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Divorziati risposati. Un volume del teologo francese Philippe Bordeyne aiuta a fare chiarezza

Pur ponendosi in continuità con l’insegnamento teologico e spirituale della Chiesa, non da ultimo l’esortazione apostolica Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, l’Amoris laetitia di Papa Francesco ha aperto prospettive nuove nell’approccio alla realtà del matrimonio. Tuttavia, come ogni novità, ha suscitato entusiasmi, adesioni, ma anche perplessità, resistenze e incomprensioni. A fare chiarezza sui punti più controversi è Philippe Bordeyne, sacerdote e teologo moralista francese, rettore dell’Institut Catholique di Parigi e autore di “Portare la legge a compimento. Amoris laetitia sulle situazioni matrimoniali fragili”. Edito dalla Libreria Editrice Vaticana – Dicastero per la comunicazione, il volume contiene la traduzione in lingua italiana del testo francese “Divorcés remariés: ce qui change avec François”.

Due le parti del libro. La prima affronta il contenuto di Amoris laetitia; la seconda affronta più specificamente il tema del discernimento per l’integrazione delle coppie in situazioni complesse e mostra i punti di contatto con Evangelii gaudium, documento programmatico del magistero di Francesco.

Centrale il discernimento: Papa Francesco esorta ad accompagnare, discernere, integrare la fragilità insistendo “sulla dimensione personale del discernimento”, annota il teologo francese, cammino che si po’ iniziare di fronte a “una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro”. In alcuni casi, chiarisce invece il Papa, sarebbe irragionevole pensare a un cammino di discernimento, “sia perché le persone non vi sarebbero realmente disposte” e “sia perché una tale proposta rischierebbe di alimentare una confusione sulla gravità del divorzio e sulle sue conseguenze”. Dunque, spiega Bordeyne, contrariamente a certe attese, “il Papa non prevede di fare coincidere un cammino di discernimento con il periodo del nuovo matrimonio civile“ non prevede nessuna forma di celebrazione in chiesa in occasione di queste nozze.

Invitando i divorziati risposati a fare un esame di coscienza sul loro comportamento durante la crisi del precedente matrimonio, il Papa “focalizza l’attenzione su condizionamenti e circostanze “che attenuano la responsabilità morale’”. Tra queste ultime, “fattori psichici e sociali” per i quali “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate”. Questo, annota il teologo, “permette di non poter più dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”. Si tratta infatti di “conoscere l’ideale” ma anche “riconoscere ‘il bene possibile’” in quel determinato momento e cercare di raggiungerlo. Si può dunque rimanere in una nuova unione senza “per questo vivere in stato di peccato mortale.

Da questo punto di vista – osserva Bordeyne -, le chiarificazioni di Francesco sono decisive. Mettono insieme una serie di considerazioni ben note alla teologia morale cattolica, ma poco applicate nella pastorale” all’interno della quale la questione sacramentale è posta spesso in modo prematuro”. E in tale orizzonte bisogna capire “l’affermazione molto forte di AL 306″: “In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis’”, via che è “alla portata di tutti e procura il perdono dei peccati”.

“Per quanto riguarda il modo sacramentale dell’integrazione ecclesiale delle persone divorziate risposate – scrive ancora il teologo -, la parola del Papa è discreta e circoscritta, ma c’è” e “si trova esplicitamente nella nota 336 di AL in cui si affronta la questione della ‘disciplina dei sacramenti’ e nella nota 351 in cui parla di ‘aiuto dei sacramenti’, nominando specificamente ‘il confessionale’ e ‘l’Eucaristia’”.

Quanto all’affermazione dell’indissolubilità del matrimonio, nell’esortazione apostolica “ritorna ben undici volte”, sostiene Bordeyne precisando: “Francesco afferma, molto chiaramente, che ‘comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano’ (AL 307)”. L’autore del volume ricorda inoltre che, “fedelmente al contenuto della Sacra Scrittura, la tradizione cristiana considera unanimemente l’adulterio come una colpa grave e che i motivi per i quali i divorziati risposati non possono fare la comunione” sono enunciati nel n. 84 di Familiaris consortio.

Alla luce di quanto detto finora, “bisogna affermare la validità della norma generale, e cioè che i fedeli coinvolti in una nuova unione non possono fare la comunione.

Il processo di discernimento personale e pastorale non può esonerare da questa norma”. Questa resta la via più sicura e auspicabile per essere fedeli a Dio dopo la rottura di un matrimonio, la cui nullità non è stata riconosciuta alla conclusione di una procedura canonica. La via generale dell’integrazione spirituale al popolo di Dio rimane allora “la comunione di desiderio alimentata dalla grazia del battesimo”.

Tuttavia, nel caso in cui il discernimento conduca ad avvicinarsi alla mensa eucaristica, bisogna raccomandare la più grande discrezione, “per evitare lo scandalo o lo scoraggiamento di altri fedeli che lottano per rimanere fedeli a Dio in questo ambito”, afferma ancora Francesco. “Nella misura in cui il discernimento personale e pastorale è in ultima analisi di ordine spirituale – chiosa Bordeyne-, è giusto che l’incontro con Dio che l’ha reso possibile rimanga avvolto nella discrezione”.

(Agensir)