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CL, la giornata comune nel ricordo di don Bellani

Dieci anni fa moriva don Natale Bellani, sacerdote castelleonese “di stanza” a Cremona. Parroco a San Pietro al Po prima e a Bonemerse poi, fu per generazioni di giovani un punto di riferimento forte nella fede e nelle diverse circostanze (belle o brutte che siano) che la vita mette di fronte. Profondamente innamorato di Cristo, obbediente alla Chiesa e legato al Movimento di Comunione e Liberazione, è ancora oggi per molti una figura a cui guardare. Anche per questo CL ha voluto dedicare la giornata comune, svoltasi domenica 6 ottobre in Seminario, al ricordo – non nostalgico – di questo sacerdote.

Al tavolo dei relatori si sono avvicendanti Paolo Mirri (responsabile di CL a Cremona), Cristiano Guarneri (giornalista), don Antonio Moro e Gianfranco, un giovane padre che molto deve alla paternità di don Natale nei suoi confronti. «Siamo qui non per celebrare il ricordo di qualcuno che non c’è più – ha detto Mirri al folto pubblico – ma perché possiamo essere incoraggiati dalla paternità e autorità di un amico che ha fatto veramente esperienza di Cristo. Anche per questo ascolteremo la testimonianza di persone che vivono ancora di quel seme da lui germogliato».

Il primo a intervenire è Cristiano Guarneri. Dopo aver ripercorso brevemente la vita di don Natale – nato a Castelleone il 23 settembre del 1946 – e il suo percorso umano e di fede, Guarneri ha portato la propria esperienza di amicizia con don Bellani. «Ero giovane e insieme a mio fratello Simone avevamo il pallino della musica. Io suonavo la chitarra, lui il basso. Siccome frequentavamo l’oratorio, eravamo abituati a un dialogo schietto con il don. Lui ci prendeva sempre sul serio. Anche quando gli leggevamo – noi giovanissimi – delle poesie di Jim Morrison o come quando ci diede lo spazio per poter avere una sala prove dove suonare. Si ricordava di ciascuno, di ciascuno alla sera ripeteva il nome per affidarlo a Dio e fissarselo nel cuore. Anche per questo ci affascinava e poi quel fascino è diventato un affetto, che rimane ancora oggi. Perché ci parlava di cose grandi e vere, e noi lo capivamo».

Anche “Genfry” è uno di quelli che allora frequentavano l’oratorio di Bonemerse. «Arrivai lì dopo il divorzio dei mie genitori, in una condizione molto difficile. A 16 anni allora iniziai ad abitare nella casa del vicario, che era vuota. Ho avuto la fortuna di poter vedere con quale attenzione pregava, cantava, come si dedicava ai ragazzi, alle persone in difficoltà. Soprattutto ero colpito dalla sua amicizia con gli altri sacerdoti di CL, con cui si trovava regolarmente. E poi dalla sua cultura e dalla sua fede: ci invitava sempre a pregare il vespro, e io lo seguivo. Per me è stato un padre e oggi che io sono diventato papà, indico a mio figlio le stesse cose».

Commosso e delicato anche il racconto di don Antonio Moro, prossimo ai 50 anni di sacerdozio, di cui moltissimi passati nella parrocchia di Stagno Lombardo, non lontano da Bonemerse. «L’ho sempre considerato un grande prete. Era felice di essere prete. Quando ci incontravamo in casa sua, vedevo la grandezza del suo lato umano: guardavo cosa aveva aula sua scrivania, cosa leggeva, cosa meditava e restavo sempre colpito perché io ero un lazzarone sotto questo aspetto. Io gli dicevo “stai più quieto”, lui invece aveva una energia di lavoro che mi stupiva. Si presentava sempre felice e se poteva cantava. In sagrestia cantava, in casa cantava il gregoriano ed era felice. Lo guardavo e lo ammiravo. Come accoglieva me, accoglieva anche gli altri sacerdoti, pieno di delicatezza e serietà. Accoglieva anche i fratelli nel bisogno, accompagnava i giovani e non li abbandonava mai. Verso la fine, venne quella dolorosa e terribile malattia: mi ha colpito la preghiera dei suoi figli. Quella casa là (la casa parrocchiale di Bonemerse, ndr). Quante volte mi sono chiesto: “ma reggerà il pavimento?”, tanto c’era gente a pregare e a cantare intorno al suo capezzale. Credo  che oggi sia in paradiso a cantare le lodi del Signore. La Messa che diremo sarà per lui ma per chiedere la grazia di restare in un cammino che lui ci ha dato di incontrare: quello rivolto a Gesù».

La conclusione è ancora di Mirri: “Questa figliolanza che ha vissuto lui con Cristo deve essere per noi oggi sfida per una vita nuova, alla continua ricerca di questa paternità e autorità”.

La giornata è continuata con la celebrazione dell’Eucaristia e la possibilità di vedere una mostra dedicata proprio a don Bellani.

 

Il ricordo di don Natale Bellani a 10 anni dalla morte