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Intervista a suor Maria Domenica della Salus Animarum

Domenica 16 giugno, alle 10.30, nella chiesa monastica di S. Sigismondo, a Cremona, emetterà la professione solenne suor Maria Domenica della Salus Animarum. La giovane monaca domenicana, al secolo Debora Morabito, 34 anni, originaria proprio della città di Cremona, è cresciuta nella parrocchia di S. Francesco d’Assisi, nel quartiere Zaist. A presiedere la solenne Eucaristia sarà padre Daniele Drago, vicario del maestro generale dell’Ordine dei frati predicatori. In vista della professione abbiamo rivolto a suor Maria Domenica alcune domande.

Suor Maria Domenica, perché consacrare la propria vita al Signore perché proprio come monaca di clausura?

«Perché la vocazione claustrale è la più vicina alla vocazione missionaria, finalizzata alla predicazione del Vangelo. In clausura posso non solo predicare con la vita, ma dare la mia vita per l’evangelizzazione, proprio come chi va in missione o fa catechesi».

Che significato ha, oggi, la vita contemplativa?

«La vita contemplativa, segno di spreco e di gratuità, è una pietra d’inciampo per la cultura odierna protesa all’arrivismo, al successo e al profitto».

In questi anni di clausura che cosa ha scoperto che non si sarebbe immaginata di trovare?

«Ho scoperto innanzitutto il mio limite di creatura. In clausura, inoltre, vivo con le consorelle relazioni vere e autentiche, realtà a volte sconosciuta per chi vive immerso nel “mondo virtuale”».

Questa forma di vita, vissuta nel nascondimento, in che modo riesce a essere in comunione con la Chiesa universale e diocesana?

«L’opera della Redenzione compiuta da Cristo ha tanti aspetti e tante sfaccettature, ma l’elemento centrale è la relazione con il Padre. La vocazione claustrale prolunga nella preghiera quotidiana la relazione d’amore di Gesù con il Padre. Lì si realizza la comunione con la Chiesa universale e diocesana. Non pensavo davvero di trovare, in una realtà come la clausura, tanta attenzione e senso di appartenenza alla Chiesa».

Che rapporto c’è tra il vostro monastero e le comunità del territorio?

«La relazione con Dio genera buone relazioni con tutti: con le comunità religiose, sempre attente e cordiali nei nostri confronti; con le comunità parrocchiali della città e della diocesi, che si accostano al monastero per condividere momenti di preghiera o di testimonianza».

Come è maturata la sua vocazione?

«La mia infanzia è trascorsa tra casa, scuola e oratorio della mia parrocchia di S. Francesco. Ma, con l’inizio degli studi universitari, incominciai ad allontanarmi dalla pratica religiosa: non volevo sentirmi vincolata a nessuno e Dio non mi interessava più. Ho continuato gli studi, ho fatto diversi lavori, fino a quando – e questo non so esprimerlo a parole – il Signore mi ha afferrata facendomi sentire tutto il vuoto di ciò che andavo cercando. Durante i due anni di cammino vocazionale con la madre priora del monastero, ho concluso gli studi con la discussione della laurea, mi sono dedicata a un’attività di volontariato e ho iniziato l’accompagnamento con un padre spirituale. Nel 2013, a 28 anni, sono entrata in monastero».

Questi primi anni di vita monastica come l’hanno aiutata?

«Gli anni di formazione iniziale sono stati anni di crescita umana e spirituale. Ho imparato a mettere a frutto tanti talenti che non sapevo nemmeno di avere, e ho imparato ad accettare e assumere quanto c’è in me di negativo affidandomi alla grazia di Dio».

Secondo lei, oggi i giovani sono capaci di scegliere un “sì” per sempre?

«Credo che ci siano molti pregiudizi nel considerare i giovani di oggi incapaci di dire un sì per sempre. I giovani cercano anche oggi ideali grandi per poter dare tutto».

Che cosa, a sua parere, ostacola maggiormente un giovane a rispondere alla propria vocazione?

«Quello che può essere di impedimento è la superficialità. I messaggi sono tanti e passano in fretta senza lasciare spazio a quella risonanza interiore che accende il cuore e lo determinerebbe alle grandi scelte della vita».