler «metterci in ascolto di una storia che ci ha preceduto – ha dichiarato il vescovo – per poi osare generare». Una vicenda che ha preso le mosse da riflessioni del 2016 con l’allora vescovo Enrico Assi – come ha ricordato Gaiardi – ma che ha preso forma nel 2018/2020 quando «Cremona con il concorso della Cei per l’adeguamento liturgico delle cattedrali – ha spiegato Parrello – è divenuta il primo progetto pilota per procedura concorsuale, ma anche per realizzazione dell’intervento nel quale si mira a integrare con un linguaggio contemporaneo una chiesa che non è solo architettura religiosa ma anche civile». Nel rispetto dell’esistente si è «lasciato un segno del cammino culturale» in una chiesa che custodisce una stratificazione storica importante dal Romanico fino all’oggi. Tante le tematiche affrontate e che il team, con a capo l’architetto Massimiliano Valdinoci (presente in camera di commercio), seguito dal liturgista Goffredo Boselli e dalla consulente Francesca Flores D’Arcais, ha superato in nome di due concetti “Prossimità e distinzione” ben illustrati dall’architetto Zito.

L’arte contemporanea dunque, con gli arredi sacri della Cattedrale, vuol dimostrare di saper comunicare spiritualità e di farlo attraverso «un nuovo alfabeto – ha chiarito don Gianluca Gaiardi – fatto di grafemi astratti. La cattedrale già racconta tutto con il suo apparato decorativo, il linguaggio astratto alza lo sguardo, astrae appunto», avvicina a quei concetti impronunciabili che sono il Mistero. L’opera di Potenza, letta così, è un segno lasciato dai contemporanei per dire la loro fede con un linguaggio diverso, che il volume appena edito sa ben raccontare, già dalla copertina che a livello tattile fa toccare con mano i disegni di luce sul bronzo.




Magatti: «Si è ridotta la ragione a ragione calcolatoria e lo spirito a spirito individualistico»

 

«Le religioni rendono possibile l’esperienza umana nella sua integralità» in un clima culturale in cui «l’Intelligenza artificiale sta portando ad estreme conseguenze il processo di riduzione della ragione a ragione calcolatoria». È questa la conclusione (ma anche il punto di partenza per ulteriori approfondimenti) a cui ha condotto la riflessione di Mauro Magatti, professore di Sociologia (Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista de Il Corriere della Sera e Avvenire) nel suo intervento presso l’aula magna del Campus dell’Università Cattolica di Cremona, lunedì 11 marzo.

L’incontro, dal titolo Religioni e Intelligenza Artificiale era inserito come quarto appuntamento nel ciclo Intelligenza artificiale, chi sei? organizzato dal Centro pastorale della Cattolica di Cremona, una serie di conferenze pensate per affrontare, da più punti di vista, un tema al momento piuttosto caldo e sul quale la formazione, non solo dei giovani ma anche degli adulti, richiede particolari competenze e profondità di pensiero.

A introdurre Magatti, alla presenza in sala del vescovo Antonio Napolioni, è stato don Maurizio Compiani, assistente dell’Università Cattolica di Cremona, e Pierpaolo Triani, docente alla Cattolica di Piacenza di Pedagogia generale e della cura educativa.

«È un tema sfidante quello dell’Intelligenza Artificiale – secondo Triani –. che crea grandi ansie ma anche gradi aspettative», che smuove le coscienze su tanti aspetti del vivere e che «interpella anche la dimensione religiosa».

Innanzitutto bisogna capire che cosa sia la tecnica che, sulla scorta di Socrate e Platone, Magatti definisce «un farmaco, un veleno curativo», davanti al quale non ha senso considerarsi «tecnoentusiasti» e nemmeno «tecnofobici». La tecnica fa passi da gigante, ci ha condotto all’IA e ora «dobbiamo starci dentro». Nessuna esaltazione e nessuna demonizzazione, dunque, da parte del sociologo che invita invece a capirne le logiche.

E per farlo ha intrapreso un excursus sul concetto di «pensiero, di νοῦς», come lo chiamavano i Greci, fino ai giorni nostri. Un viaggio nel tempo attraverso la cultura occidentale per spiegare ai numerosissimi presenti in aula magna che il νοῦς «si basava su due pilastri: l’intelletto e lo spirito». Per entrambi questi due elementi fondanti, però, si è arrivati a un processo di esternalizzazione per cui «l’intelletto prima è diventato ragione e poi nel tempo ragione calcolatoria» affidata alle macchine e non più alla mente umana. Un simile processo è avvenuto anche per la dimensione spirituale, nella quale un tempo si confondeva e fondeva il religioso e che ora «è un’idea quasi sparita».

Per cui «l’Intelligenza Artificiale si inserisce in una cultura che non solo ha separato fede e ragione, ma ha ridotto la ragione a ragione calcolatoria e lo spirito a spirito individualistico». Ecco dunque con che cosa deve fare i conti la religione, il cristianesimo (che Magatti definisce «religione di libertà»), ma anche tutte le altre confessioni. Non è un caso che «sotto i 35 anni l’esperienza religiosa in Europa sia quasi azzerata».

Senza rischiare di cadere nei fanatismi (cosa che Magatti vede come una strada percorsa da molte confessioni religiose di questi tempi) alla religione spetta l’arduo compito di «conservazione dell’umano».

Come farlo è una grande sfida, come lo è gestire una tecnica che corre e avanza ben più velocemente del pensiero riflessivo dell’uomo.

 

Il video integrale dell’incontro a cura dell’Università Cattolica

 

L’incontro del 10 maggio

Il ciclo d’incontri proseguirà venerdì 10 maggio con un ultimo appuntamento, promosso nell’ambito della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in collaborazione con l’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e il mensile diocesano Riflessi Magazine. “Dov’è il sapiente?” (1Cor 1,20) Le Intelligenze Artificiali tra algoritmi e libertà è il titolo dell’incontro che si terrà alle ore 18 e che vedrò intervenire padre Paolo Benanti, professore di Teologia morale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, unico italiano chiamato a far parte del New Artificial Intelligence Advisory Board, organismo dell’ONU, composto da 39 esperti di varie parti del mondo, che ha il compito di valutare rischi e opportunità e definire una governance internazionale dell’IA. Il 5 gennaio 2024 è stato anche nominato presidente della Commissione sull’Intelligenza Artificiale per l’informazione del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri (detta “Commissione algoritmi”).

 

IA: più le opportunità che i rischi secondo i giovani italiani, che però sul tema sono meno informati che i coetanei europei




“In the world but not of it”, gli scatti del canadese Tim Smith in mostra al Museo diocesano

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Un dialogo tra opere d’arte, un dialogo tra culture diverse, un dialogo tra idee del sacro differenti. La mostra fotografica “In the world but not of it” firmata dal canadese Tim Smith e inaugurata sabato 3 febbraio presso gli spazi espositivi del Museo diocesano di Cremona è una proposta culturale che è una sfida. Un invito a vivere «la contaminazione tra le opere esposte nel museo e una cinquantina di foto che documentano lo stile di vita e i costumi delle comunità anabattiste hutterite presenti fra l’America del Nord e il Canada», come ha spiegato don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali.

L’esposizione, pensata con il Festival della fotografia etica di Lodi (al taglio del nastro era presente anche l’assessore alla cultura di Lodi, Francesco Milanesi) è una sequenza di luce, colori, volti, catturati «attraverso un progetto durato quindici anni, periodo durante il quale – spiega la curatrice Laura Covelli – il reporter canadese ha incontrato le comunità anabattiste, ha vissuto con loro, ha intrecciato relazioni con i membri di questi gruppi per raccontarli».

Una narrazione sincera che racconta la vita quotidiana di persone che hanno scelto di vivere quel versetto del capitolo 15 di Giovanni in cui si chiede all’uomo di stare nel mondo, ma di non farsi sopraffare dalle cose o dalle logiche terrene, spesso distorte. Ne esce un ritratto onesto, scevro di pregiudizi. Scorrendo le foto si scoprono abitudini e stili di vita di piccole comunità (di circa 200 persone ognuna, appartenenti a una ventina di famiglie numerose) che vivono in equilibrio tra natura incontaminata ed esigenze della modernità. Si muovono con i cavalli e vivono in maniera essenziale, usano il cellulare con parsimonia e coltivano per raggiungere l’autosufficienza. Ma vi si legge anche un mondo dove «dialogo e lentezza – come ha commentato il direttore del Festival della fotografia etica Alberto Prina – costringono anche noi ad andare in profondità, a scoprire l’umano». A scoprire che cosa significhi prendersi cura degli altri (uno scatto racconta l’alternarsi delle donne a casa di una più anziana che non può muoversi), condividere momenti di relax e divertimento insieme (una foto vede gli adulti impegnati in giochi di gruppo), sedersi tutti alla stessa tavola (pranzo e cena vanno condivisi tra tutti gli adulti della comunità, solo la merenda dopo la scuola è vissuta come momento esclusivamente familiare).

I colori delle praterie sono lo sfondo di un mondo apparentemente semplice, dove i ragazzi si muovono a piedi nudi, le donne si cuciono abiti colorati, dove gli interni delle case sembrano tutti uguali. Dove (il gesto non viene eseguito solo in chiesa) la preghiera è parte integrante del quotidiano.

«Abbiamo scelto – spiega Stefano Macconi, curatore del Museo diocesano – di mettere una fotografia nella sala del camino in dialogo con la crocifissione del Boccaccio Boccaccino. Il gesto della Vergine e di Giovanni, in quel quadro così noto ai cremonesi, si interfaccia con le mani giunte di due coniugi anabattisti che pregano nella loro cucina». Mani intrecciate, parole che dalla terra salgono al cielo, un dialogo con Dio ma, vista la disposizione della mostra, anche tra professioni religiose diverse e tra forme d’arte (pittura e fotografie) apparentemente lontane tra loro.

La mostra resta aperta fino al 7 aprile, consentendo al visitatore non solo di avvicinarsi a un mondo per lo più sconosciuto, quello delle comunità anabattiste hutterite presenti fra l’America del Nord e il Canada, ma anche di scoprire fili rossi tra arte sacra antica e arte contemporanea.




“Una chat per la vita”, la presentazione del libro del Movimento per la vita di Varese ha aperto gli eventi della 46ª Giornata della vita

L’accoglienza e l’ascolto viaggiano anche sul web e sanno farsi difesa della vita. Lo ha dimostrato l’esperienza del Movimento per la vita di Varese che ha accettato la sfida della rete e lo ha raccontato a Cremona nella mattinata di sabato 27 gennaio presso SpazioComune in piazza Stradivari. Si è trattato del primo appuntamento in diocesi organizzato in vista della 46ª Giornata della vita in calendario il 4 febbraio.

A presentare il volume, “Una chat per la vita”, che racconta 50 storie di speranza raccolte online, sono state le due autrici, Vittoria Criscuolo, presidente del Movimento per la vita di Varese, insieme a Susanna Primavera, del direttivo dell’associazione, affiancate dai brevi interventi di Massimo Gandolfini, neurochirugo presidente nazionale di Family Day, e dell’avvocato Piercarlo Peroni. «Si tratta di un modo virtuoso di utilizzare il web – ha esordito Paolo Emiliani, presidente del Movimento per la vitadi Cremona – di cui parliamo perché non vogliamo assuefarci alla cultura della morte, o meglio, alla cultura dello scarto, per usare le parole di Papa Francesco».

«Il progetto – ha chiarito Criscuolo – è nato sei anni fa dalla voglia di modernizzarci. Abbiamo consultato diversi esperti per creare un sito su cui pubblicare ogni settimana articoli capaci di attrarre l’attenzione di chi ha difficoltà o domande in merito alla vita». E così, le associate si sono formate per un anno e mezzo, si sono impratichite con la scrittura via web per poi imparare la modalità più adeguata per affrontare attraverso una chat le eventuali domande di ragazze, donne e uomini che si trovano a fare i conti con nascite indesiderate, aborti ormai avvenuti, richieste di aiuto. La risposta degli utenti della rete è stata travolgente. «Attratti da alcune parole chiave dei titoli degli articoli che pubblichiamo – continua Criscuolo – uomini, giovai donne, persone di ogni età aprono la chat e iniziano a porci domande 24 ore su 24». Ne escono drammi personali, storie di ferite riemerse dopo anni, richieste di aiuto drammatiche, sfoghi di ragazze lasciate sole dopo aver praticato a casa l’aborto.

Certo «il rapporto personale manca – aggiunge Primavera –, manca lo sguardo o il sorriso di chi ascolta. Però intercettiamo tantissime persone di tutta Italia e anche dell’estero che al nostro sportello non sarebbero mai arrivate». La potenza del web di accorciare le distanze è nota, come anche quella di permettere sfoghi anonimi senza il peso di un giudizio personale. Le volontarie lo sanno, ma sanno anche che dietro la velocità di lettere digitate in attesa di una risposta c’è un cuore che batte, una mamma ferita che cerca, consciamente o meno, aiuto, un padre che non ha voluto prendersi le sue responsabilità.

Colpisce i presenti a SpazioComune la professionalità delle risposte che non urtano, non giudicano, ma si prendono cura del dolore attraverso parole ferme ma delicate.

«Dopo le 23 arrivano le richieste più dolorose», aggiunge la presidente del Movimento per la vita di Varese. Quando calano le ombre, la solitudine si fa spesso riflessione amara che cerca conforto, aiuto e speranza. Ed è proprio la speranza che fa commuovere chi legge il libro, il filo rosso delle 50 chat riportate nel volume dove il dolore scuote, sferza, ma è anche punto di partenza per una rinascita che sa trasformare l’errore in aiuto per altri.

Si badi bene, non è una questione tutta femminile. «L’articolo che ha avuto 40mila visualizzazioni portava il titolo Il padre assente», spiegano. Forse a dire che esiste un problema tutto maschile sul tema aborto, una questione che nasce «da una interpretazione della legge 194 a favore della deresponsabilizzazione dei padri», precisa l’avvocato Peroni.

 

Giornata per la Vita, a Cremona un programma ricco di iniziative




Chiese lombarde, un cammino comune per la famiglia e la vita

Sarà il vescovo Antonio Napolioni a presentare nei Dicasteri vaticani quanto e come le Diocesi lombarde hanno camminato e lavorato insieme negli ultimi dieci anni sul tema della pastorale familiare e su quello della tutela minori. Da domani, infatti, inizia la Visita ad limina dei vescovi della Lombardia, un pellegrinaggio a Roma sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, l’incontro con il Santo Padre per descrivere le situazioni locali, «un momento che rende ancora più manifesta la collegialità quale dimensione necessaria per la Chiesa sinodale», come l’ha definita il cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei.

Dal 2013 (data dell’ultima Visita ad limina) la Consulta regionale di pastorale familiare, formata dalle coppie incaricate in ogni diocesi di occuparsi di questi temi insieme a sacerdoti, religiosi, diaconi permanenti, ha fatto passi da gigante. «Si riunisce minimo quattro volte l’anno in un clima di passione, condivisione e impegno, tanto che stiamo coltivando una formula residenziale ogni settembre per impostare l’anno», spiega Napolioni, vescovo delegato in regione per la Pastorale per la famiglia e la vita. I campi di lavoro e di riflessione non sono stati pochi: «La stesura di orientamenti comuni per la preparazione al matrimonio; il confronto sulla pastorale delle persone separate, divorziate o di nuova unione, il sostegno alla rete dei consultori familiari di ispirazione cristiana, le problematiche relative al gender, il percorso di accoglienza e studio dell’Amoris laetitia allargato non solo ai membri della consulta, per avere una sensibilità condivisa e responsabili ben formati». Da quest’ultimo tema è nata la lettera Camminiamo famiglie pubblicata dai vescovi lombardi e rivolta a sacerdoti e comunità «per testimoniare – spiega Napolioni – la comunione nel recepire le prospettive aperte dall’Amoris laetitia che poi i singoli vescovi hanno dettagliato dal punto di vista operativo». Le diocesi lombarde sono oggi in cammino con la volontà di favorire «il protagonismo degli sposi e della famiglia nella vita della comunità cristiana», chiarisce ancora il vescovo di Cremona che terrà la «ponenza» (così si chiama l’esposizione introduttiva) al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita.

«In diocesi si lavora per avere esperienze pilota sul valore della comunità cristiana come famiglia di famiglie». Così il vescovo racconta poi l’impegno in Diocesi di Cremona per perseguire l’idea di Chiesa vissuta come «corresponsabilità tra preti, consacrati e sposi». Si tratta di uno dei temi più importanti su cui lavora la Consulta regionale di Pastorale familiare. «La famiglia è la trama della vita comunitaria e deve nelle parrocchie dettare, in un certo senso, il linguaggio e l’agenda della parrocchia». Si sta cercando di «caratterizzare alcuni luoghi pastorali pensandoli non più solo al maschile o al clericale grazie al contributo di consacrate e famiglie». Alcuni esempi: la Casa di Maria a Caravaggio, la Pastorale giovanile, la Caritas, il Seminario. L’obiettivo è leggere la comunità come una famiglia in una «sinfonia di visioni».

E in cammino la Lombardia è anche per quanto concerne la Tutela dei minori, per la quale il vescovo Napolioni è referente regionale e su cui «la Cei – chiarisce – ha espresso nel 2019 delle linee guida, sulla scorta delle quali è stato organizzato un servizio regionale (che ha un vescovo responsabile, un coordinatore e un gruppo di esperti) e parallelamente dei servizi in tutte le diocesi». Sono stati attivati centri di ascolto, corsi di formazione, realizzati sussidi anche per affrontare la tutela dei minori sul web e attività varie di prevenzione. Questo perché «ci dev’essere la massima fiducia nella Chiesa».

 

Visita ad limina, mons. Napolioni e i vescovi lombardi a fine gennaio dal Papa




I volti della Cattedrale: in Battistero una mostra da toccare con mano

Sono 24 volti, di uomini (contadini, monaci, soldati) e di animali (conigli, leoni, bovini, arieti) che «rappresentano la società medievale», quella che ha eretto la Cattedrale di Cremona, ma in fondo anche «la nostra società». Parla così Tommaso Giorgi di CrArT–Cremona Arte e turismo a proposito dei 24 calchi delle protomi del Duomo esposti in Battistero fino al 7 gennaio.

La mostra “I volti della Cattedrale. Esposizione dei calchi delle protomi”, pensata dal CrArt e dal Laboratorio del Cotto, è stata inaugurata martedì 7 novembre nel tardo pomeriggio. Il contesto è quello di un progetto dedicato al “cotto cremonese”, progetto sostenuto dalla Fondazione Comunitaria della provincia di Cremona (rappresentata al taglio del nastro dal presidente Cesare Macconi) con il patrocinio della Diocesi e del Comune. E l’aspetto interessante non è solo che finalmente si possono vedere da vicino le copie delle decorazioni poste sopra le colonne delle loggette della facciata della Cattedrale, quindi a diversi metri da terra. Il valore aggiunto della mostra è che il percorso si fa «esperienza concreta e pedagogica», come ha spiegato don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per i Beni culturali. Perché al posto del divieto di toccare, la mostra invita invece a un’esperienza tattile che risulterà preziosa per non vedenti ed ipovedenti, ma anche per i ragazzi delle scuole e gli adulti, perché molto di quanto impariamo ed interiorizziamo passa proprio dal tatto.

I volti, sapientemente disposti in Battistero, grazie a un allestimento sobrio, pensato dall’architetto Maurizio Ferrari, sono tutti da leggere ordinati in cerchio «in quello spazio – ha chiarito l’architetto – dalle pregevolissime qualità architettoniche». E sono lì per parlare al visitatore «dimostrando una continuità spazio temporale – ha proseguito Ferrari – che fa riflettere. Quei volti hanno visto i nostri avi, vedono noi e vedranno le persone future. Ci parlano di continuità ma anche di caducità della vita». E questo in un contesto, come il Battistero «che è un luogo sacro, espressione di arte antica e contemporanea, nonché sala più importante del museo diocesano e di quella realtà museale che include la Cattedrale e anche il Torrazzo», ha detto don Gaiardi.

Ma qual è l’origine di questi calchi? «Durante gli anni ‘80 e ‘90 – ha chiarito il presidente del laboratorio del Cotto, Giulio Grimozzi – grazie ai ponteggi preparati per il restauro conservativo della facciata della Cattedrale insieme all’Archeclub abbiamo realizzato i calchi con i mezzi dell’epoca», oggi ormai superati. «Scaldavamo alcune gomme all’interno di cassettine pensate per ogni volto. Poi – ha proseguito Grimozzi – questo materiale per ragioni varie è rimasto in giacenza finché con argilla semi-refrattaria bianca, cotta (per rendere l’idea di ciò che veramente è la pietra della facciata) abbiamo ricavato ciò che è in mostra», ossia 21 calchi delle protomi della facciata, 1 della facciata nord e 2 del perimetro. Perché, non tutti sanno o si accorgono, che in realtà i volti che guardano i cremonesi dall’alto della Cattedrale sono invece un centinaio. E sono parte «di un percorso che attraverso il bello conduce al Mistero – ha commentato Giorgi –, sono volti espressione di una società laica (nel senso medioevale del termine cioè “non consacrata” ma cristiana) che usa lo schema comunicativo dei bestiari medioevali». E che ha parlato agli uomini di ieri e parla ancora del Mistero agli uomini di oggi capaci di alzare lo sguardo sulla Cattedrale.

La mostra sarà visitabile sino al 7 gennaio in Battistero, con visite dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18 (biglietto di ingresso per Battistero e mostra 10 euro). In agenda anche alcune visite guidate programmate:

  • sabato 25 novembre, ore 15. Visita guidata alla scoperta delle protomi e della loro simbologia. Il percorso prevede la visita alla mostra e un approfondimento in piazza del Comune per osservare le protomi nella loro collocazione originale.
  • venerdì 8 dicembre, ore 15. A caccia di simboli. Visita guidata animata per bambini alla scoperta dei significati simbolici racchiusi nelle protomi.
  • sabato 17 dicembre, ore 15. Visita guidata alla scoperta delle protomi e della loro simbologia. Il percorso prevede la visita alla mostra e un approfondimento in piazza del Comune per osservare le protomi nella loro collocazione originale.
  • sabato 23 dicembre, ore 15. Attraverso i volti. Visita guidata animata per bambini e laboratorio creativo.

Per info e costi relativi alle visite guidate proposte info@crart.it o 328-7438425. Per gruppi e scuole, CrArT realizza visite guidate su prenotazione.




Famiglie e seminaristi, incontro di vocazioni per un cammino comune

«Una serata di speciale normalità». Una serata di comunione, condivisione, di preghiera corale ma anche di festa. Così il vescovo Antonio Napolioni ha commentato l’appuntamento giovedì 20 sera, in preparazione del Natale, tra i seminaristi, i loro formatori e le famiglie che li accolgono ogni mese nelle loro case.

Un’esperienza di Chiesa, di condivisione delle vocazioni che si arricchiscono vicendevolmente in un cammino iniziato ormai parecchi anni fa.

«La Chiesa è una grande famiglia – ha detto il vescovo per l’occasione – che impara quotidianamente dalla vita reale delle famiglie». Che si stringe intorno all’altare, che discute, condivide e fa circolare idee. Per questo la serata è iniziata con la recita dei vespri della novena nella chiesa del seminario. Una preghiera in cui le voci dei bambini si sono mischiate a quelle dei giovani seminaristi, le voci di sorelle e mamme hanno cantato e recitato preghiere insieme a quelle dei sacerdoti, dei padri di famiglia. Una sola richiesta verso il Padre rivolta da persone «che scelgono, come dice il Papa, di essere innamorati e non abituati», ha commentato il vescovo nella breve riflessione che ha accompagnato la recita dei salmi e il canto. Persone che «cercano lo sguardo del Bambino del presepe per ritrovare nel suo giudizio la Verità di se stessi».

Al termine della celebrazione gli scout hanno consegnato a tutti la luce di Betlemme, «segno di speranza che ci impegna nel quotidiano». Una semplice candela accesa a Betlemme, tra le ferite della guerra e che ora illuminerà le case del mondo.

Alla celebrazione è seguito poi un momento di festa con una cena conviviale, lo scambio degli auguri e i canti di Natale intonati dai seminaristi. Una serata di festa, inserita in un cammino quotidiano che si fa gioia di condividere la grandezza del Mistero.




Matteo Truffelli è il nuovo presidente della Fondazione Mazzolari: «Portiamo ai giovani il cuore di don Primo»

La Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo ha un nuovo presidente. Matteo Truffelli raccoglie il testimone dalla presidente uscente, Paola Bignardi, e inizia il suo incarico dopo la riunione di sabato 2 dicembre a Bozzolo del Consiglio di amministrazione dell’ente. Esce rinnovato il Consiglio di amministrazione della Fondazione Mazzolari. Il nuovo assetto prevede, oltre al presidente Matteo Truffelli, don Luigi Pisani, parroco di Bozzolo, Daniele Dall’Asta, rappresentante della parrocchia di Bozzolo, Simone Coroni, rappresentante della parrocchia di Cicognara, Massimo Passi, rappresentante della famiglia di don Mazzolari, don Giovanni Telò, don Umberto Zanaboni, Silvia Corbari e Marisa Rosa.

Classe 1970, Truffelli è un nome noto agli ambienti cattolici per essere stato dal 2014 al 2021 presidente nazionale dell’Azione Cattolica, oltre ad aver diretto l’Istituto per lo studio dei problemi politici e sociali Vittorio Bachelet. Laureato in Filosofia presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel 2001 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Storia dell’Italia Contemporanea presso l’Università degli Studi Roma Tre. Oggi è professore ordinario di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Parma e membro dell’Associazione italiana degli Storici delle dottrine politiche.

Presidente, con quali obiettivi e progetti inizia il suo mandato?

«Inizio nel segno della continuità, perseguendo quegli obiettivi che lo statuto della Fondazione don Mazzolari indica: conservare e custodire la memoria di don Primo. Intendo valorizzare la ricerca del don Primo storico al di là degli stereotipi positivi o negativi, riportando l’attenzione sulla figura reale. E poi, altro obiettivo della Fondazione, vorrei continuare a farlo conoscere come figura significativa che parla alla società del nostro tempo e alla Chiesa di oggi. Don Primo aveva e ha una grande capacità di sfidarci come credenti».

Parla a tutti, anche ai giovani?

«Vorrei proprio che quelle generazioni che non lo hanno conosciuto o non ne hanno sentito parlare dai familiari per questioni anagrafiche, lo conoscessero. A loro dobbiamo raccontare questa figura davvero appassionata».

Ha qualcosa in comune don Mazzolari con i giovani?

«Ha in comune una grande passione per la realtà. I giovani spesso appaiono disinteressati a quello a cui gli adulti vorrebbero che si ponesse attenzione. Ma in realtà si interessano di altro rispetto agli adulti, hanno prospettive diverse, ma quando prendono a cuore un problema sfoderano grande capacità creativa, di provocare, capacità di trasformare le cose. In comune con i giovani don Primo aveva la passione. Bisogna far avvicinare il cuore giovane di don Mazzolari con il cuore dei giovani».

Come fare per raggiungere queste generazioni? Sta pensando a progetti e strategie?

«Si può far conoscere don Mazzolari ai giovani attraverso altri giovani. Mi piacerebbe formare alcuni ragazzi sul territorio, ma anche in tutt’Italia, sulle parole, gli scritti, il pensiero di Mazzolari. Questo perché poi lo possano raccontare ai coetanei creando una sorta di conoscenza per contagio. Bisogna passare attraverso gli oratori ma anche l’associazionismo e le attività ordinarie della pastorale giovanile. Ha parlato di tanti temi come la pace, la giustizia, il creato, l’incontro con gli altri…»

E lei lo ha conosciuto da giovane?

«Ho incontrato don Mazzolari da bambino nei libri che giravano in casa mia. La Fondazione invece l’ho conosciuta una ventina di anni fa e da allora sono iniziate le collaborazioni, gli interventi ai convegni. Ho conosciuto lentamente molti di coloro che ci lavorano e fanno parte del Comitato scientifico».

E ne ha conosciuto talmente bene gli scritti da curane una edizione critica…

«Mi sono occupato del pensiero politico di don Mazzolari. Ho curato l’edizione critica degli scritti politici. Per Mazzolari la politica era il mestiere dell’uomo. Ciascuno doveva e deve assumersi la responsabilità del bene della società. La politica è vista come passione dell’umano per il proprio tempo. La politica è capacità poi di confronto con tutti. Confronto che non è remissione ma dialogo con tutte le posizioni, questione oggi particolarmente urgente».

Altri temi toccati da don Primo urgenti oggi?

«Il tema più che mai attuale della pace. Don Primo parla di ostinazione per la pace. Non dobbiamo arrenderci alla guerra. Poi il tema dell’altro che un tempo aveva altri connotati rispetto ad oggi. Gli ultimi – diceva il parroco di Bozzolo – sono coloro che sono messi ai margini. Società e Chiesa vanno ripensati a partire dagli ultimi, le persone che dovrebbero occupare i primi banchi delle nostre chiese. E non da ultima la passione per il Vangelo che va letto, raccontato, vissuto e condiviso».

La parola condivisione rimanda all’idea di sinodalità, di Sinodo…

«La Chiesa che sognava ed aveva iniziato a costruire don Primo Mazzolari era una Chiesa in ascolto di tutti, di chi sta dentro e chi sta fuori, di chi sta sulla soglia. Una Chiesa dove ciascuno cresce nella sua responsabilità».




Al cimitero di Cremona la preghiera in suffragio dei defunti presieduta dal vescovo

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«La morte genera una nuova unità dove non scompariranno le personalità e il bene che è stato compiuto». Con queste parole di speranza il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato la preghiera in suffragio dei defunti giovedì 2 novembre pomeriggio alle 15 presso il Cimitero civico di Cremona.

Una preghiera composta, fatta di gesti e parole semplici per commemorare le persone care che hanno lasciato il mondo dei vivi e che, per la Chiesa, si sono aperti a un’altra dimensione incontrando faccia a faccia il Signore e la pienezza della vita.

Presenti a questo breve momento di raccoglimento, oltre ai fedeli, alcune autorità, i sacerdoti della città e naturalmente il vescovo emerito Dante Lafranconi. Nonostante le forti raffiche di vento e la pioggia che a tratti ha caratterizzato l’intero pomeriggio, la celebrazione si è svolta regolarmente anche se all’interno del II androne anziché sull’altare all’aperto. Ma il programma è rimasto immutato consentendo a tutti i partecipanti di «esprimere – come ha detto il vescovo – il proprio affetto a chi ci ha lasciato, ricordando la loro vita, i loro gesti e anche il momento del doloroso distacco, uniti con loro nella comunione di una Chiesa in cammino nel tempo». Il cimitero accoglie credenti e non credenti, come ha ricordato Napolioni, ma per i cristiani c’è «una fonte di vita che alimenta la nostra speranza» e fa ripetere in maniera corale: «Concedi, Padre, a loro l’ingresso nel Regno dei Cieli ora che li hai tolti dalle vicissitudini della terra».

Il canto dell’Eterno Riposo ha aperto la preghiera che poi si è snodata con una serie di invocazioni, seguite dalla lettura di un brano del Vangelo di Giovanni che ricorda la morte del chicco di grano, necessaria per far fiorire la vita. E da quel chicco che pare solo nella terra è partito il commento del vescovo, sollecitato (lui stesso lo ha riferito) da alcune domande ricorrenti fatte a lui da gente comune. Non sappiamo – ha spiegato Napolioni – come si presenterà la realtà dopo la morte, ma siamo sicuri che essa non ci getterà nella solitudine. «Noi siamo fatti per un tuffo nella pienezza delle relazioni. La disgrazia non è rimanere soli nella vita sulla terra ma vivere la solitudine nell’al di là. In realtà la morte genera una nuova definitiva compagnia dove ritroveremo chi abbiamo amato. La morte rompe quella dose di individualismo che ci ammala come uomini e donne per aprirci ad una relazione aperta e pacificata», dove la convivenza tra popoli e culture diverse sarà una straordinaria e singolare esperienza. La speranza di una dimensione, dopo la morte, di pace non deve esimere i viventi – ha precisato ancora il vescovo Napolioni – dal vivere oggi con impegno i fatti del quotidiano costruendo già qui un regno di amore e pace, consapevoli che «siamo in cammino verso il Padre».

Al termine della riflessione è seguita la proclamazione del Credo per «renderci forti e sereni davanti al mistero della morte», le preghiere dei fedeli, un Padre Nostro e poi la benedizione. Acqua e incenso hanno ricordato il battesimo dei cari defunti e la loro «dignità eterna».

Prima della chiusura, il vescovo si è rivolto a Maria per affidare i viventi e coloro che sono defunti unendo tutti in una dimensione di Chiesa.

 




Al Museo diocesano, nel contesto della mostra su Vertua, una lezione sulla società nell’Ottocento cremonese

La vita dell’alta borghesia e della antica nobiltà cremonese dell’Ottocento era tutt’altro che monotona. Feste in maschera, musica e spettacoli coinvolgevano un mondo di artisti e nobil uomini tra cui si annovera Felice Giuseppe Vertua, pittore a cui è dedicata, al Museo diocesano di Cremona, una retrospettiva aperta fino al 19 novembre. A disegnare uno spaccato di quella società acculturata ma anche desiderosa di divertimento sono state Raffaella Barbierato, direttrice della Biblioteca statale di Cremona, e Raffaella Poltronieri, curatrice della mostra su Vertua, nella conferenza “Felice Giuseppe Vertua: arte, musica e società nell’Ottocento cremonese”, tenutasi sabato 4 novembre presso il Museo diocesano. Stefano Macconi, curatore del Museo, ha introdotto le relatrici ricordando l’opportunità di approfondire i temi legati al “vedutista cremonese”.

Preziosi documenti del Fondo Trecchi raccontano che «Vertua e la moglie – ha spiegato la Poltronieri davanti a un pubblico di estimatori delle iniziative del museo – erano spesso indicati per iscritto tra gli invitati delle feste organizzate da Alessandro Trecchi» a metà Ottocento nel suo palazzo. Feste di carnevale e quindi in maschera o feste d’autunno, occasioni comunque conviviali. Il pittore non era lontano da quel mondo musicale che animava costantemente le feste perché «il padre Alessandro era un musicista, maestro d’organo e suonatore di cembalo presso il teatro Concordia». Teatro che diventerà “il Ponchielli” e a cui Trecchi era legato con incarichi vari nel susseguirsi degli anni. Tra le carte d’archivio si è anche ritrovato “un permesso di polizia” secondo il quale la festa doveva concludersi entro le 24.

Un volumetto del 1885 firmato dal marchese Manfredo Alessandro Trecchi – raccontato dalla direttrice della Biblioteca Barbierato – consente oggi di immaginare quelle feste sfarzose tra i cui invitati c’era anche Giuseppe Verdi e gli esponenti della famiglia Manna, la stessa che ospitò Vertua e gli commissionò diverse opere. Esposto al Museo c’è il quadro “Veduta di Pontevico da Villa Manna a Grumone” che mostra straordinarie somiglianze (a parte il cambio di prospettiva) con un disegno finora sconosciuto ai più, sempre di Vertua, ritrovato dalla Barbierato su un diario amicorum appartenuto a Ruggero Manna e ora conservato presso la Biblioteca statale. Una testimonianza importante di quei legami intrecciati tra musicisti (Ruggero Manna era maestro di Capella e direttore del Teatro Concordia), pittori e alta società dell’Ottocento Cremonese. Una società per niente triste, per i quali i banchetti erano occasioni di amicizia e legami commerciali e per cui Trecchi spendeva moltissimo «convinto – ha spiegato Barbierato – che le feste e la loro organizzazione portassero beneficio al commercio e alla città», mettendo in moto uno stuolo di competenze artigianali, musicali e artistiche in genere.

 

Inaugurata al Museo diocesano la mostra “Giuseppe Vertua. Vedutista cremonese”