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L’età post-tridentina

Con gli inizi del XVII secolo, per Cremona e il suo territorio prende l’avvio un lento e inesorabile declino: già provata da una grave crisi economica, la città riceverà un colpo mortale dalla terribile peste del 1630 che porterà ad un sensibilissimo calo demografico: quasi la metà della popolazione urbana. Anche per quanto riguarda la vita ecclesiale, l’inizio del secolo segna un ulteriore ridimensionamento del territorio diocesano che assume, salvo qualche piccola ulteriore variazione, l’assetto attuale: dopo la perdita di una vasta area nel settore sud occidentale (21 parrocchie), intorno al 1580, per la costituzione della diocesi di Crema, nel 1601 vengono staccate le 25 parrocchie dell’Oltre Po (nella zona tra Monticelli d’Ongina, Zibello e Busseto) che passano a far parte della nuova diocesi di Borgo San Donnino (oggi Fidenza).

Fino al 1643, comunque, la diocesi continua a godere di un notevole prestigio e di una certa vitalità istituzionale, in concomitanza con il lungo episcopato di Pietro Campori (modenese e già segretario dello Speciano) l’ultimo cardinale chiamato, dal 1621, alla sede di Cremona, assai influente presso la Curia Romana (considerato tra i più sicuri “papabili” in un paio di conclavi) e in grado di garantire alla città la presenza di illustri predicatori e la concessione di particolari privilegi apostolici. Negli anni successivi all’episcopato del Campori, segue un lungo e tormentato periodo segnato dalla guerra e dalla violenza privata, cause di devastazioni e insicurezza che si riflettono, inevitabilmente, anche nell’ambito religioso: la vita diocesana si avvilisce in una quotidianità fatta di ristrettezze economiche e di isolamento, con una serie di vescovi che, pur restando fedeli al modello tridentino, sembra si limitino ad una pura opera di conservazione.

Campori

 

 

 

 

Il Vescovo

Pietro Campori

 

 

 

 

Con la prima metà del XVIII secolo si registra, però (così come accade anche in numerose altre diocesi italiane), un sensibile risveglio religioso, che viene a coincidere, in modo particolare, con gli episcopati di Carlo Ottaviano Guachi (1704-1717) e, soprattutto, di Alessandro Litta (1718-1749). Il Litta, appena giunto in diocesi, diede inizio ad una accurata visita pastorale, al termine della quale, nel 1726, indisse il Sinodo (celebrato l’anno successivo), preparato con un’indagine compiuta dai vicari foranei sullo stato reale delle parrocchie e sulla pratica religiosa. Particolarmente intensa ed efficace fu l’attività di questo vescovo a vantaggio del clero (si ricordi l’impegno per il Seminario e l’opera di riorganizzazione e di “riforma” della Curia), dei monasteri femminili, delle confraternite e luoghi pii e del popolo in generale; per quest’ultimo, in particolare, promosse un’intensa ripresa dell’istruzione catechistica, riattivando e potenziando le antiche scuole della Dottrina Cristiana, e vigilò sulle diverse forme della religiosità e della devozione popolare, richiamando spesso ad una soda pietà, purificata da sovrastrutture, esagerazioni o esteriorità eccessive, secondo le spirito dell’amico e corrispondente Ludovico Antonio Muratori.

Nella seconda metà del secolo, caratterizzata dall’episcopato, altrettanto lungo, di Ignazio Maria Fraganeschi (1749-1790), la diocesi (così fiorente nei decenni precedenti) conobbe di nuovo un periodo di crisi, a causa, soprattutto, delle pesanti ingerenze del giurisdizionalismo teresiano-giuseppino e dell’influsso dei profondi mutamenti politici che, verso la fine del secolo, determinarono per la vita religiosa della città e della diocesi, la fine, per molti aspetti traumatica, di un’epoca storica. Per avere almeno un’idea di questa profonda trasformazione, basti pensare alle innumerevoli soppressioni che portarono, nel giro di pochi decenni, alla scomparsa di circa 30 monasteri femminili, oltre 60 conventi o monasteri maschili e quasi 250 confraternite. In Cremona, inoltre, vennero soppresse ben 29 delle 37 parrocchie esistenti, e delle circa 100 chiese (comprese quelle sussidiarie, quelle monastiche e gli oratori pubblici) oltre 70 vennero distrutte o profanate.