1

Dal Vescovo alcune indicazioni pastorali in attesa della visita del Santo Padre

Di seguito pubblichiamo la lettera del vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, indirizzata alla Diocesi di Cremona in vista della visita del Santo Padre Francesco sulla tomba di don Primo Mazzolari, a Bozzolo, il prossimo 20 giugno.

 

Ai sacerdoti e ai fedeli della Chiesa di Cremona

Carissimi fratelli e amici,

domenica 23 aprile ci è giunta, del tutto inaspettata, la notizia che il Papa verrà a Bozzolo, il prossimo martedì 20 giugno 2017, per pregare sulla tomba di don Primo Mazzolari, e parlarci della sua lezione di vita cristiana e sacerdotale. La gioia è veramente grande, amplificata dal sapere che, nello stesso giorno, papa Francesco raggiungerà anche Barbiana, per analogo riconoscimento nei confronti di un altro grande prete del Novecento, don Lorenzo Milani.

Intellettuali e giornalisti avranno di che scrivere intorno a questo “segno dei tempi”, collocandolo nell’evoluzione dell’articolato rapporto tra Chiesa e mondo, tra Vangelo e società. Lascio a loro, e al conseguente inevitabile dibattito, questi approcci. Come Vescovo della Chiesa di Dio che è in Cremona, devo ora rivolgere parole di fede e qualche indicazione pastorale alla comunità diocesana, dopo aver già espresso al Santo Padre la nostra immensa gratitudine per questo gesto, che pregustiamo carico di spiritualità, richiamo alle nostre responsabilità, impulso alla comunione e alla missione.

Prendo in prestito dalla Evangelii Gaudium di Papa Francesco i quattro principi che orientano la vita sociale, e che mi pare possano illuminare anche quanto stiamo vivendo.

Il tempo è superiore allo spazio, o più semplicemente come recita un detto: “il tempo è galantuomo”. Non è certo la prima volta che uomini di Chiesa vengono riconosciuti come uomini di Dio non tanto lungo i giorni del loro percorso terreno, segnato da incomprensioni e sofferenze, ma ben più tardi, quando un certo distacco emotivo ne fa risaltare la profezia e riscoprire le tracce. Già Papa Paolo VI riconobbe che questo è “il destino dei profeti”: don Primo “camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro!”. Con lo sguardo fisso al Vangelo e alla vita della sua gente, egli ha attivato processi di coscientizzazione e formazione che hanno inciso in generazioni di preti e di laici, specie là dove non vi interferivano pregiudizi locali e miopie clericali. Anche oggi, la parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-30) ripropone l’urgenza di un discernimento paziente e rispettoso, ma anche schiettamente orientato dalla fede, perché tutta la vita, ogni vita, abbia accoglienza degna dei figli di Dio.

L’unità prevale sul conflitto: i tempi in cui Mazzolari ha vissuto il suo sacerdozio non erano certo meno aspri e conflittuali dei nostri. Le due guerre, il fascismo, la resistenza, i due blocchi, non solo in campo mondiale, ma anche nelle piazze e nelle famiglie dei nostri paesi, generavano una tensione crescente, che il parroco di Cicognara e di Bozzolo ha lasciato penetrasse nel suo cuore di pastore, senza risparmiarsi i dolori interiori che Gesù partecipa a chi lo segue davvero. La sua ricerca di composizione ed unità non era mai irenismo a buon mercato, ma l’impegno quotidiano di chi è sulla porta del “focolare che non conosce assenze”, al punto da non innalzare muri tra i nostri e gli altri, e riconoscere nei “lontani” l’unica propria famiglia. La pastorale inclusiva, del dialogo e della convivialità, che da don Tonino Bello a papa Francesco, sembra intuizione del nostro tempo, ha radici lontane ed esempi concreti, di cui la storia della santità è ricchissima. E ciò ci conforta e ci incoraggia a non temere. Anche le concrete prospettive di maggiore unità e collaborazione tra paesi e parrocchie, tra gruppi e nuove esperienze spirituali, è dono di Dio, che ci stana dall’immobilismo sterile e ci risparmia il dramma della solitudine.

La realtà è più importante dell’idea: don Primo è certamente un apostolo del Verbo incarnato, predicatore instancabile del Dio fatto uomo, fatto realtà, fatto mondo. Immagino la gioia di Papa Francesco, man mano che va leggendo Mazzolari e scopre in lui un’intensissima consonanza di pensiero e di linguaggio, perché entrambi conquistati dal Dio venuto nella carne, particolarmente nascosto e presente nelle membra più piccole e sofferenti del popolo di Dio. Misericordia e tenerezza diventano così i connotati di una rivoluzione che non ha carattere ideologico, ma è esigita e manifestata dalla realtà delle cose, tra le macerie e gli scarti che la società globalizzata non smette di produrre, senza pietà.

Il tutto è superiore alla parte: un prete così non si può tirare per la giacca e farlo diventare di qualcuno contro qualcun altro. Non perché don Mazzolari sia asettico, imparziale come un arbitro non giocatore, ma perché prende evangelicamente le parti del più debole di turno, di ogni povertà, anche quella del ricco e dell’apparentemente potente, perché ritrovi se stesso, mentre si va perdendo. Parroco di Bozzolo e parroco d’Italia, a costo di uscire spesso dai ristretti confini della propria parrocchia. La ricerca instancabile del bene comune, quello che fa bene a tutti, senza esclusioni, guidava il suo ministero come guida oggi anche la pastorale di Francesco e della Chiesa, finalmente umile serva della vita del mondo. La Gaudium et Spes era già in filigrana, anche nelle frequentazioni di don Primo con altri spiriti cristiani di quei decenni, e ne avvertiamo lo spessore, rileggendo la puntualità dei suoi discernimenti e delle sfide che raccoglieva e rilanciava, senza paura.

Così, pugno di lievito nella massa e con la massa (Mt 13,33), facciamo festa al Papa che viene a Bozzolo, non come una fazione che celebra i suoi eroi, ma come un popolo che riconosce l’amore dei suoi padri, che tra mille difetti han cercato di esser padri di tutti, specie dei più disgraziati. Ascolteremo, ne sono certo, una lezione di passione cristiana per la vita degli uomini, di cui innanzitutto noi sacerdoti abbiamo sempre bisogno. Il Papa ci ricorda che non abbiamo motivo di disperare o di scoraggiarci, perché la nostra terra ha già partorito tante volte uomini capaci di dirci e darci il Vangelo senza sconti, e anche senza pregiudizi, coscienti che il Vangelo è stato scritto perché tutti “credendo, abbiano la vita nel Suo nome” (Gv 20,31).

Pregustiamo l’incontro del 20 giugno, preparandoci nella preghiera e magari nella rilettura degli scritti di don Primo. Non mancheranno indicazioni chiare sulle modalità della possibile partecipazione. Quell’ora e mezza accanto al Papa e a don Primo ci servirà non a sentirci importanti, perché visibili, ma a riconoscerci guidati, umanissimamente, dal Signore che ha voluto così la sua Chiesa, popolo in cammino sulle strade del mondo, cantiere del Regno eterno del Padre.

+ Antonio Napolioni, vescovo

 

Pdf della lettera