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Deceduta suor Amelia Biolchi, una vita spesa al servizio dei più svantaggiati e bisognosi

Profondo dolore, viva commozione, sentimenti di autentica gratitudine ha suscitato la notizia della morte di suor Amelia Biolchi (al secolo Rina Vittorina), della Congregazione “Istituto Rifugio Cuor di Gesù”, avvenuta presso la casa di cura S. Camillo di Cremona nel giorno della solennità dell’Epifania.

Suor Amelia ha vissuto tutta la sua esperienza religiosa all’insegna del dono di sé al servizio dei più svantaggiati e bisognosi. Nella costante e appassionata fedeltà al carisma della fondatrice dell’Istituto, madre Rosa Gozzoli, ha testimoniato in tutte le tappe della propria vita quanto il Vangelo chiede con forza: l’amore verso i più poveri.

In tutte le varie Case della Congregazione in cui ha prestato servizio è stata segno di accoglienza, di attenzione, di sensibilità, soprattutto verso il mondo femminile e dell’adolescenza.

Di straordinario rilievo è stata la sua presenza in Brasile, a Goiânia, dove, insieme con le consorelle, ha dato vita all’Ecovam, opera che negli anni ha nutrito, vestito, educato un numero incalcolabile di “meniños da rua”, attraverso una azione caritativa che è andata anche bel al di là della struttura stessa.

Una volta rientrata in Italia, suor Amelia non ha mancato di visitare regolarmente la struttura, recandosi in Brasile annualmente con l’entusiasmo che solo l’amore può sostenere.

Vari – ma sempre segnati dalla carità – sono stati gli ambiti in cui ha espresso la autenticità della sua vita religiosa: la dedizione costante ed espressa con tutte le energie alle giovani donne è stato ciò che maggiormente ha caratterizzato la sua vita.

Si è spenta dopo qualche giorno di ricovero, assistita, fino all’ultimo, dai Padri Camilliani, da cui ha ricevuto tutti i conforti della fede, dopo essere stata accolta per qualche tempo presso le Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento di Rivolta d’Adda, che la hanno seguita, curata, confortata, amorevolmente e con estrema e costante attenzione.

Il funerale sarà celebrato nella Cattedrale di Cremona sabato 9 gennaio, alle ore 10, presieduto dal vescovo Antonio Napolioni.




Ancelle della Carità in lutto, è salita al Cielo madre Amedea Ruggeri

«Madre Amedea era una persona eccezionale, che amava la Chiesa e la propria città». Con queste parole, la superiora della Ancelle della Carità di Cremona, madre Carla Antonini, ricorda la sua predecessora. Madre Amedea Ruggeri, infatti, ha svolto per molti anni l’incarico e il servizio di superiora presso la comunità religiosa e la clinica di via Aselli e il ricordo che se ne è conservato è quello di una «persona molto raffinata, capace di essere materna, ma anche ferma nelle decisioni».

Cremonese d’origine, della parrocchia di S. Ilario, madre Amedea ha guidato le sorelle e la casa di cura anche nel periodo di transizione tra la gestione dei casi acuti e la strutturazione come clinica di riabilitazione ed hospice. «In questo – ricorda madre Carla Antonini – la sua capacità di mediazione, le sue doti organizzative e relazionali, unite ad un grande intuito, sono state decisive».

Madre Amedea, però, non è stata solamente la direttrice di una struttura sanitaria. L’attuale superiora della Ancelle della Carità parla di lei come di una «grande figura apostolica, legata alla vita della Chiesa nel servizio di sacerdoti e laici, com’è nello stile del Vangelo. Era una persona di cui, con gioia, mi piace definirmi figlia e amica».

Le esequie di madre Amedea Ruggeri si terranno nella chiesa di S. Ilario, in Cremona, venerdì 8 gennaio (ore 10); al termine del rito, si procederà verso il Cimitero cittadino.




In vista del Natale il Vescovo in visita al Monastero della Visitazione

Un incontro familiare quello che domenica 20 dicembre, nella IV di Avvento, il vescovo Antonio Napolioni ha offerto al Monastero della Visitazione di Soresina con la sua presenza. Visita iniziata con la Messa delle ore 8 a porte chiuse, come tutte le domeniche da fine febbraio, inizio della pandemia.

Nella celebrazione eucaristica presieduta da mons. Napolioni e concelebrata dal parroco don Angelo Piccinelli e dal cerimoniere don Flavio Meani, il vescovo ha augurato un buon Avvento, una buona attesa, una buona preparazione insieme al grazie, alle monache di clausura della Visitazione, per l’accoglienza e la condivisione del momento di preghiera.

Il pensiero del Vescovo è rivolto a chi è nelle case, agli anziani, ai ammalati, ai bambini e alla fatica di questo tempo e non solo, sottolineando anche ciò che fiorisce, ciò che il Signore prepara, Lui stesso che viene in mezzo a noi sempre e comunque, e rinnova sempre di più la vita di ciascuno.

L’omelia, incentrata sul Vangelo dell’Annunciazione che squarcia ogni tenebra e sulla lettura di san Paolo, è aiuto alla riflessione sul Giorno di Dio che viene, che conduce la storia al suo compimento. Nessuno può smentire il Natale – ha detto il Vescovo -: possiamo falsificarlo quanto vogliamo, possiamo dimenticarlo quanto vogliamo, possiamo essere costretti dall’epidemia a fare un Natale più cristiano, ma non siamo noi a farlo, è Dio, realmente al centro di tutto e che tutto custodisce e tutto ha fatto per l’uomo: Egli stesso è per noi, esiste per le creature. Ecco perché – ha aggiunto monsignor Napolioni – oggi non c’è niente da spiegare e da raccontare, ma c’è tanto da adorare, contemplare e lodare, perché l’amore di Dio si è davvero manifestato.

Al termine della celebrazione il Vescovo ha incontrato tutte le monache per gli auguri e scambiare alcune parole con loro su come stanno vivendo questo mesi. Uno scambio di parole sorridenti e serene in questo momento particolare di “clausura” per la comunità visitandina e parrocchiale, ma che mai si è chiusa alle preghiere e al conforto di chi le raggiunge, chiudendo con la benedizione e un ricordo per le persone dimenticate.




«Come la scia di una nave», la prima missione ad gentes delle Adoratrici raccontata in un libro

È stato presentato il 12 ottobre, proprio nei giorni della memoria della Canonizzazione di San Francesco Spinelli, “Come la scia di una nave”, il libro curato da suor Paola Rizzi che racconta le vicende di 11 semplici Suore Adoratrici partite in missione per l’Albania nel lontano 1940, alle porte di una dolorosa guerra, per la prima missione ad gentes del loro Istituto.

«Arriva una mail dall’Albania. Un giovane frate che vive in Albania, chiede alla Segreteria generale conferma del fatto che, in un passato non ben definito, un gruppo di Suore Adoratrici del SS. Sacramento abbia vissuto a Berat. E per dare risposta a fra Paolo Marasco una mattina del gennaio 2019 apriamo l’armadio numero 6 dell’Archivio Storico, dove si conservano i faldoni impolverati delle comunità di Adoratrici già chiuse. Il numero 3 riporta la dicitura “Albania”. Lo slacciamo. Si apre un mondo. Fatto di nomi, di volti, di date, di lettere, di storie, di fede, di angoscia, di guerra, di servizio. Soprattutto fatto di amore fino al dono della vita. Un diario, tre cartellette colme di lettere, alcuni documenti a far crescere, via via che la lettura procede, la consapevolezza di essere di fronte a un tesoro di santità».

Così inizia la presentazione del libro Come la scia di una nave, che racconta la presenza in Albania delle prime Suore Adoratrici missionarie. Salpate da Bari all’inizio di giugno 1940, sono ritornate in Italia dopo l’espulsione di tutti i missionari, da parte del partito comunista appena salito al potere, nel febbraio 1946.

È una storia che parla della fondazione di una missione. Ma è soprattutto la storia di una comunità religiosa che si trova a condividere tutta la presenza in Albania, allora Protettorato italiano, con una vicina di casa che si chiama “guerra”. La guerra con la Grecia, la seconda guerra mondiale, la guerra di espansione e la guerra di difesa. Insomma, sei anni vissuti tra bombe e mitraglie, tra soldati e sparatorie. Eppure sei anni in cui le undici suore Adoratrici hanno donato il loro servizio nel paese di Berat, nel cuore dell’Albania, senza fermarsi mai. Dapprima come maestre nella scuola materna e per il lavoro femminile, poi come infermiere a domicilio e quindi nel grande ospedale militare, che arrivò a ospitare 33.000 malati in 4 mesi, in una struttura predisposta per 1000 malati…

La povertà del luogo, della casa, dei trasporti, del cibo, delle comunicazioni sono altrettanti segni di quell’eroismo proprio di chi sceglie di mettere il Vangelo prima delle proprie sicurezze. Ma il dover fuggire più volte perché le bombe dei nemici erano rivolte proprio alla loro casa, questo è segno di quella disponibilità al martirio che le suore dichiarano a chiare lettere. Anche quando a loro è data la possibilità di lasciare l’Albania, come a tutte le mogli dei militari lì presenti, esse dichiarano in coro: “Noi restiamo”. Sapendo che se il Signore le riterrà degne del martirio, darà loro la grazia di consegnare la vita fino all’atto estremo.

La storia ha un altro epilogo. A gennaio 1946 il partito Comunista firma il decreto di espulsione di tutti gli italiani, primi fra tutti i missionari. Ma prima di imbarcarli alla volta di Brindisi, li terrà internati per 35 giorni, in attesa di mandarli in Siberia… non certo in gita turistica.

La narrazione di suor Franceschilla racconta: «E venne il giorno della partenza. Il 25 febbraio dopo minuziosi controlli alle valigie e la perquisizione personale salimmo sulla nave che ci doveva portare in Italia. Era una piccola nave mercantile chiesta dal S. Padre Pio XII alla Marina mercantile quando seppe che ci avrebbero portato in Siberia. Alle 17 la nave si mosse dal porto. Salutammo la povera Albania cantando la Salve Regina per affidare alla Madonna quella terra e il nostro viaggio».

Arrivarono a Rivolta, in Casa madre l’11 marzo 1946. Le Memorie dell’Istituto ricordano che «La Reverendissima Madre è andata ad accoglierle a Cassano. Sono state quindi ricevute alla porta della chiesa da tutta la comunità ivi convenuta che intona il Benedictus. Le missionarie salgono l’altare e, terminato il canto, il cappellano, Rev. Don Annibale, imparte la benedizione eucaristica. Ringraziamo il Signore che le ha salvate da tanti pericoli».

È la storia di un popolo, raccontata da undici suore che l’hanno condivisa da vicino; non è scritta nei libri di storia, è annotata a mano sul diario della superiora, suor Ausilia.

È la storia di una guerra combattuta dagli uomini ma supportata dalle donne. Dietro, in silenzio, quelle donne curavano, consolavano, pregavano, sostenevano le migliaia di soldati lontani da casa, dalla mamma, dalla moglie.

È la storia di missionari cristiani cattolici, inviati in un paese in cui «le statistiche del 1930 davano il 73% di musulmani, il 27% di ortodossi, nessun cattolico». In cui non c’era alcuna certezza se non la fede incrollabile in Colui che le mandava.

È la storia della Provvidenza all’opera che, come diceva spesso san Francesco Spinelli, “non ci ha mai abbandonati”.

È la storia di religioni diverse che si parlano, si accolgono, si incontrano, come fossero fratelli tutti. Commoventi le pagine in cui le suore pregano il Dio di Gesù Cristo e insieme i bambini pregano Allah, perché le bombe non travolgano case e persone.

È la storia della fraternità che rende “un cuore solo e un’anima sola” e che, se guardata con gli occhi semplici, appare proprio come la forza che salva il mondo. Solo insieme, nel nome dello Spirito che è comunione, le Suore Adoratrici e con loro i frati Conventuali hanno superato le giornate più nere.

Non si può raccontare di più; bisogna leggerlo, a partire dai testi autografi ritrovati, il diario, le cronache, le lettere.

E si scoprirà che è vero quanto papa Francesco, ottant’anni dopo, ha scritto nella Fratelli tutti: «Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde… ma anche il ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene.

Il libro, edito da Ancora, è disponibile in libreria o si può richiedere in Casa Madre all’indirizzo segreteria@suoreadoratrici.it 

 




A San Camillo giornata del ricordo con il vescovo Napolioni

Nella mattina di venerdì 2 ottobre presso la cappella della casa di cura San Camillo di Cremona si è celebrata la giornata del ricordo, nella memoria di quanti sono morti a causa del Covid-19 nella prima fase della pandemia.

All’inizio della Messa il superiore camilliano, padre Virginio Bebber, ha ricordato con un lungo elenco le molte persone che sono decedute, tra i quali i molti parenti dei dipendenti della casa di cura e in special modo chi era parte della famiglia della clinica di San Camillo: il dottor Leonardo Marchi, direttore sanitario della struttura, padre Francesco Avi, chirurgo camilliano missionario in Taiwan e in Kenya e fratel Antonio Pintabona, zelante sagrestano della cappella della clinica, molto conosciuto in città.

Durante l’omelia il vescovo Napolioni, ricordando le parole di un seminarista conosciuto in passato, ha sottolineato che, «se anche bisogna cercare di rimarginare le ferite del corpo, non bisogna lasciar rimarginare le ferite dell’anima, perché a volte pur di non soffrire noi facciamo soffrire gli altri e creiamo delle ferite sociali». Il vescovo ha sottolineato come «un medico, un religioso, un parente riesce a dare pace e sicurezza: non solo quella della guarigione fisica, ma anche quella di non rimanere solo. E nei mesi scorsi purtroppo è anche successo questo».

L’auspicio e augurio finale per tutta la comunità camilliana e i presenti è stato quello di «essere chiamati a prenderci cura gli uni gli altri da vivi, e con i nostri fratelli defunti» e che «la memoria dei nostri cari sia d’aiuto anche per noi: una luce come l’aurora per quanti ogni giorno al risveglio dicono di sì al proprio dovere con umiltà e coraggio. Se non si deve rimarginare la ferita del cuore, si rimargineranno tante ferite sociali e la traccia di coloro che ci hanno lasciato sarà luminosa per sempre».

Al termine della celebrazione eucaristica è stata inaugurata e benedetta dal Vescovo una sala polivalente intitolata al dottor Leonardo Marchini. Padre Bebber ha brevemente spiegato come questa sala è proprio quanto desiderato dal medico defunto: «un luogo dove il personale potrà trovarsi per la formazione e per tante altre attività». La targa in memoria del direttore sanitario è quindi stata svelata dalla moglie e dalle figlie.

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San Sigismondo, quarant’ore di adorazione in sostituzione della consueta apertura del chiostro, sospesa a causa del Covid

Con l’arrivo a Cremona, 13 anni fa, presso San Sigismondo, della comunità claustrale domenicana, sono divenute tradizionali due aperture annue del complesso monastico solitamente soggetto alla clausura per consentire ai turisti, ai cultori d’arte, agli amici e simpatizzanti di visitare da vicino il coro ligneo monastico intarsiato da Domenico e Gabriele Capra, il chiostro con il portale intagliato da Paolo e Giuseppe Sacca, il refettorio con l’affresco dell’ultima cena dipinto da Tommaso Aleni e, sulla volta del soffitto, l’Apocalisse di Giovan Battista Natali. Lo scorso 1° maggio la pandemia ha reso impossibile la consueta apertura. Considerata la permanenza di detta precarietà la monache hanno ritenuto poco prudente anche realizzare la tradizionale apertura della terza domenica di settembre.

In questo contesto la comunità monastica ha però pensato a un appuntamento alternativo, in sostituzione alla visita degli ambienti claustrali. Nel pieno rispetto delle norme sanitarie, per evitare contagi, sarà possibile sostare nella chiesa di San Sigismondo per prolungati momenti di preghiera. Pertanto, al centro dell’attenzione, non saranno i dipinti, le opere d’arte, le tele o gli affreschi, ma l’Eucaristia, il sommo bene della Chiesa, fonte di comunione per chi vive di qua e di là della grata claustrale.

«Giovedì 17, venerdì 18 e sabato 19 settembre – spiegano al riguardo dalla comunità monastica – saranno tre giorni dedicati all’adorazione eucaristica durante i quali sarà possibile fermarsi in preghiera, adorando con fede viva la presenza invisibile, ma reale e benefica, di Gesù nei segni sacramentali. Potremo ricordare i nostri cari defunti, specialmente quelli dei mesi scorsi; affidare all’Onnipotente i numerosi ammalati tuttora in ospedale o nelle nostre case; parlare al Signore delle gioie e delle speranze, delle preoccupazioni e delle ansie delle nostre famiglie; allargare il cuore e la mente ai problemi della Chiesa e del mondo intero. Potremo soprattutto ascoltare il Vivente che vuole ripeterci la Sua Parola di vita e dare senso al nostro tempo che vediamo trascorre veloce».

«Forse qualcuno sorriderà di questa nostra iniziativa: sostituire una visita d’arte con una visita prolungata a Gesù nell’Eucaristia – proseguono le claustrali -. Noi monache lo riteniamo molto bello e significativo in risposta a una ricorrente domanda che ci viene rivolta da chi visita il Monastero: “Che cosa avete voi in monastero per esserci un’atmosfera tanto diversa da dove viviamo noi fuori?”. La presenza di Gesù sotto le specie eucaristiche è il vero segreto che anima la nostra abitazione. Quest’anno, chi lo vorrà, potrà condividere questo spirituale segreto con noi per tre giorni».

Le monache si alterneranno nell’adorazione in una ininterrotta preghiera, mentre i fedeli potranno unirsi nei momenti a loro possibili nelle varie ore del giorno, tenendo presente la celebrazione quotidiana della Messa alle ore 7 e dei Vespri alle ore 18 (orario feriale) che concluderà ogni giornata.

Domenica 20 settembre, le monache e i fedeli ricorderanno insieme – secondo l’orario festivo cioè Messa delle 11 e Vespri delle 17 (orario festivo) – l’anniversario della dedicazione della chiesa di San Sigismondo, fatta il 15 settembre del 1600 dall’allora vescovo di Cremona, mons. Cesare Speciano; dedicazione che ha reso San Sigismondo non solo un apprezzato scrigno di arte, ma una casa di preghiera, dimora di Dio tra le nostre case.

Locandina con gli orari




Fra Andrea Codignola ordinato sacerdote a San Sigismondo (FOTO)

Una festa lungamente attesa e condivisa con misura e sincera gratitudine. Sono i tratti che descrivono l’Ordinazione presbiterale di fra Andrea Maria Codignola, giovane diacono cremonese dell’Ordine dei Frati Predicatori, nel caldo pomeriggio di sabato 11 luglio a Cremona.

La Chiesa monastica di San Sigismondo, che ospita la Comunità claustrale femminile Domenicana, alle 17,30 si è affollata al massimo della capienza consentita. Tanti volti di giovani amici e di famigliari hanno sopportato con pazienza la fatica della mascherina. Presenti tutte le monache, generose di sguardi materni per il candidato al sacerdozio lungamente e silenziosamente sostenuto, nella preghiera, in questi anni di formazione. Accanto all’ordinando anche i giovani amici e compagni dello Studentato teologico domenicano di Bologna, con il Priore Provinciale Padre Fausto Arici e il Padre Maestro Massimo Mancini.

Naturalmente in prima fila il papà Orazio e la mamma Nicoletta, con tutta la famiglia di fra Andrea Maria.

L’Eucaristia ed i riti di Ordinazione sono stati presieduti dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni. Alla concelebrazione solenne hanno partecipato, oltre a vari Padri Domenicani  prevenienti da vari Conventi italiani, il vescovo Emerito mons. Dante Lafranconi, alcuni dei docenti dello Studio Teologico bolognese, il Vicario episcopale per la Pastorale don Maccagni, l’Amministratore parrocchiale della parrocchia della Cattedrale don Bandirali – parrocchia d’origine  del nuovo presbitero, i formatori del Seminario e diversi sacerdoti diocesani. Il servizio liturgico è stato condiviso tra giovani studenti domenicani e seminaristi cremonesi.

Il canto liturgico guidato da don Graziano Ghisolfi ha accompagnato la preghiera comunitaria, in una celebrazione sobria e solenne. Il Vescovo ha personalmente scelto i brani della Liturgia della Parola, per cercare di coglierne la fisionomia del servizio di un sacerdote alla Chiesa: essere “profeta”, cioè portavoce del mistero rivelato soprattutto attraverso il proprio stile di vita; “maestro” e annunciatore della verità, ruolo che in special modo si incarna nella vocazione domenicana alla predicazione; “pastore” che sperimenta anche con dolore la fatica di adeguare la propria esistenza ed il proprio servizio al modello dell’unico vero Pastore, il Cristo.

Ascolta l’audio dell’omelia

Dopo la presentazione dell’eletto al Sacramento dell’Ordine ed il commento di mons. Napolioni, fra Andrea Maria ha pubblicamente accolto gli impegni che la Chiesa gli affida come presbitero, cooperatore del ministero del Vescovo, annunciatore, celebrante dei Sacramenti della fede, consacrato alla preghiera e all’offerta della propria vita per la salvezza degli altri. A tanto coraggiose dichiarazioni la Chiesa ha voluto associare l’intercessione dei Santi, lungamente invocata nel momento della prostrazione a terra del candidato, segno di una incondizionata resa alla Grazia che Dio solo può donare ad un prete.

Alla preghiera di consacrazione e dopo l’imposizione delle mani del vescovo sul capo del novello presbitero, il segno che invoca la discesa della Spirito Santo è stato ripetuto da tutti i presbiteri presenti. E fra Andrea Maria ha quindi accolto i paramenti che indosserà celebrando la Messa, il pane ed il vino che consacrerà, l’unzione del  Crisma sulle mani – olio misto a profumo – che segna indelebilmente la sua appartenenza a Cristo.

La Liturgia eucaristica lo ha visto al fianco dei due Vescovi all’altare, per la prima volta come concelebrante. E acconto a loro anche nella distribuzione della Comunione tra le file distanziate dell’Assemblea.

Al termine della partecipata celebrazione, il Priore Provinciale dei Domenicani ha voluto ringraziare il Vescovo Napolioni e la comunità delle Suore di Clausura per la calda accoglienza e la premura loro sempre riservata, e anche il novello sacerdote ha voluto brevemente ringraziare quanti lo hanno accompagnato sino a questa significativa tappa del suo personale cammino di risposta al Signore.

Per padre Andrea Maria Codignola la permanenza a Cremona continuerà sino alla fine del mese di luglio. Per il futuro si prospetta il perfezionamento  della formazione presso lo Studio Teologico di Friburgo, in Svizzera.

 

FOTOGALLERY DELLA CELEBRAZIONE

La Prima Messa

Domenica 12 luglio padre Andrea Maria Codignola ha celebrato la sua “Prima Messa” in Cattedrale alle ore 11. Di seguito il video della celebrazione.

 

 

 

Profilo biografico

Classe 1992, Andrea Codignola (oggi fra Andrea Maria Codignola) è originario della parrocchia della Cattedrale di Cremona.

È all’ombra del Torrazzo, infatti, che è cresciuto e si è formato. Dopo il diploma al liceo scientifico Vida, presso il Seminario di Cremona, ha iniziato il percorso vocazionale presso la Provincia dei Domenicani del nord Italia facendo un anno di “aspirantato” (con una serie di incontri in alcuni week-end per approfondire la propria vocazione e la scelta domenicana). Poi un anno di “prenoviziato” a Bergamo (risiedendo qualche mese in uno dei conventi della Provincia) ricevendo quindi l’abito nell’anno di noviziato e facendo poi la professione semplice a Bologna.

È, infatti, nel convento patriarcale di San Domenico, dove sono conservate le spoglie mortali del fondatore, che fra Codignola ha frequentato i tre anni di filosofia, conseguendo il baccellierato in Filosofia, continuando poi con altri tre anni di studi teologici.

Un percorso che lo ha portato, nel settembre del 2018, a emettere a Bologna la professione solenne nei Dominicani, l’Ordine dei frati predicatori.

Il 5 ottobre 2019 nella Cattedrale di Cremona l’ordinazione diaconale, per l’imposizione delle mani del vescovo Antonio Napolioni che, sabato 11 giugno, l’ha ordinato sacerdote nella chiesa monastica di San Sigismondo, a Cremona.




La Figlie di Maria Ausiliatrice in lutto per la scomparsa di suor Maria Camperi, originaria di Covo

Il 12 giugno, mentre era ricoverata in una struttura riabilitativa di Cuasso al Monte, in provincia di Varese, il Signore ha chiamato a sé la salesiana suor Maria Camperi, 95 anni il prossimo 17 settembre, religiosa dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice orignaria di Covo. Professa a Bosto di Varese il 6 agosto 1946, apparteneva alla comunità “Suor L. Oreglia” di Varese appartenente all’Ispettoria Lombarda “Sacra Famiglia”.

Una lunga e intensa vita quella di suor Maria: ultima di sette figli, rimase presto orfana di mamma morta a motivo del tifo; lei pure contrasse la malattia e, ormai in fin di vita, il papà e i fratelli si rivolsero all’intercessione della Madonna di Caravaggio e ottennero la sua guarigione. Dopo la scuola dell’obbligo, imparò l’arte del cucito dalla sorella maggiore, che si era presa cura di lei e, dalle Suore di Maria Bambina, il ricamo e la pittura. Più tardi trovò lavoro come operaia analista in chimica a Cusano Milanino, dove fu ospite del convitto gestito dalle Figlie di Maria Ausiliatrice e l’esempio di una suora la orientò alla vita religiosa. Al di là delle mediazioni umane, però, suor Maria visse nella consapevolezza che la sua vera accompagnatrice fu sempre la Madonna che non solo la guarì dalla malattia, ma la volle fra le sue Figlie.

Iniziò il cammino formativo nel gennaio 1944 a S. Ambrogio (Varese); nell’agosto dello stesso anno passò in Noviziato a Bosto di Varese dove nel 1946 emise i primi voti; visse questo tempo con serenità ma anche nella lotta interiore poiché sentiva molto la mancanza della famiglia. Dopo la professione fu avviata agli studi e nel 1948 acquisì l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole del Grado preparatorio presso la Scuola di Milano–Bonvesin, dove rimase per altri quattro anni come maestra d’asilo. Nel 1953 conseguì anche il Diploma di taglio e cucito. In seguito, per quasi un cinquantennio, la troviamo impegnata, pur con incarichi diversi, con i piccoli della scuola dell’infanzia, a cui si sono associati altri impegni quali la scuola serale di taglio e cucito, l’oratorio, la catechesi, il teatro in diverse case dell’Ispettoria: dal 1952 al 1971 nelle case di Lodi, Metanopoli, Milano-Bonvesin; dal 1971 al 1980 fu responsabile della Scuola Materna Comunale di Cusano Milanino; poi per un sessennio fu nuovamente a Milano-Bonvesin come insegnante di tirocinio. Dal 1986 al 1992 fu direttrice nella casa di Arese “L. Vicuña”; seguì un sessennio in cui, con sede in Milano-Bonvesin prima e a Milano-Via Bergognone poi, svolse l’Insegnamento di Tirocinio nella Scuola Magistrale di Bonvesin; dal 1998 al 2004 fu direttrice della casa di Zoverallo di Verbania.

Nel 2004, per sopraggiunti limiti di età e per problemi di salute, lasciò la scuola per dedicarsi a lavori comunitari a Cinisello “Gesù Adolescente”, poi a Cinisello “M. Mazzarello”; nel 2015 passò a Melzo dove diede ancora il suo contributo in aiuti vari, ma nell’anno successivo si rese necessario il passaggio alla Comunità di Varese “Sr L. Oreglia” per offrirle le cure adeguate all’età e alla salute.

Suor Maria è stata una persona entusiasta che ha vissuto con gioia nella vigna del Signore, dedicando tutte le sue energie nella missione fra i piccoli e meno piccoli. Signorile e dotata di senso di bellezza, era molto dignitosa nella persona e curava con senso estetico l’ambiente in cui operava. Vivace, attiva, di carattere deciso, a volte imponeva le sue vedute nell’organizzazione educativo-didattica; tuttavia ha saputo coltivare relazioni significative con le superiore di cui ha goduto la fiducia, con le sorelle con cui ha vissuto una bella fraternità, con i laici che l’hanno sostenuta nel suo donarsi generoso senza attendersi ricompense. Il suo scritto datato 8 dicembre 2011 e intitolato “Pensieri ultimi”, è un canto di gratitudine: nella rilettura della sua vita si sente colma di riconoscenza al Signore: “Mi ha chiamata, voluta nonostante la mia povertà e la debole natura: grazie, Signore! Ti sei messo dentro Tu con il tuo Amore ed hai lavorato in profondità. Mi hai tracciato la strada, faticosa sì ma sicura, per realizzare il tuo piano di salvezza per me e per i giovani a cui ho portato la tua parola”.




50 anni fa rinasceva l’Ordo virginum: unite a Cristo e vicine alle persone

Lodare e ringraziare il Signore, riflettere insieme, arricchirsi attraverso lo scambio di esperienze, testimoniare alla Chiesa e al mondo la bellezza della propria vocazione ed essere confermate in essa dal Successore di Pietro. C’era tutto questo tra gli obiettivi del 4° Incontro internazionale a cui erano invitate le appartenenti all’Ordo virginum. Si doveva tenere a Roma dal 28 al 31 maggio e l’evento era stato promosso dalla Congregazione per la vita consacrata, per solennizzare la rinascita di questa forma di consacrazione, avvenuta 50 anni fa. Tutto rimandato ad altra data, ma non l’attenzione e la preghiera per questa speciale forma di consacrazione, dal 2013 presente anche in Diocesi di Cremona.

Un Ordine già presente nelle prime comunità cristiane

Era il 31 maggio 1970, quando su mandato di Paolo VI, la Sacra Congregazione per il Culto Divino promulgava il nuovo Rito della Consacrazione delle vergini, facendo rifiorire l’antico Ordine delle vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Una vocazione cresciuta nel tempo, tanto che dal 1970 ad oggi sono circa 5.000 le consacrate presenti in tutti i continenti. Le donne che ricevono questa consacrazione restano radicate nella diocesi in cui vivono, nella quale hanno maturato la loro scelta e dove hanno compiuto il loro percorso formativo.

Una vocazione immersa nel mondo a fianco degli ultimi

La vita delle consacrate dell’Ordo, non ha nessun segno esterno, se non un anello consegnato durante il rito di consacrazione, che indica l’alleanza sponsale con Cristo, e vuole esprimere l’amore e la fedeltà di Dio verso l’umanità. Un amore concreto, con i piedi per terra, radicato nel contesto storico e nel territorio, vissuto nella prossimità con gli altri. In particolare le consacrate condividono, secondo le proprie possibilità e i propri talenti, la predilezione della Chiesa per i poveri, i sofferenti, gli emarginati. Si sostengono economicamente con il proprio lavoro e lo vivono come collaborazione all’opera creatrice e redentrice di Dio, impegnandosi a raggiungere un alto livello di professionalità. Sono presenti in tutti gli ambiti della vita, dalla sanità alla politica, dalla socialità all’insegnamento e al giornalismo. Molte le infermiere e il personale medico che in questi mesi hanno lavorato duramente accanto ai malati di coronavirus.

La presenza in Italia e in Diocesi

In Italia le donne dell’Ordo sono circa 700, presenti in gran parte delle diocesi italiane. A Cremona l’Ordo virginum è nato nel 2013, con la consacrazione di Mirella e Marinella, cui potrebbe aggiungersi presto anche Alessandra che ha intrapreso il cammino di formazione in vista della consacrazione. Con l’accompagnamento del delegato episcopale per la Vita consacrata, don Giulio Brambilla, alcuni altri sacerdoti e in comunione con il Vescovo, cercano, nella semplicità della vita quotidiana, di crescere nella sequela del Signore, nell’amore per le proprie comunità parrocchiali e per la Chiesa che è in Cremona, nel servizio in esse e per esse.




Suor Ambrogia Locatelli spegne 101 candeline per dire che la Vita non muore

Di storie belle in questi tempi se ne sentono tante. Ve ne raccontiamo una anche noi. Capita che sei nata nel 1919, proprio l’11 maggio. E quindi, l’11 maggio del 2020 di anni ne porti a compimento 101. Già questo basterebbe per essere un personaggio, per essere degna di un giornale o di un sito. Varcare la soglia del secolo di vita non è scontato. Ma suor Ambrogia Locatelli oggi ha un altro motivo per cui cantare il suo Magnificat: è tra i tanti che hanno superato il Covid-19 e lo hanno vinto.

È risultata positiva a inizio aprile, come altre sue consorelle Adoratrici del SS. Sacramento della comunità di Santa Maria, la casa di riposo dell’Istituto in cui risiede, a Rivolta d’Adda. Anche lei allora è stata sottoposta alle cure e alle attenzioni che la dottoressa, le suore e il personale tutto le hanno profuso. Proprio tre giorni fa il tampone ha dato esito negativo: il virus è stato sconfitto.

Nata a Lissone (MB) e cresciuta a Nosadello, frazione di Pandino (CR), dove suo padre gestiva un’azienda vinicola, suor Ambrogia è entrata in convento nel 1937, emettendo i voti nel 1940.

Ciò che significa che ha vissuto ben 80 anni di consacrazione al Signore. Un traguardo assolutamente straordinario, per età e fedeltà.

Ha passato la sua vita tra i bambini, dalla Sicilia alla Lombardia. In diocesi di Cremona suor Ambrogia ha servito le comunità di Pessina Cremonese, Azzanello, Torre Picenardi, Cappella Picenardi, Agnadello, e Cremona presso La Pace.

Dal 2010 si trova a Rivolta d’Adda, prima a Casa Madre e ora a Santa Maria.

Nelle scuole materne e a servizio nelle parrocchie, ha fatto della sua vita un essere-per-gli-altri. Oggi a festeggiarla è tutta la comunità di Santa Maria, insieme alle consorelle Adoratrici sparse in tutto il mondo. Dal cielo scende su di lei la benedizione del fondatore, san Francesco Spinelli, che era morto da soli sette anni quando suor Ambrogia venne alla luce.

Il Coronavirus, nemico latente e per questo infido e minaccioso, in suor Ambrogia non ha potuto dire l’ultima parola. La vita ha vinto! E lei, sorridente e un poco sorniona, ripete, con la naturalezza che è propria di chi ha vissuto abbandonata all’amore, il suo semplice “grazie!”.

Paola Rizzi

 

https://www.diocesidicremona.it/suore-adoratrici-la-superiora-generale-in-visita-a-casa-santa-maria-28-04-2020.html

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