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Cinque donne ucraine con tre bambini accolte a Cremona nell’unità pastorale “Don Primo Mazzolari”: mobilitazione solidale delle comunità

È un 8 marzo con poca voglia di festeggiare per le donne di Ucraina. Semmai di gridare. Veronika parla a nome delle donne della sua famiglia, fuggite da sole da Leopoli, città Ucraina a pochi chilometri dalla frontiera con la Polonia, e giunte a Cremona dopo quattro giorni di viaggio, ma nella nella sua voce ferma si coglie la fierezza di un popolo che soffre e resiste: «Mamme di tutta la Russia, aiutateci a fermare la guerra. I nostri ragazzi muoiono. E muoiono anche i vostri figli. La guerra va fermata subito. Subito!».

Veronika ha 40 anni. Con lei sono arrivate la mamma Ela, la sorella Renata con  le piccole Emilia ed Erika (2 e 5 anni), le figlie Alina e Alona, con il nipotino Artem, tre anni, unico maschio della famiglia. Gli altri, i mariti, sono rimasti a Leopoli a fabbricare moltov nei sotterranei di una città assediata dal fiume di profughi in fuga dall’avanzata russa e dalle sirene che senza sosta esasperano la tensione.

Lyuba, la traduttrice, è originaria di Leopoli, la città ucraina sul confine polacco. Ma vive qui da molti anni e si sta rendendo utile nella comunicazione tra le conterranee e le parrocchie dell’unità pastorale “Don Primo Mazzolari” di Cremona (Sant’Ambrogio, Migliaro, Boschetto e Cambonino) che hanno offerto la disponibilità alla Caritas cremonese per organizzare l’accoglienza.

«I bambini hanno iniziato a dormire solo stanotte – traduce Lyuba – perché per due giorni il terrore del suono delle sirene ha tolto loro il sonno». Adesso giocano sul tappeto della casa parrocchiale al Migliaro, dove sono sopiti in attesa di trasferirsi negli spazi che saranno a loro disposizione nella parrocchia di Sant’Ambrogio. «Nelle celle dei frati francescani che vivevano nell’antico convento – spiega il parroco don Paolo Arienti – stiamo ricavando tre stanze da letto e una cucina, grazie al lavoro dei volontari e alle donazioni di tanti parrocchiani e non solo». Le Acli si occupano delle donazioni alimentari, mentre in parrocchia si sono raccolti indumenti, passeggini, biancheria: «C’è stata una grande partecipazione – spiega don Arienti – nella giornata di lunedì abbiamo ricevuto centinaia di telefonate e una grande quantità di aiuti concreti, tanto che ora abbiamo sospeso la raccolta, che riprenderemo nei prossimi giorni con richieste specifiche una volta che le donne e i bambini si saranno sistemati».

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L’arrivo a Cremona, dopo 14 ore di attesa in frontiera, i chilometri a piedi con i bambini al freddo e sotto la neve, e il lungo tragitto attraverso l’Europa a bordo di un van, è stato facilitato dalla presenza sul territorio di una zia, perfettamente integrata, che ha contattato Caritas, che ha poi accolto la disponibilità dell’unità pastorale cittadina. «Il viaggio è stato terribile. Sono arrivate provate e spaventate – racconta don Maurizio Ghilardi, parroco al Boschetto e Migliaro –  Cerchiamo di accoglierle con discrezione, ma la comunità delle nostre parrocchie sta comunque dando prova di grande generosità».

Nel salotto, i piccoli giocano e disegnano, le donne li osservano in silenzio. Nell’angolo accanto al divano c’è la chitarra che un ragazzo della parrocchia ha donato per Alina: ha saputo che ha dovuto abbandonare gli studi al conservatorio e il suo strumento a Leopoli. Chissà quando ci sarà spazio per la musica. Intanto però qualche timido sorriso spezza per un istante il velo di tristezza e fatica. Nei piccoli che sembrano aver ritrovato un fragile senso di sicurezza sotto lo sguardo delle mamme e dei don che si chinano per far correre le macchinine sul tappeto, gli occhi gonfi trovano una ragione di speranza.

Veronika guarda dritto in camera: non c’è privacy per chi scappa dalla guerra. Ci sono cose da dire, una realtà a cui resistere. «Noi vinceremo. Loro – guarda i bambini più piccoli – avranno un futuro. Torneremo presto in Ucraina».

Hanno pianto ieri sera quando, in videochiamata hanno chiesto ai mariti cosa stessero facendo: «Fabbrichiamo molotov» hanno risposto. «Nel nostro paese brucia tutto –  dice Verokika attraverso la traduzione di Lyuba – non si può restare là. A Leopoli arrivano dalle città sotto assedio donne e bambini che hanno dovuto lasciare tutto. Noi siamo scappate perché in tanti, in città, hanno iniziato a vedere le macchie di colori che i russi segnano sui palazzi per indicare ad aerei e elicotteri dove colpire».

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Ela ha settant’anni, si lascia andare a qualche lacrima sommessa mentre la figlia racconta. Cinque donne e tre bambini a migliaia di chilometri da casa e dalla famiglia. «Non ci sono parole per ringraziare per questa accoglienza» dice.

Anche questa, in fondo è resistenza: i disegni con cui i bambini della parrocchia hanno tappezzato la casa, fiori, alberi e sorrisi, contro le macchie che sfregiano i palazzi di Leopoli come macabri bersagli. Non bastano a fermare la guerra. Ma il futuro dell’Ucraina – delle sue donne e dei suoi bambini – non può farne a meno.