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Il 1° maggio la consueta apertura del complesso monastico di San Sigismondo a Cremona

Anche quest’anno il 1° maggio a Cremona ci sarà la consueta apertura del chiostro e del refettorio del monastero di San Sigismondo (in largo Bianca Maria Visconti 3), solitamente inaccessibile perché sotto clausura. L’occasione avrà quest’anno un significato particolare in quanto ricorrono proprio del 2024 i 1.500 anni del martirio di san Sigismondo, la cui memoria liturgica ricorre appunto il 1° maggio.

La giornata si svolgerà come ormai di consueto: dalle ore 9 alle ore 10.30 e dalle ore 14 alle ore 17.30, si potrà visitare il complesso di San Sigismondo nella sua interezza, con l’accesso straordinario alle cappelle laterali, al presbiterio, al chiostro e al refettorio normalmente non fruibili grazie all’impegno dell’Associazione “Amici del Monastero” e con l’accoglienza dei turisti da parte dei volontari legati alla comunità monastica domenicana che metteranno a disposizione artistiche confezioni di lavanda, coltivata in Monastero. L’accesso al complesso monastico da parte di gruppi e singoli è libero e gratuito, ma con la possibilità comunque di lasciare un’offerta a supporto delle attività di manutenzione della chiesa e del monastero domenicano.

Dal punto di vista celebrativo alle 11 ci sarà la Messa solenne presieduta da mons. Pietro Bonometti, canonico del Capitolo della Cattedrale; alle 18 il canto dei Secondi Vespri.

Per quanti lo desiderano le visite potranno essere accompagnate dalle guide turistiche garantite dall’Associazione Amici del Monastero: le visite avranno una durata di circa 45 minuti con partenza ogni 15 minuti e senza necessità di prenotazione.

Si tratta di un’occasione importante per poter ammirare da vicino alcuni capolavori del Manierismo cremonese, ma anche la notevole e inaccessibile Ultima Cena di Tommaso Aleni, realizzata nel 1508 e custodita nel refettorio del monastero. L’opera si ispira al passo del vangelo di Giovanni in cui Cristo, incalzato dalle domande dei discepoli, rivelò il suo traditore dicendo: “È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò”. E, puntualmente, l’Aleni lo ritrae mentre sta afferrando il boccone con le dita della mano sinistra. L’affresco di San Sigismondo è uno dei capolavori del pittore e documenta la cultura figurativa cremonese del primo decennio del ‘500 in alternativa alle proposte più strutturate e moderne di Boccaccio Boccaccino, ispiratore dell’Aleni e prima scelta della committenza cittadina.

Oltre ai capolavori del manierismo cremonese, il complesso di San Sigismondo consente di apprezzare anche alcuni capolavori tardo-barocchi, tra cui si distinguono gli interventi di Robert de Longe. L’esordio in città dell’artista fiammingo si fa proprio coincidere con il cantiere artistico di San Sigismondo, che lo vede impegnato in prima battuta nella decorazione della cappella dedicata a Santa Teresa d’Avila a partire dal 1673, come suggerisce la presenza dello stemma di Desiderio Ambrogini, abate di San Sigismondo dal 1673 al 1698, dipinto tra i girali di foglie d’acanto che ornano le lesene. Verso la fine del secolo, si collocano gli interventi nelle cappelle di San Filippo Neri, dell’Angelo custode e nella controfacciata della chiesa, con le raffigurazioni della Fama e della Giustizia che incorniciano lo stemma di Carlo II d’Asburgo, ultimo degli Asburgo di Spagna e morto nel 1700.

La prossima giornata aperta per il complesso monastico di San Sigismondo sarà come sempre la terza domenica di settembre, nel ricordo della dedicazione della chiesa, avvenuta il 15 settembre 1600 per opera del vescovo Cesare Speciano.




“Di cosa è fatta la speranza”, il 3 maggio all’Ospedale di Cremona

Si terrà presso nel pomeriggio di venerdì 3 maggio, alle 18, presso l’aula magna dell’Ospedale di Cremona, l’evento di presentazione del libro “Di cosa è fatta la speranza” (2023, edizioni Bompiani), romanzo biografico dedicato alla vita di Cicely Saunders, la donna che inventò le cure palliative. L’evento è promosso dal Centro culturale Sant’Omobono di Cremona, in collaborazione con l’Azienda socio-sanitaria territoriale di Cremona, l’ufficio della Pastorale della salute della Diocesi di Cremona e l’Associazione cremonese per la cura del dolore.

Oltre all’autore, Emmanuel Exitu, all’incontro interverranno anche Alessio Faliva, direttore dell’unità operativa di Terapie del dolore e Cure palliative dell’ospedale, don Maurizio Lucini, assistente spirituale dell’Hospice, e Antonio Auricchio, presidente dell’Associazione cremonese per la cura del dolore.

Infermiera, assistente sociale e poi medico, Cicely Saunders ha lottato tutta la vita per restituire dignità ai malati terminali, che fino agli anni 70 del Novecento erano abbandonati dai medici perché “non c’è più niente da fare”. Per lei, invece, c’era ancora molto da fare. E, contro la medicina ufficiale di allora, guidata dalla fede e dal suo spirito scientifico, lo fece: realizzò il miracolo bilanciato di unire l’amore per l’uomo e la passione per la medicina fondando nel 1967 a Londra il primo hospice moderno.

Cristiano Guarneri, presidente del Centro culturale Sant’Omobono, nello spiegare le ragioni di questa proposta, evidenzia come «Attraverso questa grande storia, scritta magistralmente da Exitu, si capisce come la sofferenza umana possa essere accompagna da empatia, ascolto e osservazione. Sono “medicinali” potenti quanto i farmaci. C’è bisogno di qualcuno che li renda concreti. La speranza, infatti, ha bisogno di noi, «è fatta di cose che hanno bisogno di qualcuno che le faccia accadere».

Il romanzo offre molteplici spunti per mettere a tema domande radicali che interessano ogni persona: «La morte e il dolore fanno parte della vita – dice Guarneri – è possibile attraversarli fino in fondo? Dove nasce la speranza che sostiene nel dolore e rende la vita possibile e degna di essere vissuta fino all’ultimo? La persona malata può scoprire una utilità e un bene nel vivere anche la fase terminale della sua vita? Perché le cure palliative sono così importanti? Quale deve essere il ruolo della medicina nella cura dei malati non guaribili?».

Cicely Saunders lavorò per la diffusione delle cure palliative. Spiega l’importanza di queste terapie il dottor Alessio Faliva, che sottolinea come «affrontare una malattia grave e la sua progressione rappresenta una sfida immensa, non solo per il paziente, ma anche per i suoi cari. In questo contesto, le cure palliative assumono un ruolo fondamentale, offrendo un supporto olistico che va oltre la mera gestione dei sintomi fisici. Si tratta di un approccio che mira a migliorare la qualità della vita residua, garantendo benessere e dignità al paziente e ai suoi familiari. Ogni istante assume un valore inestimabile, spingendo a trarre il massimo dalle esperienze e dai rapporti con le persone care. Le cure palliative non solo alleviano la sofferenza, ma offrono anche l’opportunità di riconciliarsi con sé stessi e con i propri cari. È un tempo prezioso per riflettere sulla propria esistenza, esprimere emozioni e dare voce a desideri spesso inespressi. Le cure palliative ci insegnano che la vita è un dono prezioso, da vivere con intensità e consapevolezza, anche di fronte alla malattia e alla morte».

Secondo don Maurizio Lucini in gioco non vi è soltanto la scelta tra un approccio medico piuttosto che un altro, ma il coraggio di uno sguardo diverso nei confronti della sofferenza: «il dolore e il processo del morire», «ma anche ogni limite e fragilità – sostiene don Lucini – sono un appello di cura, di attenzione e di amore che coinvolge una comunità. La vera domanda allora è: siamo disposti ad essere compagni di viaggio di coloro che stanno attraversando la valle della sofferenza? Le risposte che daremo come singoli o società determineranno le modalità dei nostri compagni di viaggio nell’affrontare il loro percorso esistenziale. In hospice ho incontrato persone che appena arrivate chiedevano di morire, poi si sono sentite amate, il dolore è stato alleviato, e hanno sperato di vivere».

Locandina dell’evento




“Al cuore della nostra città”, lettera pastorale per il 4° centenario del Santuario lauretano

Avrà un significato particolare quest’anno a Cremona il tradizionale pellegrinaggio cittadino del 2 maggio al Santuario lauretano presso la chiesa parrocchiale di Sant’Abbondio. Non segnerà solo ufficialmente l’apertura del mese mariano, ma inaugurerà il 4° centenario della Santa Casa cremonese. Proprio in questa occasione sarà disponibile la lettera pastorale “Al cuore della nostra città. Nel IV centenario del Santuario Lauretano in Cremona” scritta per l’occasione dal vescovo Antonio Napolioni.

L’appuntamento è fissato per le ore 21 in Cattedrale: da qui si snoderà la processione con i flambeaux che percorrerà piazza del Comune, largo Boccaccino, via Mercatello, corso Mazzini, corso Matteotti, vicolo Lauretano e piazza S. Abbondio. La preghiera mariana sarà guidata dal vescovo Antonio Napolioni e vedrà la presenza del Capitolo della Cattedrale e, insieme alle proprie comunità, i sacerdoti della zona pastorale 3.

Ad accogliere vescovo e pellegrini nella chiesa di Sant’Abbondio sarà il parroco don Andrea Foglia.

Conclusa la preghiera del Rosario il vescovo terrà l’omelia, quindi, al canto del Magnificat, accompagnato dai sacerdoti presenti, si recherà all’interno del santuario per l’omaggio alla Madonna Nera.

Al termine della celebrazione anche tutti i fedeli potranno accedere alla Santa Casa e sostarvi in preghiera e sarà in distribuzione la lettera pastorale dedicata al Santuario lauretano con il programma degli eventi che accompagneranno i prossimi mesi, fino a dicembre. Il volumetto delle linee pastorali ha in copertina la statua della Vergine incoronata con il Bambino in primo piano, sullo sfondo un’immagine panoramica della città vista dal cielo.

 

Storia del Santuario lauretano di Cremona

La storia del Santuario lauretano di Cremona risale agli inizi del 1600. Il giureconsulto e nobile cremonese Giovan Pietro Ala, molto devoto alla Madonna nera, visitava ogni anno il santuario di Loreto. Con l’avanzare dell’età si accorse che la lontananza e i disagi del viaggio non gli avrebbero permesso di recarsi più a Loreto, così decise di costruire una copia della casa di Nazareth, conservata a Loreto, all’interno del cimitero di Sant’Abbondio, contiguo alla chiesa omonima. Due padri teatini andarono di persona a Loreto per riprodurre con disegni le misure esatte e le fattezze della Santa Casa. La posa della prima pietra risale al 1° marzo 1624 quando alcune fonti storiche riportano dello scavo delle fondamenta e parlano della costruzione delle mura in piena somiglianza alla Santa Casa di Loreto. Ci vollero 36 giorni per completarla, un tempo relativamente breve grazie al meteo favorevole che accompagnò la realizzazione dei lavori.

Quella di Sant’Abbondio è una delle copie più antiche della casa di Maria. Anzi, fu essa stessa modello per altre copie che si diffusero in tutta Italia e anche all’estero. A Pozzaglio, nel Cremonese, ne esisteva una sotto la custodia dei Barnabiti, ma oggi non ne resta traccia perché fu demolita.

Il 21 gennaio 1625, su istanza di Giovan Pietro Ala, fu emesso il pubblico decreto secondo il quale la città veniva posta sotto la protezione della Santissima Vergine della Santa Casa. È da allora che i cremonesi si recano presso il santuario che si trova nel centro della città.

La statua della Madonna nera fu scolpita – non si conosce il nome dell’autore – sempre nel 1624. E da quella data campeggia sopra l’altare della Santa Casa. È noto che nel 1630 fu portata in processione per scongiurare l’ingresso della peste manzoniana in città. Proprio per questa epidemia morì Giovan Petro Ala che, per sua volontà, fu sepolto nel cimitero di Sant’Abbondio.

La Santa Casa e il Museo lauretano conservano ancora oggi una preziosa raccolta di ex voto. Sono circa cento pezzi, in gran parte risalenti agli anni immediatamente successivi alla fondazione della Santa Casa. Per lo più si tratta di piccoli quadretti dipinti con la scena del miracolo. Gli autori sono presumibilmente personaggi ospitati nella residenza dei teatini. Si tratta di opere dall’indubbio valore storico oltre che religioso.




Festa dei lavoratori, mercoledì 1° maggio la Messa del Vescovo alla Italcoppie Sensori di Malagnino

Alcune immagini dell’attività di Italcoppie

 

Come ormai consuetudine, il 1° maggio, nella festa dei lavoratori, il vescovo Antonio Napolioni presiederà l’Eucaristia in un’azienda del territorio. A ospitare la celebrazione quest’anno sarà l’azienda Italcoppie Sensori di Malagnino, fondata nel 1978 da Canzio Noli e attualmente guidata dai figli Pietro e Mario, specializzata nella produzione di sonde di temperatura. La celebrazione diocesana, che vedrà la partecipazione delle rappresentanze istituzionali e del mondo economico, imprenditoriale e lavorativo, è in programma presso l’azienda di Malagnino alle ore 10.30 di mercoledì 1° maggio.

L’occasione, promossa dall’Ufficio della Pastorale sociale e del lavoro, costituirà un invito alla preghiera e alla riflessione sul tema “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”, proposto a livello nazionale dalla Commissione episcopale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace.

«Un tema assolutamente attuale e importante – precisa Eguenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro – . Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del creato. Lavorare quindi non è solo un “fare qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri».

«Consapevoli delle difficoltà di questo momento – prosegue Bignardi – vogliamo incontrarci per riflettere e pregare per il lavoro, i lavoratori, gli imprenditori, per i formatori, le istituzioni e per le nostre comunità». E conclude: «Prenderci cura del lavoro è atto di carità politica e di democrazia».

L’iniziativa, che ogni anno coinvolge le realtà imprenditoriali del territorio, quest’anno è stata resa possibile grazie alla disponibilità di Italcoppie Sensori. «La proposta di accogliere la Messa del Vescovo è una possibilità che ho trovato davvero interessante – spiega Pietro Noli, amministratore di Italcoppie Sensori –. Anche in altre occasioni, come l’anniversario della fondazione, abbiamo celebrato la Messa negli spazi della nostra impresa, quindi mi è sembrato bello poter celebrare così la festa del 1° maggio, sia in ambito aziendale, sia come occasione per far crescere la comunità del paese, in cui operano molte aziende con cui si potrebbero avviare sinergie importanti».

La giornata di mercoledì 1° maggio sarà, dunque, caratterizzata dalla visita del vescovo Antonio Napolioni agli spazi dell’azienda, cui farà seguito alle 10.30 la celebrazione dell’Eucaristia, concludendo la mattinata con un momento conviviale offerto da Italcoppie Sensori.

Ideale prosecuzione della celebrazione diocesana del 1° maggio sarà l’incontro promosso il 15 giugno dall’Ufficio di Pastorale sociale e del lavoro insieme ad Acli provinciali, Cisl Asse del Po, Confcooperative ed altre realtà del territorio, per approfondire il tema del lavoro quale occasione di partecipazione.

 

 

Nata nel 1978, Italcoppie è un’azienda che produce sensori di temperatura, utilizzati in centinaia di applicazioni: nei macchinari industriali, come nelle presse a iniezione o nelle macchine da caffè professionali; nei congelatori a bassa temperatura o nei quadri di controllo; per le misurazioni del liquido di raffreddamento o nella fusione dell’alluminio.

L’azienda conta oggi oltre 500 dipendenti, suddivisi in quattro stabilimenti presenti in tre continenti (in Italia a Malagnino, in Tunisia a Hammamet, in Brasile a Manaus e in Germania a Neustadt an der Weinstraße e a Hagen), per una produzione complessiva di circa 6 milioni di sonde all’anno e un fatturato consolidato di circa 50 milioni di euro.

Oltre ai quattro stabilimenti, l’azienda può vantare uno sviluppato dipartimento di ingegneria ubicato a Cremona e a Portile, nel comune di Modena.

Punto di forza di Italcoppie Sensori è l’integrazione verticale: la lavorazione del metallo, lo stampaggio a iniezione e l’assemblaggio delle sonde avviene “in casa”. Il pieno controllo su ogni fase della produzione permette di rispondere in modo flessibile alle richieste dei clienti.

«Italcoppie – ricorda Mario Noli, responsabile tecnico dell’azienda – nasce dall’iniziativa di uno studente di nostro padre, ai tempi professore di disegno, che è stato coinvolto in questo progetto. Dopo parecchi anni la nostra famiglia è rimasta da sola a condurre l’azienda e, negli anni ’90 e 2000, ha iniziato un veloce processo di sviluppo che ha fatto crescere l’azienda sia dal punto di vista delle dimensioni che della visibilità nel panorama europeo». «Nel 2008 – prosegue – abbiamo deciso di ampliarci anche al di fuori del territorio cremonese, aprendo uno stabilimento in Tunisia e poi in Brasile e acquisendo, l’anno scorso, un’azienda dello stesso settore in Germania». Un percorso che continua da oltre quarant’anni, e senza mai smettere di guardare al futuro: «La prospettiva è sicuramente la crescita – conclude Noli –, in termini numerici e in termini di qualità del prodotto».

 

Eugenio Bignardi con i titolari di Italcoppie

 

 

Festa del primo maggio. Cei: “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”




Riflessi, un’edizione «a tutta velocità»

I mesi e le edizioni scorrono rapidamente e Riflessi Magazine arriva sul rettilineo che lo porterà a tagliare il traguardo dei 5 anni (e 50 edizioni digitali) con un numero dedicato proprio al tema della velocità.

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Tra le pagine dell’edizione numero 49 una riflessione sulla frenesia del contemporaneo, nella comunicazione, nelle relazioni, nel «paradigma della competizione che ci condiziona anche quando non ne sentiamo il bisogno, nella formazione delle opinioni, nell’impiego del tempo libero, nella dinamica dei rapporti umani; l’ineluttabilità del progresso, l’insufficienza del presente. Il terrore della noia».

Non solo però uno sguardo critico, ma – come nello stile del mensile diocesano, fatto di parole, immagini, suoni e link da navigare con curiosità – anche la ricerca di valori positivi, di storie da conoscere e incontrare nella quotidianità che ci circonda: chi corre veloce su un circuito da gara che tra pochi giorni ospiterà un gran premio della Superbike, chi progetta bici cargo per essere più efficienti ed ecologici nella consegna dei pacchi in contesti urbani, dal tempo della cura ritrovato grazie all’Intelligenza Artificiale in rsa, al moto millenario degli astri riprodotto in pochi secondi sulla volta del planetario del Torrazzo, dalle partite-lampo negli scacchi alla corsa come stile di una vita, in fin dei conti, lenta. «C’è passione nella velocità –si legge infatti ancora nell’introduzione – un cambio di rotta, l’ispirazione così difficile da catturare, la naturale tensione al cambiamento. La velocità è giovane, romba come il motore di una supercar, batte come un cuore innamorato e cambia all’improvviso. È la vita: rallenta, si ferma, riparte. Come le emozioni sfiorano la nostra vita con il tocco di un istante che non c’è modo di fermare, eppure resta come il flash impresso sulla retina, eco di un ricordo che rimane nella memoria. Rapide, ma non effimere: parole, sguardi inattesi, verità riconosciute… Erano attimi in fuga, rimarranno per sempre».




Il 25 aprile in Seminario la festa di Rosarianti e Ministranti, con l’invito a essere sempre «evangelizzanti»

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Ministranti, Rosarianti e Fortes in fide. Ma prima di tutto «evangelizzanti», perché «occorre portare il Vangelo a tutti e costruire un regno di giustizia e di pace», a partire dall’incontro con la Sorgente di gioia, «l’annuncio della salvezza e l’amicizia del Signore». È l’invito e insieme l’augurio che il vescovo Antonio Napolioni ha voluto esprimere giovedì in Seminario celebrando in un unico momento comunitario l’annuale Giornata delle associazioni che pregano per le vocazioni sacerdotali, abitualmente fissata per il 25 aprile, e la Festa diocesana dei ministranti, quest’anno anticipata nella medesima occasione.

Durante la Messa vissuta nel primo pomeriggio nella chiesa del Seminario, riflettendo sull’unicità dell’appuntamento condiviso, monsignor Napolioni ha sottolineato come il senso della preghiera o del servizio vengono meno se si dimentica la sorgente da cui scaturiscono, «come se tutto finisse lì». Il Vangelo «apre la mente e la fantasia dello Spirito Santo e ogni occasione è adatta per dire sì al Signore, nonostante la pigrizia e la fatica contro cui dobbiamo lottare». Per essere dunque “evangelizzanti” e portare il Vangelo a tutti, è quindi necessario «lasciarci evangelizzare», ovvero conoscere e assaporare la gioia «di essere salvato, essere amico del Signore, guardare agli altri con più fiducia».

Ministranti e Rosarianti, insomma, «fanno rima con avanti», ha osservato con ironia il vescovo: «Ogni giorno possiamo scrivere una nuova pagina del nostro diario con Gesù che profuma di Vangelo». E allora «quando serviamo a Messa o facciamo una preghiera è l’inizio di una vita che deve continuare a scorrere».

 

Omelia del vescovo Napolioni

 

Una quarantina tra Rosarianti e Fortes in fide, insieme a circa un centinaio di chierichetti giunti dalle diverse parti della diocesi, tutti con indosso le proprie vesti, diverse da parrocchia a parrocchia. Un incontro iniziato, dopo la recita del Rosario, alle 15 con l’Eucaristia, nella memoria liturgica di san Marco evangelista. Significativo il momento dello scambio della pace che bambini e ragazzi hanno portato a tutti i presenti e, alla fine, la foto ricordo collettiva.

Il pomeriggio, animato dalla comunità del Seminario, è proseguito con un momento di festa, differenziato tra adulti e ragazzi: i primi impegnati in una tombolata, i secondi in una serie di «sfide» di abilità e concentrazione organizzate in diverse aree del Seminario e che sono state occasione per far conoscere alcuni dei santuari presenti in diocesi. Un breve cenno storico e poi via al gioco tra staffette, telefoni senza fili, piramidi umane e scioglilingua.

«L’idea è stata quella di ritrovarsi insieme e dare la possibilità ai vari gruppi di chierichetti di conoscersi tra loro», ha detto don Valerio Lazzari, referente diocesano per i ministranti. «La giornata di oggi è la prima fatta in questo modo – sottolinea don Marco D’Agostino, rettore del seminario – ed è bello pensare che tutti noi siamo chiamati, attraverso i nostri servizi, ma soprattutto attraverso la nostra testimonianza, a raccontare la nostra fede».




Chiesa di Casa, dalla parte del Pianeta

 

La Giornata mondiale della terra celebrata il 22 aprile ha rappresentato un’occasione unica per focalizzare l’attenzione sul nostro pianeta. Nata nel 1970, ha l’obiettivo dichiarato di invitare le persone a riflettere e mettere in campo azioni utili alla salvaguardia della terra. Una tematica cui è stata dedicata proprio la nuova puntata di questa settimana di Chiesa di Casa.

«Parlare di ecologia è fondamentale – ha spiegato Eugenio Bignardi, incaricato diocesano per la Pastorale sociale – perché significa inevitabilmente parlare di noi. Abbiamo anche un invito chiaro, in questo senso, dato da Papa Francesco con Laudato si’ e Fratelli tutti: si fa riferimento a un’ecologia integrale, che non è ambientalismo, ma cura della nostra casa comune e delle relazioni».

L’aspetto relazionale risulta centrale, come evidenziato anche dalle parole del sociologo Mauro Ferrari, autore del libro Noi siamo erbacce. Cos’è la botanica sociale. Secondo lo scrittore piadenese, infatti, «tutti noi ci nutriamo di interazioni e le nostre identità sono frutto proprio di queste dinamiche. Su scala globale, esse sono purtroppo molto spesso diseguali e hanno portato a situazioni davvero complesse per molte persone. Vivere di relazioni significa essere consapevoli di poter e dover attuare comportamenti utili a cambiare questa situazione».

A sottolineare il valore di una reale necessità di transizione è stato Andrea Corini, fondatore di Green Boost, startup attiva nel settore della vendita di crediti di carbonio. «Sentiamo usare spesso la parola green, molte volte a sproposito. Per un’azienda, dirigersi verso la sostenibilità significa ripensarsi e strutturare, insieme a chi ne è capace, un progetto volto a valorizzare quegli attori che sono capaci di investire nell’ambiente, tutelandolo, e nelle risorse che esso produce».




Curia, uffici chiusi dal 25 al 28 aprile e il 1 maggio

Dopo la festività del 25 aprile, anche nella giornata di venerdì 26 aprile gli uffici della Curia vescovile di Cremona, sia presso la il Palazzo vescovile che il Centro pastorale diocesano di Cremona, rimarranno chiusi. L’apertura al pubblico riprenderà regolarmente da lunedì 29 aprile. Un’ulteriore chiusura è prevista per la giornata di mercoledì 1° maggio.




25 aprile, a Cremona le celebrazioni aperte con la Messa al cimitero presieduta dal vescovo Napolioni

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«Grazie alle sofferenze di chi ci ha preceduto veniamo da decenni di bellezza della pace», così ha voluto sottolineare il vescovo Antonio Napolioni durante la Messa presieduto nella mattinata del 25 aprile al Cimitero di Cremona.

In occasione del 79° anniversario della Liberazione, è stato predisposto un articolato programma celebrativo dal Comune di Cremona, in collaborazione con il Comitato Costituzione Liberazione (Associazione Nazionale Partigiani Italiani, Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Cremona, Associazione Nazionale Divisione Acqui – Sezione di Cremona), che si è aperto proprio con la Messa presieduta dal vescovo di Cremona presso la Cappella dei Caduti per la Libertà, alla presenza delle autorità civili e militari e dei rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’armi e partigiane.

Nella sua omelia, mons. Napolioni ha voluto porre l’attenzione a un pericolo molto attuale nel contesto dei conflitti di oggi: «Abbiamo paura di perdere la pace e siamo tentati di illuderci che la potremo ottenere ancora solo con la violenza: la Parola ci dà un bagno di umiltà, perché abbiamo fatto esperienza della potenza di Dio». «Ieri sera – ha quindi proseguito il vescovo durante la sua riflessione – ho avuto modo di riascoltare le parole di violenza che hanno reso quel Ventennio foriero di drammi, umiliazioni, faziosità e che hanno seminato morte e risentimento. Quanto è necessario non strumentalizzare Dio e non usare mai le religioni come arma di divisione». Infine, mons. Napolioni ha voluto chiudere con un invito rivolto a tutti: «La vera liberazione non è compiuta, perché è personale e comunitaria, opera alla quale siamo chiamati tutti credenti e non credenti».

Al termine della Messa, accompagnato dal trombettiere del Complesso bandistico “Città di Cremona”, il corteo, preceduto dai Gonfaloni del Comune e della Provincia di Cremona, ha sfilato all’interno del cimitero per rendere omaggio a quanti hanno dato la propria vita per la difesa della libertà, con sosta e deposizione di corone d’alloro e fiori alla Cappella ai Caduti Civili, alla Cappella dei Fratelli Di Dio, ai monumenti commemorativi dei soldati trucidati a Cefalonia e Corfù, dei Caduti per la Resistenza, all’Altare della Patria e sulla tomba di Mario Coppetti.




Qual è il tuo posto? Il 28 aprile iniziativa al Santuario di Caravaggio

Ci sono proposte per le famiglie e i fidanzati, per i sacerdoti e i consacrati: non mancano mai nelle comunità cristiane e nella Chiesa momenti belli e formativi per le varie vocazioni. E chi la vocazione non ce l’ha? O meglio, chi crede di non averla, perché nella vita non è arrivato a nessuna di quelle che noi definiamo appunto “vocazioni”?

Le statistiche dicono che in diocesi di Cremona quasi il 45% dei nuclei familiari è monofamiliare: un fratello o una sorella che vivono soli… Diverse possono essere le ragioni: per scelta, per le circostanze della vita, per ferite che le persone si portano nel cuore. L’attenzione della Chiesa si rivolge anche a loro. La proposta vuole raggiungere queste persone in particolare, per riflettere, pregare, condividere sul senso profondo della vita e della vita cristiana.

L’incontro, che si terrà il 28 aprile al Centro di spiritualità del Santuario di Caravaggio, è aperto a tutti (anche a chi ha già fatto delle scelte vocazionali nella vita) e avrà un taglio ben preciso che aiuti a comprendere la grandezza dell’unica vera vocazione che accomuna tutti perché figli di Dio: quella del Battesimo nella comunione della Chiesa.

Nella mattinata, a partire dalle 9.30, ci sarà una testimonianza di due fratelli – Carla e Michele Liuzzi – che hanno sperimentato la guarigione del cuore dopo un dramma, come a dire che per trovare il proprio posto è importante lasciare che il Signore curi le ferite e doni la forza di essere se stessi, nella verità più profonda.

La celebrazione eucaristica al cuore della giornata aiuterà i partecipanti a raccogliere tutta la propria esistenza in Gesù, il Sì del Padre.

Nel pomeriggio, attraverso la guida di un fratello “esperto in comunione”, don Gian Battista Rizzi, tutti saranno aiutati a arrivare a riflettere sull’identità più profonda che ciascuno ha inscritto in sé, ancora prima di una scelta di vita: figli di un Padre che follemente ci ama, fratelli di tutti e con tutti innestati nella comunione del suo amore. Ci può essere vocazione più grande?

Per Informazioni e iscrizioni cliccare qui o scrivere a centro@santuariodicaravaggio.org.

 

Locandina dell’iniziativa