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Chiesa di Casa, dalla parte del Pianeta

 

La Giornata mondiale della terra celebrata il 22 aprile ha rappresentato un’occasione unica per focalizzare l’attenzione sul nostro pianeta. Nata nel 1970, ha l’obiettivo dichiarato di invitare le persone a riflettere e mettere in campo azioni utili alla salvaguardia della terra. Una tematica cui è stata dedicata proprio la nuova puntata di questa settimana di Chiesa di Casa.

«Parlare di ecologia è fondamentale – ha spiegato Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale – perché significa inevitabilmente parlare di noi. Abbiamo anche un invito chiaro, in questo senso, dato da Papa Francesco con Laudato si’ e Fratelli tutti: si fa riferimento a un’ecologia integrale, che non è ambientalismo, ma cura della nostra casa comune e delle relazioni».

L’aspetto relazionale risulta centrale, come evidenziato anche dalle parole del sociologo Mauro Ferrari, autore del libro Noi siamo erbacce. Cos’è la botanica sociale. Secondo lo scrittore piadenese, infatti, «tutti noi ci nutriamo di interazioni e le nostre identità sono frutto proprio di queste dinamiche. Su scala globale, esse sono purtroppo molto spesso diseguali e hanno portato a situazioni davvero complesse per molte persone. Vivere di relazioni significa essere consapevoli di poter e dover attuare comportamenti utili a cambiare questa situazione».

A sottolineare il valore di una reale necessità di transizione è stato Andrea Corini, fondatore di Green Boost, startup attiva nel settore della vendita di crediti di carbonio. «Sentiamo usare spesso la parola green, molte volte a sproposito. Per un’azienda, dirigersi verso la sostenibilità significa ripensarsi e strutturare, insieme a chi ne è capace, un progetto volto a valorizzare quegli attori che sono capaci di investire nell’ambiente, tutelandolo, e nelle risorse che esso produce».




Una chiamata a seminare speranza

 

“Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”. Questo il titolo del messaggio di Papa Francesco per la 61ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che la Chiesa celebra domenica 21 aprile. “Creare casa” è poi lo slogan della giornata, con un chiaro riferimento al punto 217 della Christus Vivit. Un richiamo altrettanto evidente è alla quotidianità, dimensione ripresa più volte anche dal Pontefice nel suo augurio rivolto all’intera comunità cristiana.

L’attenzione alla vita di tutti giorni è stata messa in primo piano anche dagli ospiti della nuova puntata di Chiesa di casa, il talk settimanale di approfondimento della Diocesi.

«È nella vita e alla vita di tutti i giorni che il Signore chiama – ha raccontato il diacono don Valerio Lazzari, collaboratore dell’équipe diocesana di Pastorale vocazionale e che a giugno sarà ordinato sacerdote –. Se guardiamo ai primi discepoli è evidente: a semplici pescatori è chiesto di essere pescatori d’uomini». In questa dinamica, secondo Lazzari, «tutto fa parte del processo vocazionale. La nostra esperienza personale entra in gioco in modo deciso, perché i desideri e le aspirazioni si intrecciano con la nostra vocazione».

Il contatto con la realtà, dunque, risulta decisivo. Ed è questa la testimonianza del dottor Alberto Rigolli, medico cremonese con molte esperienze di missione all’stero con Medici per l’Africa Cuamm. «È bene tenere presente che parliamo di un cammino, quindi credo sia importante accorgersi che, nel proprio percorso di vita, ciò che si fa incontra, di giorno in giorno, desideri e aspirazioni. Il tutto senza porsi limiti eccessivamente rigidi e stretti, perché parliamo di qualcosa di dinamico».

Il cammino vocazionale, allora, è un percorso che prevede l’incontro con il mondo e, di conseguenza, con l’altro. «È innanzitutto nello sguardo del Signore – per suor Roberta Valeri, delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento – che si comprende la propria vocazione e si affrontano gli ostacoli. Le relazioni vere e autentiche con chi ci sta intorno, però, sono un’occasione di apertura e confronto utile a superare le prove e le fatiche che fanno naturalmente parte del cammino».

E su quest’idea di condivisione si è articolata e conclusa l’intera riflessione degli ospiti, che la più volte hanno ribadito la centralità della presenza di compagni di viaggio con cui camminare. Una dinamica cui ha fatto riferimento proprio Papa Francesco, che nel messaggio per la giornata ha voluto sottolineare questo aspetto. “La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti”.

L’invito del Santo Padre è chiaro e netto, e fornisce una buona interpretazione di cosa significhi “creare casa”.




Con l’Università Cattolica una risposta alla domanda di futuro dei giovani

 

“Domanda di futuro. I giovani tra disincanto e desiderio”. È questo il titolo scelto per la Giornata nazionale per l’Università Cattolica 2024 che si celebra domenica 14 aprile nella sua edizione numero 100. Un richiamo forte, eloquente, alla realtà, che, però, non perde di vista il futuro, l’orizzonte verso cui i più giovani si dirigono.

Intervenuto alla nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona, il professor Pierpaolo Triani – docente in Cattolica e membro dell’Osservatorio Giovani Istituto Toniolo – ha sottolineato come sia fondamentale «focalizzare l’attenzione sulle dinamiche giovanili di oggi per poterle comprendere: non possiamo pensare di lavorare con le nuove generazioni senza conoscerle davvero».

E alla luce di questo ha voluto più volte ribadire il ruolo dell’università e dei docenti, nel cammino formativo di ogni studente. «Il percorso universitario – secondo Triani – si caratterizza per un duplice movimento, di ampliamento e approfondimento. Da un lato vengono espansi gli orizzonti, dall’altro si scende nella specificità delle discipline. Nostro compito, come insegnanti, è quello di ricordare che l’università non è solo un fatto intellettuale, bensì un’esperienza di vita».

In questo senso il percorso formativo e di crescita ha una grande necessità a livello relazionale. Secondo il docente, infatti, «tutti noi portiamo fragilità emotive, che, talvolta, lo studio mette alla prova. Recuperare l’idea che, nelle relazioni, le fragilità possano essere sostenute è fondamentale. Anche noi docenti possiamo essere punti di riferimento, per dare la forza agli studenti di stare dentro l’impegno. L’obiettivo, allora, è riuscire a mettersi in sintonia con il cuore dell’altro».

È una riflessione seria e profonda quella del professor Triani, frutto di una lunga esperienza sul campo e nell’Osservatorio Giovani. A conferma del suo punto di vista, anche le parole di un giovane studente, Luca Fedele: «Il confronto con gli altri aiuta molto a vivere bene l’università, così come l’esperienza che sto vivendo nella Consulta Universitaria. Incontrare colleghi di altri atenei è sicuramente utile ad arricchire il mio bagaglio personale e relazionale».

Il cuore dell’Università Cattolica batte ormai da più di un secolo per i giovani e per l’intera società. La vera sfida sembra dunque quella di intercettare i desideri dei giovani per comprenderne il disincanto proponendo un cammino di crescita umana a trecentosessanta gradi.

 

Il 14 aprile la Giornata dell’Università Cattolica. Presidenza Cei: “I giovani cercano luoghi in grado di alimentare i loro desideri e che non soffochino la loro speranza”




Crescere insieme con “il bello dello sport”

 

“Mens sana in corpore sano”. Un detto latino sempre attuale, che richiama a una dimensione umana particolare, ovvero quella dell’attività fisica, sportiva. Molto spesso la si pensa legata quasi esclusivamente al mondo dei giovani, bambini e ragazzi, o dei professionisti. A ricordarne il valore autentico e profondo sono stati gli ospiti della nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk settimanale di approfondimento della diocesi di Cremona, interamente dedicata allo sport.

«È certamente un impegno – ha spiegato Veronica Signorini, triatleta e nutrizionista – ma porta un valore aggiunto. Incentiva alla costanza, alla dedizione; aiuta ad organizzarsi e a fare ordine nella propria vita, a qualsiasi livello venga praticato».

L’attenzione all’impegno che lo sport porta con sé è certamente una questione fondante per qualsiasi disciplina. La dedizione che richiede è seria, soprattutto quando si hanno degli obiettivi. Da questa considerazione è nato, qualche anno fa, il libro Se aveste fede come un calciatore, di don Marco D’Agostino, rettore del Seminario di Cremona. L’idea dopo un incontro: «Osservando la grande motivazione che ho sempre visto in Alessandro Bastoni, che è stato mio alunno, ho notato alcuni parallelismi tra l’esperienza sportiva e quella di fede: la passione che lui ha sempre dimostrato, insieme al suo impegno, era sostenuta da una motivazione e un richiamo molto forti. Questi aspetti non sono particolarmente dissimili da alcuni aspetti della vita cristiana».

E sulla stessa lunghezza d’onda si è articolata anche la riflessione di Andrea Devicenzi, atleta paralimpico – celebre per le sue imprese in giro per il mondo –, coach e formatore. «La pratica sportiva prevede un cammino costante, ma fatto di piccoli passi, come la fede. Non si può pretendere di avere tutto subito, perché serve cura, attenzione, disponibilità ad accogliere imprevisti e fatiche. Ed è il cammino stesso a migliorare la performance e la vita dell’atleta, non semplicemente il raggiungimento dell’obiettivo».

Secondo gli ospiti di Chiesa di Casa, dunque, la vera essenza dello sport non risiede nel traguardo. Per Veronica Signorini, anzi, «quello di assolutizzare il fine è un rischio concreto. Penso soprattutto al mio lavoro da nutrizionista: c’è chi si fa prendere dalla smania del peso, dimenticando che quel valore in sé non conta nulla. Dietro a quella cifra c’è un insieme di cose che, invece, fa la differenza».

Il richiamo, dunque, è a uno sguardo più ampio, capace di cogliere il legame stretto tra attività sportiva, cura del corpo e vita. «Ho la fortuna di fare sport da quando ero piccolo – ha raccontato Devicenzi – e sono convinto che questo mi renda, giorno dopo giorno, un uomo, un marito e un padre migliore, perché mi dà la forza di affrontare i problemi, mi spinge a conoscermi meglio e mi stimola a cercare la parte migliore di me».

In questo senso, don Marco D’Agostino ha concluso con un appello al mondo adulto: «I nostri ragazzi hanno bisogno di vedere che ci interessiamo a loro, che la scuola ha a cuore, oltre alla didattica, anche lo sport che praticano. In questo modo capiranno che non si vivono vite diverse in base alla situazione, ma che tutti noi siamo chiamati a essere persone intese nella loro totalità, pur abitando realtà differenti».




Il Vescovo alla processione della Sacra Spina: «Il mistero dell’amore è infinitamente più grande del mistero del male»

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Cristo piegato su se stesso, nel Getsemani, un angelo che lo consola. E sullo sfondo, quasi invisibili, le sagome di coloro che, con torce e bastoni, vogliono catturarlo. È questa l’immagine che il vescovo Antonio Napolioni ha voluto riprendere durante la sua riflessione in occasione della tradizionale processione del Venerdì Santo. Parlando del “Cristo nell’orto degli Ulivi”, opera di Battistello Caracciolo, custodita nel Museo diocesano, il vescovo ha sottolineato come «la scena dipinta in secondo piano sembra portare alla luce un momento di odio. Ma non bisogna dimenticare che in primo piano c’è il volto del Signore, insieme all’angelo che Dio gli ha messo accanto. Questo ci ricorda che il mistero dell’amore è infinitamente più grande del mistero del male».

L’omelia del vescovo

Mons. Napolioni ha guidato, accompagnato dal vescovo emerito Dante Lafranconi, la tradizionale Via Crucis per le vie della città di Cremona. Insieme ai sacerdoti della città e a tanti fedeli, che non hanno voluto mancare a questo tradizionale appuntamento del Venerdì Santo. Presente anche il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, con la autorità cittadine che hanno chiudo il corteo con il gonfalone della città.

Un rito caratterizzato dalla preghiera e dalla devozione, accompagnato dal canto e dalle meditazioni del testo “Popolo mio, che cosa ti ho fatto?” della Conferenza Episcopale Italiana.

Quello del Venerdì Santo è dunque un cammino condiviso dall’intera comunità che, secondo Napolioni, «è il momento e il luogo in cui ritroviamo la nostra identità. In questa notte di sofferenza siamo chiamati a entrare nella storia da credenti, da figli e fratelli».

Nel giorno in cui la Chiesa ricorda i momenti più difficili e sofferti della vita umana del Figlio, non è mancato, da parte del vescovo, un messaggio di speranza. «Oggi diciamo: “Abbi pietà di noi”. È il succo della preghiera di stanotte. Queste parole ci ricordano che siamo miseri, ma non per questo esclusi dalla misericordia. Anzi, la Pasqua è la forza che può far lievitare la nostra storia».

Mons. Napolioni, ancora una volta in questa Pasqua, ha infine voluto richiamare l’attenzione sulle situazioni di sofferenza e dolore che molte persone stanno affrontando. Il vescovo ha infatti fatto sue le parole scritte da Papa Francesco che, con l’invocazione, per quattordici volte, del nome di Gesù, ha voluto pregare “per quanti nel mondo soffrono persecuzioni e patiscono il dramma della guerra”.

La celebrazione è terminata con la solenne benedizione dell’assemblea da parte del vescovo, nell’attesa di ritrovarsi, nella notte del Sabato Santo, per la celebrazione della Veglia di Pasqua.

 

Il video completo della celebrazione




Il Vescovo nella Domenica delle Palme: «Come pellegrini, nella nostra terra chiamata a diventare Santa»

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«Oggi non possiamo recarci in pellegrinaggio in Terra Santa, ma siamo chiamati a vivere qui, come pellegrini, nella nostra terra che è chiamata a diventare Santa. Per questo dico ai bambini e ragazzi presenti di scatenarsi, di partecipare alla gioia del popolo che accoglie Gesù».

È questo il grande invito che mons. Antonio Napolioni, vescovo di Cremona, ha rivolto ai fedeli durante la commemorazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, celebrato nella Domenica delle Palme.

La Messa che ha aperto la Settimana Santa è iniziata nella chiesa di S. Maria Maddalena, dell’Unità Pastorale S. Omobono, di Cremona. «Quelli che ci aspettano – ha commentano il vescovo – sono giorni bellissimi, che ci condurranno verso la Resurrezione, ovvero la fonte di quella grazia e pace a cui tutti noi dobbiamo guardare per seguire Gesù fino in fondo, dicendo no alla guerra e sì all’amore fraterno».

Come da tradizione, mons. Napolioni ha benedetto i rami d’ulivo e di palma dei presenti, prima di dare il via alla processione verso la Cattedrale. Il cammino verso il Duomo, poi, è stato accompagnato dalla preghiera e dal canto, guidato dalla corale dell’Unità Pastorale, alla quale si è unito il coro diretto dal maestro don Graziano Ghisolfi.

Insieme a mons. Napolioni, il vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, i Canonici del Capitolo, i sacerdoti e i ministranti dell’Unità Pastorale, e i molti fedeli che hanno preso parte alla celebrazione.

Momento centrale della Messa è stata la lettura del vangelo della Passione di Gesù, nella versione di Marco. Proprio su alcuni aspetti del brano si è focalizzata la riflessione del vescovo, aperta da una domanda decisiva per vivere i giorni che ci attendono: «Come stiamo entrando in questa Settimana Santa?». Nella sua riflessione il vescovo ha portato lo sguardo «fatto per la pace» ma attraversato da «tante ragioni di paura e di tristezza».

Non è dunque mancato, da parte di mons. Napolioni, un nuovo riferimento alla realtà attuale. Riprendendo il vangelo di Marco che racconta dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme ha infatti evidenziato il ruolo della folla che grida “Osanna”. «Anche ai nostri giorni accade. Lo si fa per una squadra, per un cantante. Poi c’è chi, invece, celebra un dittatore, e osanna male; c’è chi cerca salvezza dove invece viene data la morte». Ma anche in questo nostro tempo Gesù offre ancora a tutti l’esempio di Colui che entra nella Pasqua «nella maniera necessaria e possibile anche a noi: Lui osanna il Padre nel profondo del cuore con la sua obbedienza d’amore, con la sua libertà crocifissa, ma proprio per questo eterna. Se ognuno di noi si tira indietro nell’indifferenza e nella paura – ha quindi concluso – noi consegniamo ancora di più il mondo al male. Invece con Gesù siamo chiamati a rigenerare il nostro “Eccomi!, entro con te nella Pasqua per fare esperienza della vita più forte della morte».

 

L’omelia del vescovo Napolioni

Lo sguardo è dunque rivolto al prosieguo della Settimana Santa, con i particolari e caratteristici riti che la contraddistinguono. Giovedì alle 9.30 ci sarà la tradizionale Messa Crismale con il presbiterio diocesano; al pomeriggio, alle 18, la celebrazione “In Coena Domini” presieduta da mons. Napolioni.

Il giorno seguente sarà l’azione liturgica delle 18 a commemorare la morte del Signore; ad essa farà seguito, in serata, la via Crucis cittadina con la reliquia della Sacra Spina.

La Veglia del sabato, invece, avrà inizio alle 21.30 nel cortile del palazzo vescovile, mentre la solenne Messa di Pasqua sarà celebrata dal vescovo domenica mattina alle 11.

 

Il video completo della celebrazione

 

 




A Chiesa di Casa una Pasqua di rinascita

 

«La Resurrezione non è un avvenimento improvviso, ma è frutto di tanti piccoli passi che conducono dall’ombra della morte a una nuova vita». Con queste parole padre Francesco Zambotti, camilliano fondatore della associazione La Tenda di Cristo, ha sintetizzato quel grande desiderio di rinascita che la Pasqua porta con sé durante la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona. Alla luce della sua esperienza con le fragilità umane, il sacerdote ho sottolineato come «il buio non identifica una persona, ma spesso si è chiamati ad attraversarlo per giungere nuovamente alla luce».

Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Silvia Corbari, coordinatrice di Casa famiglia Sant’Omobono, struttura dell’Azione Cattolica che a Cremona accompagna donne e madri in situazioni di difficoltà. «Chi arriva da esperienze di sofferenza e abbandono si sente circondato dalle tenebre, quindi non si aspetta di essere accolto e amato; non pensa di potersi fidare. Noi cerchiamo di dare speranza a chi l’aveva persa».

E proprio di speranza ha parlato Alessio Antonioli, del centro d’ascolto della Caritas diocesana. «È un cammino tortuoso, ma da percorrere insieme. Nel nostro piccolo, vediamo che le persone che incontriamo nutrono desideri concreti per il futuro, sognano un nuovo domani, sia per loro stessi, che, spesso, per le loro famiglie».

Ancora una volta, allora, la Pasqua diventa occasione per cogliere i segni di Risurrezione e rinascita nel mondo circostante, dando senso al cuore dell’esperienza di fede cristiana, ossia il Mistero dell’Incarnazione, di un Dio che abita la realtà in totale pienezza.




A Chiesa di Casa una riflessione sulla paternità: in famiglia, nella società e nella chiesa

 

«Il mio papà è un supereroe» è una frase che molti bambini, nel corso della loro vita, hanno pronunciato almeno una volta. Nei giorni che precedono san Giuseppe – la festa del papà – anche Chiesa di casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona, ha dedicato una puntata alla figura del padre.

«Una volta il mio primo figlio mi ha chiesto se fossi l’incredibile Hulk – ha scherzato Luca Maffi, papà e coordinatore a S. Giovanni in Croce della comunità Tenda 2 – ma non penso di rappresentare un eroe. Più che altro cerco di essere un esempio per i miei figli. Il mio esserci, il sostegno che cerco di dare loro vuole essere la testimonianza di una presenza che c’è ed è pronta ad accompagnare il loro cammino di crescita. A volte facendo anche un passo indietro».

Come per tante altre figure educative, anche per quella paterna vale allora un discorso di equilibrio tra presenza e assenza. Quest’ultima, talvolta, può diventare buio. A raccontarlo è Maria Acqua Simi, giornalista cremonese che ha perso il padre quando era al liceo. «È stato uno strappo violento, che ci ha fatto male. Eppure, in quella situazione è emersa un’attenzione particolare che i miei genitori hanno avuto nei confronti di noi figli: papà e mamma, insieme, hanno saputo affidarci a una provvidenza ancor più grande, a un amore che sapevano di non poter eguagliare. Molti volti, tra cui diversi sacerdoti, ci sono stati vicini, dimostrandoci cura e affetto paterni».

L’idea di una paternità che superi quella biologica è dunque molto rilevante. Nel caso dell’esperienza cristiana, si parla a tutti gli effetti di padri spirituali, ossia «compagni di viaggio che condividono una parte di cammino con coloro che sentono il bisogno di essere affiancati», secondo monsignor Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona. «Il rimando immediato è all’unico vero Padre, di cui noi uomini cerchiamo di essere strumenti per il bene dei fratelli. La sfida più grande, spesso, è quella di saper aspettare, perché i tempi di Dio non sono i nostri. In questo senso Giuseppe è un grande esempio: in una situazione molto particolare, come quella che si è trovato a vivere, da uomo di fede ha saputo fidarsi della sua sposa e affidarsi pienamente al Signore».

Parlare di padri, allora, non significa solo celebrare dei supereroi. Le riflessioni emerse dalla nuova puntata di Chiesa di casa suscitano una riflessione seria e profonda sulla paternità – in tutte le sue forme – e sul suo ruolo nella famiglia e nella società.




Chiesa di casa, puntata in rosa per la festa della donna

 

Auguri e mimose sono tradizionalmente i segni caratteristici della giornata internazionale della donna. Gesti semplici, che vogliono celebrare una festa, ma che non devono diventare superficiali o scontati. Per questo motivo, nella nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della diocesi di Cremona,  l’accento è stato posto proprio sulla persona in quanto tale, più che sulle celebrazioni che, ogni anno, l’8 marzo porta con sé.

Per suor Paola Rizzi, delle Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda, «è necessario ricordare che ciascuno deve cercare di essere al meglio di sé. I concetti di parità e uguaglianza sono forse il minimo sindacale, ma finché giochiamo al minimo non riusciamo a fare quel salto che ci è chiesto dal Vangelo e dall’umanità. Ogni persona è chiamata a esprimere la propria identità, che è unicità. L’appiattimento, invece, diventa già una prima forma di violenza, perché impedisce di far emergere la propria specificità».

Il discorso si è dunque sviluppato in modo non generalista, provando ad affrontare anche le questioni più spinose in modo serio e approfondito. Un’attenzione particolare è stata posta sulle relazioni, spesso faticose, che tante donne sono costrette a vivere. L’avvocato Elena Guerreschi, presidente di Aida, associazione attiva sul territorio nella lotta alla violenza sulle donne, ha ribadito che «è necessario prendere consapevolezza che ci sono rapporti che non possono guarire. Troppo spesso siamo stati abituati a pensare, o a dire, che bastano alcuni semplici atteggiamenti per riabilitare una relazione malata. Non è così. E non c’è ragione per cui una persona, una donna, debba subire determinati trattamenti». Proprio in queste situazioni, però, possono nascere germogli di speranza. «Il confronto con un’amica, la mano tesa di un parente, o di un volontario, possono diventare occasione per costruire nuove relazioni, questa volta virtuose, e provare a uscire da quel buio che, troppo spesso, diventa totale».

Ed è questa l’esperienza di Casa di Nostra Signora, la struttura della Caritas diocesana che a Cremona accoglie e accompagna donne che vivono situazioni di particolare fragilità. «Per le persone che incontriamo – ha raccontato Nicoletta D’Oria Colonna, coordinatrice della struttura – l’incontro con una persona di cui potersi fidare è fondamentale. È richiesta una certa delicatezza e cura nei rapporti, affinché possa iniziare un vero percorso di riabilitazione. Le donne che arrivano da noi sono passate, o vivono, una situazione di buio. Da essa cerchiamo di partire per costruire qualcosa di nuovo, per riaccendere una luce sul domani».

La luce e lo sguardo sul domani sono allora le parole chiave emerse dal confronto tra le ospiti di Chiesa di Casa. «Mi piace pensare – ha concluso suor Paola Rizzi – che, a caratterizzare le donne, sia quella tenerezza che le rende capaci di essere attente ai piccoli germogli di vita, dare alla luce. Educhiamoci, ed educhiamo i nostri ragazzi, a saper riconoscere il bello che c’è nelle persone che si trovano di fronte. Credo sia questa la vera sfida».




Una Quaresima di carità per «allargare idealmente le sbarre»

 

Costruire dei ponti. Questo è l’obiettivo, secondo don Roberto Musa, cappellano della casa circondariale di Cremona, della proposta per la Quaresima di Carità della diocesi cremonese. Protagonisti dell’iniziativa, coordinata dalla Caritas diocesana, sono infatti le persone detenute presso l’istituto cittadino. «L’idea che abbiamo condiviso è proprio quella di provare ad allargare idealmente le sbarre che ci sono alle finestre per permettere a chi si trova in carcere di vedere il mondo esterno non solamente come qualcosa di ostile».

A raccontarlo è proprio don Musa, insieme alla direttrice della struttura, Rossella Padula, durante la nuova puntata di Chiesa di Casa, il talk di approfondimento della Diocesi di Cremona.

«Il timore più grande che hanno – secondo il sacerdote – è quello di non avere una seconda possibilità. Hanno il desiderio di uscire dal carcere, ma fuori non sempre hanno punti di riferimento. Spesso la libertà spaventa, e si manifesta la paura di cadere nuovamente in qualche situazione critica. Molti chiedono di essere inseriti in contesti diversi e nuovi, per sfuggire a questo rischio». Nonostante questo, la speranza della libertà resta cruciale per tutte le persone detenute. Viverne la privazione è certamente una fatica, ma spesso rappresenta l’inizio di un percorso. Per la direttrice Padula, l’avvio di questo cammino è decisivo. «La presa di coscienza del fatto è un elemento imprescindibile, sia per chi si trova in carcere in attesa di giudizio, sia per chi sta già scontando una condanna». In questo secondo caso, la sentenza ha già sancito una colpa, «ma il vero passo in avanti viene compiuto solo quando questa colpa è riconosciuta e accettata. Da qui si può dare il via ad una serie di ragionamenti, confronti e riflessioni per pensare ad una vera riabilitazione e reinserimento della persona all’interno della società». La sottolineatura della direttrice sulle dinamiche relazionali non è casuale. «Molte persone vivono e incontrano la realtà del carcere: poliziotti penitenziari, psicologi, criminologi, educatori, medici, sacerdoti e tanti operatori esterni. Ciascuno di loro porta avanti un percorso di accompagnamento che è fondamentale, e che può dare speranza a tutti coloro che sperimentano una mancanza profonda».

L’incontro, allora, diventa occasione di crescita e maturazione. Diventa luogo in cui è possibile “Dare speranza alla giustizia”, come recita il titolo del progetto per la Quaresima della diocesi di Cremona. In questo senso la Chiesa cremonese è molto attiva, per don Musa, «perché numerose associazioni, oltre all’impegno di Caritas, si interfacciano con la casa circondariale e con le persone detenute. È un’attenzione importante, perché molto spesso proprio nell’incontro personale nasce quella condivisione che può aiutare chi si trova in carcere a prendere coscienza della propria colpa e a superarla, senza trattarla in modo superficiale, ma anche evitando il rischio di assolutizzarla».

Le considerazioni di don Musa e di Padula aiutano ad umanizzare una realtà che, spesso, è considerata come un istituto a se stante e lontano dalla realtà. È la direttrice stessa a ricordare che «siamo noi a poter fare la differenza. Tutto dipende da ciò che noi offriamo alle persone detenute, anche e soprattutto in vista del loro rientro in società. Molti di loro sono soli, stranieri, quindi necessitano di un’attenzione particolare. Cura è forse il termine che meglio racchiude ciò che siamo invitati a vivere e sperimentare in ciò che facciamo».

Parlare di giustizia, detenzione e pena non è mai semplice. Lo sguardo che Rossella Padula e don Roberto Musa invitano a tenere, però, è quello della speranza. La speranza di un domani migliore, di una nuova occasione. Di una rinascita.

A meno di un mese dalla celebrazione della Pasqua, l’incontro con una realtà che, metaforicamente, racconta storie di morti e resurrezioni può allora essere decisivo per la vita di ciascuno. Per superare la chiusura, delle celle e dei cuori, serve conoscere, incontrare, toccare con mano. In poche parole, serve costruire ponti.