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Don Bignami: «Un forte messaggio ai preti e alla Chiesa di oggi di essere all’altezza del messaggio di Don Primo»

La gioia per la visita del Papa si è arricchita anche dell’annuncio dell’avvio del processo diocesano per la beatificazione del servo di Dio don Mazzolari, il prossimo 18 settembre. A dirlo ufficialmente è stato il vescovo Antonio Napolioni il 20 giugno a Bozzolo durante l’incontro con Papa Francesco.

Tutto è ormai pronto, infatti, per iniziare a livello diocesano il processo di beatificazione, dopo i necessari processi preliminari, formati dall’intenso lavoro dei censori teologi e della commissione storica, voluti dall’allora vescovo Dante Lafranconi.

La Commissione storica ha espresso un giudizio favorevole, non senza fermarsi ad analizzare eventuali dubbi che potrebbero sorgere in sede di tribunale. L’analisi della documentazione raccolta è stata fatta nella sua completezza.

Parere favorevole è emerso anche dai periti teologi nominati ad hoc. Entrambi hanno sottolineato che negli scritti di don Mazzolari non si vede nulla che possa configurarsi come eresia, sia in campo dottrinale sia in questioni di morale. Anzi, uno studio analitico delle sue pubblicazioni mostra la costante preoccupazione di don Primo di rimanere fedele alla verità. Inoltre, circa l’antropologia cristiana, si è evidenziato quanto lucida fosse la distanza del pensiero di Mazzolari dalle ideologie diffuse nel suo tempo. In particolare, emerge in lui una profonda sensibilità cristologica: egli ha saputo leggere la storia con la lente della fede in Cristo.

I frutti di questo lavoro sono stati consegnati lo scorso febbraio al vescovo Antonio Napolioni, che ha quindi deciso di far partire il processo vero e proprio.

Si provvederà quindi alla nomina dei membri del Tribunale diocesano (il Delegato episcopale, il Promotore di Giustizia e un notaio) che si insedierà proprio nella data scelta per dare il via ufficiale alla Causa di beatificazione.

Proprio il postulatore della Causa, don Bruno Bignami, anche presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, è stato intervistato da Alessandro Gisotti, della Radio Vaticana, al termine della visita del Papa a Bozzolo, cogliendo il profondo significato della giornata del 20 giugno.

«Un forte messaggio ai preti e alla Chiesa di oggi di essere all’altezza del messaggio di Don Primo Mazzolari. Questo significa in primo luogo conoscerlo e farlo proprio e in secondo luogo cercare di attualizzarlo e di viverlo dentro il nostro contesto: una Chiesa che è diversa, che vive un secolo dopo ma che si trova ad affrontare anche tante sfide che Don Primo ha affrontato dentro la sua vita».

Un discorso pieno di citazioni di scritti di don Mazzolari…
«Non solo, ma le citazioni che lui ha fatto di Don Primo sono citazioni che potrebbero essere prese da alcuni discorsi di Papa Francesco in questi ultimi anni. Questo dice la grande attualità del messaggio mazzolariano e dice la grande consonanza tra i due».

Per lei che è il postulatore che cosa rappresenta questa Beatificazione?
«Significa sicuramente portare avanti e avere la consapevolezza che quello che stiamo facendo è veramente un messaggio ricco e straordinario. Per i tempi vedremo. Però il fatto che sia stato oggi annunciato, anche questo è significativo perché vuol dire anche avere affidato al Papa quel percorso e in qualche modo la benedizione sull’intero corso del processo di Beatificazione».

C’è stato un momento privato ma non per questo meno importante: la visita in Sagrestia nell’umile ufficio di Don Mazzolari…
«Papa Francesco si è mostrato molto curioso di vedere i luoghi di Don Primo e anche di capire alcuni particolari della sua vita che gli abbiamo raccontato perchè, secondo me, venendo qui nei luoghi di Don Primo, è riuscito a entrare nel suo mondo. Ci ha fatto piacere per esempio il fatto che abbia ascoltato con grande attenzione quello che gli abbiamo raccontato rispetto ai documenti che gli abbiamo fatto vedere e che noi custodiamo in fondazione. Ci ha detto e ci ha esplicitamente esortato a continuare l’opera che stiamo facendo e quindi direi che più di così non potevamo pretendere».