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De Palo: «Non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti»

Politica, bene comune, leadership, consenso, famiglia. Sono queste “le parolacce” intorno alle quali è ruotato lunedì 17 giugno il seguitissimo incontro dell’Happening con protagonista Gigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni familiari. Incalzato da Cristiano Guarneri, il giovane politico e padre di famiglia (sposato con Anna Chiara, ha cinque figli) ha raccontato l’inizio del suo impegno in politica e soprattutto per le migliaia di famiglie italiane oggi troppo spesso dimenticate.

«Sono cresciuto in parrocchia, sono un cattolico semplice. Poi è accaduto qualcosa di importante: partecipai alla giornata mondiale della gioventù a Tor Vergata nel 2000. Giovanni Paolo II invitò tutti i giovani presenti a impegnarsi, con quel “voi non vi rassegnerete” che divenne epocale. In quel momento capii che avevo una chiamata, quella di impegnarmi per il bene comune». Diventa così presidente delle Acli di Roma a soli 25 anni e sei anni dopo viene scelto come assessore alla famiglia, alla scuola e ai giovani di Roma.«Avevo già tre figli. Sono diventato subito un appestato per aver detto di sì al bene comune».

Così quando Guarneri domanda che cosa sia davvero per lui il bene comune, De Palo non ha dubbi.«Il bene comune ha a che fare con te, ma non è il tuo interesse particolare». Ci sono due episodi che lo dimostrano, racconta. Il primo lo vede protagonista in prima persona. Giovane studente non troppo brillante, lavora anche come «scaricatore di giornali» all’alba e collabora con un’agenzia di stampa per lo sport. Una sera, rientrando stanchissimo a casa, si accorge che l’ascensore non funziona. Qualche furbastro non ha chiuso le porte e così deve essersi bloccato. Decide di salire a piedi. Una volta in casa, però, si fa insistente il pensiero dell’anziana Teresa, una vicina di casa che fatica a fare le scale e l’indomani non avrebbe saputo come andare a Messa. Così, sebbene stanchissimo, De Palo esce di nuovo, sale al sesto piano e sblocca l’ascensore. Il secondo episodio riguarda la politica. «Quando ero assessore, mi ritrovai un sabato al mercato. Da un lato c’erano i negozianti che giustamente cercavano di vendere, dall’altro dei disabili che per promuovere la propria associazione stavano tenendo una sorta di concerto con le percussioni piuttosto fastidioso. Erano entrambe cose giuste sebbene in conflitto ed è stato lì – nella babele che si stava verificando – che ho capito che non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti,  ma serve un amministratore che possa armonizzare tutto quanto. Lavorare per il bene comune significa creare il terreno perché il seme di ciascuno di noi possa portare frutto. Un compito faticoso. Il bene comune è un massacro e presuppone che un politico sia martirizzato (come dice il Papa) al servizio di questo massacro».

Parla chiaro, De Palo. Sa che oggi parlare di politica e famiglia risulta noioso, ma la colpa – assicura – non è solo dei media o delle lobby, quanto piuttosto di una narrazione vecchia e stantia di cui tanta parte del mondo cattolico si è fatta complice. Ecco perché il suo impegno ruota tutto intorno al tema della famiglia, per ridarle la dignità che merita. «Faccio proposte per migliorare la vita delle famiglie. È politica. Non è una parolaccia. Abbiamo raccontato la famiglia come qualcosa di triste e angosciante,  mentre è l’avventura più grande. Idem la politica. È necessaria. Servono meno politici cattolici ma più cattolici in politica. E serve umiltà della semina: sono tanti anni che non si semina. Per poter incidere veramente a livello politico come cattolici e come famiglie, serve un lavoro lungo e paziente, perché il consenso – assicura –  è direttamente proporzionale si piedi che tu riesci a lavare in un territorio. E serve una narrazione positiva di quello che viene fatto: questo sarà poi premiato con voti reali».

L’affondo è chiaro. «Questo manca oggi al mondo cattolico. Chi oggi è in politica come cattolico vive spesso la logica del santino, ma un seggio assegnato senza lo sforzo di un lavoro di medio-lungo periodo ti fa essere succube di chi quel seggio te l’ha dato e non costruisce nulla. Noi dobbiamo smuovere dal basso quelle leadership territoriali già esistenti e fare un’organizzazione con unico concetto, un’unica linea guida: quella del dare la vita». Racconta della sua, di famiglia. Del matrimonio con Anna Chiara, dei loro cinque figli, di cui l’ultimo – Giorgio Maria – è nato con la sindrome di Down.

«La famiglia è una bellezza che va raccontata. Io continuo ad amare mia moglie nonostante le litigate e desidero tornare da lei e dai miei figli ogni sera e so che un domani le mie figlie desidereranno essere amate dagli uomini così come hanno visto fare dal papà e dalla mamma. La bellezza della famiglia è quella di un luogo dove non si censura nulla, neanche le discussioni. Ma il problema è che oggi noi cattolici siamo sciatti, diamo sempre la colpa agli altri visto che il messaggio cristiano sembra sparire. Eppure siamo presentissimi in Italia: ci sono i corsi per il battesimo, la comunione, la cresima. L’88% dei ragazzi italiani si avvale dell’insegnamento della religione cattolica. Eppure non incidiamo più nella vita politica e comune. Perché? Perché – come dice sempre mia moglie – ci siamo concentrati solo sul ribadire concetti sacrosanti senza più portare però la concretezza della bellezza di una vita vissuta. E’ come ribadire che per fare il pane servono farina, lievito, sale, acqua e non far sentire più il profumo di quel pane che fa venire l’acquolina. Noi cattolici abbiamo fatto per anni  l’elenco degli ingredienti ‘giusti’ per una famiglia, ma non abbiamo suscitato l’acquolina in bocca perché uno voglia formarla. Io ho scelto di sposarmi quando ho incontrato una famiglia con quattro figli FELICE. E ho desiderato, per invidia, che fosse così anche per me». Si può ripartire da qui. È un invito aperto a tutti, anche a Cremona.  Nel solco di quel “voi non vi rassegnerete».