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Il vescovo ai fidanzati: «Non siete soli. E vi prometto non lo sarete nei momenti difficili»

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Oltre un centinaio di coppie di fidanzati, nel pomeriggio di domenica 10 marzo si è ritrovata in Seminario, a Cremona, per concludere insieme al Vescovo il percorso in preparazione al matrimonio che hanno frequentato in questo anno nelle diverse le zone della diocesi. Come sigillo sul tuo cuore ea il titolo scelto dalla Pastorale famigliare diocesana per l’incontro.

All’ingresso del Seminario, l’accoglienza con una piccola merenda è stata anche occasione per consegnare a ogni coppia un foglio su cui scrivere i propri nomi e qualcosa che li descrivesse: questo è stato poi utilizzato per decorare un cuore di legno, reso vivo dai pensieri dei giovani.

I fidanzati, con i sacerdoti e le coppie di sposi che li hanno accompagnati nel cammino in preparazione alle nozze, hanno potuto riflettere sul valore dell’amore e sulla bellezza del matrimonio, grazie a canzoni della tradizione italiana – da Abbi cura di me di Simone Cristicchi a Sempre e per sempre di De Gregori, fino a Perdonare di Nek e Vorrei incontrarti tra cent’anni cantata da Ron e Tosca) e grazie allo spettacolo teatrale proposto da Mattia Cabrini e Francesca Suppini, dal titolo Parole e gesti che uniscono. Con leggerezza, ironia e intelligenza, Cabrini e Suppini hanno toccato ciò che, come dice lo stesso titolo, uniscono due innamorati: le parole d’amore e il dialogo, i gesti che accolgono. Poi le coppie, divise in piccoli gruppi, hanno preparato alcune domande da rivolgere al Vescovo.

«Io non ho la ricetta – ha detto Napolioni – ma posso dirvi la mia esperienza». E ancora: «Oggi avete incontrato la Chiesa di Cremona, non solo il vescovo. È la Chiesa che vi ha accolto con il Battesimo quando siete nati, che vi ha accompagnato nella crescita e ora vi ha guidati nei percorsi da fidanzati. Vi prometto che la vostra Diocesi sarà sempre disponibile ad aiutarvi nei momenti più difficili».

Il Vescovo ha risposto ai giovani con parole di speranza: «L’unico modo per schivare la tempesta, cari ragazzi, è non mettersi in mare e vivere la vita da spettatori. Ma, come diceva Baden-Powell, non esiste buono o cattivo tempo, esiste buono o cattivo equipaggiamento». E ha proseguito: «La vostra ricchezza è che non siete soli: non dovete dubitare mai della presenza del Signore! Dio si nasconde nella nostra piccolezza per aiutarci sempre a ricominciare e ad attingere alla sua fonte inesauribile di amore».

Il vescovo Napolioni ha poi continuato ricordando che la capacità di dialogare può far superare ogni ostacolo, ma non si può contare solo sulle proprie forze. Da qui l’immagine della coppia dove si è in tre, perché lo Spirito Santo si rivela e costruisce la comunione. «Benvenuti sulle montagne russe! – ha continuato il Vescovo –. Per noi cristiani è la logica pasquale: significa prima provare il massimo del dolore che rivela infine il massimo della gioia. La novità cristiana è confidare che la morte genera la vita».

L’augurio che monsignor Napolioni ha fatto ai futuri sposi è stato quello di creare relazioni anche tra diverse famiglie per aiutarsi a camminare nella fede e per vivere la comunione e la gratuità.

Il perdono è stato uno dei punti centrali della riflessione del Vescovo: «Gesù dice che prima di tutto dobbiamo accettare il perdono, perché è difficile perdonare se non si è sperimentata la misericordia di Dio, che agisce per primo: mentre siamo ancora peccatori Lui ha dato la vita per noi, non ha aspettato che ci lavassimo da soli».

Le domande, numerose, sono continuate. Il vescovo Napolioni ha ricordato che non bisogna avere paura del “per sempre”, perché non dipende dagli uomini, ma da Dio: è lui che agisce nell’eternità e rende possibile il nostro “per sempre”. «Ricordatevi che voi per il mondo siete folli, e continuate a esserlo! L’unico modo per farcela è accettare che sarete in perdita: se alla sera farete il conteggio di chi ha fatto di più, l’amore morirà sicuramente». E ha poi concluso citando Charles de Foucauld: «Padre mio mi abbandono a te, fa di me ciò che ti piace, così diceva il santo mentre pregava nel deserto. Invito a pregare anche voi così».

Dopo la preghiera conclusiva e la lettura del passo dei Cantico dei Cantici da dove è stato tratto il titolo dell’incontro, le coppie e i sacerdoti hanno condiviso un aperitivo, occasione per conoscersi e creare relazioni.




Il 25 febbraio in Seminario la Giornata delle famiglie, gener-attrici nella società e nella Chiesa

Sarà celebrata domenica 25 febbraio la Giornata diocesana delle famiglie, dal titolo “Famiglie gener-attrici”. L’iniziativa, che si inserisce nel solco delle proposte che l’ufficio diocesano per la Pastorale famigliare offre durante tutto l’anno, si svolgerà a partire dalle 9 presso il Seminario vescovile di Cremona.

«Sarà una bellissima occasione per incontrarsi, condividere e stare insieme», dice Maria Grazia Antonioli, insieme al marito Roberto Dainesi a capo dell’Ufficio famiglia della Diocesi. «Abbiamo deciso di dedicare la giornata alla riflessione che il Papa ci consegna nell’Amoris laetitia, dove dice che le famiglie devono essere protagoniste. Ecco perché nel titolo della giornata c’è la parola attrici. Le famiglie di oggi non sono destinatarie di cure e attenzioni, ma sono protagoniste nella vita ecclesiale e sociale. Le famiglie sono anche generatrici, non solo biologicamente, ma anche in processi, cura, attenzioni. L’obiettivo è quello di interrogarsi su come le famiglie possono essere generatrici nel contesto attuale».

Questo è il centro dell’intervento dei coniugi Chiara Giaccardi  e Mauro Magatti, sociologi e docenti dell’Università Cattolica. I due relatori aiuteranno a capire come inserirsi nella società odierna per essere supporto ed esempio di stili di vita.

Mentre i genitori saranno impegnati nella conferenza, ai bambini sarà offerto lo spettacolo Avrò cura di… Più, scritto dalla Compagnia dei Piccoli, prodotto dall’Associazione Girasole – Famiglie affidatarie di Cremona e che si inserisce all’interno del progetto I care co-finanziato con il contributo della Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona.

«Sarà anche per i più piccoli un’occasione per soffermarsi sull’importanza dell’accoglienza e della famiglia» spiega ancora Maria Grazia Antonioli Danesi.

Questa giornata sarà soprattutto un’occasione per le famiglie di incontrarsi e approfondire varie tematiche che potranno essere riprese nelle singole parrocchie o zone: «Sarà un momento di formazione, preghiera, ma anche conviviale – aggiunge Roberto Danesi – non a caso abbiamo deciso di terminare con la messa e il pranzo». E prosegue: «Il momento del pasto in famiglia è centrale, così abbiamo pensato a un pranzo rilassato, che vuole essere parte integrante e importante dell’incontro. A tavola si può parlare della propria vita, dei figli, o condividere suggestione dell’incontro del mattino. L’idea è quella di fare un pranzo domenicale di famiglia allargato».

Il seminario vescovile accoglierà le famiglie dalle 9 con caffè e pasticcini; conclusione dopo il pranzo condiviso.

Le offerte raccolte durante la giornata saranno devolute alle famiglie della parrocchia brasiliana di Salvador de Bahia, dove il sacerdote cremonese don Davide Ferretti opera come “fidei donum” della Chiesa cremonese da oltre tre anni, fortificando così ulteriormente, anche a distanza, il legame famigliare.

 

La locandina dell’evento

 

 

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Festa nella memoria di san Francesco Spinelli. Il vescovo di Crema Gianotti: «Nell’incontro con la debolezza ha riconosciuto lo Spirito che rinnova»

 

Nella giornata di martedì 6 febbraio, l’Istituto delle Suore Adoratrici era in festa, a Rivolta d’Adda nella memoria del loro padre fondatore, san Francesco Spinelli, nell’anniversario della morte, avvenuta proprio il 6 febbraio del 1913.

Culmine delle celebrazioni è stata la Messa presieduta dal vescovo di Crema, monsignor Daniele Gianotti, e da diversi sacerdoti provenienti dalla Diocesi di Cremona, ma anche da Como e da Napoli, dove l’istituto fondato da San Francesco Spinelli è presente con le sue comunità di suore.

In apertura della funzione ha preso la parola la madre generale, suor Isabella Vecchio, che ha ringraziato i celebranti, la corale e tutti i presenti. «Mi piace pensare – ha detto – che san Francesco Spinelli, incrociando la nostra storia, scolpisce qualcosa di Dio in noi e ci lascia un sapore di eternità» ha continuato la Madre. «San Francesco ha sempre creduto la Chiesa come infallibile maestra e madre dolcissima. Nei suoi scritti ci indica l’Eucaristia come fonte a cui attingere l’accesa carità, nei più poveri ha sempre ravvisato il volto di Cristo e con le sue opere ci insegna il perdono».

«Mi sono chiesto spesso quale fosse la ragione dello scandalo che si è acceso tra chi ha sentito esprimere da Gesù la necessità per noi di mangiare la sua carne e bere il suo sangue» ha quindi introdotto la sua omelia il vescovo Gianotti. Per i contemporanei di Cristo era inimmaginabile bere il sangue di un essere vivente, in quanto ritenuto sede della vita. La carne e il sangue, soprattutto, «appaiono associati per indicare condizione di fragilità e debolezza umana». Da qui il paradosso che anticipa la croce e ribalta la logica umana di potere e invulnerabilità: «La forza di Dio si manifesta attraverso la carne e il sangue, con un corpo donato, per mezzo della vita offerta in pienezza. È a partire dal dono che si dispiega la potenza dello Spirito che dona la vita».

Il Vescovo, in conclusione dell’omelia, ha ripreso la figura di San Francesco Spinelli, che ha accolto pienamente l’insegnamento di Cristo in croce: «San Francesco ha compreso che la debolezza radicale apre la strada per la vita in abbondanza. Ha fatto esperienza della morte del Signore e del sacramento dell’Eucarestia nell’incontro con la debolezza manifestata nei nostri fratelli e sorelle più poveri, sofferenti, malati, disabili. San Francesco Spinelli ci aiuta a riconoscere che attraverso la debolezza passa lo Spirito che rinnova il mondo».




A Soncino la paritaria San Martino diventa scuola dell’infanzia a indirizzo musicale

A Soncino la scuola paritaria dell’infanzia San Martino si innova continuamente per rispondere ai bisogni educativi dei bambini di oggi, sempre più bisognosi di stimoli.

Dallo scorso anno scolastico è stata aperta un’aula sensoriale per permettere a tutti i bambini iscritti di sperimentare percorsi sulle emozioni, con oggetti da toccare, musiche, diffusori di aromi, luci e percorsi olfattivi. L’aula, ispirata alle Snoezelen Room nate nel nord Europa, ha come obiettivo quello di far crescere nei bambini l’autostima, la consapevolezza di sé e la maturazione dell’intelligenza. L’aula, infatti, produce sollecitazioni sensoriali attraverso esperienze educativo-didattiche che coinvolgono il bambino e lo rendono protagonista del suo apprendimento attraverso la scoperta diretta.

Ma non solo: gli iscritti alla San Martino imparano l’inglese con la presenza di un’insegnante madrelingua che entra in classe una volta alla settimana per una giornata intera, immergendo i bambini nell’ascolto della lingua.

C’è poi il laboratorio di cucina e quello artistico, che hanno come obiettivo quello di insegnare l’autonomia e di sviluppare la creatività. «I bambini preparano semplici piatti, come spiedini di frutta o insalate con verdure di stagione crude e cotte. E poi utilizzano le materie prime per creare lavori artistici. Ad esempio, con la frutta e la verdura, hanno imitato il famoso pittore Arcimboldo», racconta la coordinatrice della scuola, Antonella Caravaggi.

Dal prossimo anno scolastico la scuola San Martino introdurrà un’altra novità.

«Negli ultimi anni – prosegue Caravaggi – la ricerca neuroscientifica ha lanciato una serie di evidenze che dimostrano come il cervello dei bambini nei primi anni di vita è molto plastico e le esperienze sonore ne favoriscono un ottimale sviluppo supportando la crescita equilibrata dell’individuo, con ripercussioni sulla sfera emotiva, cognitiva, gli aspetti motori, la creatività, l’autostima».

La musica inoltre favorisce lo sviluppo del linguaggio, potenzia la capacità di attenzione e la creatività. Per questo motivo la scuola San Martino si affilierà a SIIMUS (Scuole dell’infanzia a indirizzo musicale) per far entrare la musica nella scuola in modo sistematico: «Tutte le insegnanti in ogni asilo e scuola dell’infanzia utilizzano la voce e la musica nel corso delle loro attività quotidiane e verificano costantemente quanto il linguaggio musicale sia un facilitatore della relazione e come catturi l’attenzione del bambino. In realtà anche ogni mamma fa questa esperienza: cantare ninnando il proprio bambino è un’azione naturale», dice ancora la direttrice.

Grazie a SIIMUS le insegnanti potranno formarsi attraverso webinar e seminari, sessioni di tutoraggio, due incontri settimanali di educazione musicale in ciascuna classe coinvolta, focus musicali giornalieri integrati con la programmazione didattica, musicisti-orchestrali live per favole musicali esperienziali e concerti didattici. Anche i genitori saranno direttamente coinvolti con webinar in-formativi.

«La Musica – conclude Caravaggi – diventa il filo conduttore delle giornate, diventa il mezzo per conseguire abilità didattiche e sociali. I bambini faranno colazione con Brahms, ascolteranno Ray Charles, suoneranno lo strumentario Orff, scopriranno la propria voce ed il proprio corpo grazie alla musica di Strauss e Kodaly, faranno questo e molto altro».

Venerdì 9 febbraio, alle 17.30, presso la sede della scuola ci sarà la presentazione del nuovo indirizzo musicale aperta a genitori e a tutti gli interessati.




Maria immacolata, «fiamma di purezza che accende la vera vita»

 

«Siamo chiamati a diventare famiglia santa che si raduna e gioisce per la bellezza della Madre di un’umanità che realizza il sogno del Padre: la comunione profonda che si allarga a chi nel mondo anela alla vita piena» queste le parole con le quali il vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, ha aperto la Messa che ha presieduto nella solennità dell’Immacolata concezione, la mattina di venerdì 8 dicembre in una Cattedrale piena di fedeli, a dimostrazione della devozione viva e sentita della Chiesa cremonese alla Madonna.

Durante l’omelia, Napolioni ha ricordato che solo Maria è stata concepita senza peccato originale, ma «molti tra noi incarnano la sua purezza, anche vivendo forti responsabilità, in tutte le stagioni della vita e non senza una lotta interiore» perché la madre di Dio «rende possibile un cammino di realizzazione umana, per manifestare la bellezza interiore e l’affidabilità».

Il racconto della Genesi mostra come l’ascolto del maligno che si insinua dentro l’uomo sconvolge l’innocenza originaria. Alla domanda amorevole di Dio che chiede ad Adamo dove si è nascosto, il primo uomo risponde con la vergogna della propria nudità, «in origine segno della trasparenza» ora sorgente di diffidenza nei confronti degli sguardi degli altri. Ho proseguito quindi mons. Napolioni: «Questo pudore ci ricorda che una società che ci porta a essere sfacciati e a mostrare ogni cosa di sé per sentirci vivi, invece ci infetta». L’antidoto è il rispetto e la delicatezza: «A me e a tutti voi faccio questo invito: coltivare il pudore del pensiero, delle parole e delle azioni. Coltivare una purezza per camminare verso la vera essenza della nostra umanità». Maria ne è l’esempio: seguirla «non porta a mortificare se stessi. Maria è forse una donna a metà? No, è una donna che ha scoperto che è il Signore l’unico che può ricolmarla di vita e renderla forte, ospitale e madre feconda per l’eternità. È fuoco d’amore che scalda i nostri cuori». Napolioni ha concluso la sua omelia spiegando che la purezza di Maria non è qualcosa che ghiaccia e immobilizza ma, al contrario, è fiamma che incendia: «L’angelo la saluta dicendole che è piena di grazia, avvolta dallo Spirito Santo, che è una brace che arde per permettere al figlio di Dio di entrare nel mondo. Ci vuole la passione verginale della madre perché la passione messianica del figlio entri nel mondo, ci vuole passione degli adulti perché i ragazzi si appassionino alla bellezza vera della vita».




La Vergine di Lourdes pellegrina a Caravaggio: nel suo volto la gioia del Paradiso

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Domenica 19 novembre alle ore 10 a Caravaggio, una processione ha dato inizio alla Santa Messa presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi in un Santuario gremito di fedeli accorsi da tutta la diocesi e non solo per accogliere la statua della Madonna di Lourdes in occasione della Peregrinatio Mariae.

La celebrazione è stata preceduta, nella giornata di sabato, con la cerimonia di accoglienza della statua, la Messa e il Rosario e, alle 21, con la caratteristica celebrazione del Rosario aux flambeaux, cui un gran numero di fedeli ha partecipato in profondo raccoglimento lungo i portici del Santuario.

 

Le foto del Rosario aux flambeaux di sabato sera in Santuario

 

«Oggi il Vangelo ci parla di un padrone che dà alcuni beni ai suoi servi affinché li facciano fruttare –  ha detto mons. Lafanconi nell’omelia – perché la vita terrena ci chiede di guardare al domani e impegnare le nostre capacità in direzione del futuro, senza essere pigri».

Il Vescovo emerito ha ricordato poi che il 19 novembre si celebra la giornata mondiale del povero, indetta da Papa Francesco che ha scelto come tema “Non distogliere lo sguardo dal povero”(Tb 4,7). I poveri, ha ricordato il Vescovo, «sono coloro nei quali il Signore si immedesima. È importante nella nostra vita andare incontro a Dio aiutando queste persone, che troppo spesso ignoriamo».

Ha poi ricordato che dobbiamo camminare dentro questo mondo avendo ben presente che la meta è altrove: la nostra esistenza terrena è un punto di passaggio verso un altro mondo e nella comunione perfetta con Lui in paradiso.

«È stato questo – ricorda mons. Lafranconi – il messaggio della Madonna a Bernadette : promette a lei, e quindi a noi, che saremo felici non solo in questo mondo, ma nel prossimo. La Madonna riprende il messaggio del Vangelo che ci interroga in prima persona: dove cerchiamo la felicità? Ci accontentiamo di godere delle gioie di questo mondo, o cerchiamo anche altrove?». 

Il Vescovo Emerito ha poi fatto riferimento agli ultimi episodi di cronaca e alla vicenda della giovane ventiduenne uccisa dall’ex fidanzato: un uomo che «Non è stato capace di accettare il rifiuto e la frustrazione della propria storia finita». Compito del mondo adulto è quindi quello di educare i più giovani ad accettare i fallimenti e trovare nelle frustrazioni un senso positivo.

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Le apparizioni della Madonna, a Lourdes e a Caravaggio ad esempio, «sono un richiamo dell’altro mondo per ricordarci che l’esistenza terrena non è quella definitiva. Per ricordarci che giorno dopo giorno andiamo verso la vita eterna goduta con Dio».

Gesù, che è venuto sulla terra, si è fatto uomo per associare gli uomini e le donne a sé nella sua divinità, come cittadini e cittadine del cielo, figli e figlie di Dio.

La nostra testimonianza di cristiani – ha concluso mons. Lafranconi – è quella di non dimenticare che la vera gioia è nell’altro mondo. Qui accogliamo tutte le gioie che la vita ci offre, senza farne un assoluto. Le penitenze che Maria ci chiede durante le apparizioni ci educano a non perdere di vista che siamo figli di Dio e insieme con Gesù partecipano della sua stessa beatitudine».

 

Ascolta l’omelia del vescovo emerito Lafranconi

 

La Messa si è conclusa con la preghiera di affidamento alla Madonna di Lourdes e con la processione che accompagna la partenza della statua che continuerà la sua Peregrinatio attraverso i maggiori santuari mariani che si concluderà il 14 dicembre in Vaticano quando i volontari dell’Unitalsi verranno ricevuti dal Santo Padre per festeggiare i 120 anni della nascita della loro associazione.

 

 




Il Burundi e l’uccisione di tre religiose nel 2014 raccontati da Giusy Baioni

Per la prima volta invitata da un ente ecclesiastico, Giusy Baioni ha presentato il suo libro «Nel cuore dei misteri. Inchiesta sull’uccisione di tre missionarie nel Burundi delle impunità» lo scorso venerdì 10 novembre a Caravaggio. L’obiettivo della serata, promossa dall’Ufficio missionario diocesano, era quello di parlare di missionarietà come ricerca di verità e difesa dei più deboli. L’autrice, giornalista free lance, ha raccontato, prima tramite articoli pubblicati on line dal Fatto Quotidiano e poi nel suo libro, l’inchiesta da lei condotta intorno alla barbarica uccisione delle tre suore saveriane avvenuta in Burundi nel 2014. Ha partecipato alla serata anche Paolo Carini, giornalista che ha vissuto tanti anni in Burundi e in altri stati africani come missionario laico.

«Il mio lavoro – ha detto Baioni – è partito perché l’efferatezza del crimine mi ha colpito molto e le versioni ufficiali non mi convincevano. Così mi sono fatta delle domande e ho avanzato delle ipotesi che ho provato ad approfondire. Un passo alla volta emergevano delle verità sempre più sconvolgenti. Mi sono più di una volta chiesta se andare avanti. È stato pericoloso e ci ho speso degli anni, ma a un certo punto mi sono detta che dovevo fare la mia parte e la mia parte è confluita in questo libro».

Sono stati toccati diversi temi importanti, come il bisogno della ricerca della verità per liberare un popolo, quello burundese, oppresso da un sistema di potere fatto di corruzione e violenza impunita; l’importanza di dare valore alle morti di martiri ricercando sempre la giustizia, passando anche per un inquadramento della situazione politica e sociale burundese. Ampio spazio si è dato alla riflessione intorno al tema del fenomeno dei riti propiziatori che spesso hanno come vittime i bambini e le persone albine. Fenomeni moderni e in aumento esponenziale nella città, dove c’è più miseria e disagi socio economici rispetto ai villaggi.

Ha proseguito la giornalista: «Molti anni fa sono partita per i miei viaggi nel continente africano con l’idea di provare a dare il mio contributo nella ricerca della pace, ma mi sono presto scontrata con realtà incancrenite da anni. Mi sono resa conto che spesso si parte da presupposti zoppi, perché manca la base comune di un discorso basato sulla giustizia. Non posso pensare alla pace se non c’è una riconciliazione e non c’è riconciliazione se non c’è una verità condivisa».

Baioni ha poi raccontato l’iter del suo lavoro, spiegando come ha accertato la responsabilità dei mandanti, tutti i possibili moventi dell’omicidio ipotizzati e quello che, probabilmente, è la reale causa del delitto. Tutte le sue ricerche sono state possibili grazie soprattutto alla presenza di numerosi testimoni che hanno raccontato ciò che sapevano, mettendo anche a rischio la propria vita. Tra questi c’erano anche gli stessi esecutori materiali del triplice omicidio.

Il prossimo passo è la pubblicazione del libro in lingua francese, per consentirne la diffusione in Burundi e negli altri stati africani francofoni. Questo potrebbe svegliare le coscienze della popolazione e della chiesa locali. Nel frattempo, l’immenso e coraggioso lavoro di indagine è stato depositato al Tribunale speciale dell’Aja e protocollato. Alla Corte Penale Internazionale, infatti, si sta svolgendo un’indagine intorno ad alcuni crimini avvenuti nel Burundi negli anni successivi al 2014 e che potrebbero trovare nell’inchiesta di Baioni una base importante.

Legato al tema dei delitti causati da giochi di potere, si è parlato anche della morte del nunzio apostolico Michael Courtney nel 2003, primo diplomatico del vaticano ucciso della storia. «Era una persona retta» racconta la giornalista «che in Burundi aveva affrontato diversi temi scomodi, scontrandosi con chi era in quel momento in una posizione di potere».

La serata si è chiusa con una citazione del libro che racchiude il motivo per cui Giusy Baioni ha deciso di affrontare questo lavoro: «Attendo con ansia il giorno in cui le differenze non saranno più motivo di astio o paura e nemmeno di diffidenza. Attendo con ansia il giorno in cui le differenze non saranno nemmeno negate in modo artefatto o antistorico, ma semplicemente accettate e abbracciate, perché nelle differenze si cresce e ci si arricchisce».




Il 10 novembre a Caravaggio la presentazione del libro inchiesta sull’uccisione in Burundi di tre missionarie

Proseguono anche all’inizio del mese di novembre le iniziative promosse dall’Ufficio missionario diocesano in occasione dell’ottobre missionario. L’ultimo appuntamento sarà venerdì 10 novembre con la presentazione del libro inchiesta Nel cuore dei misteri. Inchiesta sull’uccisione di tre missionarie nel Burundi delle impunità scritto dalla giornalista Giusy Baioni e uscito l’anno scorso per la casa editrice All around.

Un testo che la sera del 10 novembre, presso l’auditorium del Centro di spiritualità del Santuario Caravaggio (ore 21), sarà presentato proprio dall’autrice, giornalista freelance che collabora – tra gli altri – con Famiglia Cristiana, Il Fatto Quotidiano, Il Manifesto e Io Donna e che segue da anni le vicende dell’Africa subsahariana e in particolare dell’Africa centrale, grazie anche ai numerosi viaggi in Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Burundi, Repubblica Centrafricana, Kenya, Sudafrica e Tunisia.

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«In queste pagine – precisa Giusy Baioni nell’introduzione del libro – non desidero parlare solo delle vittime occidentali. Né soltanto delle vittime illustri». «Il libro nasce in Italia e da qui si dipana, con questo angolo prospettico. Ma non è e non vuole essere solo un libro per bianchi, anche se inevitabilmente parte da una prospettiva europea. Desidero ricordare tutte le persone uccise in Burundi, in una lunga, lunghissima scia di sangue». E conclude: «Questo lavoro non è guidato da altro scopo che la ricerca della verità, laddove possibile, per restituire giustizia e pace a chi non ne ha ancora avuta».

La serata al Santuario di Caravaggio sarà anticipata, nella mattinata di venerdì 10 novembre, da un incontro riservato agli studenti del liceo Vida di Cremona.

Occasioni nelle quali la giornalista avrà modo di parlare del suo libro e, soprattutto, di raccontare la storia delle tante religiose, dei tanti religiosi e dei laici che nello stato africano del Burundi sono stati uccisi e intorno alle cui morti ha indagato. Durante la presentazione serale sarà possibile acquistare una copia del libro.

Nel frattempo prosegue la possibilità di visitare la mostra itinerante dedicata a Salvador de Bahia che fino all’8 novembre è esposta proprio al Santuario di Caravaggio, dopo le tappe a Casalmaggiore e Cremona. La mostra intende raccontare la realtà di Salvador de Bahia, gemellata con la Diocesi di Cremona attraverso la presenza di un sacerdote fidei donum. Curatore è don Emilio Bellani, che nella città brasiliana ha vissuto come fidei donum per undici anni, dal 2010 al 2021, prima di passare il testimone a don Davide Ferretti. Per viste guidate o richiedere la mostra nelle parrocchie contattare l’Ufficio missionario diocesano.

 

Mostra itinerante sulla realtà di Salvador de Bahia: ultima tappa al Santuario di Caravaggio

Nella Giornata missionaria mondiale una veglia di preghiera per cuori ardenti e piedi in cammino

Missioni, Gloria Manfredini in partenza per Salvador de Bahia

 




Mostra itinerante sulla realtà di Salvador de Bahia: ultima tappa al Santuario di Caravaggio

Si potrà visitare fino all’11 ottobre presso l’oratorio di Casalmaggiore la mostra itinerante allestita per raccontare la realtà di Salvador de Bahia, gemellata con la Diocesi di Cremona attraverso la presenza di un sacerdote fidei donum. Curatore è proprio don Emilio Bellani, che nella città brasiliana ha vissuto per undici anni, dal 2010 al 2021, prima di passare il testimone a don Davide Ferretti.

«Desidero ridire a me stesso e raccontare a voi quel che ho visto. E anche quel che ho capito, anche se pochissimo rispetto alla ricchezza di una realtà tanto complessa», queste sono le parole che il sacerdote cremonese ha scritto come introduzione del volume La favela e i suoi volti che raccoglie le foto e la descrizione dei 17 pannelli della mostra. Un vero e proprio itinerario che parte da una contestualizzazione storica della favela, posta nell’estrema periferia di Salvador de Bahia. Novos Alegados, un tempo costruita su palafitte e abitata da pescatori e che oggi ospita più di 30mila persone, per lo più poverissime.

Le foto mostrano il modo di vivere dei suoi abitanti e i valori che li muovono: le feste continue che testimoniano il grande senso di comunità e il forte valore di vicinanza e aiuto reciproco; le vie che – dice don Bellani – sono «luoghi di vita dove accade di tutto» e in cui le case sono edificate con il metodo, tipico bahiano, «goccia a goccia»: «con il tempo, passo dopo passo, la casa si trasforma e cresce, perché tutta la famiglia possa essere accolta».

La sezione della mostra più significativa è dedicata alle storie di alcuni degli abitanti della favela. Come quella di una giovane madre che per il suo compleanno ha deciso di comprare diversi chili di pane e distribuirli alle famiglie più povere.

Dopo gli ultimi pannelli che raccontano la fede e la spiritualità bahiana, chiudono l’esposizione alcune poesie e alcuni canti espressione della cultura di questa realtà.

La mostra, dopo Casalmaggiore, farà tappa a Cremona, all’oratorio di Sant’Ambrogio, dal 15 al 25 ottobre e, successivamente, al Santuario di Caravaggio dal 29 ottobre all’8 novembre. Per viste guidate o richiedere la mostra nelle parrocchie contattare l’Ufficio missionario diocesano.




Suore della Beata Vergine, quando la scuola è una missione

L e realtà missionarie in territorio cremonese sono molte e tra queste gioca un ruolo di particolare significato la Congregazione delle Suore della Beata Vergine di Cremona, con la sua preziosa presenza in Sri Lanka e Kenya.

Le suore della Beata Vergine hanno una storia antica, che inizia proprio a Cremona, nel 1610, grazie all’opera della nobildonna Lucia Perrotti che, con l’aiuto del gesuita padre Giovanni Mellino, scelse di dedicare tutta la sua vita all’aiuto caritatevole dei più bisognosi intuendo quanto fosse importante lavorare per l’educazione e l’istruzione delle donne ai margini della vita sociale, per permettere loro un riscatto e una vita dignitosa. Lucia Perrotti fondò così questa realtà religiosa e culturale insieme. Oltre alla presenza a Cremona e in diverse realtà italiane, da tempo le Suore della Beata Vergine sono impegnate in missioni all’estero. Ne abbiamo parlato con madre Anna Maria Longoni, già superiora generale dell’Istituto.

Madre, il carisma delle Suore della Beata Vergine ha a cuore l’educazione: quanto è importante oggi dedicarsi ai più giovani?

«L’esperienza di madre Lucia Perotti continua a interpellare la coscienza e l’intelligenza di quanti credono nella difficile arte di accostarsi ai giovani motivandoli con certezze: un impegno difficile, ma reso possibile dall’attenzione costante che rivolgiamo ai nostri ragazzi e ai nostri giovani. L’apostolato principale al quale ci dedichiamo è infatti la scuola, portato avanti con l’entusiasmo che esce da una coscienza di fede e da una lettura attenta al mondo dei giovani. A Cremona abbiamo una scuola paritaria che accoglie i bambini della scuola primaria e secondaria di primo grado e i ragazzi che scelgono di frequentare un liceo linguistico».

Oltre a Cremona, però, siete presenti in altre città italiane.

«Sì, a Milano e a Trieste, dove abbiamo scuole dell’infanzia e primaria; e a Roma dove abbiamo una scuola dell’infanzia. Abbiamo poi case in Liguria, a Sestri Levante, e a Castione della Presolana, in provincia di Bergamo, dedicate ad attività estive e momenti di villeggiatura».

Ad un certo punto l’Italia è diventata troppo piccola…

«Nel 1950 la Congregazione si apre alle missioni, precisamente in Sri Lanka per opera di un vescovo italiano, monsignor Bernardo Regno. Nella casa di Gampola, piccola isola a sud dell’India, chiamata “la perla dell’Oceano Indiano”, si accolgono i bambini abbandonati, senza famiglia, orfani. Oggi sono un centinaio quelli affidati alle cure delle suore che vivono lì».

Ed è stato solo l’inizio…

«In Sri Lanka oggi la Congregazione è presente con nove missioni, tutte dedite all’accoglienza e all’istruzione. Qui i ragazzi possono frequentare fino alla scuola superiore e, se riescono, vengono accompagnati anche nel cammino universitario. La Missione diventa la loro famiglia e li segue ovunque. Dal 1964 siamo anche in Kenya: con gli anni anche qui siamo diventati sempre più grandi e ora siamo presenti con venti comunità e scuole attraverso le quali ci dedichiamo all’educazione».

Che cosa significa per voi oggi dedicarsi alla missione?

«In missione si fa di tutto: si fa scuola, si insegna un lavoro, si aiutano i giovani a formare una famiglia, si seguono gli ammalati e si è attenti alle varie necessità delle persone anziane, soprattutto di chi vive nelle capanne. Il messaggio di madre Lucia Perotti, la nostra fondatrice, si diffonde e opera in un’area geografica che si apre al rispetto del patrimonio culturale e dinamico di popoli diversi. Fare scuola diventa una missione apostolica, azione pastorale, occasione privilegiata di annuncio».