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“Chiamati col due”, un libro per riflettere sulla formazione dei seminaristi

Sarà consegnato ai sacerdoti cremonesi durante il ritiro del clero del 7 febbraio il libro «Chiamati col “due”». Un volume di 200 pagine che propone pensieri e proposte per la formazione dei seminaristi. Un testo “operativo” curato dal rettore don Marco d’Agostino e destinato ai preti perché – come scrive il vescovo nell’introduzione – il presbiterio «non sia lasciato spettatore» di ciò che accade in Seminario, e «a quelle famiglie e a quei laici credenti che ci stanno aiutando a rendere pienamente ecclesiale il progetto formativo del Seminario»

Chiamati col “due”

La formazione dei futuri uomini–preti del nostro tempo è una partita troppo importante. So che la metafora del gioco delle carte non è biblica, ma credo possa essere efficace in quanto la partita si gioca tutta sul costruire la persona, in modo solido, autentico, senza imbrogli, né per Dio, né per se stessi, né per gli altri, tantomeno per la Chiesa. «La cura del presbiterio», espressione che il vescovo Napolioni ripete ormai da tre anni, va posta nel cuore delle questioni. Non per narcisismo, ma per un’effettiva attenzione che oggi il mondo affettivo, relazionale, spirituale, di fede del presbiterio desidera e vuole costruire.

Il «due di briscola» che ciascuno di noi tiene in mano e che Dio chiama non deve spaventare. Anche se è l’unica briscola dobbiamo aver fiducia che insieme, solo insieme, si può vincere la partita. Nessuno ha le ricette per formare i preti di oggi e di domani. Il testo «Chiamati col due», affidato al cuore dei presbiteri e ai laici che operano insieme per la formazione dei giovani incamminati verso il ministero, è un tentativo che potrebbe essere fecondo se sposiamo la realtà e accogliamo la sfida sempre bella di amare i giovani che Dio ci dona. «Ai preti giovani – diceva il mio vecchio parroco – bisogna voler bene». E aveva ragione. In quell’espressione c’è una saggezza fatta di vicinanza, di condivisione nella preghiera, di compassione, anche di rimprovero se necessita, ma sempre nell’ottica di chi cammina insieme.

Sottolinea il domenicano Timothy Radcliffe : «Quando dovevo valutare i candidati all’Ordine, una delle domande che mi ponevo era: sono appassionati di qualcosa? Non ha importanza di cosa: potrebbe essere giustizia e pace, o lo studio, il lavoro pastorale, la poesia, la musica, magari anche le rubriche liturgiche, benché io trovi difficile immaginarlo. Ma deve esserci una passione profonda che è aperta alla fame di Dio» (Alla radice la libertà, pag. 49).

La Chiesa, oggi come ieri, ha bisogno di servi appassionati e affamati di Dio, umili e sobri, docili e miti, che provino a ricominciare ogni volta da se stessi, si aprano a quella Parola di Dio che parla anzitutto a noi, ci fa male dentro, ci chiede di cambiare e convertirci continuamente. C’è bisogno di preti che amino la gente come amano il Vangelo. Servono il più piccolo e il più anziano come servono il Corpo e Sangue di Cristo. Il Papa, parlando ai gesuiti dei Paesi Baltici così si è espresso: «Sono tre linguaggi che vanno tenuti insieme. Il giovane è chiamato a pensare quello che sente e fa, deve sentire quello che pensa e fa, deve fare quello che sente e pensa. La nostra è un’unità umana, e lì entra tutto, entra l’inquietudine per gli altri, il coinvolgimento».

Se i giovani che si preparano ad essere preti si lasciano coinvolgere, amare, appassionare, se usano tutti i linguaggi della mente, del cuore, del corpo, allora non avranno paura di «amare troppo».Che non significa essere «imprudenti», ma capaci di sciogliere il cuore. Permettere che gli altri ci avvicinino, entrino nella nostra vita e noi nella loro. Non per curiosare o rovistare. No. Ma per comunicare. Per annunciare un vangelo che non sfiora la nostra testa, ma bussa al cuore, cioè alle decisioni perché le reti ancora vengano lasciate, il banco delle imposte abbandonato e si possa seguire il Figlio di Dio con tutto noi stessi. La vocazione è chiamata alla santità, cioè a credere che tutta la nostra vita, se vuole, può ospitare il Signore. Servirlo. Esserne riflesso. Timido e reale. Con un cuore che batte. Una testa che progetta. Una fame di Lui che non si spegne. Anche se tra le mani abbiamo solo un due.

don Marco D’Agostino