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La meditazione del vescovo per l’ultima “Pausa… digiuno” in Cattedrale

«All’escalation della violenza contrapponiamo l’escalation dell’amore, alle pietre per lapidarlo contrapponiamo la Pietra Viva che si fa Pietra angolare sulla croce». Quello del vescovo Antonio Napolioni, venerdì 31 marzo alle 13 in Cattedrale, è stato, come lui stesso ha detto, «l’ultimo appello della Parola» prima della Settimana Santa. Ultimo appello e quindi ultimo appuntamento, quello di chiusura, per la proposta Pausa…digiuno, rivolta a chi vive e lavora in città. L’iniziativa quaresimale, che si è conclusa, infatti ha richiamato in duomo, durante la pausa pranzo (dalle 12.30 alle 14), una ottantina di persone ogni venerdì per una preghiera e meditazione condivisa.

Il format proposto, o meglio «Il menù della pausa» (come recitava il volantino) prevedeva una adorazione personale, poi l’ascolto della Parola, una meditazione e una preghiera comunitaria. A guidare la riflessione per l’ultimo incontro è stato appunto il Vescovo che ha commentato il brano evangelico di Giovanni (v.10,31-42) in cui si racconta dei Giudei con le pietre in mano per lapidare Gesù che si dichiara Figlio di Dio. Una situazione che tra le righe racconta la violenza dei nostri giorni, gli scontri tra popoli o semplicemente la violenza verbale del quotidiano. «Ma le pietre non possono nulla contro la Pietra scartata, non possono nulla davanti alla potenza della pace che tutto trasforma sgorgando dalla Pasqua».

Come allora, ancora oggi ogni uomo è interpellato, ha spiegato mons. Napolioni, da quella Pietra viva. Si domanda, come fecero gli apostoli e i discepoli «’identità di Gesù: chi è Gesù?». E la risposta non è facile da accettare, «non era quella che volevano sentire», o che vuole sentire l’uomo contemporaneo. I Giudei (o gli uomini di oggi) scambiano la frase «Sono figlio di Dio» per una bestemmia quando le vere bestemmie sono per gli uomini «farsi Dio, usarlo per la propria gloria, per mettere un popolo contro l’altro». La figura di Cristo interpella tutti, fa riflettere e pone tanti interrogativi che il vescovo Napolioni ha lasciato come consegna ai presenti in Cattedrale. Domande importanti che partono da una constatazione «L’escalation della violenza (di cui parla il Vangelo) conduce verso la Settimana Santa e invita tutti a fare delle scelte; lapidare Cristo, usarlo, oppure lasciarci cambiare».

A conclusione della meditazione, le invocazioni e una corale preghiera per la pace hanno concluso la seconda edizione della Pausa…digiuno.




Santa Teresa, la “scienza dell’amore” che spalanca la bellezza

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Una donna, una monaca che ha attraversato il suo tempo per uscirne trasfigurata tanto da farsi “eco creante”. Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, è una figura affascinante tracciata con rigore giovedì 23 marzo pomeriggio, presso l’aula Magna dell’Università Cattolica di Cremona, da Madre Cristiana Dobner, Carmelitana Scalza che ha studiato i suoi scritti e la sua figura nel complesso. E fatta risaltare nella sua capacità di contagiare gli altri da Arnoldo Mosca Mondadori, promotore della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti intervenuto al convegno a cui ha presenziato e dato il suo contributo anche il vescovo Antonio Napolioni. A moderare mons. Francesco Follo, fino al 2022 osservatore permanente della Santa sede presso l’Unesco.

Si è trattato di uno dei 3 appuntamenti dal titolo “Teresa di Lisieux. La saggezza dell’amore” organizzati in occasione del 150° anniversario della nascita della Santa francese (1873-2023) con il patrocinio della Diocesi di Cremona, della Commissione nazionale italiana per l’Unesco e della Pontificia facoltà teologica Teresianum di Roma.

Un pomeriggio intenso, aperto dalla serietà quasi scientifica della esposizione di Madre Dobner, ricca di citazioni e costruita per portare avanti la tesi di una donna, Teresa, figlia del suo tempo“vissuta in un periodo storico che, troppo spesso, viene lasciato sullo sfondo, oppure semplicemente eliminato” ma contestualmente capace di superare difficoltà e crisi dell’epoca per uscirne con una creatività contagiosa, figlia dello Spirito.  La riflessione ha preso le mosse dai “numerosi testi scritti” da Teresa, testi che hanno avuto una diffusione “tale da far impallidire i più quotati best seller” per arrivare alla “scienza dell’amore” ciò che le ha consentito di attraversare “il tunnel del suo tempo” e che risulta consolante per l’uomo di oggi, immerso in un tunnel simile, in un tempo dove l’assenza di Dio ( per Teresa simboleggiata da una cultura che va da Schiller a Nietzsche, passando per Russel, Rilke e Tolstoj) si fa palpabile ma dove la speranza è segnata da testimonianze di santi straordinari anche nella quotidianità di un semplice monastero di Normandia.

 

Ascolta l’intervento di madre Cristiana Dobner

Il testo della relazione di madre Cristiana Dobner

 

E la “semplicità disarmante” di Teresa capace di “spalancare l’abisso della bellezza”, come ha dichiarato il Vescovo Napolioni, si è tramutata in una coinvolgente testimonianza di fede da parte di Arnoldo Mosca Mondadori. Teresa ha concretizzato “la sete di cibo dell’anima”, ha diffuso “la luce dell’Eucarestia” davanti a cui le parole non bastano ed è opportuno lasciar spazio alla musica. Ed è così che a diffondere nell’aula magna del monastero di Santa Monica una musica importante, come quella di Bach, è intervenuto il violoncellista Issei Watanabe. In mano un violoncello costruito con il legno dei barconi che hanno portato sulle spiagge della nostra Italia, speranza ma anche dolore e morte. Note ascoltate in un silenzio dove la meditazione dei presenti ha preso corpo.

 

Ascolta l’intervento di Arnoldo Mosca Mondadori

Inaugurata in Battistero la mostra su santa Teresa di Lisieux




Inaugurata in Battistero la mostra su santa Teresa di Lisieux

«Custode del paradosso dell’amore divino che si fa umano», come ha dichiarato il vescovo Antonio Napolioni, e donna «capace di cogliere il valore delle nuove tecnologie per tradurle in linguaggio spirituale», come ha aggiunto il provinciale dei Carmelitani, padre Fausto Lincio, Teresa di Lisieux è al centro dell’esposizione inaugurata nel pomeriggio di lunedì 20 marzo presso il Battistero di Cremona, presenti le autorità religiose e quelle civili. Si tratta del primo di tre eventi dal titolo “Teresa di Lisieux. La saggezza dell’amore” organizzati in occasione del 150° anniversario della nascita (1873-2023) con il patrocinio della Diocesi di Cremona, della Commissione nazionale italiana per l’Unesco e della Pontificia facoltà teologica Teresianum di Roma.

Una mostra itinerante, essenziale, «che dopo l’esposizione a Parigi – come ha spiegato per l’occasione mons. Francesco Follo, fino al 2022 osservatore permanente della Santa sede presso l’Unesco – poi a Roma, ora è qui a Cremona dove nel 1606 sorgeva, primo in Lombardia, un monastero carmelitano, sito nell’attuale parrocchia di Sant’Imerio», collegato a una ampia serie di altri analoghi: in Francia ad Alençon, Lisieux, Parigi. E dove ancora è attivo un movimento laicale di carmelitani.

Ben 29 pannelli  (allestiti sotto l’occhio vigile di Davide Tolasi, docente della Laba di Brescia) che si snodano in un percorso sulle orme di Teresa, morta a soli 24 anni ma fulgido esempio di fede profonda tanto da essere proclamata dottore della Chiesa da San Giovanni Paolo II e da «essere stata proposta dal Governo francese come uno dei cittadini da onorare nel mondo – ha continuato durante l’inaugurazione Follo – nel 2023 per essere stata un’intellettuale, una scrittrice ed una educatrice. Proposta che i 193 Paesi dell’Unesco hanno approvato». Perché Teresa ha molto da dire agli uomini di oggi, come ha spiegato in maniera brillante Padre Lincio, provinciale dei Carmelitani di Lombardia,  durante l’inaugurazione.

Ascolta l’intervento di mons. Franco Follo

Ascolta l’intervento del vescovo Antonio Napolioni

«Era una donna – ha chiarito Lincio – capace di uscire dalla limitatezza del monastero, una donna che ha avuto il coraggio della tecnologia, che ha introdotto (grazie alla sorella Celina) la macchina fotografica nel monastero, che si è fatta fotografare e ha scattato foto della vita delle monache». Una grande intuizione di come si possa parlare la lingua della fede usando le novità della tecnologia. E non è il solo aspetto che dice la modernità di questa ragazza. «Ci ha lasciato – ha spiegato Padre Lincio – un vocabolario: le parole che dicono cosa sia l’uomo».

Questa santa infatti ha vissuto e testimoniato la forza della fede anche nei momenti di smarrimento interiore, condizione di tanti giovani di oggi, ma ha saputo uscirne con la forza spirituale per chiudere la sua vita «condividendo la mensa dei peccatori», cioè passando per la prova del dubbio.

E nei pannelli esposti, così da rendere fruibile sia la bellezza del battistero, sia la grandezza di Teresa attraverso le sue parole e le sue foto, si legge un percorso profondo che fa di questa ragazza una persona interessante, capace di unire la dimensione religiosa con quella civile.

Ascolta l’intervento di padre Fausto Lincio

Ascolta l’intervento dell’assessora Luca Burgazzi

La mostra, inaugurata alla presenza anche dell’assessore alla Cultura del Comune di Cremona, Luca Burgazzi, sarà visitabile nel Battistero di Cremona sino al 30 marzo negli orari di apertura del Battistero (dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18; chiuso il lunedì).

Prossimo appuntamento di  “Teresa di Lisieux La saggezza dell’amore”, giovedì 23 presso la sede cremonese dell’Università Cattolica con l’intervento di Madre Cristiana Dobner, carmelitana scalza e Arnoldo Mosca Mondadori.

 

Teresa di Lisieux: a Cremona una serie di eventi per il 150° della nascita della santa




Una “Pausa… digiuno” in Cattedrale per alimentare lo spirito

Entrano alla spicciolata, un po’ di fretta, con un libro sotto il braccio o in mano la borsa del lavoro o quella della spesa. Ad attenderli c’è una cattedrale insolita, immersa nel silenzio della pausa pranzo di ogni venerdì di Quaresima. Poi, varcata la soglia, quelle persone arrivate da sole e dall’aspetto così diverso si trasformano in una comunità unita dalla meditazione, dalla preghiera, prima personale e poi comunitaria, dall’ascolto della Parola. Unite anche in un gesto di carità che è frutto del digiuno. L’equivalente del loro pranzo si farà concreta solidarietà per chi è nel bisogno. L’iniziativa, dal nome evocativo «Pausa…digiuno», è un invito (dalle 12.30 alle 14) a chi vive, lavora o studia nel centro di Cremona, a trasformare il tempo della Quaresima, anche quello strappato al pranzo, in un tempo di conversione, ogni venerdì fino al 31 marzo, in preparazione alla festa della Pasqua.

«Lo scorso anno – spiega don Antonio Bandirali, parroco dell’unità pastorale S. Omobono, di cui fa parte la Cattedrale, e coordinatore dell’iniziativa – abbiamo lanciato questa idea per le parrocchie della nostra Unità pastorale. Confrontandoci ci siamo accorti che potevamo estendere l’iniziativa in questa Quaresima 2023 a tutta la città, tenendo aperta la cattedrale in un orario in cui solitamente resta chiusa». Questo perché la risposta delle persone, l’anno scorso, è stata importante. «Stampando e distribuendo un foglietto, un piccolo sussidio personale per la meditazione durante la pausa in duomo, ci siamo accorti che le persone entrate in chiesa, che lo avevano ritirato, erano circa una settantina o ottantina ogni venerdì». Numeri, che in questo caso parlano dell’iniziativa come un servizio gradito, un’occasione da cogliere e da riproporre.

E così già venerdì alle 12.30 è iniziata l’adorazione, le prime persone interessate hanno fatto ingresso e preso posto nei banchi. Alle 13.15, dopo la preghiera personale, è iniziato il momento comunitario, con la proclamazione della prima lettura del giorno (come verrà fatto ogni venerdì) e a seguire una riflessione proposta questa volta da don Piergiorgio Tizzi, vicario dell’unità pastorale «Madre di Speranza». Al termine ancora una preghiera personale e a chiusura un tempo di nuovo di meditazione.

«Lavorando in città – commenta Silvia, appena uscita dalla cattedrale – ho deciso di ritagliarmi nel mio tempo di vita, un momento per la preghiera e riflessione personale. La trovo un’occasione molto utile per la mia crescita spirituale e per una preparazione alla Pasqua. Anche l’orario in cui viene proposta è funzionale. Non riesco a rimanere in chiesa per tutto il tempo in cui rimane aperta, ma quello che riesco a vivere in cattedrale è già un momento importante». E come lei, già in primo giorno dell’iniziativa, sono in parecchi a vederla come un’opportunità. «Saltare il pranzo e scegliere il digiuno – spiega Giovanna, anche lei presente all’appuntamento – mi costa un po’ di fatica. Farlo in comunità, però, cambia la prospettiva. Non sedermi a tavola, vuol dire saziarmi di altro, riempire questo vuoto con un messaggio importante che mi faccia davvero capire il senso del gesto. La “Pausa…digiuno” è per me una bella iniziativa».

Le prossime settimane la meditazione sarà affidata a don Enrico Trevisi, parroco di Cristo Re e vescovo eletto di Trieste, poi a padre Andrea Cassinelli, frate Cappuccino del convento di via Brescia, quindi il 31 marzo al vescovo Antonio Napolioni.

Ad ogni appuntamento, preghiera, meditazione e digiuno saranno accompagnati da gesti di carità il cui ricavato (corrispettivo del pasto saltato) verrà, al termine della Quaresima, devoluto alla “Borsa di Sant’Omobono”, fondo diocesano per andare incontro alle difficoltà economiche delle famiglie e nel quale le parrocchie hanno deciso di far convogliare le offerte di questo tempo pre pasquale.

 

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«Coltivare, custodire e trasmettere la generatività, farsi dono»: il compito educativo della famiglia

Dono, speranza, generatività della famiglia sono le parole chiave della Giornata diocesana delle famiglie tenutasi domenica 12 febbraio presso il Seminario di Cremona. Una giornata per riflettere, confrontarsi e ripartire con una nuova progettualità, un’occasione voluta dall’Ufficio diocesano per la Pastorale familiare, che ha scelto come tema guida: “La Famiglia luogo di comunione tra generazioni”.

Al centro della giornata l’intervento di Domenico Simeone, preside della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, introdotto da una preghiera guidata dal referente dell’Ufficio pastorale familiare don Enrico Trevisi, recentemente eletto vescovo di Trieste, e dai coniugi Dainesi, che con lui condividono l’incarico.

«La famiglia – ha spiegato il docente universitario che ha dichiarato subito di essere anche genitore – è luogo di relazioni generative», relazioni che custodiscono, trasmettono e si fanno «dono, legame che nutre, libera e passa di generazione in generazione». Una visione piena di speranza (e anche di responsabilità) che nasce da una lucida analisi di come le famiglie e i loro legami oggi si presentino.

Simeone, infatti, è partito dalla costatazione che oggi molto sia cambiato nelle relazioni familiari, di quanto si sia ridotta la distanza tra genitori e figli, ma anche di quanto anche si sia indebolito il ruolo genitoriale, di quanto la solitudine attanagli tanti nuclei familiari. Tanti cambiamenti (ed è normale che sia così) hanno investito la società e la famiglia. Abitiamo una «cultura del frammento che non ci propone grandi narrazioni – ha spiegato – ma è segnata da provvisorietà, reversibilità, attenzione al quotidiano, all’autorealizzazione e senza progetti». È l’epoca della precarietà «della ricerca della libertà senza vincoli».

Ma la crisi non vuol dire ripiegamento su se stessi, ha suggerito il docente, ma «porsi di fronte ai cambiamenti non subendoli, ma guidandoli. Perché la crisi va letta come opportunità». E da qui parte la sfida di «coniugare la dimensione normativa della famiglia con quella affettiva». Un giusto equilibrio che va fondato su relazioni generative che «permettano all’altro di crescere lasciando noi il posto a lui».

Spazio allora ai «4 verbi del generare: desiderare, partorire, prendersi cura e lasciare andare». Quattro azioni da analizzare per scoprire che la famiglia ha un grande compito educativo, una grande responsabilità; coltivare, custodire e trasmettere la generatività, il farsi dono. Lo si può fare indicando ai figli la strada del futuro, «educando al desiderio di vita, di un lavoro e di amore». Ma trasmettere il desiderio non è semplice, bisogna viverlo, tenerlo acceso senza soffocarlo con risposte immediate, indicargli la strada perché «senza legge il desiderio non si genera». E qui ritorna il tema della norma da conciliare con la dimensione affettiva. Il ruolo educativo va vissuto, nella coscienza del servizio, con fermezza, ma contemporaneamente con delicatezza e sensibilità perché la «scultura vivente» possa sbocciare. Simeone sulla parola «scultura», che ha usato Papa Francesco, si è soffermato perché «educare non è aggiungere ma togliere quello che non serve per far emergere la vera identità».

L’intervento del prof. Domenico Simeone

 

 

Tanti gli spunti di riflessione suggeriti dunque dal docente universitario che poi ha risposto alle domande dei presenti in una presentazione che ha occupato gli adulti per buona parte della mattinata, mentre i ragazzi e i bambini erano intrattenuti dallo spettacolo di animazione “Palloni sgonfiati” a cura della Compagnia dei Piccoli.

A fine mattinata è seguita la Messa. Una preghiera corale dove anche nell’omelia è tornata l’idea della normatività. Don Trevisi ha letto infatti “i precetti e la Legge” di cui parlava il Vangelo di Matteo come un’indicazione di vita esigente ma inclusiva.

Al termine della celebrazioni, le famiglie, rappresentate da Maria Grazia e Roberto Dainesi, hanno consegnato una stampa in dono a don Enrico che a breve dovrà lasciare la guida della Pastorale familiare per raggiungere la diocesi di Trieste di cui sarà consacrato a breve vescovo. Un momento di commozione grande, ma anche di riconoscenza.

La giornata è poi proseguita con un pranzo condiviso nei locali del Seminario e a seguire due laboratori di riflessione e condivisione: uno sulla cura e un secondo sulla trasmissione della fede tra generazioni.

A chiusura del pomeriggio la preghiera finale con l’intervento del vescovo Antonio Napolioni, impegnato il mattino nella visita pastorale.




L’arcivescovo Crepaldi a Cremona per incontrare don Trevisi, suo successore a Trieste

«È stato un incontro davvero cordiale e fraterno». Con queste parole don Enrico Trevisi, vescovo eletto di Trieste, commenta l’incontro avuto, nella mattinata di giovedì 9 febbraio, con mons. Giampaolo Crepaldi, diventato (dal momento dell’annuncio ufficiale dell’elezione di don Trevisi) amministratore apostolico e vescovo emerito di Trieste.

Sul piazzale della parrocchia di Cristo Re, nel quartiere Po di Cremona, dove don Trevisi è parroco, è avvenuta l’accoglienza della delegazione triestina che ha subito varcato la soglia della chiesa per una preghiera intensa condivisa. Una preghiera che poi ha lasciato spazio, negli ambienti parrocchiali, a uno scambio di parole tra i due vescovi.

«Mons. Crepaldi – spiega don Trevisi – si è dimostrato padre nella fede, condividendo con me alcune questioni pratiche, come quella dell’abitazione del vescovo, e tante altre invece legate alle collaborazioni e ai rapporti e legami della figura del vescovo con la città e le comunità che vi abitano».

Lo scambio di idee ha consentito anche di delineare alcune ipotesi per l’ordinazione di don Trevisi e il suo insediamento a Trieste.

Dopo il momento di condivisione a Cristo Re, l’arcivescovo Crepaldi, accompagnato dal direttore della Caritas di Trieste don Alessandro Amodeo, si è spostato in Cattedrale dove, insieme a don Trevisi, hanno incontrato il vescovo Antonio Napolioni. La visita della Cattedrale, insieme al rettore mons. Attilio Cibolini, è stata preceduta da una preghiera comune. Poi di nuovo uno spostamento, questa volta verso il palazzo vescovile per un momento conviviale cui hanno preso anche il vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, il vicario generale don Massimo Calvi e il vicario episcopale per la pastorale e il clero don Gianpaolo Maccagni.

«Mi aspetta un intenso cammino di responsabilità – ha commentato Trevisi – sia per il ministero episcopale in sé, sia per la natura stessa di Trieste, ricca di storia, luogo di coabitazione tra culture diverse e terra segnata da ferite che il tempo ha lasciato».

Al suo fianco resterà, una volta stabilito nel capoluogo del Fiuli Venezia Giulia, l’emerito Crepaldi (pastore che è stato per 13 anni alla guida di quella comunità) per il quale è già stabilito il luogo di residenza.




Vita consacrata: «La vostra carità porta frutto nelle vite di tutti noi»

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Grande raccoglimento durante la tradizionale celebrazione in Cattedrale per la 27esima Giornata mondiale per la vita consacrata, giovedì 2 febbraio alle 18. «La Chiesa di Cremona vi ringrazia ed incoraggia», ha detto il vescovo Antonio Napolioni rivolgendosi all’assemblea rappresentativa dei diversi ordini e istituti religiosi presenti in diocesi. «Viviamo la gratitudine della comunità per la vita consacrata, motivo di preghiera e testimonianza», ha continuato durante la celebrazione che ha visto il rinnovo delle promesse e un particolare riconoscimento a quei religiosi che hanno festeggiato una ricorrenza significativa.

Il rito si è aperto con la benedizione dei ceri in fondo alla Cattedrale prima che la processione dei celebranti scorresse nella navata centrale per arrivare all’altare. Un rito che parla della luce e ricorda come durante la presentazione al tempio Anna e Simeone furono illuminati dallo Spirito e riconobbero il Signore.

Poi, con i ceri accesi, è iniziata la processione dei celebranti guidati dal vescovo (presente anche il vescovo Dante Lafranconi) tra cui c’erano i canonici del Capitolo, il delegato episcopale per la vita consacrata don Giulio Brambilla e alcuni presbiteri degli istituti religiosi, Cappuccini, Camilliani e Barnabiti.

Durante l’omelia, il vescovo ha richiamato tre modelli e quindi tre «piste di vita» (desiderio di Dio, dedizione quotidiana e dono di sé) per i consacrati riprendendo le letture del giorno. Come per il profeta Malachia (prima lettura) nei religiosi è costante «il desiderio di Dio» che è evidente in un atteggiamento di serenità e pace «frutto di una lunga disciplina dei propri desideri e attese», proprio come Simeone ed Anna. Ma se i due anziani sacerdoti sono un modello, lo sono ancora di più «Maria e Giuseppe, genitori che compiono il loro servizio, obbediscono alla legge, presentano il loro figlio…», genitori che invitano alla «dedizione quotidiana» a cui è chiamato ogni consacrato. Ma «il vero consacrato è Gesù – ha continuato Napolioni – principio di nuova creazione, dono di sé». Ecco quindi l’opera continua e generosa dei consacrati che vivono gesti di carità nel nome di Gesù portando «frutti nella vita di tutti noi».

Dopo la comunione, tutti i consacrati sono stati chiamati al rinnovo delle loro promesse, mentre per alcuni di loro è stato riservato un piccolo dono consegnato dal vescovo.  

Ecco chi ha ricordato un particolare anniversario di professione:

 25 anni

  • Suor Areri Joyce Kwamboka delle suore della Beata Vergine
  • Padre Francesco Serra dei Cappuccini
  • Padre Andrea Massimo Cassinelli dei Cappuccini

50 anni

  • Suor Loredana Andretto delle Adoratrici
  • Suor Ignazia Casu delle Catechiste di Sant’Anna

60 anni

  • Margherita Martelli delle Figlie dell’Oratorio
  • Suor Rosangela Scanacapra delle Adoratrici
  • Padre Roberto Corvi dei Camiliani
  • Fratel Lino Casagranda dei Camiliani

 

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Autorità e fraternità, la relazione di don Paolo Carrara all’incontro del clero




Conferiti i Ministeri, il Vescovo: «Ora entrate in maniera attiva nella Chiesa delle Beatitudini»

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La comunità diocesana si è stretta domenica 29 pomeriggio intorno a cinque seminaristi che in Cattedrale hanno ricevuto i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato. Una celebrazione essenziale, presieduta dal vescovo Antonio Napolioni, fatta di segni e preghiera raccolta, apertasi con una lunga processione di seminaristi, vicari, parroci e rappresentanti del Capitolo della Cattedrale. Il libro delle Sacre scritture e il vassoio del Pane (patena) sono stati i simboli dei Ministeri, conferiti rispettivamente a due religiosi dei Missionari di Gesù e di Maria (la cui Casa madre ha sede nella diocesi di Kpalime, in Togo, e in formazione a Cremona) fra Godfroy Agbodgi e fra Daniel Dossou Kossi, diventati Lettori, e tre studenti di quinta Teologia del Seminario vescovile di Cremona, Alberto Fa’ di Pizzighettone, Valerio Lazzari di Vicomoscano e Giuseppe Valerio di Spinadesco, diventati accoliti.

«Siamo contenti di stringerci a voi – ha detto il vescovo rivolgendosi ai candidati ai ministeri – perché dall’incontro tra la vostra vocazione, le attese della gente e la Parola di Dio veramente vediamo cosa sta facendo il Signore di noi». E di questa unità intorno ai candidati ne è stata dimostrazione la Cattedrale (che è sempre una cornice di straordinaria bellezza artistica) gremita di amici, parenti, rappresentanti delle parrocchie dove i seminaristi operano e danno testimonianza, nei tempi a questo dedicati che si alternano allo studio.

«Ora – ha proseguito Napolioni – entrate in maniera attiva nella Chiesa delle Beatitudini». Quelle Beatitudini proclamate nel Vangelo di Matteo che sono un invito coraggioso al cambiamento. «Beatitudini – ha continuato il vescovo – che sono una pagina specchio del segreto della vita. Sarete chiamati a essere lettori delle Beatitudini, cioè a leggere la vita vera, come sarete chiamati (questo vale per i 3 accoliti) a celebrarle, a servire l’altare, a seguire il Cristo».

I numeri non devono spaventare perché la chiamata è per tutti (e su questo il vescovo ha insistito sin dalla prime parole della celebrazione eucaristica), ma «pochi, poveri e umili significa un nucleo incandescente di semplicità di vita dove circola il perdono, la tenerezza come un cenacolo».

 

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Al termine dell’omelia è seguito il rito del conferimento dei ministeri laicali durante il quale avviene la chiamata per nome. Prima i due religiosi fra Godfroy e fra Daniel sono saliti in presbiterio e hanno ricevuto, in ginocchio, dalle mani del vescovo (seduto in cattedra) il libro della Sacre Scritture. Poi è stata la volta di Alberto, Valerio e Giuseppe che, sempre in ginocchio davanti al loro pastore, hanno preso tra le mani il vassoio del pane, quello che poi è stato condiviso sulla mensa.

Parole essenziali quelle di Napolioni che hanno aperto la strada di un servizio ai cinque candidati, un servizio di lettori consapevoli e di custodi dei vasi sacri, nonché ministri della Comunione.

La celebrazione è poi proseguita come consuetudine con una particolare attenzione ai cinque seminaristi anche durante la preghiera dei fedeli.

Al termine della Messa, dopo la benedizione e la processione di chiusura, la Cattedrale è scoppiata in un forte applauso di gioia. Gioia condivisa con amici e parenti fuori dalla Cattedrale e quindi in Seminario, dove, come una grande famiglia, è proseguita la festa di ringraziamento a Dio per le nuove vocazioni.

 

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“Tu non uccidere”: la strada di don Primo è ricerca di pace, oltre la cultura del nemico

Ancora una volta le parole di don Primo Mazzolari hanno dimostrato la loro estrema attualità. L’occasione è stata il Convegno di sabato 14 pomeriggio presso il Salone dei Quadri del Comune di Cremona organizzato in occasione dei 133 anni dalla nascita del “Parroco d’Italia” come è stato definito don Primo.

L’evento, promosso dalla Fondazione don Primo Mazzolari, in collaborazione con il Comune di Cremona e il Liceo Vida, e con il patrocinio della Diocesi di Cremona, ha ruotato intorno al tema “Tu non uccidere!”, celebre opera di Mazzolari, secondo la declinazione proposta dal sottotitolo: “Fare pace, vocazione del cristiano”.

Centrale l’intervento di Franco Vaccari, fondatore e presidente di “Rondine Cittadella della Pace” di Arezzo che ha invitato ciascuno a «rimuovere l’inganno della costruzione di un nemico», un’idea falsa a cui contrapporre la volontà di farsi «costruttori di pace». Ma altrettanto stimolanti gli interventi  del vescovo Antonio Napolioni, del sindaco Gianluca Galimberti, di Paola Bignardi presidente della fondazione Mazzolari di Bozzolo, di don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione  e soprattutto le testimonianze dei giovani coinvolti nel progetto Rondine ad Arezzo e dei ragazzi del liceo impegnati in un lavoro di riflessione che ha preceduto l’evento e che è sfociato non solo in una esposizione sintetica delle loro conclusioni ma anche in una installazione curiosa lungo lo scalone del Comune. Tanti piccoli fogliettini, disposti sui gradini quasi fossero pietre d’inciampo, hanno segnato la salita (e quindi la riflessione) di chi ha varcato la soglia del palazzo. Tante frasi di don Primo, messe provocatoriamente a terra, come parole al vento, su carta ingiallita ma anche parole che costringono a fermarsi, a raccoglierle e a portarle a casa, come è stato l’invito dei ragazzi a fine convegno.

 

Parole che obbligano, per la loro forza, a trasformare ciascuno in «seminatore di speranza» come ha auspicato il vescovo Antonio Napolioni nel suo messaggio introduttivo al convegno (messaggio in differita, visti gli impegni del presule relativi alla visita pastorale). Parole che richiamano alla «centralità della coscienza» davanti alle scelte di pace quotidiane, come ha ricordato nel suo intervento don Bignami. Sono tre i concetti cardine del testo “Tu non uccidere” uscito dapprima in forma anonima e poi attribuito a Mazzolari solo dopo la sua morte. In quel manifesto per la pace (nel quale aveva rivisto alcune delle sue convinzioni precedenti, dopo aver vissuto in prima linea la guerra) si legge «l’assurdità della corsa agli armamenti», la visione di ogni guerra «come un fratricidio» e la constatazione amara che «la guerra colpisca sempre di più i poveri e deboli». Tre idee chiave che oggi (alla luce dei conflitti in atto, in primis quello in corso in Ucraina) dimostrano l’estrema attualità del pensiero profetico di don Primo. E quelle idee, ancora oggi poco condivise, sono il filo rosso dell’esperienza di Rondine, dove ragazzi di paesi “nemici” (come Russia e Ucraina) convivono e condividono il quotidiano, studi e progetti, dimostrando che l’idea di “nemico”, come ha detto Vaccari è in realtà «un fantasma con pretesa di realtà che inquina le nostre relazioni, nato da storia e politica avvelenata e fallita».

 

Ad Arezzo si è creato cioè uno spazio di pace dove i giovani (attraverso borse di studio) di nazioni spesso in guerra vivono la fratellanza, a partire da «una lavatrice condivisa dapprima a forza» come ha ricordato Aldo proveniente dall’Albania. L’esperienza di Rondine «aiuta a vedere e vivere le cose in maniera diversa» come è stato testimoniato da una giovane Serba. E la strada di Rondine, si è fatta “metodo” entrato nelle scuole, tra cui il Liceo Vida. Tutti segni concreti di come «la pace è possibile oggi», ha concluso Paola Bignardi e di come Tu non uccidere possa essere per ciascuno «un programma di vita dimostrando che si può superare l’indifferenza o le ostilità». E che a farlo, sulla scorta di don Mazzolari, possono essere le nuove generazioni, lanciando al mondo un messaggio di speranza.




Il direttore di Avvenire: «Per disinnescare le guerre occorre che ognuno si prenda la sua parte di responsabilità»

Un accorato appello a testimoniare contro i conflitti (e se ne contano 169) che feriscono il pianeta e segnano il nostro tempo in maniera drammatica è arrivato dalle parole del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che ha aperto nel tardo pomeriggio di venerdì, al Centro pastorale diocesano di Cremona, il percorso “Insieme, sulla strada della Pace”. Si tratta del primo di una serie di appuntamenti pensati dall’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro per richiamare l’attenzione su questo tema e valorizzare sul territorio la 56ª Giornata mondiale per la pace, che si celebrerà il prossimo primo gennaio. Una serie di eventi voluti da tante realtà tra cui associazioni e gruppi, come le Acli, l’Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Pax Christi, la Tavola della pace di Cremona e quella dell’Oglio Po.

«Per disinnescare le guerre occorre che ognuno si prenda la sua parte di responsabilità chiedendo conto a quelli che hanno il potere di incidere e scegliendo ogni giorno da che parte stare, dicendolo, facendolo palese». Affermazioni accompagnate da passione, quelle di Tarquinio, soprattutto perché dietro a quelle parole c’è una ricchezza di informazioni e dati che mettono a nudo una conflittualità le cui dinamiche spesso restano dietro le quinte del flusso di informazioni che travolge ciascuno.

E se ne è accorta la platea in sala, dove sedeva anche il vescovo Antonio Napolioni, fatta di laici e sacerdoti impegnati nei vari movimenti e associazioni per la pace, fatta dai rappresentanti delle autorità cittadine, ma anche, grazie alla trasmissione in diretta in altri tre punti della diocesi, dalle comunità del Milanese a Cassano d’Adda, della Bergamasca a Covo e del Casalasco-Mantovano a Casalmaggiore.

L’incontro si è aperto con l’introduzione di Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e il lavoro, che ha esplicitato la scelta del nome del percorso. «Insieme, – ha detto – perché null’altra cosa come la pace ha bisogno di tutti. E strada, perché non possiamo restare chiusi nelle nostre chiese». Per il titolo della relazione di Tarquinio «Sorella Pace – Sovvertiamo la guerra: Adesso!» si è preso spunto da un editoriale del 26 febbraio scorso di Avvenire.

Parole che il direttore del quarto quotidiano più letto in Italia ha ribadito con forza: «Occorre una sovversione radicale della logica secondo cui ci sia qualcuno che vince le guerre». Perché la speranza del cambiamento non può che nascere da un completo rovesciamento della logica imperante. «Avete mai visto una guerra che finisce?», ha detto rivolgendosi in maniera provocatoria verso chi lo ascoltava. I conflitti crescono, si accendono, ma non finiscono mai, le loro conseguenze sono disastrose. I Paesi citati sono stati tanti, dal Congo, dove si fronteggiano cinque eserciti ed in gioco c’è il coltan (materiale indispensabile per la costruzione dei cellulari), alla Siria, dove si potrebbero aprire a breve spiragli di pace, o lo Yemen, dove il silenzio delle cronache non restituisce il disastro umanitario in corso da anni, dall’Iraq alla Corea. Per arrivare all’Europa, al conflitto in corso tra Russia e Ucraina, scoppiato di fatto già otto anni fa. Uno scontro «a cui ci stiamo pericolosamente abituando», che slitta dalle prime alle ultime pagine dei giornali, che però «ha turbato i 2/3 degli italiani» e per il quale sono scesi in piazza tanti connazionali e sta lavorando incessantemente la diplomazia (in primis quella vaticana). Una guerra alle nostre porte che «ci riprecipita come europei agli anni 1910/20». Gli ingredienti paiono gli stessi: la crisi economica, una pandemia, un conflitto sul territorio europeo già in corso. Condizioni che devono allarmare, far aprire gli occhi su un’economia che fa crescere gli investimenti più nelle spese militari che nell’istruzione, un’economia che dimentica il concetto cristiano di «giustizia sociale», che non si commuove nemmeno davanti a 169 conflitti e non versa lacrime, come invece il Papa davanti alla Vergine.

Ma una parola e una testimonianza di speranza si può e si deve dire con «veglie, manifestazioni, preghiere, digiuni e cortei», ribadisce Tarquinio. I cittadini responsabili chiedono la pace. E, «nonostante tante parole armate che circolano», molti si informano e danno testimonianza di pace, creando una rete di solidarietà e fratellanza tra i popoli.

 

Il video integrale dell’incontro

 

 

“Sorella Pace. Sovvertiamo la guerra: Adesso!”: il 9 dicembre a Cremona incontro con il direttore di Avvenire e adorazione per la pace in Cattedrale