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Il presidente di Caritas Italiana al clero cremonese: «Come si fa a iniziare alla fede senza la carità?»

La carità vissuta e testimoniata da comunità sempre più accoglienti, al passo con i tempi, fedeli al mandato del Vangelo. Nella mattinata di giovedì 6 ottobre, in un’ideale prosecuzione dell’assemblea diocesana degli operatori della carità e del servizio della sera precedente, il presidente di Caritas Italiana, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, ha intrattenuto il clero diocesano, riunito in plenaria in Seminario, sul tema «Camminare insieme sulla via degli ultimi: il ruolo del prete nella comunità».

Il presidente di Caritas Italiana è stato accolto dal vescovo Antonio Napolioni, che ha introdotto l’incontro focalizzando l’attenzione sull’obiettivo, sul messaggio e sul metodo della nostra vita: «essere uniti nella carità». Perché tutto chiama a essere uniti e in questo «in prima linea»: il cammino che anche la Chiesa cremonese, in comunione con la Chiesa italiana, sta compiendo e che il vescovo ha richiamato con precisione lo evidenzia con chiarezza.

Ha quindi preso la parola monsignor Redaelli, articolando la propria coinvolgente riflessione a partire dalla necessità della riscoperta del ruolo generativo della comunità in ordine alla carità, non facendo mancare l’irrinunciabile riferimento alla Parola di Dio, che deve illuminare e sostenere sempre più il discernimento e la corretta lettura della realtà. Una Parola che diventi proposta anche catechistica ed esperienziale di carità. «Come si fa – ha suggerito – a iniziare alla fede senza la carità?».

Nelle parole del vescovo Redaelli sono risuonate le vie indicate da Papa Francesco alla Caritas Italiana: la via degli ultimi e la necessità di ripartire da loro, la via del Vangelo con l’impegno di assumere uno stile evangelico nel nostro operare e la via della creatività per sprigionare quella fantasia della carità che ci libera dalla tentazione di rimanere legati solo al passato.

Non sono poi mancate le raccomandazioni a una accorta e sensibile attenzione agli “ultimi” di oggi, alla necessità di recuperare le comunità all’accoglienza, al cammino sinodale, che postula una comunità dinamica e non statica, ai ministeri, alla preghiera per i poveri.

Dopo i lavori di gruppo, il vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, don Gianpaolo Maccagni, ha sottolineato la necessità di «rifare con la carità il tessuto cristiano delle comunità ecclesiali». Quindi don Pierluigi Codazzi, direttore della Caritas diocesana, ne ha richiamato storia, identità, azione e prospettive in occasione del 50° anniversario di fondazione.

 

Assemblea diocesana, l’arcivescovo Redaelli: «La carità è espressione della comunità cristiana»

Caritas Cremonese, da 50 anni dalla parte degli ultimi




Comunicare cultura evangelica: mons. Follo e don Bellini in dialogo con il Vescovo

“Come noi preti comunichiamo cultura evangelica?”.  Su questa “provocazione” del vescovo Antonio Napolioni è stata incentrata l’assemblea plenaria del clero cremonese, che si è svolta in Seminario la mattina di giovedì 5 maggio.

Dopo la preghiera iniziale, in occasione della quale mons. Napolioni ha richiamato tra l’altro la bellezza e la necessità di testimoniare il Risorto oggi a una umanità bisognosa di senso e di annuncio, ha preso la parola don Marco D’Agostino, rettore del seminario, che ha illustrato le modalità, i significati e i principi ispiratori che hanno reso possibile il rinnovo del grande salone del Seminario stesso.

Si è quindi entrati nel cuore del tema proposto. Mons. Franco Follo (da poco rientrato in diocesi dopo il servizio alla Segreteria di Stato prima e come osservatore permanente all’Unesco di Parigi poi) e don Ezio Bellini (missionario otto anni a Mogi das Cruzes, in Brasile, laureato in Teologia e licenziato in Filosofia) hanno offerto ricche e profonde riflessioni, animate dal Vescovo, che le ha di volta in volta introdotte e sollecitate, richiamando anche il filo conduttore dell’incontro.

L’incontro ha concluso la serie di appuntamenti offerti al clero, che hanno visto la presenza di mons. Paolo Martinelli, recentemente scelto dal Papa come vicario apostolico eletto dell’Arabia meridionale, e una serie di testimonianze di preti diocesani sul tema “preti che si prendono cura”.

Gli interventi di mons. Follo e di don Bellini – alti e spazianti in orizzonti assai ampi – hanno toccato varie tematiche, tra le quali il “pensare credendo e il credere pensando”; la moltiplicazione frammentata della cultura e delle culture; la multiculturalità come dato e l’interculturalità come compito, affinché le varie culture, in un proficuo  dialogo, “suonino insieme” e “ le culture siano fecondate nel nostro tempo”; la doverosa e rispettosa attenzione alla giusta percezione dell’altro; il dato di fatto di una cultura contemporanea caratterizzata dalla “bulimia dei mezzi e dalla anoressia dei fini”;  l’inquietudine dell’uomo d’oggi, comunque costante nella spiritualità di ogni tempo; la necessità di una proposta culturale, fondata sul Vangelo, che arrivi non al “concetto”, ma alla elaborazione di “giusti giudizi”.

Queste tematiche, in particolare, sono state poi oggetto delle riflessioni che i presbiteri, suddivisi in piccoli gruppi, hanno fraternamente condiviso.

La mattinata si è quindi conclusa nella cappella del seminario con la preghiera, segnata anche dalle libere invocazioni dei presenti, e dal pranzo comunitario.




Preti che si prendono cura… al centro della riunione plenaria in Seminario

Innovativa, coinvolgente e apprezzata la modalità con cui i presbiteri della diocesi di Cremona si sono ritrovati in “plenaria” la mattina di giovedì 3 febbraio in Seminario a Cremona. “Preti che si prendono cura…” il tema dell’incontro. E il vescovo Antonio Napolioni, introducendolo, ha richiamato la profondità, la bellezza, la necessità, la dimensione fortemente ecclesiale e di testimonianza credibile e feconda del “prendersi cura”, come soggetti e come oggetti di essa.

Con lui, tre sacerdoti del presbiterio cremonese hanno offerto ai confratelli, con straordinaria freschezza, con assoluta credibilità, con grande propositività la loro diversificata – eppure accomunata dalla passione per l’annuncio – esperienza di vita, nei tratti più specifici e genuini in cui si è dipanata.

Ha dunque preso la parola per primo don Franz Tabaglio, che, con un racconto toccante e drammatico, ha ripercorso il “Calvario” da lui vissuto in quanto vittima del contagio da Covid-19. Una esperienza tremenda, la sua, iniziata il 3 marzo 2020 e non ancora conclusa, in cui ha sperimentato la solitudine fisica, l’isolamento, la percezione della propria fragilità, la consapevolezza dell’eventualità tutt’altro che remota della fine della propria vita fisica, nella quale sempre il Signore è stato la vera forza. I ripetuti ricoveri in terapia intensiva, l’intervento chirurgico ai polmoni, le ricadute, il potere alzarsi dal letto solo dopo cinque mesi… hanno fatto sì che il “Venerdì Santo” fosse una esperienza compresa e condivisa; che chi ha aiutato a portare la croce – appunto “prendendosi cura” – fosse davvero segno evidente della misericordia di Dio; e che l’attuale ministero di confessore in Cattedrale sia ora segnato da una grande empatia con chi soffre.

Don Fabrizio Martelli ha a sua volta ripercorso il suo cammino sacerdotale, che lo ha visto per diversi anni come “fidei donum” nella diocesi di Modena. «Sono stato oggetto della cura della diocesi, dei confratelli, delle comunità», fin dall’inizio, trentacinque anni fa, quando gli erano state affidate quattro parrocchie (il parroco che lo ha sostituito ne ha ora ben undici), fino all’ultima, di 12.000 anime. Quindi la fatica, la malattia, il rientro a Cremona e la ripresa, nella “Casa del Clero” che ha sede nei locali recentemente e appositamente ristrutturati in Seminario, dove la cura degli altri presbiteri presenti – e dei presbiteri fra loro – è tangibile, continua, preziosissima.

Nel terzo intervento don Giuseppe Bernardi Pirini ha pure messo l’accento sulla dimensione della “cura”, da lui sperimentata con serenità e con forza nelle varie fasi – e anche ora – del suo ministero. «Ho sempre cercato e vissuto la vicinanza con la gente», ha sottolineato, in ognuna delle esperienze che gli è stato dato da fare. E, fra queste, non ultime quelle della malattia, con il ricovero in un ospedale lontano prima e con l’accoglienza presso le Suore Carmelitane di Sanremo poi, e con la cappellania a San Michele di Serino, in Irpinia, immediatamente dopo e negli anni a seguire il terribile terremoto che ha devastato quelle terre. «Bellissimo sempre – ha richiamato e sottolineato – il contatto stretto e il rapporto con la gente che mi è stata affidata e a cui sono stato affidato»: una dimensione di “cura” reciproca costante e ininterrotta.

La mattinata è proseguita con la suddivisione dei presenti in gruppi: in tutti franco, fraterno e ricco è stato lo scambio di impressioni, suggestioni, proposte.

La conclusione nella cappella superiore del Seminario per la preghiera, in occasione della quale il vescovo Napolioni ha raccomandato di avere sempre più cura della fraternità tra presbiteri, prima vera ed efficace testimonianza.




Anche gli Uffici di Curia in cammino sinodale

Nel segno della corresponsabilità, dell’ascolto, della propositività i responsabili degli uffici pastorali della Curia diocesana e i coordinatori d’Area della Diocesi si sono ritrovati nel pomeriggio di lunedì 17 gennaio presso il Centro pastorale diocesano per un momento di confronto con il vescovo Antonio Napolioni, alla presenza anche anche del vicario episcopale per la Pastorale, don Gianpaolo Maccagni.

Scopo dell’incontro, il primo dell’anno, come ha precisato don Maccagni in apertura, è stato quello di fare emergere nodi, prospettive, modalità efficaci e nuove per camminare insieme: spazio dunque al dialogo, in un clima di fraterna schiettezza.

Dopo avere ringraziato il Signore, esprimendo e condividendo «gratitudine e stupore per l‘iniziativa gratuita con cui il Signore guida la sua Chiesa», il Vescovo ha invitato a individuare con attenzione e in profondità con quali criteri i vari Uffici di Curia leggono e vivono la sinodalità, interrogandosi anche sull’orizzonte teologico, spirituale e culturale da cui essi sono guidati. E, inoltre, «quali i “perché”, le risorse nascoste, i doni non ancora espressi, non ancora, condivisi, non ancora realizzati». Ecco che l’incontro si è posto come un vero e proprio “laboratorio di discernimento”.

Ci si è quindi aperti all’ascolto dell’esperienza di tutti, incentrato sulla domanda fondamentale proposta dal Sinodo universale: «Come si realizza  oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale, quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?».

Numerosi, ricchi di analisi e suggestioni, segnati dal desiderio di un fedele e fecondo servizio alla Chiesa, i vari interventi hanno preso spunto dallo specifico sentire di ognuno, fondato su quanto vissuto “sul campo” e sempre in un’ottica di confronto costruttivo e rispettoso. In particolare, ci si è soffermati sulla necessità di “incontrarsi” per la condivisione di punti di vista e prospettive, sulla ricerca dei linguaggi e delle modalità più consone all’annuncio e alla testimonianza che la Chiesa è chiamata a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo, sull’ascolto che non può che interessare tutte le dimensioni e le prospettive del mondo contemporaneo, evitando anacronistiche, sterili e controproducenti nostalgie, sul passaggio dall’ascolto a una relazione che faccia scoprire il volto vero e bello di una Chiesa vicina.

È decisivo, in tutto questo, come ha richiamato il vescovo Napolioni, riconoscere la verità delle persone, con la visione di Chiesa che ciascuna di esse incarna, con la propria ricchezza di storia, di esperienze, di attese. In questo «il pastore non è il leader carismatico, ma colui che, in spirito sinodale, fa emergere le diversità e le ricchezze che anche tali diversità racchiudono, e le guida e le accompagna, in quella complessità dinamica che è presente in ogni organismo vivente».

Necessario e certamente fecondo, allora, sarà un accostamento e un approfondimento di quella profonda e ricca miniera che è rappresentata dal magistero di Papa Francesco: un accostamento e un approfondimento che siano scevri delle troppe semplificazioni che troppo spesso gli sono riservate: un magistero che, invece, non può che costituire un orizzonte sicuro a cui guardare, in quel cammino che la Chiesa tutta è chiamata a sperimentare con fiducia e con coraggio. Perché essa sia, sempre, luce delle genti.

L’incontro si è concluso con l’impegno di una prossima occasione più distesa nel tempo nei prossimi mesi,  per continuare la condivisione in vista anche di uno stile nuovo che dovrà vederci tutti più desiderosi di accompagnare insieme il cammino diocesano.




La paternità al centro dell’intervento di don Guglielmo Cazzulani al clero diocesano

La paternità, nel suo significato più profondo e nelle sue implicazioni anche più problematiche, impegnative e comunque feconde. Questo il filo conduttore della riflessione – articolata, coinvolgente, documentata, provocante – che don Guglielmo Cazzulani, della diocesi di Lodi, parroco, direttore dell’Ufficio catechistico e docente di Spiritualità, ha offerto al clero cremonese, riunito in plenaria con il vescovo Antonio Napolioni in Seminario la mattina di giovedì 2 dicembre.

L’incontro è stato introdotto dalla recita delle Lodi, in cui il Vescovo, commentando il brando di Michea, ha richiamato tra l’altro come i verbi espressi al tempo futuro «aprano a un orizzonte sicuro e segnalino il dinamismo della storia», cosicché «Egli è davvero, oggi e sempre, la nostra pace», e ha invitato a mettersi in «stato di Avvento», in cui le attuali difficoltà «non impediscano la gioia di essere salvati, ma acuiscano il desiderio di essere salvati secondo lo Spirito».

Ha quindi preso la parola don Cazzulani che, incentrando l’attenzione sulla “generatività”, ha evidenziato innanzitutto come oggi la paternità e la maternità siano tutt’altro che valori scontati e diffusi: sembra che sempre meno si desideri essere padri o madri, come è documentato anche dal calo demografico in Italia.

Certo, un figlio è sempre un’incognita, per cui si potrebbe pensare che sia meglio non metterlo al mondo, magari per non sentirsi addirittura rinfacciare la più dolorosa delle accuse, quella di averlo generato.

Don Guglielmo ha offerto esempi concreti, che di fatto sono sotto gli occhi di tutti, il cui comune denominatore è stata proprio la fatica a non pensare che alla propria immediata ed effimera felicità e all’indisponibilità a replicare a propria volta quei sacrifici che i genitori hanno fatto.

Dunque, la paternità è una vocazione continua al dono, perché – di fatto – è una privazione continua per un altro, come risposta a una vocazione che richiede una infinita disponibilità.

Avere un figlio, dunque – ha sottolineato – significa accettare una lunga serie di disagi, anche perché egli si discosta inevitabilmente dall’immagine ideale che se ne può costruire.

Ecco allora la bellezza e la profondità teologica ed esistenziale della parabola del “figliol prodigo”, in cui il più prodigo e generoso è il Padre, che dimostra come essere tale significhi porsi come indifeso, esagerare nell’amore, non smettere mai di volere bene, anche nei confronti di ciò che non è amabile.

Anche i preti possono vivere e vivono una dimensione autentica e  profonda di paternità – ha invitato a riflettere -, nell’amore verso tutto  e verso tutti, anche e proprio nei confronti di chi nessuno ama, in un equilibrato esercizio di amore e di fermezza, magari anche attraverso una relazione comunque ruvida, ma intrisa di desiderio del bene dell’altro.

E anche ognuno di noi non può non scoprirsi amato, nel proprio essere poveramente carnali e miserevoli: come Dio potrebbe amarci, se non nelle condizioni concretamente imperfette della nostra vita?.

Don Cazzulani ha dunque rimarcato come la paternità assuma caratteristiche peculiari, come la generosità, l’altruismo, la morte personale, il servizio…, ma può rivelare anche un suo sottofondo tragico, quando essa entra in conflitto con le radici più profonde e autentiche di chi ha generato, soprattutto nel tempo del distacco, della “desatellizzazione”, della evidenza che il figlio non è proprietà di nessuno.

Ma – ha richiamato con forza – per essere padri bisogna avere desiderio di futuro; e tenere conto che le parole “felicità” e “fecondità” hanno la stessa radice. Perché una persona è felice quando è generativa.

L’incontro è quindi proseguito con l’assemblea dei membri della Società di Mutuo Soccorso e Previdenza fra i Sacerdoti della Diocesi di Cremona che ha provveduto tra l’altro ad approvare il nuovo statuto.




Sinodo, a Sospiro l’incontro della Zona pastorale 4

«Una esperienza di Chiesa, intensa e profonda: abbiamo davvero iniziato un cammino, ringrazio il Signore per questa opportunità e provo una sincera gratitudine per tutti quanti hanno collaborato. Mi sto accorgendo di quanti “doni” abbiamo nelle nostre comunità… Il mio cuore è nella gioia, per tutto»: così si è espressa, al termine degli incontri, una partecipante all’assemblea sinodale della Zona pastorale IV che si è tenuta a Sospiro la sera di venerdì 26 e la mattina di sabato 27 novembre.

Il primo momento ha avuto luogo nel locale Teatro, messo a disposizione della Amministrazione comunale, alla presenza di una numerosa e motivata rappresentanza dei Consigli pastorali parrocchiali o delle unità pastorali della zona che si è raccolta intorno al Vescovo per iniziare in spirito di comunione e di partecipata ecclesialità il cammino sinodale indetto da Papa Francesco.

L’incontro è stato introdotto dalla preghiera e da un intenso raccoglimento, sostenuti dall’ascolto di parti della cantata sacra sull’Amoris Laetitia, musicata dal conterraneo maestro Federico Mantovani su testi di Davide Rondoni e solennemente eseguita in Cattedrale prima dell’avvento della pandemia dal Coro polifonico cremonese: una rinnovata emozione e ancora e sempre un vero godimento estetico e spirituale.

Quindi mons. Napolioni ha ripercorso le motivazione e le ragioni più vere e più profonde del cammino che tutta la Chiesa è invitata a percorrere in chiave sinodale, nella crescita della capacità di ascolto e di accompagnamento delle persone e delle comunità che Dio mette sul percorso di vita di ciascuno e delle comunità: un “esodo”, una uscita da non temere, rifuggendo dalla tentazione della chiusura, della esclusione e della esclusività. Insieme, «camminiamo perché siamo un popolo di popoli, viviamo l’unità e la pluralità della Chiesa, vivificata dalla immancabile presenza del Signore, che parla ad ogni uomo e a ogni tempo».  Allora, ha sollecitato a riflettere il Vescovo, «come stiamo camminando insieme e come possiamo camminare meglio insieme, riscoprendo le tre vie del rinnovamento della coscienza, dell’assunzione di responsabilità, della dimensione apostolica e missionaria del dialogo».

I temi fondativi del Sinodo («non per redigere documenti finali, ma per innestare processi») sono stati ripresi e ulteriormente approfonditi dal Vescovo nell’incontro di sabato mattina nell’oratorio di Sospiro, a partire soprattutto dalla Parola di Dio e su essa fondati, dando poi largo spazio alla condivisione a gruppi – libera, ricca, fertile – , in cui evidente e motivata è stata l’adesione a quanto la Chiesa sta invitando a vivere, nel desiderio genuino di contribuirvi al meglio, senza paura, perché sostenuta dall’opera incessante dello Spirito Santo.

Proficui, anche per una fraternità fra i partecipanti, sono risultati pure la cena serale, e il break mattutino, sempre vissuti nel rigoroso rispetto delle vigenti norme anticovid.

Un primo incontro, questo, a livello zonale, che ovviamente ora continua nella riproposizione nei Consigli pastorali, nonché per tutto ciò che nei prossimi anni si sarà chiamati a recepire, ascoltare, testimoniare.

Venerdì 3 e sabato 4 dicembre l’ultimo appuntamento zonale coinvolgerà a Rivarolo Mantovano le comunità del Casalasco-Mantovano. Solo la prima parte di un cammino che, all’inizio del nuovo anno, vedrà le comunità ritrovarsi ancora a ragionare e riflettere insieme




Unità pastorali, al corso di formazione il contributo di tre laici

Prosegue, nella diocesi di Cremona, il cammino di formazione per i sacerdoti incaricati dal vescovo di guidare unità e collaborazioni pastorali. Il quarto incontro ha avuto luogo online la mattina di giovedì 22 aprile ed è stato incentrato sulle riflessioni – ricche, stimolanti, propositive – di tre laici: Emanuele Bellani, presidente diocesano di Azione cattolica; Chiara Ghezzi, vicepresidente del settore adulti di Azione Cattolica; e Silvia Corbari, educatrice professionale.

Dopo la recita dell’Ora Media, don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per la Pastorale e il Clero, ha richiamato il percorso fin qui effettuato attraverso i contributi del Vescovo, di don Giuliano Zanchi e di don Gabriele Frassi, che hanno permesso di riflettere sul volto nuovo di Chiesa richiesto dal “cambiamento di epoca”, che necessita di nuovi protagonisti. Per questo, insieme al ruolo insostituibile dei presbiteri, diventa decisiva la promozione di un laicato maturo e responsabile.

I tre relatori si sono soffermati sul ruolo attivo dei laici, sugli organismi di partecipazione, sulle ministerialità nelle comunità, sul sacramento del matrimonio a servizio di una comunità che sia famiglia di famiglie.

 

«È una grande stagione di Chiesa, questa», ha esordito Chiara Ghezzi, prendendo le mosse da 1 Cor 1, 24, stagione foriera per i presbiteri di una motivata e fondata gioia. Ora, infatti, in questo mondo «vecchio e disperato», in cui vanno scomparendo i cristiani «ambientali», abituali, ma emergono i cristiani «per scelta», è possibile portare novità e speranza. In un contesto in cui sono venute a cadere le grandi narrazione ideologiche, possiamo parlare agli uomini e alle donne nella concretezza della loro più vera esistenza. Là dove i vecchi riti non dicono più nulla, possiamo offrire parole adeguate e vere. Per questo è importante che i preti siano autentici e credibili testimoni della gioia; testimoni della fraternità sacerdotale, «la fondamentale e più bella testimonianza che si possa dare alla comunità»; che aiutino a sperimentare un «popolo di sacerdoti”; che siano «presbiteri», grazie a una «anzianità» da chiarire e valorizzare (anagrafica? di fede? di cultura? di tesori…?). E poi, che i presbiteri siano anche «presbiti», cioè che vedano anche da lontano, attraverso anche le «distanze» – che diventano kairos – «della gratuità», della «paternità», della «panoramica» (esplicitata attraverso la condivisione e la corresponsabilità”), della «agibilità», dello «specchio» (una comunità in cui il prete veda a distanza può ricevere i necessari feedback); del «pontefice», per costruire ponti non sull’orlo del precipizio, ma fondando i piloni lontano da esso.

 

Ha preso quindi la parola Silvia Corbari, sollecitando: i laici dove vivono? Quale è il loro impegno principale? Crediamo ancora che sia possibile incontrare Dio nel mondo, nelle persone, nelle relazioni e, anche per i laici, «orientare» le cose del mondo a Dio, trovare nel lavoro, nella famiglia, nelle responsabilità, nel volontariato, nell’impegno per l’ambiente… un modo non solo per testimoniare, ma anche per incontrare il Signore? Quattro testimonianze, reali, di giovani (Marco, Anna, Cristina e Francesca) hanno poi fatto da sfondo e sostenuto la riflessione: a partire dall’esperienza della Pasqua, sono necessari la redenzione, il riscatto, la forza di andare avanti, non lasciandosi andare alla rassegnazione, ma gestendo – anche e in particolare nel contesto lavorativo – le complessità, che sono esperienze di tutti; il compito del laico è quello di stare nel mondo, con gioia, con lo sguardo evangelico del costruire, creando collegamenti e condivisioni, non “aut-aut” («il cristiano è colui che più spesso usa la congiunzione “e” anziché la congiunzione “o”»), portando l’annuncio di un Vangelo di amore, di accoglienza e non di esclusione; bisogna portare il mondo nella Chiesa, discostandosi dall’idea di Chiesa che siamo abituati a vivere. «Perché, anche se non vogliamo e proviamo a continuare sulla vecchia strada, essa, come “umanità” sta cambiando». Dunque, se sappiamo avere orecchi e sguardi aperti possiamo fare cammini proficui e offrire le più consone proposte per vivere e testimoniare la vita, affinché i laici ne siano sempre più soggetti.

 

Emanuele Bellani, soffermandosi sulle prassi e sui luoghi di partecipazione e corresponsabilità («non ideologiche o di moda, ma che coinvolgano davvero tutti i livelli della Chiesa»), ha sollecitato la riflessione in merito alla «parrocchia fraterna», in cui sia data centralità all’incontro, alla relazione all’ascolto; sia curato il desiderio e il bisogno di una presenza fisica fraterna e prossima, nonché la consegna della Parola e la celebrazione eucaristica; sia promosso il discernimento comunitario; sia chiarito e valorizzato il ruolo del Consiglio Pastorale Parrocchiale e degli organi decisionali; sia promossa la formazione dei laici e considerata l’importanza della vita familiare. E poi la «parrocchia ospitale», che non si configuri come fraternità esclusiva, nella quale «si faccia spazio e posto», siano moltiplicate le forme di aggregazione, le collaborazioni fra parrocchie, sia riscoperto il ruolo dei santuari, si abbia uno sguardo accogliente sui volti e sulle storie di vita; e la «parrocchia prossima», che inventi forme di incontro e di relazione e «sappia andare a cercare…», che eserciti una precisa attenzione al territorio e che sia partecipe della costruzione del bene comune. Tutto questo esige che venga coltivato un adeguato stile relazionale e che vengano ridisegnati i vari compiti ministeriali, con l’obiettivo, appunto, di vivere la corresponsabilità nella Chiesa e per la Chiesa.

 

Dopo gli interventi dei partecipanti, che hanno messo in luce potenzialità, esperienze, criticità, il Vescovo ha richiamato il dovere di essere corresponsabili dell’incarnazione della gioia del Vangelo, per tutti: «Dobbiamo testimoniare un cristianesimo pasquale, accessibile a ogni uomo e ogni donna, allenandoci alla fiducia, in Dio e reciproca. È necessario quindi che ci riabilitiamo all’uso dello spazio, per relazioni che siano feconde; ma la fecondità si esplicita anche nel tempo. Sempre nella fiducia. E in cui il soggetto sia la comunità generante».

Ci si è quindi dati appuntamento per il prossimo e ultimo incontro dell’anno, previsto per giovedì 20 maggio ci si augura in presenza. Il tema sarà altrettanto urgente e stimolante: la gestione amministrativa delle comunità, l’utilizzo dei beni e l’utilizzo delle tante strutture, ereditate dal passato da mettere al servizio di una pastorale che esige un profondo rinnovamento.

 

Le unità pastorale e le relazioni: l’intervento di don Frassi (AUDIO)




Le unità pastorale e le relazioni: l’intervento di don Frassi (AUDIO)

Ricca di contenuti, approfondimenti, costruttive provocazioni è stata la riflessione che don Gabriele Frassi, delegato vescovile per la Pastorale e rettore del Seminario della diocesi di Crema, ha offerto ai moderatori delle unità pastorali della diocesi di Cremona, incontratisi in videoconferenza, per il terzo momento del loro ciclo di formazione, giovedì 25 marzo.

Dopo la preghiera dell’Ora media e la presentazione introduttiva di don Gianpaolo Maccagni, vicario per la Pastorale e il Clero della diocesi di Cremona, don Frassi ha esordito motivando il suo intervento, nella volontà di offrire, con una proposta personale ed elaborata, provocazioni e interrogativi che attengono al servizio di guida del parroco-moderatore: dunque, non messaggi svalutativi, ma del tutto propositivi, in un clima fraterno di crescita, di apertura alle potenzialità e alle prospettive.

È chiaro – ha spiegato – che nell’ambito motivazionale in cui si trova inserito il moderatore di Unità pastorale sono già presenti benefici e soggetti, di varia natura, che possono rappresentare un vantaggio: certo, ci sono anche “incidenti di percorso”, che sono comunque parte costitutiva della dialettica umana.

Strutturalmente il prete è chiamato a vivere la relazione: è un dato non solo antropologico, ma costitutivo del suo “essere pastore”. E ciò che determina la qualità della relazione è innanzitutto come il pastore si relaziona con sé stesso, con il nucleo del proprio sé, che porta tutti i segni della propria storia evolutiva, nel positivo e nel negativo, e sta alla base di tutte le relazioni.

Questa relazione strutturata oggi è più faticosa – ha precisato don Gabriele – a causa della percezione della provvisorietà del presente, e per altre difficoltà, a diversi livelli: il concetto del ruolo (in relazione alla propria soggettività); le esigenze del ruolo (le attese da parte dell’istituzione) le attese del ruolo (ciò che la comunità si aspetta dal prete): ebbene, la grande sfida consiste nel “rimanere” nella situazione, con la totalità della propria persona  e delle persone, senza mettere in atto strategie di fuga.

Ecco allora, in positivo, quali possono essere atteggiamenti e stili positivi e generativi: rimanere nelle difficoltà con serenità, senza rifarsi con altre situazioni “tossiche”; rimanere senza aggirare gli ostacoli; rimanere dando un “senso buono” a ciò che accade, non assumendo in sé tutto tutta la sensazione del fallimento; rimanere ammettendo, senza difficoltà e senza toni vittimistici o depressivi, i propri errori.

Don Frassi è quindi passato a considerare quello che ha definito il “servizio della leadership”, perché è peculiarità del pastore essere all’interno della comunità non come colui che è solamente leader, ma come colui che esercita, appunto, il “servizio della leadership”. Importante allora, ricercare, riscoprire, valorizzare la capacità di guidare un gruppo di persone sempre nell’ottica del servizio, attraverso la condivisione di obiettivi, strategie, percorsi. Importante, ancora, in questo è la tipologia stessa della persona, la cui efficacia può essere influenzata dal clima culturale e dalla specificità della comunità.

Il leader nella Chiesa inoltre – ha precisato – è colui che fonda e media il mistero, rendendolo immanente nella comunità storicamente determinata. Ciò non deriva da una delega della comunità, ma da un dono dello Spirito. Dunque, per questo, il parroco-moderatore non deve avere come preminente la funzione organizzativa, ma la guida e la conduzione alla fedeltà al Vangelo.

I partecipanti sono poi stati chiamati a considerare la necessità di vivere l’armonia fra tre importantissimi poli costitutivi della propria esperienza personale e presbiterale (la propria libertà, l’istituzione, la comunità), assumendo la funzione  unitiva (coordinando e facendo circolare i doni dello Spirito alla comunità: il pastore è il “direttore d’orchestra” dei diversi carismi, che riconosce e promuove), la funzione di conduzione e di guida, la funzione di verifica correttiva (anche nei confronti del confratelli), in un agire pastorale che non sia più “concentrico”, ma tenga presente e valorizzi la complessità dei ruoli, che comportano richieste poliedriche e risposte diversificate.

Ecco allora e ancora quanto sia importante la struttura della personalità del moderatore, chiamato a definire il ruolo funzionale della percezione di sé; il ruolo usato per definire se stesso (non determinato o sorretto dai “simboli”); la libertà del ruolo (riesce a muoversi senza che il ruolo lo determini, diventando questo una prospettiva di valore).

L’accento è stato quindi spostato sulla analisi delle fragilità che possono accompagnare o influire la vita del presbitero moderatore, quali la stima di sé (come risposta al bisogno di considerazione, stima apprezzamento); il rifiuto totale dell’altro (“io basto a me stesso”; “non ho bisogno del rimando dell’altro”; “non mi metto in discussione, ma percepisco solo l’affronto…”); la dipendenza affettiva (non intesa come relazione sentimentale, ma come necessità di essere amati: per noi preti il passaggio dall’essere prima figli e poi padri, nell’ottica spirituale tipica del ministero).

Da qui, alcune risorse: un sano realismo, che permetta il doveroso “stare con i piedi per terra”, senza incappare in uno sterile cinismo che renda immobili nella azione pastorale; una azione inclusiva e non escludente, sapendo diventare sintesi attiva, per sapere cogliere dalle criticità ciò che è costruttivo; la capacità di trasformazione, antitesi della rassegnazione  a proprio vantaggio, nella cura di trasformare le realtà presenti per trasfigurarle in chiave positiva e feconda.

La relazione di don Gabriele Frassi

A conclusione dell’incontro, i partecipanti si sono confrontati con alcune sollecitazioni, elaborate da don Gabriele Frassi come stimolo alla riflessione e alla ricerca, che hanno permesso un confronto aperto e costruttivo, al termine del quale ci si è dati appuntamento per il quarto incontro formativo, previsto per il prossimo 22 aprile.




Il Consiglio pastorale diocesano verso nuovo Statuto e Regolamento

Il Consiglio pastorale diocesano “è l’organismo consultivo che contribuisce, sotto l’autorità del vescovo, a realizzare la comunione ecclesiale come partecipazione attiva e corresponsabile di tutte le componenti del Popolo di Dio che è in Cremona. In particolare, ha il compito di esaminare le sfide emergenti della realtà sociale ed ecclesiale, contribuire alla progettazione della pastorale diocesana, favorendo il coinvolgimento del territorio e di tutte le aggregazioni laicali in esso attive”. Così recita lo statuto dell’organismo di partecipazione diocesano, i cui membri si sono incontrati online il pomeriggio di domenica 14 febbraio, al termine del proprio mandato quinquennale e in vista del rinnovo, previsto per i prossimi mesi.

Dopo la preghiera introduttiva, il Vescovo, richiamandosi all’apostolo Paolo, ha sottolineato come le sue parole e la sua testimonianza costituiscano il “la” perfetto dell’incontro, collocato nel “qui e ora” e in particolare nel contesto di una Quaresima che può e deve essere migliore: non prevalga, dunque, il rammarico di non poter vivere l’esperienza di grandi incontri, grandi raduni, grandi numeri…, bensì la constatazione della straordinaria verità che alberga nel cuore dei piccoli, in cui sono presenti tanta attesa e tanta bellezza, magari ancora nascoste, eppure reali. E – ha raccomandato – “rendiamo il Vangelo ‘nostro’, mettiamoci insieme per fare emergere quel Vangelo della comunità che rappresenta un grande passo in avanti. Perché il mondo chiede alle comunità quale sia il ‘loro’ Vangelo”. Da qui nasca e si sviluppi ulteriormente una autentica fecondità pastorale, sorretta dall’ascolto e alla luce della Parola.

Ha preso quindi la parola don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, che ha ribadito la preziosità del lavoro svolto in questi anni, in cui anche la fisionomia della diocesi è mutata, così come i criteri di rappresentatività delle attuali cinque zone pastorali, rispetto alle undici precedenti. Ripercorrendo accuratamente i grandi temi che il Vescovo ha annualmente proposto come punto di riferimento, oggetto di riflessione e confronto, rinnovato slancio missionario, don Maccagni ha invitato a trarre un bilancio di quanto sperimentato e condiviso, animati e condotti da una logica non “aziendale”, ma segnata da quello spirito ecclesiale che è proprio del Consiglio Pastorale Diocesano e che lo deve intimamente impregnare.

Ecco allora la necessità di un rilancio e di un ripensamento dell’organismo, che naturalmente tenta conto e si inserisca sul cammino fin qui percorso.

I partecipanti hanno offerto a loro volta una ricca e profonda riflessione sulla esperienza vissuta, individuandone – con apprezzata libertà – valori, limiti, potenzialità e suggerendo quanto potrà costituire l’occasione di una ulteriore e maggiore incisività del Consiglio nella vita della Chiesa cremonese. Partendo da una bozza del nuovo Statuto e Regolamento, si sono raccolti preziosi suggerimenti e proposte per rendere questo organismo di partecipazione ecclesiale sempre più adeguato alla realtà diocesana.

Mons. Napolioni, ringraziando di cuore per il lavoro svolto e accogliendo le suggestioni, le valutazioni, le proposte dei presenti, “con umiltà, ma sempre senza la tentazione di accontentarsi”, ha quindi suggerito sei parole, contrassegnate dal “più”, su cui programmare e fondare l’identità e l’azione del costituendo Consiglio pastorale diocesano: più “metodo” (senza cadere nella tentazione di una sorta di efficientismo burocratico); più “Spirito” mettendoci sinceramente in ascolto di quella Parola che sola può illuminare il cammino da percorrere oggi ; più “rete”, cioè più interconnessioni con le varie realtà della vita diocesana; più “diversità”, anche con una particolare attenzione e un adeguato coinvolgimento delle varie aggregazioni laicali; più “realtà”, in cui sia potenziata l’attenzione alle sfide che la vita offre, per offrire valutazioni, orientamenti, prese di posizione condivisi; più “tempo”.

Lo Spirito aiuterà a illuminare disponibilità, indirizzi, scelte, perché il contributo del Consiglio pastorale diocesano continui ad essere e sia sempre più adeguato e fecondo. Il prossimo appuntamento, ci auguriamo in presenza, vedrà l’attuale consiglio riunito con i responsabili dei diversi uffici pastorali, il 14 e 15 maggio per una verifica dell’anno pastorale trascorso e per offrire al nuovo Consiglio indicazioni per il percorso diocesano futuro.




La Verità è sinfonica: l’intervento di mons. Delpini all’incontro del clero (video-intervista e audio)

“La verità è sinfonica”: alla suggestione del titolo dell’incontro di Mons. Mario Delpini, Arcivescovo Metropolita di Milano con i sacerdoti cremonesi, giovedì scorso, ha fatto riscontro una riflessione articolata, profonda, offerta con riconosciute freschezza e fruibilità comunicativa. Nel salone del Seminario diocesano Mons. Delpini è stato accolto dal Vescovo di Cremona Mons. Antonio Napolioni, che ha introdotto la mattinata sottolineando l’importanza e il valore del ritrovarsi regolarmente, come presbiterio diocesano, in una assemblea formativa e segnata dal confronto fraterno, nel ritmo di una vita ecclesiale armonica, frutto dell’apporto di ognuno, che dia ossigeno, vita alle comunità, nel segno della condivisione e della corresponsabilità.

Dopo la recita dell’Ora Media, l’Arcivescovo ha introdotto la sua relazione facendo riferimento alla Lettera agli Efesini, uno dei testi in cui la “verità sinfonica” è presente in modo più completo e significativo. Una verità, questa – ha precisato – che oggi può essere rappresentata dal “libro sigillato”, che nella cultura, nella sensibilità, nel sentire contemporanei si fa fatica ad aprire, tanto è vero che oggi per essa “non si piange più”. Ma perché – ha chiesto – oggi è evidente questa “assenza di lacrime”? Perché oggi ci sono evidenti ostacoli a proclamare la sinfonia della verità? E’ forse, essa, divisiva? O condizionante? Non più coinvolgente? Davvero non se ne ha più sete?

Ascolta l’intervento integrale

Ebbene, l’Agnello Immolato può aprire il “libro dei sigilli”: non una astrazione o un puro esercizio intellettuale, ma la conoscenza della verità in un rapporto personale con Gesù, amico incarnato e Signore adorato. Ed è proprio in questa apertura del “libro sigillato” come relazione personale con Cristo che si può e deve vivere l’origine e l’esperienza della propria vocazione e della propria fede.

Tuttavia – ha affermato Mons. Delpini – questa relazione personale con Gesù, vivo, risorto, glorificato e sempre insieme con noi, può ammalarsi: una “vita parallela”, cioè la separazione tra fede e vita, preghiera e azione, devozione e stato d’animo; il “ruolo che sequestra la persona”, perdendo di vista la verità degli atti che si compiono; la “tirannia del particolare”, avendo a cuore una iniziativa, un ambiente, una categoria di persone o un settore pastorale a cui tutto è asservito, relegando il resto a un ruolo secondario… mettono a rischio la “verità sinfonica del ministero”.

A tutto questo devono fare riscontro “terapie”: “la ricerca della verità sia un ascolto, più che un ragionamento, una vocazione, più che una scoperta, una attesa più che una pretesa”… “secondo la vocazione che avete ricevuto”. E “il convergere verso l’unico Signore rende possibile questa dinamica comunitaria, che consente all’opera di Dio di realizzare l’unità delle Spirito per mezzo del vincolo della pace”. In una corretta e proficua pratica sinodale.

 

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