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Messaggio per la Quaresima, Papa Francesco: “L’umanità brancola nel buio delle diseguaglianze e dei conflitti”

“Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi, ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo”. Si conclude così il Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima, diffuso giovedì 1 febbraio sul tema: “Attraverso il deserto Dio ci guida alla  libertà”. “Quando ci manca la speranza vaghiamo nella vita come in una landa desolata, senza una terra promessa verso cui tendere insieme”, l’esordio del Papa, secondo il quale “l’esodo dalla schiavitù alla libertà non è un cammino astratto”. “Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo”, il monito: “Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega”. Di qui l’attualità delle due domande poste dal Santo Padre nel suo viaggio a Lampedusa, a proposito della “globalizzazione dell’indifferenza”: “Dove sei?” e “Dov’è tuo fratello?”. “Il cammino quaresimale sarà concreto se, riascoltandole, confesseremo che ancora oggi siamo sotto il dominio del Faraone”, scrive Francesco: “È un dominio che ci rende esausti e insensibili. È un modello di crescita che ci divide e ci ruba il futuro. La terra, l’aria e l’acqua ne sono inquinate, ma anche le anime ne vengono contaminate. Infatti, sebbene col battesimo la nostra liberazione sia iniziata, rimane in noi una inspiegabile nostalgia della schiavitù. È come un’attrazione verso la sicurezza delle cose già viste, a discapito della libertà”. “Desidero un mondo nuovo? Sono disposto a uscire dai compromessi col vecchio?”, alcune domande poste dal Papa:

“La testimonianza di molti fratelli vescovi e di un gran numero di operatori di pace e di giustizia mi convince sempre più che a dover essere denunciato è un deficit di speranza”,

sostiene Francesco: “Si tratta di un impedimento a sognare, di un grido muto che giunge fino al cielo e commuove il cuore di Dio. Somiglia a quella nostalgia della schiavitù che paralizza Israele nel deserto, impedendogli di avanzare.

L’esodo può interrompersi: non si spiegherebbe altrimenti come mai un’umanità giunta alla soglia della fraternità universale e a livelli di sviluppo scientifico, tecnico, culturale, giuridico in grado di garantire a tutti la dignità brancoli nel buio delle diseguaglianze e dei conflitti”.

“Dio non si è stancato di noi”. Ne è convinto il Papa, che esorta a vivere questo tempo liturgico come “tempo di conversione, tempo di libertà”. ”A differenza del Faraone, Dio non vuole sudditi, ma figli. Il deserto è lo spazio in cui la nostra libertà può maturare in una personale decisione di non ricadere schiava”, precisa Francesco, secondo il quale “nella Quaresima troviamo nuovi criteri di giudizio e una comunità con cui inoltrarci su una strada mai percorsa”, anche se “questo comporta una lotta” contro “le menzogne del nemico”. “Più temibili del Faraone sono gli idoli”, il monito: “Potere tutto, essere riconosciuti da tutti, avere la meglio su tutti: ogni essere umano avverte la seduzione di questa menzogna dentro di sé. È una vecchia strada. Possiamo attaccarci così al denaro, a certi progetti, idee, obiettivi, alla nostra posizione, a una tradizione, persino ad alcune persone. Invece di muoverci, ci paralizzeranno. Invece di farci incontrare, ci contrapporranno”.

“Esiste però una nuova umanità, il popolo dei piccoli e degli umili che non hanno ceduto al fascino della menzogna”,

la tesi del Papa: “Mentre gli idoli rendono muti, ciechi, sordi, immobili quelli che li servono, i poveri di spirito sono subito aperti e pronti: una silenziosa forza di bene che cura e sostiene il mondo”. “È tempo di agire, e in Quaresima agire è anche fermarsi”, l’invito: “Fermarsi in preghiera, per accogliere la Parola di Dio, e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito. L’amore di Dio e del prossimo è un unico amore. Non avere altri dèi è fermarsi alla presenza di Dio, presso la carne del prossimo”. Per questo preghiera, elemosina e digiuno “non sono tre esercizi indipendenti, ma un unico movimento di apertura, di svuotamento: fuori gli idoli che ci appesantiscono, via gli attaccamenti che ci imprigionano”. “Allora il cuore atrofizzato e isolato si risveglierà”, garantisce Francesco: “Alla presenza di Dio diventiamo sorelle e fratelli, sentiamo gli altri con intensità nuova: invece di minacce e di nemici troviamo compagne e compagni di viaggio”.

“La forma sinodale della Chiesa, che in questi anni stiamo riscoprendo e coltivando, suggerisce che la Quaresima sia anche tempo di decisioni comunitarie, di piccole e grandi scelte controcorrente, capaci di modificare la quotidianità delle persone e la vita di un quartiere: le abitudini negli acquisti, la cura del creato, l’inclusione di chi non è visto o è disprezzato”.

E’ la proposta del Papa, che in questa Quaresima invita ogni comunità cristiana ad “offrire ai propri fedeli momenti in cui ripensare gli stili di vita; darsi il tempo per verificare la propria presenza nel territorio e il contributo a renderlo migliore”. “Nella misura in cui questa Quaresima sarà di conversione, allora, l’umanità smarrita avvertirà un sussulto di creatività: il balenare di una nuova speranza”, assicura Francesco, che rivolge a tutti le parole indirizzate ai giovani nella Gmg di Lisbona: “Cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi”.

M. Michela Nicolais (AgenSir)

 

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Papa Francesco: “Prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni”

“Anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio per la 32ª Giornata mondiale del malato, che ricorre l’11 febbraio, diffuso sabato 13 gennaio. “Diventa allora cultura dello scarto”, in cui “le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se ‘non servono ancora’ – come i nascituri –, o ‘non servono più’ – come gli anziani”, aggiunge citando la Fratelli tutti.

Una logica, questa, che “pervade purtroppo anche certe scelte politiche, che non riescono a mettere al centro la dignità della persona umana e dei suoi bisogni, e non sempre favoriscono strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure”. “Allo stesso tempo, l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una ‘alleanza terapeutica’ tra medico, paziente e familiare”.

“Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia – scrive ancora il Papa nel messaggio per la Giornata del malato – è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con se stesso”.

“Siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità – ricorda il Pontefice –. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo”.

Rivolgendosi alle persone malate, il Papa afferma: “Non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi. In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù”. Quindi, l’invito a prenderci “cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato”. “Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione”.

Filippo Passantino (AgenSir)

 

Il testo integrale del messaggio di Papa Francesco

 




Giornata per la vita: “ogni vita ha immenso valore” e “stupefacente capacità di resilienza”

“Molte, troppe” sono le “vite negate”. Lo denuncia il Consiglio episcopale permanente della Cei nel Messaggio per la 46ª Giornata nazionale per la vita in programma il 4 febbraio 2024 sul tema La forza della vita ci sorprende. ‘”Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?”(Mc 8,36). “Tante sono “le vite negate”, osservano i presuli nel testo, datato 26 settembre e diffuso il 9 novembre. Dalla vita “del nemico – soldato, civile, donna, bambino, anziano”, che è “un ostacolo ai propri obiettivi e può, anzi deve, essere stroncata con la forza delle armi o comunque annichilita con la violenza”, a quella del migrante, che “vale poco, per cui si tollera che si perda nei mari o nei deserti o che venga violentata e sfruttata in ogni possibile forma”. Ma anche quella dei lavoratori, spesso considerata una merce, da “comprare” con “paghe insufficienti, contratti precari o in nero, e mettere a rischio in situazioni di patente insicurezza”.

“La vita delle donne viene ancora considerata proprietà dei maschi – persino dei padri, dei fidanzati e dei mariti – per cui può essere umiliata con la violenza o soffocata nel delitto”, si legge ancora nel testo, mentre “la vita dei malati e disabili gravi viene giudicata indegna di essere vissuta, lesinando i supporti medici e arrivando a presentare come gesto umanitario il suicidio assistito o la morte procurata”. “La vita dei bambini, nati e non nati, viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti e sottoposta a pratiche come la tratta, la pedopornografia, l’utero in affitto o l’espianto di organi. In tale contesto – denuncia ancora la Cei – l’aborto, indebitamente presentato come diritto, viene sempre più banalizzato, anche mediante il ricorso a farmaci abortivi o ‘del giorno dopo’ facilmente reperibili”.

“Ciascuna vita, anche quella più segnata da limiti, ha un immenso valore ed è capace di donare qualcosa agli altri”; “nessuna vita va mai discriminata, violentata o eliminata in ragione di qualsivoglia considerazione”. Si legge ancora nel Messaggio per la 46ª Giornata nazionale per la vita. “Quante volte – osservano i vescovi nel testo – il capezzale di malati gravi diviene sorgente di consolazione per chi sta bene nel corpo, ma è disperato interiormente. Quanti poveri, semplici, piccoli, immigrati… sanno mettere il poco che hanno a servizio di chi ha più problemi di loro. Quanti disabili portano gioia nelle famiglie e nelle comunità, dove non ‘basta la salute’ per essere felici. Quante volte colui che si riteneva nemico mortale compie gesti di fratellanza e perdono. Quanto spesso il bambino non voluto fa della propria vita una benedizione per sé e per gli altri”.  “La vita, ogni vita – sottolineano i presuli -, se la guardiamo con occhi limpidi e sinceri, si rivela un dono prezioso e possiede una stupefacente capacità di resilienza per fronteggiare limiti e problemi”.

“Destano grande preoccupazione gli sviluppi legislativi locali e nazionali sul tema dell’eutanasia”. Secondo il Consiglio episcopale permanente della Cei “La scienza ha mostrato in passato l’inconsistenza di innumerevoli valutazioni discriminatorie, smascherandone la natura ideologica e le motivazioni egoistiche: chi, ad esempio, tentava di fondare scientificamente le discriminazioni razziali è rimasto senza alcuna valida ragione. Ma anche chi tenta di definire un tempo in cui la vita nel grembo materno inizi ad essere umana si trova sempre più privo di argomentazioni, dinanzi alle aumentate conoscenze sulla vita intrauterina, come ha mostrato la recente pubblicazione ‘Il miracolo della vita’, autorevolmente presentata dal Santo Padre”.
“Quando, poi, si stabilisce che qualcuno o qualcosa possieda la facoltà di decidere se e quando una vita abbia il diritto di esistere, arrogandosi per di più la potestà di porle fine o di considerarla una merce – argomentano i presuli –, risulta in seguito assai difficile individuare limiti certi, condivisi e invalicabili. Questi risultano alla fine arbitrari e meramente formali”.

D’altra parte, l’interrogativo della Cei, “cos’è che rende una vita degna e un’altra no? Quali sono i criteri certi per misurare la felicità e la realizzazione di una persona? Il rischio che prevalgano considerazioni di carattere utilitaristico o funzionalistico metterebbe in guardia la retta ragione dall’assumere decisioni dirimenti in questi ambiti, come purtroppo è accaduto e accade. Da questo punto di vista, destano grande preoccupazione gli sviluppi legislativi locali e nazionali sul tema dell’eutanasia”, sostengono i vescovi mettendo in guardia dalle “crescenti possibilità che la tecnologia oggi offre di manipolare e dominare l’essere umano, e dal progressivo sbiadirsi della consapevolezza sulla intangibilità della vita”.

“Un forte appello” da parte di tutte le donne e gli uomini “all’impossibilità morale e razionale di negare il valore della vita, ogni vita”. E’ l’auspicio espresso nel messaggio per la Giorata del 4 febbraio 2024. Nel sottolineare che non siamo padroni della vita, la Cei precisa che “il rispetto della vita non va ridotto a una questione confessionale, poiché una civiltà autenticamente umana esige che si guardi ad ogni vita con rispetto e la si accolga con l’impegno a farla fiorire in tutte le sue potenzialità, intervenendo con opportuni sostegni per rimuovere ostacoli economici o sociali”. Di qui il richiamo al discorso del Papa all’associazione Scienza & Vita, il 30 maggio 2015: “Il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili”. “La drammatica crisi demografica attuale dovrebbe costituire uno sprone a tutelare la vita nascente”, il monito dei vescovi, secondo i quali la Giornata “assume una valenza ecumenica e interreligiosa, richiamando i fedeli di ogni credo a onorare e servire Dio attraverso la custodia e la valorizzazione delle tante vite fragili che ci sono consegnate, testimoniando al mondo che ognuna di esse è un dono, degno di essere accolto e capace di offrire a propria volta grandi ricchezze di umanità e spiritualità a un mondo che ne ha sempre maggiore bisogno”.

 

Messaggio del Consiglio episcopale permanente della Cei per la 46ma Giornata nazionale per la vita




Iniziata la a Visita ad limina dei Vescovi lombardi

Gli incontri di lunedì mattina nei Dicasteri

È in programma dal 29 gennaio al 2 febbraio in Vaticano la Visita ad limina, dei Vescovi lombardi. Il programma ufficiale è iniziato lunedì mattina con la Messa presieduta in San Pietro dall’arcivescovo Mario Delpini e concelebrata dagli altri vescovi della Lombardia. Tra loro naturalmente il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, che subito dopo ha proposto la “positio” al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, dove i vescovi Lombardi hanno incontrato il prefetto, card. Kevin Farrel, il sottosegretario Gleison De Paula Souza e i sottosegretari Gabriella Bambino e Linda Ghisoni. Successiva tappa al Dicastero per il servizio della sviluppo umano, concludendo la mattinata al Dicastero per gli istituti di vita consacrata.

Gli incontri proseguiranno nella giornata di martedì 30 gennaio dopo la Messa in San Giovanni in Laterano presieduta dal card. Oscar Cantoni, vescovo di Como: in mattinata il Dicastero per i Vescovo e quello per il Clero; nel pomeriggio il Dicastero per le chiese orientali e la Pontificia commissione per la tutela dei minori, entrambi scelti dai vescovi lombardi e sarà ancora il vescovo Napolioni a introdurre i lavori sulla tutela minori.

Giovedì è previsto l’incontro con il Santo Padre, alla presenza anche del vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi.

La Messa di lunedì mattina in San Pietro

 

La visita dal limina

Si tratta di un momento importante per la vita delle dieci Diocesi della Regione ecclesiastica lombarda, rappresentando un adempimento che affonda le sue radici in tempi remoti. Infatti, l’espressione ad limina Apostolorum risale ai primi secoli della storia della Chiesa e, nel linguaggio canonico, con limina Apostolorum sono indicate le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, come spiega monsignor Giuseppe Scotti, segretario della Conferenza episcopale lombarda.

Monsignor Giuseppe Scotti

Cosa si intende, in concreto, quando si parla di Visita ad limina?
«Si tratta fondamentalmente di un pellegrinaggio delle Chiese lombarde che, per motivi ovviamente logistici, è oggi compiuto dai Vescovi. Un pellegrinaggio che si realizza alle tombe degli Apostoli, nell’incontro con il Papa e con i Dicasteri della Curia romana che lavorano con il Santo Padre per il bene della Chiesa. Si svolge quindi in un lasso di tempo abbastanza prolungato di lavoro anche per i Vescovi, che saranno impegnati quotidianamente nel suo adempimento. Magari, come spesso accade, sui media si parlerà semplicemente dell’incontro con papa Francesco, perché questo momento, in programma l’1 febbraio, rappresenterà un po’ il clou del pellegrinaggio. Tuttavia, l’andamento sarà molto più articolato, perché prevede incontri con 15 Dicasteri della Curia romana su 22. Dato che si prevede che il dialogo nei Dicasteri duri mediamente fra l’ora e l’ora e mezzo, si capisce che l’impegno è assai significativo».

Parteciperanno tutti i Vescovi di Lombardia?
«Sì, i dieci Vescovi delle altrettante Diocesi della Regione e, per quanto riguarda la Chiesa ambrosiana, anche i tre ausiliari e io come segretario. Saremo dunque 14, compreso il Metropolita di Lombardia, monsignor Mario Delpini e vivremo i giorni della Visita soggiornando tutti presso l’Istituto di Maria Bambina. Un bel segno di condivisione, così come sarà la concelebrazione della Messa ogni mattina».

Vi è stato un cammino di preparazione della Visita che ha coinvolto, per esempio nella nostra Chiesa, gli uffici di Curia per raccontare le singole realtà?
«Sì, e questo dice bene come è stato pensato e realizzato il percorso di avvicinamento e di preparazione. Bisogna ricordare che l’ultima vera Visita ad limina fu compiuta nel 2007 – durante l’episcopato del cardinale Tettamanzi -, mentre fin dall’inizio del XX secolo il diritto canonico prevede che siano fatte ogni cinque anni. In effetti vi fu nel febbraio del 2013 – guidata dall’allora metropolita, il cardinale Scola -, ma poiché papa Benedetto aveva appena rinunciato si trattò solo di un semplice saluto. Poi è arrivato il Covid e quindi siamo giunti al 2024. È chiaro che fare un check-up della situazione delle Chiese in Lombardia, dopo così tanti anni, sia stato molto laborioso. Infatti ogni Diocesi ha preparato un dossier in media di 600-700 pagine, per le 23 domande alle quali si è dovuto rispondere, illustrando la situazione delle Diocesi stesse, dei sacramenti, della Pastorale, degli Uffici amministrativi… Insomma, uno sguardo a 360 gradi. L’incontro con i Dicasteri vaticani non trova certamente i Vescovi impreparati o alle prese con qualcosa di non conosciuto, perché nella Conferenza episcopale lombarda ogni presule ha una delega per specifici ambiti. Per esempio il nostro Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, vescovo delegato per l’Osservatorio giuridico, guiderà l’incontro con la Segreteria di Stato, presentando i temi, tenendo conto, ovviamente, che la Segreteria ha uno sguardo internazionale e monsignor Agnesi presenterà la situazione lombarda. Monsignor Delpini prenderà invece la parola al Dicastero per il Clero. Monsignor Vegezzi e monsignor Raimondi interverranno, rispettivamente, alla II Sezione del Dicastero per l’Evangelizzazione e alla Segreteria generale del Sinodo; io, delegato per la Comunicazione, al Dicastero omonimo. La Visita si concluderà con la celebrazione del 2 febbraio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura».

Annamaria Braccini (chiesadimilano.it)

 

Chiese lombarde, un cammino comune per la famiglia e la vita

Verso la Visita ad limina, il punto su Beni culturali e Diaconato Pemanente

Visita ad limina, mons. Napolioni e i vescovi lombardi a fine gennaio dal Papa




“Nel giardino, maschio e femmina lì creò”, la riflessione della teologa De Vecchi per la Giornata sacerdotale

“Nel giardino, maschio e femmina lì creò”. È il tema della relazione tenuta dalla teologa moralista Gaia De Vecchi in occasione della Giornata sacerdotale vissuta a Rivolta d’Adda, in Casa Madre delle Suore Adoratrici, giovedì 1° febbraio. Il primo atto delle proposte in calendario per la festa del fondatore dell’Istituto religioso, san Francesco Spinelli, che ricorre il 6 febbraio.

Un momento bello di Chiesa che ha visto il riunirsi a Rivolta di oltre 50 sacerdoti provenienti dalle diocesi in cui le Adoratrici sono inserite: Cremona, Crema, Modena-Nonantola, insieme anche ad alcuni religiosi.

La giornata è iniziata con l’accoglienza e la relazione della teologa che ha concentrato la riflessione sulla complessità delle relazioni maschio-femmina. A partire da Genesi 1-3, la professoressa De Vecchi ha accennato gli sviluppi del rapporto maschile/femminile nel corso della storia della Chiesa. L’analisi si è poi spostata sull’oggi, in cui sono proposti modelli sviluppati nei secoli precedenti, non più in grado di contenere la complessità del presente. Spesso si restringe il campo della relazione maschile/femminile al piano della coppia, ma questa modalità si rivela escludente, in quanto non considera il piano comunitario nel quale tutti sono chiamati a vivere le relazioni. Quale nome dare a questo nuovo modello, più aperto e comprensivo di tutte le sfaccettature della nostra realtà? La professoressa De Vecchi non ha lasciato risposte o ricette preconfezionate; ha piuttosto indicato un punto di partenza per un partecipato dibattito, segno della pregnanza dell’argomento, ormai realtà quotidiana anche nelle nostre Chiese.

 

La relazione dalla teologa moralista Gaia De Vecchi 

 

 

I partecipanti hanno poi celebrato insieme l’Eucaristia, presieduta da don Giampaolo Maccagni, vicario episcopale per il Clero e il Coordinamento pastorale della Diocesi di Cremona. Nell’omelia don Maccagni ha sottolineato come san Francesco Spinelli possa essere una luce per i sacerdoti di questo tempo, per vivere appieno l’oggi, perché possano riportare sempre tutto non a sé, ma a Lui, nell’Eucaristia. «Il lamento quando le iniziative pastorali non funzionano o hanno poco successo può risuonare sulla bocca dei preti con queste parole: “Non mi è rimasta che la Messa”. Un’espressione di san Francesco, che sembra dire ai sacerdoti: Ti sembra poco? L’Eucaristia è tutto! È la sorgente: celebrare e vivere l’Eucaristia è il centro e il cuore di tutta la vita sacerdotale. Il Signore ha chiamato i preti a preparare la tavola ogni giorno, a chiamare ogni giorno, come un padre, i componenti della famiglia e dire: C’è pronto! Venite puntuali!». «Proprio questo – ha continuato Maccagni – è il senso dell’essere preti, dell’essere cristiani. Perché essere cristiani significa alimentarsi di Gesù e così, vivere di Lui». Come riecheggia dalle letture proprie della festa di san Francesco Spinelli: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. Sì, vivere di Lui.

La giornata sacerdotale si è conclusa con un pranzo in fraternità.

 

San Francesco Spinelli, tanti appuntamenti in preparazione alla festa del fondatore delle Suore Adoratrici




Verso la Visita ad limina, il punto su Beni culturali e Diaconato Pemanente

Il vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti, ricopre due importanti incarichi all’interno della Conferenza episcopale lombarda (CEL): è delegato e presidente della Consulta regionale per i Beni culturali e l’edilizia di culto e delegato per il Diaconato permanente. Lo abbiamo intervistato per saperne di più.

Eccellenza, quali sono prima di tutto i compiti previsti dal suo ruolo?

«Le deleghe detenute da ogni vescovo lombardo sono relative a vari ambiti pastorali della vita della CEL; il compito delle due consulte di cui mi interesso io è assicurare un rapporto tra questi organismi e la CEL stessa. Le consulte lavorano per il cammino delle chiese in Lombardia: all’interno della Consulta regionale per i Beni culturali esistono due incaricati regionali (uno per i beni culturali e l’altro per l’edilizia di culto) che sono due architetti, Carlo Capponi di Milano e Alessandro Campéra della diocesi di Mantova. Dal punto di vista organizzativo, chi detiene la gestione del lavoro della Consulta sono i due incaricati che, sentendomi e consultandomi, stabiliscono ordine del giorno e temi da affrontare. Il mio compito è riportare in CEL determinati temi per ottenerne orientamenti. Per esempio, un mese e mezzo fa è stato redatto un accordo quadro tra la Regione ecclesiastica Lombarda e la Regione Lombardia che riguarda i beni culturali ecclesiastici, frutto di uno scambio e di un confronto importanti. Il mio è, quindi, un compito di raccordo, partecipo a ogni riunione e tengo le fila dei rapporti con gli architetti».

Com’è la situazione dei beni culturali della Chiesa Cattolica in Lombardia? Quali criticità e quali punti di forza?

«Le chiese lombarde hanno un patrimonio di beni culturali immenso che non riguarda solo le chiese stesse e gli oggetti che vi si trovano, ma anche archivi e biblioteche. In Lombardia, poi, c’è una forte tradizione e una popolazione molto elevata distribuita per ben dieci diocesi. In ogni diocesi gli uffici locali portano avanti un lavoro di catalogazione e di accompagnamento delle singole parrocchie su questioni legate a restauri e lavori. Una delle criticità su cui stiamo lavorando oggi è potenziare la manutenzione ordinaria in modo tale che i beni vengano conservati in buono stato senza interventi emergenziali e conseguente dispendio notevole di risorse. Per questo, abbiamo voluto creare momenti di incontro tra rappresentanti delle diocesi e professionisti esperti dal mondo laico ed accademico che aiutino i nostri operatori a conoscere meglio gli aspetti legislativi ma anche cosa significa conservare un bene culturale con un’opera preventiva. Grazie agli architetti Capponi e Campéra, abbiamo organizzato diversi incontri anche con crediti formativi. Per quanto riguarda l’Edilizia di culto, ci sono nuove normative e il lavoro deve essere interconnesso con le Sovrintendenze, è importante che ci siano competenze e maturità sul valore sacro e liturgico di ogni chiesa. Una delle criticità che riscontriamo è legata alle risorse umane ed economiche che andrebbero aumentate. Altro punto fragile è che su alcune pratiche ci sono tempi lunghi per ottenere i permessi di Ministero e Sovritendenza. Non per cattiva volontà degli enti preposti, ma perché anche qui le risorse umane sono limitate: un esempio classico sono le famose VIC, le Verifiche di interesse culturale, perizie numerose che spesso si accumulano e rischiano di non trovare risposte in tempi ragionevoli».

Quali sono i progetti su cui il settore sta lavorando per il mantenimento dei tesori artistici e culturali della Lombardia?

«Vogliamo continuare a portare avanti gli incontri regionali con gli esperti; con l’Assessorato regionale rivedremo l’accordo quadro che risale ad un paio di anni fa non tanto nel suo impianto di fondo (secondo il quale la Regione riconosce che i beni culturali ed ecclesiastici sono una risorsa per tutta la comunità) ma nell’idea di creare nuove pratiche per partecipare a bandi e finanziamenti. Infine, c’è un progetto pilota attivato dalla Regione ecclesiastica del Piemonte che permette l’accesso a chiese poco utilizzate ma di grande valore tramite una applicazione e speciali dispositivi per aprire la chiesa e accedere ad una visita. Alcune chiese, infatti, si trovano su percorsi escursionistici o religiosi e sono luoghi non sempre aperti. Grazie all’app, turisti e pellegrini potrebbero accedervi, ovviamente in sicurezza e sotto sorveglianza, anche se sono poco frequentate dal punto di vista celebrativo; partner disponibile a sostenere l’iniziativa è la Fondazione Cariplo. Attualmente il progetto è in via di gestazione e in attesa di fare una esperienza pilota in qualche diocesi lombarda. In Piemonte ha avuto un riscontro positivo sia per i visitatori che per le comunità locali: a disposizione c’è anche una guida digitale che permette la lettura delle opere d’arte sia dal punto di vista culturale che religioso. La Chiesa Cattolica, infatti, si interessa di beni culturali non solo per questioni di conservazione (che sono comunque molto importanti) ma anche perché essi hanno una grande forza evangelizzante per coloro che li ammirano».

Rispetto, invece, alla seconda delega, quella relativa al Diaconato Permanente, e all’importanza della figura del diacono oggi per la Chiesa Cattolica: quanti sono i diaconi permanenti in Lombardia ad oggi? e qual è il percorso spirituale che possono intraprendere?

«Nella nostra regione, come in tutto il resto d’Italia, c’è una attenzione al diaconato permanente che si traduce anche con l’attività della Consulta regionale che prevede la presenza di responsabili, delegati per la formazione, un incaricato regionale (don Filippo Dotti) e poi un vescovo delegato che sono io. È difficile quantificare la presenza dei diaconi in Lombardia, per via del fatto che il diaconato permanente è una istituzione rilanciata dal Concilio Vaticano II non come mero passo per il presbiterato, ma come ministero in forma di dedicazione alla Chiesa che può essere concesso a uomini già sposati o celibi (questi ultimi devono però assumersi l’impegno del celibato). In tutte le regioni ecclesiastiche, quindi, l’attivazione è stata temporalmente diversa: ci sono diocesi che lo esercitano da 30 anni ed altre da appena una decina e il numero diventa fluttuante; di massima si può dire che sono circa quattrocento. Il diacono deve compiere un cammino di formazione che parte dal discernimento e che prosegue con l’accoglienza come candidato agli ordini e con una formazione anche teologica (a Pavia, per esempio, è necessario conseguire la laurea breve di tre anni in Scienze Religiose). Durante il percorso si ricevono Lettorato e Accolitato e poi il Diaconato. Della Consulta Regionale fanno parte i delegati, sia presbiteri che diaconi, che accompagnano il cammino formativo sia di coloro che si stanno preparando che i chi è già diacono e per cui vale la formazione permanente. A livello regionale c’è un documento consegnato ai vescovi lombardi per sollecitare maggiore attenzione nelle singole chiese, perché il ministero è ancora poco conosciuto e valorizzato: per questo, durante l’anno vengono organizzati momenti di ritiro aperti ai diaconi ed a coloro che sono in formazione. Ogni due anni si svolge un convegno regionale su un tema scelto dalla consulta e concordato con diversi diaconi di ogni diocesi. Alcuni vengono con le loro famiglie: in questi ultimi anni, infatti, si tende a coinvolgere anche le mogli dei diaconi perché, ricordiamolo, è necessario il permesso esplicito della consorte per diventare diacono; inoltre, riteniamo giusto ascoltare la loro voce perché il matrimonio può diventare un ambito di testimonianza».

La figura del diacono permanente è di supporto all’operato dei sacerdoti. Quali sono gli incarichi che ricoprono e le attività previste dal loro ruolo? E ancora: si è parlato spesso di prevedere un quid economico per il loro operato, cosa ne pensa? È un passo opportuno oppure no?

«Dal punto di vista sacramentale il diacono ha ricevuto il sacramento dell’Ordine e fa parte di un Ordo, ma ha una vita da laico. Se è sposato ha una famiglia, diversamente ha sicuramente un lavoro perché il diacono deve essere autonomo e indipendente dal punto di vista economico. È capitato che a qualche diacono sia stato chiesto un servizio a tempo pieno in una diocesi e in quel caso la persona riceve uno stipendio, ma normalmente non è così. Ricordiamo che il diacono può dare una testimonianza anche attraverso il proprio lavoro. Ritengo il diacono una figura molto importante che va capita e proposta bene: non è un “mezzo prete” e nemmeno un suo sostituto o una “creatura ibrida”, ma è un battezzato che ha ricevuto un sacramento specifico e che è chiamato a svolgere un ministero in due campi, quello della carità (persona che anima e sostiene la testimonianza della carità ovunque sia chiamato a servizio) e quello di essere uomo del Vangelo. Può, infatti, predicare anche durante le celebrazioni come servizio alla Parola. Apparterrebbe al diacono anche la cura dei beni della Chiesa e spesso è una figura che si affianca agli economi diocesani. Una volta ricevuta l’ordinazione, il diacono riceve anche un incarico dal vescovo a servizio di una unità pastorale oppure di enti diocesani come le Caritas o in servizi nelle carceri. Il servizio è ampio, d’intesa con il presbitero di riferimento: è capitato che ci fossero anche diaconi responsabili di unità pastorali, ma questo non è l’ideale perché così il diaconato rischia di prendere una forma di sostituzione che non è inerente alla figura; è chiaro però che con la riduzione dei presbiteri quest’ultima possa essere una eventualità. Preferisco però pensare al diacono come a una figura di riferimento per alcune parrocchie o per un ambito specifico di una unità pastorale. Certo, è importante capire che il diacono è una figura di valore, caratterizzata da una sua vocazione specifica e con la sua centralità: comprendere questo richiede un lavoro comunitario ma anche una assunzione di coscienza da parte dei diaconi stessi che devono vivere il loro ruolo portando la testimonianza anche con la loro professione, come accade qui a Pavia, dove si favorisce una modalità evangelica del lavoro. I nostri presbiteri, dal canto loro, devono imparare a valorizzare il diacono: ho esempi positivi nei quali la specificità del diacono viene percepita e diffusa. Credo, in ultima analisi, che la figura del diacono sia una risorsa preziosa da valorizzare al più presto».

Simona Rapparelli (Il Ticino)




Visita ad limina, mons. Napolioni e i vescovi lombardi a fine gennaio dal Papa

Da lunedì 29 gennaio a venerdì 2 febbraio il vescovo Antonio Napolioni, insieme agli altri presuli lombardi, sarà in Vaticano per la Visita ad limina. Un momento di condivisione tra la Chiesa universale e le Chiese particolari che presenteranno la propria situazione negli incontri che i vescovi delle Chiese di Lombardia, guidati dal metropolita mons. Mario Delpini, avranno nei diversi Dicasteri vaticani e incontrando Papa Francesco.

La Visita ad limina apostolorum, nata come pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, nei secoli si è consolidata come pellegrinaggio regolare dei vescovi di tutto il mondo sulla tomba di Pietro e come momento di confronto e condivisione con il Santo Padre.

«La Visita ad limina è – spiega mons. Massimo Calvi, vicario generale della Diocesi di Cremona – un’occasione di condivisione per le Diocesi di tutto il mondo che, in questa occasione, esprimono e rafforzano il loro senso di appartenenza alla Chiesa universale».

La Visita ad limina si vive solitamente ogni cinque anni, ma per le Chiese di Lombardia l’ultima risale al febbraio 2013. Nella settimana romana i vescovi lombardi incontreranno i 12 Dicasteri previsti dal protocollo, più tre a loro scelta: i vescovi che nella conferenza episcopale lombarda sono riferimento per l’ambito apriranno l’incontro con la “ponenza”, esponendo quanto riscontrato in questi anni rispetto a ogni settore, evidenziando le caratteristiche pastorali proprie della regione ecclesiastica lombarda, tra ricchezze, potenzialità e criticità. Il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, interverrà al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e alla Pontificia commissione per la tutela dei minori.

Punto di partenza sono le relazioni che tutte le Diocesi hanno compilato nelle scorse settimane e già presentato in Vaticano. «In occasione delle Visita ad limina le Diocesi sono invitate a predisporre un’ampia relazione sul loro stato di vita – precisa a questo riguardo mons. Calvi – cercando di illustrare ciò che esse hanno impostato, sotto i vari punti di vista, negli anni trascorsi dal precedente incontro con il Santo Padre. Naturalmente anche la Diocesi di Cremona ha preparato questa relazione, che cerca di descrivere ciò che è avvenuto, nel bene e nel male, in questo decennio». Una stesura avvenuta dopo un lungo processo cui hanno preso parte insieme al vescovo e ai suoi più stretti collaboratori, tutti i responsabili degli uffici di Curia sotto con il coordinamento proprio del vicario generale e del cancelliere don Paolo Carraro.

«Sicuramente la relazione presenta la vita della Diocesi in maniera articolata e complessa – racconta il vicario generale –. Mette in relazione le risorse umane e spirituali che la Chiesa locale vive, ma non nasconde le situazioni più problematiche». E aggiunge: «Si può dire che alcuni problemi che si affacciavano come iniziali, nel tempo hanno maturato un radicamento maggiore. Basta pensare alla decrescita della partecipazione alla vita liturgica. O a tutti i problemi che emergono nelle famiglie, che si trovano a procrastinare sempre di più il matrimonio, magari preferendo la convivenza. E un segnale di preoccupazione arriva anche rispetto alla denatalità, in crescita come il numero degli anziani, spesso soli. Anche la diminuzione del clero, pur se per il momento ancora contenuta, è un altro elemento di cui si evidenzia il fenomeno, che noteremo sempre di più in futuro».

Un decremento della popolazione di circa 10 mila abitanti, dai 370.564 del 2013 ai 360.328 del 2023, con un calo anche dei fedeli cattolici, passati da 326.096 a circa 300 mila (quasi mille bambini battezzati di differenza tra le due annate, 2.031 nel 2013 e 1.215 nel 2023). Come sottolineato dal vicario generale, il calo riguarda anche i presbiteri diocesani, che nel 2013 erano 328, mentre ora “solo” 269. Controtendenza rispetto a questi dati, invece, il numero dei seminaristi diocesani: in 7 frequentavano il Seminario vescovile di Cremona nel periodo dell’ultima Visita (su un totale di 15, compresi i seminaristi provenienti da altre diocesi), mentre attualmente sono 10.

Tuttavia, non mancano elementi positivi «che fanno ben sperare». «Penso alla crescita di consapevolezza del ruolo dei laici e della loro ministerialità, o all’impegno nel rinnovamento dell’iniziazione cristiana – sottolinea mons. Massimo Calvi –. La nostra Diocesi, inoltre, in questi anni è stata impegnata nel ripensamento della presenza sul territorio, con la revisione delle zone pastorale e la costituzione di unità pastorali, per aiutare le parrocchie a unire le forze e avere una presenza pastorale sempre più significativa». Segnali di vita cui si aggiungono i tanti segni di speranza, «come i giovani che intraprendono il cammino della vita presbiterale e consacrata con grande generosità, o che semplicemente vivono con impegno la vita dei nostri oratori e della nostra pastorale giovanile».

La Visita ad limina sarà certo l’occasione per un bilancio della vita delle Chiese locali, ma anche l’invito a non rinchiudersi nell’ambito diocesano senza respirare quel senso di appartenenza alla Chiesa universale che continua a camminare verso il futuro ispirata dallo Spirito Santo.

 

A Roma dopo 11 anni

Durante l’ultima Visita ad limina dei vescovi della Lombardia, avvenuta nel febbraio 2013, fu monsignor Dante Lafranconi, allora vescovo di Cremona, a presentare la situazione diocesana agli occhi di Papa Benedetto XVI. A guidare la delegazione dei vescovi lombardi a Roma l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola. Nella sua breve relazione riguardante la Chiesa cremonese, il vescovo Lafranconi illustrò al Pontefice in particolare la visita pastorale effettuata, tra il 2005 e il 2011, in tutte le parrocchie della diocesi. Oltre a questo, furono messi in luce in particolare due significativi temi: l’impegno di evangelizzazione dei più «lontani» dalla Chiesa e il processo di rinnovamento dei percorsi dell’iniziazione cristiana nelle parrocchie. Papa Benedetto XVI, nel 2013, ribadì la necessità della Lombardia di riconoscersi sempre di più come «cuore credente dell’Europa». Una Chiesa, quella lombarda, che il Santo Padre aveva già definito «viva, ricca di dinamismo della fede e di spirito missionario» nella precedente Visita ad limina, quella del 2008. In quel caso, a guidare i vescovi della Lombardia, era stato il cardinale Dionigi Tettamanzi.




Chiese lombarde, un cammino comune per la famiglia e la vita

Sarà il vescovo Antonio Napolioni a presentare nei Dicasteri vaticani quanto e come le Diocesi lombarde hanno camminato e lavorato insieme negli ultimi dieci anni sul tema della pastorale familiare e su quello della tutela minori. Da domani, infatti, inizia la Visita ad limina dei vescovi della Lombardia, un pellegrinaggio a Roma sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, l’incontro con il Santo Padre per descrivere le situazioni locali, «un momento che rende ancora più manifesta la collegialità quale dimensione necessaria per la Chiesa sinodale», come l’ha definita il cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei.

Dal 2013 (data dell’ultima Visita ad limina) la Consulta regionale di pastorale familiare, formata dalle coppie incaricate in ogni diocesi di occuparsi di questi temi insieme a sacerdoti, religiosi, diaconi permanenti, ha fatto passi da gigante. «Si riunisce minimo quattro volte l’anno in un clima di passione, condivisione e impegno, tanto che stiamo coltivando una formula residenziale ogni settembre per impostare l’anno», spiega Napolioni, vescovo delegato in regione per la Pastorale per la famiglia e la vita. I campi di lavoro e di riflessione non sono stati pochi: «La stesura di orientamenti comuni per la preparazione al matrimonio; il confronto sulla pastorale delle persone separate, divorziate o di nuova unione, il sostegno alla rete dei consultori familiari di ispirazione cristiana, le problematiche relative al gender, il percorso di accoglienza e studio dell’Amoris laetitia allargato non solo ai membri della consulta, per avere una sensibilità condivisa e responsabili ben formati». Da quest’ultimo tema è nata la lettera Camminiamo famiglie pubblicata dai vescovi lombardi e rivolta a sacerdoti e comunità «per testimoniare – spiega Napolioni – la comunione nel recepire le prospettive aperte dall’Amoris laetitia che poi i singoli vescovi hanno dettagliato dal punto di vista operativo». Le diocesi lombarde sono oggi in cammino con la volontà di favorire «il protagonismo degli sposi e della famiglia nella vita della comunità cristiana», chiarisce ancora il vescovo di Cremona che terrà la «ponenza» (così si chiama l’esposizione introduttiva) al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita.

«In diocesi si lavora per avere esperienze pilota sul valore della comunità cristiana come famiglia di famiglie». Così il vescovo racconta poi l’impegno in Diocesi di Cremona per perseguire l’idea di Chiesa vissuta come «corresponsabilità tra preti, consacrati e sposi». Si tratta di uno dei temi più importanti su cui lavora la Consulta regionale di Pastorale familiare. «La famiglia è la trama della vita comunitaria e deve nelle parrocchie dettare, in un certo senso, il linguaggio e l’agenda della parrocchia». Si sta cercando di «caratterizzare alcuni luoghi pastorali pensandoli non più solo al maschile o al clericale grazie al contributo di consacrate e famiglie». Alcuni esempi: la Casa di Maria a Caravaggio, la Pastorale giovanile, la Caritas, il Seminario. L’obiettivo è leggere la comunità come una famiglia in una «sinfonia di visioni».

E in cammino la Lombardia è anche per quanto concerne la Tutela dei minori, per la quale il vescovo Napolioni è referente regionale e su cui «la Cei – chiarisce – ha espresso nel 2019 delle linee guida, sulla scorta delle quali è stato organizzato un servizio regionale (che ha un vescovo responsabile, un coordinatore e un gruppo di esperti) e parallelamente dei servizi in tutte le diocesi». Sono stati attivati centri di ascolto, corsi di formazione, realizzati sussidi anche per affrontare la tutela dei minori sul web e attività varie di prevenzione. Questo perché «ci dev’essere la massima fiducia nella Chiesa».

 

Visita ad limina, mons. Napolioni e i vescovi lombardi a fine gennaio dal Papa




Comunicazioni sociali, il Papa: “Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi”

“È capitato anche a me di essere oggetto” di “fake news” o “deep fake”, cioè della creazione e diffusione di notizie, suoni o immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false. Lo scrive Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dedicato all’intelligenza artificiale, i cui sistemi “possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse”, ma al tempo stesso essere “strumenti di inquinamento cognitivo, di alterazione della realtà tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere”. “La simulazione, che è alla base di questi programmi, può essere utile in alcuni campi specifici, ma diventa perversa là dove distorce il rapporto con gli altri e la realtà”, avverte il Papa.

“Come ogni altra cosa uscita dalla mente e dalle mani dell’uomo, anche gli algoritmi non sono neutri”,

ribadisce Francesco stigmatizzando “i rischi e le patologie” della prima ondata di intelligenza artificiale, quella dei social media: “Il secondo livello di intelligenze artificiali generative segna un indiscutibile salto qualitativo. È importante quindi avere la possibilità di comprendere, capire e regolamentare strumenti che nelle mani sbagliate potrebbero aprire scenari negativi”. Pe questo “è necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale e per contrastare il loro utilizzo nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico”. Di qui il rinnovo dell’appello, rivolto alla comunità delle nazioni, “a lavorare unita al fine di

adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme”.

“La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma non certo se ci imprigiona nei modelli oggi noti come echo chamber”, cioè quel fenomeno per cui non esiste la verità dei fatti, perché ciascuno ha selezionato e riceve solo le notizie e i commenti con i quali concorda a priori. In questi casi, “anziché accrescere il pluralismo dell’informazione, si rischia di trovarsi sperduti in una palude anonima, assecondando gli interessi del mercato o del potere”, il monito del Papa, secondo il quale

“non è accettabile che l’uso dell’intelligenza artificiale conduca a un pensiero anonimo, a un assemblaggio di dati non certificati, a una deresponsabilizzazione editoriale collettiva”.

“L’informazione non può essere separata dalla relazione esistenziale”, spiega Francesco: “implica il corpo, lo stare nella realtà; chiede di mettere in relazione non solo dati, ma esperienze; esige il volto, lo sguardo, la compassione oltre che la condivisione”. “Penso al racconto delle guerre e a quella ‘guerra parallela’ che si fa tramite campagne di disinformazione”, il primo esempio: “E penso a quanti reporter sono feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere quello che i loro occhi hanno visto. Perché solo toccando con mano la sofferenza dei bambini, delle donne e degli uomini, si può comprendere l’assurdità delle guerre”.

“L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione, se non annullerà il ruolo del giornalismo sul campo, ma al contrario lo affiancherà”,

sostiene il Papa: “se valorizzerà le professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se restituirà ad ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, della comunicazione stessa”.

“Come tutelare la professionalità e la dignità dei lavoratori nel campo della comunicazione e della informazione, insieme a quella degli utenti in tutto il mondo? Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme? Come far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano le proprie responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente a quanto avviene per gli editori dei media tradizionali?”. Sono alcune domande contenute nella parte finale del messaggio. “Come rendere più trasparenti i criteri alla base degli algoritmi di indicizzazione e de-indicizzazione e dei motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture?”, prosegue Francesco: “Come garantire la trasparenza dei processi informativi? Come rendere evidente la paternità degli scritti e tracciabili le fonti, impedendo il paravento dell’anonimato? Come rendere manifesto se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a una sola, a un pensiero unico elaborato algoritmicamente?”. “Dalle risposte a questi e ad altri interrogativi – sostiene il Papa – capiremo se l’intelligenza artificiale finirà per costruire nuove caste basate sul dominio informativo, generando nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza; oppure se, al contrario, porterà più eguaglianza, promuovendo una corretta informazione e una maggiore consapevolezza del passaggio di epoca che stiamo attraversando, favorendo l’ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli, in un sistema di informazione articolato e pluralista”. Da una parte, infatti, “si profila lo spettro di una nuova schiavitù, dall’altra una conquista di libertà; da una parte la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall’altra quella che tutti partecipino all’elaborazione del pensiero”. “La risposta non è scritta, dipende da noi”, conclude il Santo Padre: “Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza”.

M. Michela Nicolais (AgenSir)

 

Il testo integrale del messaggio per la Giornata delle comunicazioni 2024




CEI, al Consiglio Permanente la riflessione sulla capacità della Chiesa di incidere nella società

La riflessione sulla capacità della Chiesa di incidere nella società, aprendo orizzonti di speranza ed educando alla pace, ha fatto da filo conduttore alla sessione invernale del Consiglio Episcopale Permanente che si è svolta a Roma, dal 22 al 24 gennaio, sotto la guida del Cardinale Presidente Matteo Zuppi.

Sostenuti dalle parole del Presidente e dalle continue sollecitazioni di Papa Francesco, i Vescovi hanno ribadito l’urgenza che l’anelito di pace si declini in preghiera, amicizia, volontà di educare alla riconciliazione, perché mai come in questo tempo servono artigiani di pace. E questo a tutti i livelli: internazionale, nazionale, comunitario, ecclesiale, familiare, individuale. L’impegno per la pace diventa un’urgenza, ma anche una responsabilità, in prima istanza per la Chiesa.

 

Parole di speranza per il mondo di oggi

Ringraziando il Presidente per quanto affermato, i Vescovi hanno concordato sulla necessità di offrire parole di speranza rispetto alle grandi questioni che interrogano l’umanità e di indicare modalità concrete per la costruzione del bene comune. Il tutto nella consapevolezza di essere nel mondo non per conquistare spazi, ma una presenza significativa che fa della debolezza la sua forza. Essere deboli – è stato precisato – non vuole dire essere irrilevanti, ma porsi, con mitezza, in modo antitetico rispetto alla cultura dominante della potenza e della sopraffazione.

In quello che il Cardinale Presidente ha definito il “tempo della Chiesa”, l’evangelizzazione è soprattutto testimonianza, impegno sul piano culturale perché il Vangelo – che è la Buona Notizia – possa essere comunicato in modo efficace a tutti. Con una visione e una consapevolezza maturate negli ultimi 50 anni, scanditi da importanti Convegni ecclesiali e da pronunciamenti che hanno fatto la storia della Chiesa in Italia. Tale bagaglio aiuta a leggere con più chiarezza il contesto attuale, lacerato da contraddizioni e da problemi che attanagliano le famiglie, i più poveri, gli ultimi.

Nel dibattito, i Vescovi hanno espresso preoccupazione per il diffondersi di una cultura del conflitto, che ha nel linguaggio violento e nella corsa al riarmo due elementi fondamentali. È invece quanto mai necessario educare alla pace, proponendo percorsi formativi e alternative valide, specialmente alle nuove generazioni, spesso destinatarie di un’attenzione marginale. In tema di formazione, il Consiglio Permanente ha salutato con favore la firma, lo scorso 9 gennaio, dell’Intesa con il Ministero dell’Istruzione e del Merito in vista del concorso per gli insegnanti di religione, evidenziando come, da una parte, questo traguardo valorizzi quanti operano nella scuola e, dall’altra, apra una riflessione sulle modalità per coinvolgere quanti invece scelgono di non avvalersi di questo insegnamento. Alla luce di quanto espresso dal Cardinale Presidente nell’Introduzione ai lavori, il Consiglio Permanente ha condiviso alcune riflessioni sulla Dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede, Fiducia supplicans. Il documento, ha spiegato il Cardinale, “si pone nell’orizzonte della misericordia, dello sguardo amorevole della Chiesa su tutti i figli di Dio, senza tuttavia derogare dagli insegnamenti del Magistero”. Come peraltro già sottolineato dalla Dichiarazione stessa che conferma la dottrina tradizionale della Chiesa sul matrimonio e non ammette alcun “tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione”.

 

La fase sapienziale del Cammino sinodale

I Vescovi hanno scelto il tema principale della 79ª Assemblea Generale che si terrà dal 20 al 23 maggio 2024: la ricezione della fase sapienziale del Cammino sinodale. Sarà l’occasione per accogliere la restituzione proveniente dalle Chiese locali, attraverso il lavoro delle commissioni del Cammino sinodale, avviarsi verso l’ultima fase, quella profetica, ed elaborare il contributo specifico della Conferenza Episcopale Italiana al Sinodo dei Vescovi. Nel corso dei lavori, è stata messa in evidenza la connessione tra il percorso nazionale e quello universale. La fase sapienziale, infatti, ben si integra con la domanda affidata dal Sinodo dei Vescovi: “Come essere Chiesa sinodale in missione?”, in quanto i cinque temi indicati come prioritari nelle Linee guida del 2023 (missione, comunicazione, formazione, corresponsabilità e strutture) sono il frutto del biennio della fase narrativa (2021-2022, 2022-2023), il cui primo anno si è svolto in maniera del tutto aderente al Documento preparatorio del Sinodo. Per questo, il Consiglio Permanente ha stabilito di non aggiungere nuove tracce e nuove domande, ma di proseguire nel percorso di “discernimento” che le Chiese in Italia stanno portando avanti. In quest’ottica, è stato approvato il cronoprogramma che scandirà le tappe fino al 2025. Sono previste, tra l’altro, due Assemblee sinodali – dal 15 al 17 novembre 2024 e dal 31 marzo al 4 aprile 2025 – le cui modalità di lavoro saranno definite nei prossimi mesi. Le proposte e le indicazioni concrete, sia come esortazioni e orientamenti, sia come determinazioni e delibere, verranno trasmesse al Consiglio Episcopale Permanente e all’Assemblea Generale del maggio 2025. Un punto molto importante, è stato sottolineato, sarà la recezione perché dovrà avvenire in forma sinodale con il coinvolgimento di tutte le Chiese locali.

Rito di istituzione di catechisti

Il Consiglio Permanente ha poi condiviso la proposta di una versione italiana del rito di istituzione di catechisti (il ministero è stato istituito da Papa Francesco il 10 maggio 2021, con la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio “Antiquum Ministerium”), che sarà presentata all’Assemblea di maggio per l’approvazione definitiva. Il testo è frutto dell’interlocuzione con il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti che il 9 febbraio 2023 aveva accolto la proposta di un adattamento ad experimentum dell’Editio typica del Rito di istituzione di catechisti. I Vescovi hanno convenuto sull’opportunità di adeguati cammini di formazione, come previsto dalla Nota ad experimentum del 13 luglio 2022, oltre che di prassi comuni nelle Diocesi vicine. È stata dunque preparata la traduzione in lingua italiana del rito liturgico previsto dal Pontificale Romano: l’adattamento tiene in considerazione le indicazioni della Nota CEI e le scelte stilistiche per gli adattamenti italiani degli altri libri liturgici per le Chiese che sono in Italia.

 

Verso il Giubileo

È stato presentato ai Vescovi il calendario degli appuntamenti del Giubileo predisposti dalla Santa Sede, con le indicazioni relative alle iscrizioni e alla partecipazione. In quest’ottica, è stata ribadita l’importanza del delegato diocesano che ha il compito di interfacciarsi con il Dicastero per l’Evangelizzazione per tutto ciò che riguarda l’organizzazione e la promozione degli eventi in Diocesi e del pellegrinaggio diocesano o regionale. In vista del Giubileo, potranno essere proposte iniziative di preghiera, che insieme al Vescovo vedano protagonista il popolo di Dio, nell’arco del 2024, un anno che Papa Francesco ha deciso di dedicare proprio alla preghiera. “I prossimi mesi – ha spiegato il Pontefice all’Angelus di domenica 21 gennaio – ci condurranno all’apertura della Porta Santa, con cui daremo inizio al Giubileo. Vi chiedo di intensificare la preghiera per prepararci a vivere bene questo evento di grazia e sperimentarvi la forza della speranza di Dio. Per questo iniziamo oggi l’Anno della preghiera, cioè un anno dedicato a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita personale, nella vita della Chiesa e del mondo”.

 

Comunicazioni

Uffici e Servizi Cei. È proseguita la riflessione sulla riforma degli Uffici e dei Servizi della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana.

Settimana Sociale. Il Segretario Generale, Mons. Giuseppe Baturi, ha dato notizia che sarà Papa Francesco a chiudere la 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024). “Il Santo Padre – ha detto Mons. Baturi – sarà con noi domenica 7 luglio per portare un messaggio ai partecipanti all’appuntamento di Trieste e per celebrare la Messa”.

 

Adempimenti

I Vescovi hanno approvato la pubblicazione del Messaggio per la Giornata del primo maggio (Lavoro è partecipazione) curato dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace.

Infine, è stata presentata la proposta di ripartizione dei fondi dell’8xmille per l’anno in corso ribadendo la necessità di diffondere la cultura della partecipazione e corresponsabilità nel sostegno alla Chiesa.

 

Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto alle seguenti nomine:
– Membro della Commissione Episcopale per il laicato: S.E.R. Mons. Antonio D’ANGELO, Arcivescovo coadiutore di L’Aquila;
– Membro della Commissione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita: S.E.R. Mons. Michele FUSCO, Vescovo di Sulmona – Valva;
– Membro della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo: S.E.R. Mons. Gaetano CASTELLO, Vescovo ausiliare di Napoli;
– Presidente del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica: S.E.R. Mons. Ivan MAFFEIS, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve;
– Assistente ecclesiastico nazionale del Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica (MIEAC): Don Luigi VITALE (Nola);
– Consulente ecclesiastico nazionale della Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana: Don Carlo BELLINI (Carpi);
– Consulente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione (AIART): Don Domenico BENEVENTI (Acerenza);
– Consulente ecclesiastico nazionale dell’Unione Cattolica Artisti Italiani (UCAI): Padre Riccardo LUFRANI, O.P;
– Assistente ecclesiastico generale dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI): Don Andrea TURCHINI (Rimini);
– Consulente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Professionale Italiana dei Collaboratori Familiari (API-COLF): Don Francesco POLI (Bergamo).

Inoltre, la Presidenza, nella riunione del 22 gennaio 2024, ha proceduto alle seguenti nomine:
– Membro emerito della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace: S.E.R. Mons. Guerino DI TORA, Vescovo già ausiliare di Roma;
– Membro emerito della Commissione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita: S.E.R. Mons. Mario MEINI, Vescovo emerito di Fiesole.

La Presidenza, inoltre, ha dato il benestare alla nomina di Don Valerio BERSANO (Alessandria) a Segretario Nazionale della Pontificia Opera della Propagazione della Fede, della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria, della Pontificia Unione Missionaria.