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«Effondi ora sopra questo eletto il tuo Spirito che regge e guida», il rito di ordinazione di un vescovo

In preparazione all’ordinazione episcopale di don Enrico Trevisi, vescovo eletto di Trieste, in programma nel pomeriggio di sabato 25 marzo nella Cattedrale di Cremona, il direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, don Daniele Piazzi, aiuta a capire i gesti e i segni del rito, che viene svolto all’interno di una celebrazione eucaristica e ha una struttura generale identica per i tre Ordini: episcopato, presbiterato, diaconato. Le diverse sezioni rituali offrono una lettura dei diversi ministeri ordinati propria di ogni grado attraverso testi, orazioni e gesti.

 

  1. Apertura del rito di ordinazione

Subito dopo il vangelo si invoca il dono dello Spirito con l’antico inno Veni, Creator. È la preghiera corale della comunità che chiede a Dio di agire in essa. Quindi viene presentato l’eletto: la presentazione ha lo scopo di coinvolgere l’intera Chiesa radunata per celebrare. La richiesta, infatti, è fatta a nome della Chiesa locale, nel caso di don Enrico dalla Chiesa di Trieste attraverso la voce e la presenza di due suoi presbiteri che lo assistono. Si vuole manifestare una Chiesa che riconosce i suoi ministri; inoltre viene richiesto il mandato del Papa, affinché la nomina sia in comunione con la Santa Sede.

 

  1. L’interrogazione davanti all’assemblea

Dopo l’omelia del Vescovo che presiede, l’eletto è interrogato sugli impegni che è chiamato ad assumere. Nel caso del vescovo il quadro generale di riferimento è quello della dinamica del pastore del popolo di Dio: predicazione, custodia della purezza e dell’integrità del dato della fede, edificazione del corpo di Cristo, fedeltà al Papa, cura del popolo di Dio, accoglienza dei poveri e dei bisognosi, in continua ricerca delle pecore smarrite, preghiera per il proprio popolo.

 

  1. L’ordinazione

Facciamo ancora come si legge negli Atti degli Apostoli: «Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (Atti 13, 2-3).

La preghiera della comunità si esprime nelle litanie dei santi. È uso tipico del rito romano invocare i fratelli e le sorelle maggiori quando si deve compiere un importante rito. Saranno invocati anche i patroni delle Diocesi di Trieste (i martiri Giusto, Sergio e Servolo) e di Cremona (Omobono, Imerio, Antonio Maria Zaccaria). È un grande momento corale di intercessione del popolo di Dio: tutti in ginocchio, l’eletto prostrato a terra.

La lunga e insistita supplica cantillata si chiude con il solenne e austero silenzio della imposizione delle mani da parte dei vescovi presenti: rito centrale che significa il dono dello Spirito e la “catena di mani” che ricollega agli apostoli al loro ministero.

La preghiera di ordinazione, durante la quale viene posto sopra il capo dell’eletto al ministero episcopale il libro dei Vangeli, per mettere meglio in luce come la fedele predicazione della parola di Dio sia il principale compito del vescovo. Il cuore della preghiera così si esprime: «Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida (Spiritum principalem   / Pνεῦμα ἡγεμονικόν  [Pnèuma heghemonikòn]): tu lo hai dato al tuo diletto Figlio Gesù Cristo ed egli lo ha trasmesso ai santi Apostoli, che nelle diverse parti della terra hanno fondato la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode perenne del tuo nome».

 

  1. I riti esplicativi

Seguono diversi riti secondari che, ricevuti dalla antica tradizione liturgica romano-franca (secc. IX – XIII), in un certo senso “spiegano” il ministero del vescovo:

  • unzione crismale del capo, per significare la particolare partecipazione del vescovo al sacerdozio di Cristo;
  • consegna del libro dei Vangeli, per rimarcare quanto detto prima sulla preminenza della predicazione della parola di Dio;
  • consegna dell’anello, per esprimere la fedeltà alla Chiesa, sposa di Dio;
  • l’imposizione della mitria, per esprimere l’impegno nel cammino di santità;
  • la consegna del pastorale, per meglio esprimere il ruolo di guida e di pastore della Chiesa che gli è affidato;
  • l’abbraccio dei vescovi presenti, con cui si pone quasi il sigillo alla sua aggregazione al Collegio episcopale.

 

  1. La benedizione finale all’assemblea

C’è un ultimo rito, stranamente non spiegato nelle Premesse del libro liturgico, ma significativo. Proclamata la preghiera dopo le comunioni, due vescovi accompagnano il nuovo vescovo in mezzo all’assemblea mentre si canta l’antico inno di ringraziamento, il Te Deum, perché benedica i fedeli. Oggi è un vero e proprio “bagno di folla” che sembra fisicamente riunire vescovo e fedeli. Quasi “immerso” nella comunità il vescovo appena ordinato sembra ritrovare la più autentica dimensione dell’episcopato, così come scriveva Agostino e richiamata dalla Bolla di nomina di don Enrico: «Che tu sia un vescovo per i tuoi fedeli, ma anche un cristiano tra i tuoi fedeli (Agostino, Omelia 340,1).

 

  1. Concludendo

Il rito di ordinazione traduce in gesti e preghiere lo specifico ministero del vescovo, così riassunto nelle Premesse al libro rituale: «La missione del vescovo, conferita con il segno sacramentale dell’imposizione delle mani, che effonde su di lui la potenza che viene da Dio, lo Spirito che regge e guida, è anzitutto in funzione di edificazione della Chiesa. La grazia del servizio episcopale, attraverso l’effusione dello Spirito invocata nell’ordinazione e sacramentalmente operata, ripropone dunque la centralità del servizio umile e potente del Cristo capo».

 

Daniele Piazzi

 

 

Ordinazione episcopale di mons. Trevisi, sabato venti vescovi in Cattedrale