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«Come bambini nelle braccia di Dio». Il vescovo Antonio parla del ricovero, della malattia e della speranza che non si spegne

«Ogni mamma al bambino che è caduto dice che “non è nulla”. Sa di dire una mezza bugia però noi nelle braccia di Dio siamo questi bambini». A pochi giorni dal suo ritorno a casa dopo il ricovero in ospedale per il COvid-19, il vescovo Antonio racconta la sua esperienza e guarda al contesto generale di questa situazione di emergenza che riguarda la società e la Chiesa, in una bella intervista pubblicata oggi sul quotidiano Avvenire.

Rivivendo i giorni di isolamento e di cura trascorsi nel reparto di Pneumologia dell’Ospedale di Cremona, il pensiero del vescovo va ai medici e agli operatori sanitari: «Ho riscontrato grande slancio di medici e paramedici, una lezione di umanità e competenza, di dedizione impressionante. E poi quanto garbo e stile. Chiedono il sostegno della preghiera – aggiunge -. Continuerò a pregare per loro e con loro.».

Così poi monsignor Napolioni risponde alla domnda su cosa porterà dentro di sé di questa esperienza: «È presto per rendermene conto. Nei mesi scorsi tra di me pensavo che il vescovo si deve identificare con la gente. Nelle Marche ero alle prese con il terremoto, a Cremona pensavo a possibili alluvioni, non certo ad una pandemia virale. È la vita che ci chiede di condividere la realtà. Non c’è tempo per fare tanti ragionamenti. Nella realtà non è mai impedito di amare e spendersi o anche solo di sopportare».

Nelle parole del vescovo la vicinanza della Cei, ai sacerdoti della diocesi che restano «a disposizione delle persone, specialmente le più sole» anche attraverso la comunicazione digitale, e ai malati, ai tanti che vivono giorni di sofferenza e a volte muoiono senza il conforto dei parenti: «È una Quaresima assurda – riflette – ma per un certo verso perfetta. Gesù è nel deserto per quaranta giorni, lotta con il diavolo. La Quaresima non è la bellezza dei riti ma è il mistero profondo del male, della morte e della disperazione che ci sono. Ma anche del Signore che c’è. Bisogna riconoscere la sua presenza.»

«Sicuramente – conclude il vescovo – questa situazione è una grande scuola sui nostri stili di vita. È noto che il Paese si unisce nel dolore, che si riscoprono i veri rapporti. Poi stanno emergendo risorse di umanità e competenza di cui essere fieri».

L’intervista completa sull’edizione di Avvenire del 18 marzo 2020