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A Trigolo l’ultimo saluto a Giuseppina Cattaneo, una vita in compagnia del Signore e in ascolto della sua Parola come i discepoli di Emmaus

Il gran numero di persone che ha partecipato al funerale di Giuseppina Cattaneo, per tutti semplicemente Giusi, nella chiesa parrocchiale di Trigolo nel pomeriggio di mercoledì 20 aprile, è stata la prova più autentica del bene da lei seminato in tutta la comunità, nei tanti anni di servizio presso la Casa delle Figlie di Sant’Angela Merici, istituto secolare di cui era superiora. Le esequie sono state presiedute dal vescovo emerito Dante Lafranconi, che ha portato la vicinanza della Diocesi e del vescovo Antonio Napolioni, assente in questi giorni.

La celebrazione è stata concelebrata dal parroco di Trigolo, don Marino Dalè, e alcuni altri sacerdoti, tra i quali il vicario episcopale don Gianpaolo Maccagni e il rettore del Seminario don Marco D’Agostino; ha prestato servizio all’altare il diacono permanente Raffaele Ferri.

Nella sua omelia monsignor Lafranconi ha ricordato come celebrando la memoria della morte e della risurrezione del Signore, la si celebri partecipando alla morte di Giusi, che già gode il volto del Signore in attesa della resurrezione finale. Una coincidenza che ricorda che il senso ultimo della vita è la risurrezione. Secondo Lafranconi attraverso la lettura del Vangelo dei discepoli di Emmaus si può leggere qualcosa che contrassegna la vita di tutti. I discepoli di Emmaus camminavano tristi e desolati, ma quando riconoscono il Signore scompare la tristezza, ritorna l’entusiasmo e vogliono ritrovare gli amici con cui hanno condiviso tanti momenti di vita con Gesù e annunciare che Gesù è veramente risorto. Da qui discende che la gioia e il senso della vita, che lo si trova solo in rapporto al Signore: senza di lui la vita è triste. Giusi ha vissuto la sua vita come i due discepoli di Emmaus – ha evidenziato il vescovo Lafranconi – in compagnia del Signore e in ascolto della sua Parola. Proprio da qui, secondo il Vescovo emerito, nasce la serenità del gusto di fare il bene in tutte le occasioni della vita con la parola, con il sorriso, con la carità. Dalla volontà di vivere in comunione con il Signore derivava per Giusi l’amore per la Chiesa, vissuta concretamente sul territorio della parrocchia, nell’ascolto delle persone, nella vicinanza alle situazioni difficili, nel senso dell’ospitalità, nella capacità della battuta di spirito per risollevare il morale di chi si sentiva abbattuto.

Prima della benedizione conclusiva, tre testimonianze hanno tracciato il senso del percorso di vita di Giusi, deceduta il Lunedì dell’Angelo presso la casa di riposo Brunenghi di Castelleone dove era stata trasferita alcuni giorni prima, dall’Ospedale di Cremona dove era stata ricoverata per un malore. La prima tenuta da una rappresentante delle Figlie di Sant’Angela Merici, che ha ricordato la sua attività e la sua fedeltà nella vita della Congregazione; la seconda del sindaco di Trigolo, Mariella Marcarini, che ha sottolineato il suo impegno verso l’intera comunità; la terza di una giovane, che ha messo in risalto il suo servizio come educatrice.

 

Profilo di Giuseppina Cattaneo

Nata a Valleve, in provincia di Bergamo, nel 1942, aveva lì conosciuto la Compagnia di S. Orsola e aveva deciso di aderirvi il 31 dicembre 1973 nella cappella della casa madre in via Geromini, a Cremona, davanti all’assistente spirituale mons. Folchini e alla direttrice Ida Balzacchi aveva emesso la professione perpetua. Presso la Casa delle Figlie di Sant’Angela Merici, istituto secolare che opera ininterrottamente a Trigolo dal 1863, era arrivata giovanissima, formandosi spiritualmente e culturalmente, diplomandosi come maestra dell’infanzia e prendendo i voti.

A Trigolo, dove risiedeva, ha profuso in tanti anni tutto il suo impegno generoso a servizio della parrocchia e della gioventù femminile, diventando un punto di riferimento per tanti situazioni di fragilità.

Sempre disponibile, aveva accettato di ricoprire il ruolo di superiora delle Figlie di Sant’Angela Merici per diversi mandati.

 

Le Figlie di Sant’Angela Merici

La Compagnia di Sant’Orsola, comunemente conosciuta come Compagnia di Sant’Angela, è stata fondata da Angela Merici il 25 novembre 1535 a Brescia. Dopo una prima diffusione in città l’esperienza della Compagnia si è dilatata in molte altre diocesi italiane e all’estero. Nel 1810 ha subito la soppressione decretata dalle leggi napoleoniche; nel 1866 è rinata a Brescia ad opera del vescovo Gerolamo Verzeri e delle Sorelle Elisabetta e Maddalena Girelli.

Il carisma è ben delineato dalle parole che Angela stessa propone nel proemio della Regola: le sue Figlie sono state “… elette ad essere vere e intatte spose del Figliol di Dio…” e lo spazio in cui vivono questa luminosa chiamata – che afferma il primato dell’amore – non è la solitudine di un chiostro ma il mondo, il luogo vasto e complesso del convivere umano nel quale sono chiamate a servire il regno di Dio con responsabilità propria, nella fedeltà alla santa madre Chiesa, in comunione con il vescovo diocesano.

Pur essendo nata senza dedicarsi ad opere specifiche, la Compagnia nel corso dei secoli ha orientato l’attività delle Figlie all’insegnamento della dottrina cristiana, alla educazione della gioventù femminile e all’apostolato parrocchiale in genere.

Anche oggi le Figlie di Sant’Angela (chiamate familiarmente Angeline) vivono nelle proprie famiglie, esercitano un lavoro con il quale si sostengono, partecipano alla vita sociale e civile, alle condizioni ordinarie della vita; non si distinguono esternamente dagli altri né accentuano questa distinzione in alcuna altra forma.

Sono presenti nelle realtà del mondo con l’intento di vivere all’interno di esso lo spirito evangelico, perché non prevalga la logica dell’uomo egoista, ma la logica di Dio e quindi dell’amore, della solidarietà, della pace, della giustizia.

Vivono intensamente la loro appartenenza alla Chiesa ed esprimono il loro amore ad essa ponendosi al servizio della chiesa locale, nella Parrocchia, all’interno della quale operano preferibilmente nei settori della catechesi, nell’animazione di iniziative e gruppi a favore della gioventù, particolarmente della gioventù femminile.




Istituto secolare Sant’Angela Merici, deceduta la superiora Giuseppina Cattaneo

Lunedì dell’Angelo, presso la casa di riposo Brunenghi di Castelleone è deceduta Giuseppina Cattaneo, superiora dell’Istituto secolare Sant’Angela Merici. Nata a Valleve, in provincia di Bergamo, nel 1942, aveva lì conosciuto la Compagnia di S. Orsola e aveva deciso di aderirvi il 31 dicembre 1973 nella cappella della casa madre in via Geromini, a Cremona, davanti all’assistente spirituale mons. Folchini e alla direttrice Ida Balzacchi aveva emesso la professione perpetua.

A Trigolo, dove risiedeva, ha profuso in tanti anni tutto il suo impegno generoso a servizio della parrocchia e della gioventù femminile, diventando un punto di riferimento per tanti situazioni di fragilità. Sempre disponibile, aveva accettato di ricoprire il ruolo di superiora per diversi mandati.

Ricoverata per un malore presso l’ospedale di Cremona, non si era più ripresa ed era era stata trasferite da alcuni giorni a Castelleone.

Il vescovo Antonio Napolioni, assente in questi giorni da Cremona, ha espresso a tutto l’Istituto le condoglianze della Diocesi e la gratitudine per quanto la Compagnia di S. Angela ha fatto a servizio della diocesi.

Le esequie si celebreranno mercoledì 20aprile alle 15 nella chiesa parrocchiale di Trigolo e saranno presiedute dal vescovo emerito di Cremona, Dante Lafranconi.

 

Le Figlie di Sant’Angela Merici

La Compagnia di Sant’Orsola, comunemente conosciuta come Compagnia di Sant’Angela, è stata fondata da Angela Merici il 25 novembre 1535 a Brescia. Dopo una prima diffusione in città l’esperienza della Compagnia si è dilatata in molte altre diocesi italiane e all’estero. Nel 1810 ha subito la soppressione decretata dalle leggi napoleoniche; nel 1866 è rinata a Brescia ad opera del vescovo Gerolamo Verzeri e delle Sorelle Elisabetta e Maddalena Girelli.

Il carisma è ben delineato dalle parole che Angela stessa propone nel proemio della Regola: le sue Figlie sono state “… elette ad essere vere e intatte spose del Figliol di Dio…” e lo spazio in cui vivono questa luminosa chiamata – che afferma il primato dell’amore – non è la solitudine di un chiostro ma il mondo, il luogo vasto e complesso del convivere umano nel quale sono chiamate a servire il regno di Dio con responsabilità propria, nella fedeltà alla santa madre Chiesa, in comunione con il vescovo diocesano.

Pur essendo nata senza dedicarsi ad opere specifiche, la Compagnia nel corso dei secoli ha orientato l’attività delle Figlie all’insegnamento della dottrina cristiana, alla educazione della gioventù femminile e all’apostolato parrocchiale in genere.

Anche oggi le Figlie di Sant’Angela (chiamate familiarmente Angeline) vivono nelle proprie famiglie, esercitano un lavoro con il quale si sostengono, partecipano alla vita sociale e civile, alle condizioni ordinarie della vita; non si distinguono esternamente dagli altri né accentuano questa distinzione in alcuna altra forma.

Sono presenti nelle realtà del mondo con l’intento di vivere all’interno di esso lo spirito evangelico, perché non prevalga la logica dell’uomo egoista, ma la logica di Dio e quindi dell’amore, della solidarietà, della pace, della giustizia.

Vivono intensamente la loro appartenenza alla Chiesa ed esprimono il loro amore ad essa ponendosi al servizio della chiesa locale, nella Parrocchia, all’interno della quale operano preferibilmente nei settori della catechesi, nell’animazione di iniziative e gruppi a favore della gioventù, particolarmente della gioventù femminile.




Suore Adoratrici, il 20 marzo pellegrinaggio a Stezzano

In occasione dell’inizio della Quaresima, le Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda propongono due iniziative rivolte a tutti i giovani che, in preparazione alla Pasqua, desiderano prendersi una sosta per ascoltare, pregare e adorare.

La prima proposta, “Corro incontro a Te”, è un’iniziativa rivolta ai giovani maggiorenni, un vero e proprio ritiro spirituale quaresimale, in programma nel weekend del 5 e 6 marzo presso la Casa madre delle Adoratrici a Rivolta d’Adda. L’accoglienza, prevista per le 16.30 del sabato 5 marzo, darà il via al ritiro; alle 17 la preghiera iniziale, seguita da un momento di meditazione e silenzio. Alle 19.30 sarà il momento della cena in compagnia, seguita dall’adorazione notturna. Il 6 marzo, dopo il pernottamento, i ragazzi avranno modo di fare colazione tutti insieme e, successivamente, di partecipare alla celebrazione eucaristica della parrocchia. Per partecipare al ritiro spirituale sarà necessario possedere il green pass.

La seconda proposta, invece, è “Adora on the road”, in programma domenica 20 marzo. Alle 8 la partenza da Rivolta verso il santuario di Stezzano, dal quale avrà il via la giornata. Punti cardine dell’evento sarà l’ascolto della testimonianza dei genitori di Giulia Gabrieli, giovanissima “santa della porta accanto”, ragazza bergamasca venuta a mancare nel 2011, vero simbolo di tenacia e di fede, per la quale è in corso il processo di beatificazione. A caratterizzare la proposta anche il pellegrinaggio a piedi da Stezzano a Bergamo alta per la celebrazione eucaristica conclusiva. Il rientro è previsto per le 17. Ai partecipanti è richiesto di comunicare la propria partecipazione entro il 15 marzo al numero 338 4273127 (suor Giulia) e un contributo di 10 euro.

 

 




«Un prete, un cristiano, un cittadino di queste terre…», il vescovo a Rivolta per la festa di san Francesco Spinelli

Interrotta l’anno scorso dalla pandemia, la tradizione che vuole il vescovo di Cremona presente a Rivolta in occasione della festa di San Francesco Spinelli è ripresa quest’anno.

Così il 6 febbraio, nel 109° anniversario della morte di colui che è stato il fondatore dell’ordine delle suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, monsignor Antonio Napolioni ha prima presieduto i vespri nella chiesa della Casa madre delle religiose stesse, durante i quali due di loro, suor Silvia Calcina e suor Valentina Campana, hanno rinnovato le promesse, e successivamente la Messa solenne delle 18, spostata in basilica per ragioni di spazio.

«Un prete, un cristiano, un cittadino di queste terre che ha generato e rigenerato la storia tanto da vederne nuovi frutti anche in questo tempo»: così il Vescovo ha definito san Francesco Spinelli, ricordando come oggi il suo esempio sia più vivo che mai. Un uomo semplice, Francesco, accolto nella diocesi di Cremona dopo il periodo di grande difficoltà attraversato durante il servizio nella diocesi di Bergamo, capace di caratterizzare il suo ministero con la vicinanza ai poveri e agli ultimi. Beatificato nel 1992 da papa Giovanni Paolo II, è stato canonizzato nell’ottobre del 2018 da papa Bergoglio.

«Dopo una pesca difficile e poco fruttuosa in quel di Bergamo – ha detto don Dennis Feudatari, parroco di Rivolta, nel suo saluto iniziale a monsignor Napolioni, alle Adoratrici e a tutti i presenti – Cristo Signore ha condotto san Francesco Spinelli qui a Rivolta, dove sulla sua Parola si è lanciato di nuovo a pescare nel profondo e a riempire così la sua rete. Continui, il santo, a pescare anime per la famiglia da lui voluta e anche cristiani convinti per questa comunità».

«C’è un bisogno di salvezza, di speranza, c’è una ressa interiore – ha spiegato il Vescovo nella sua omelia –, c’è un traffico di pensieri che finisce con l’intasare l’anima. In questo tempo in cui la pandemia ci ha tolto il respiro, ci ha affannato il cammino, ci ha diviso e reso sospettosi, oggi siamo in festa grazie a Francesco Spinelli, più vivo che mai perché continua ad avere figlie ed amici che vogliono essere come lui, discepoli di Gesù. In questo tempo strano, in cui la Chiesa è sempre meno la capoclasse del mondo, un tempo in cui le parrocchie non sono più punto di riferimento dell’educazione e della vita sociale, in cui anche noi preti ci sentiamo smarriti, in cui le famiglie si sgretolano… in tutta questa realtà che cosa farebbe lui e cosa ci insegnerebbe? Ci insegnerebbe ad osare, perché san Francesco è stato uno che ha saputo osare. Ci ha creduto, ma tanto. È stato intraprendente sotto tre aspetti: quello spirituale, quello della carità e quello vocazionale. Lui ha chiamato, nel senso non solo di invitare qualcuno a farsi suora o a farsi prete ma di un richiamo alla conoscenza del Signore. San Francesco ha anche insegnato alle sue figlie che non esistono scarti. Questa è la Chiesa del futuro, una Chiesa che osa partire da un cambiamento interiore di tutti noi. Possiamo guardare avanti con il coraggio di chi deve mettere mano al cambiamento di sé e delle rispettive comunità verso un ritrovamento della vita consacrata e della vita sacerdotale. Aiutiamoci quindi tutti a vivere questo momento che proprio perché difficile diventa un tempo pasquale, di morte e resurrezione e san Francesco potrà essere per noi compagno di viaggio e maestro sicuro dal quale ricevere l’esempio».




Il Vescovo ai religiosi: «Non vi diciamo mai grazie abbastanza»

La fotogallery della celebrazione

«Il vescovo, il presbiterio e il popolo di Dio conoscono la vita consacrata? Ci ricordiamo di loro, preghiamo per loro? Gioiamo per la varietà dei doni e per la fantasia dello Spirito che attraverso uomini e donne nel tempo ha dato vita a tante forme di consacrazione?». Con queste parole il vescovo Antonio Napolioni si è interrogato nell’omelia della festa della Presentazione del Signore, ricorrenza nella quale ogni anno il 2 febbraio si celebra la Giornata mondiale della Vita consacrata.

La liturgia è stata occasione per ringraziare e ricordare il valore di chi dedica la propria esistenza al Vangelo con una vocazione particolare. A comporre l’assemblea in particolare religiose e religiosi provenienti dalle diverse comunità presenti sul territorio diocesano, membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica. Sul presbiterio, insieme ai canonici del Capitolo della Cattedrale, hanno concelebrato diversi sacerdoti membri di famiglie religiose e don Giulio Brambilla, delegato episcopale per la Vita consacrata.

La Messa si è aperta con la tradizionale benedizione delle candele, invocata dal vescovo Napolioni nel fondo della navata centrale della Cattedrale.

Nella sua omelia mons. Napolioni ha voluto sottolineare la gratitudine verso le diverse famiglie religiose: «Non vi diciamo mai grazie abbastanza: venire qui in Cattedrale oggi è un’occasione per ringraziarvi e restituirvi la centralità e la dignità piena nella chiave di cammino sinodale che urge praticare insieme».

A seguire il vescovo si è soffermato sulle letture del giorno: «Nelle letture spiccano le figure di Simeone e Anna, nella loro vecchiaia compiuta, non sofferta e lamentosa: non hanno ansia di raccontare e stanno lì ad aspettare che si compia l’attesa e se ne sperimenti la gioia eterna». Proprio prendendo spunto da queste figure, ha quindi proposto una riflessione sulla intergenerazionalità ecclesiale: «La Chiesa dovrebbe avere nei suoi vecchi testimoni di questa pacificazione interiore, compimento e saggezza e un terzo del lavoro sarebbe fatto – ha quindi proseguito –. Un altro terzo tocca alle generazioni di mezzo, come Maria e Giuseppe che portano il bambino al tempio pur conservando dentro di sé un turbamento interiore. Anche oggi abbiamo un bisogno enorme di adulti, di paternità e maternità, di assunzione di responsabilità».

Mons. Napolioni ha quindi concluso: «Infine, il futuro: questa Chiesa ricca di passato alle prove del presente come guarda al futuro? Il futuro non può essere previsto, può essere temuto, sognato, ma soprattutto accolto, come un bambino, che è segno di contraddizione. Perché sappiamo già di quel bambino che non necessariamente farà la felicità dei genitori secondo le migliori aspettative umane, ma finirà in croce. Anche il nostro futuro è rassicurato dalla croce».

Al termine della celebrazione sono stati ricordati gli anniversari di consacrazione religiosa: il 50° di suor Angela Simioni, di suor Emilia Martelli; il 60° di suor Silvina Ruggeri e di suor Luciana Porro, alle quali il vescovo ha voluto consegnare un dono in memoria di questo anniversario.

 

 

«Una vita consacrata al Vangelo significa una vita a servizio di Dio, della Chiesa e degli uomini». A Chiesa di Casa, la testimonianza di due religiosi




Al Monastero della Visitazione festa per san Francesco di Sales con l’apertura dell’anno giubilare

Si è aperto lunedì 24 gennaio presso il Monastero della Visitazione di Soresina l’anno giubilare Salesiano, che proseguirà sino al 28 dicembre. L’occasione è stata la festa liturgica di san Francesco di Sales, fondatore dell’ordine claustrale e patrono dei giornalisti. Per l’occasione nel pomeriggio la solenne Eucaristia è stata presieduta da mons. Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina. Con lui hanno concelebrato il parroco di Soresina don Angelo Piccinelli e gli altri sacerdoti della parrocchia: don Alberto Bigatti, don Giuseppe Ripamonti e don Enrico Strinasacchi, insieme anche all’ex vicario don Andrea Piana e con il servizio all’altere affidato al diacono permanente Raffaele Ferri.

La celebrazione è stata introdotta dal saluto del parroco don Piccinelli che ha ricordato come la figura di san Francesco di Sales sia, per i soresinesi, sinonimo di fondatore della locale comunità Visitandina: una presenza discreta ed efficace che accompagna le vicende personali, familiari e collettive dei soresinesi da oltre due secoli. E ha aggiunto: «È significativo come, in occasione della posa della targa in memoria delle vittime del Covid, gli intervenuti, a partire dal sindaco, abbiamo rivolto espressioni di speciale riconoscenza e riguardo alle monache che con la loro preghiera e vicinanza spirituale hanno ossigenato le ragioni della nostra speranza, mentre la corsa del contagio rischiava di travolgere tutti nella disperazione. Nei mesi della paura e dello smarrimento, la chiesa del Monastero è diventata il catalizzatore delle angosce di tutti e il cuore pulsante della speranza che viene da Dio». Proprio per l’importanza spirituale delle monache, il parroco ha chiesto il dono di nuove vocazioni per mantenere viva la comunità claustrale.

Il vescovo Sigalini nella sua omelia ha sottolineato come Gesù sia il vero centro della vita e ja proposto alcune strade per permettere di ritrovare la giusta direzione nella vita di ogni cristiano. «La speranza – ha detto – è poter avere qualcuno che ci dia luce, convinzioni difficili da vivere, ma vere. Oggi siamo arrabbiati con la vita, con la pandemia che non ci dà tregua. Non siamo più capaci di darci fiducia, ma Dio non ci abbandona». Quindi, passando dalla riflessione delle Sacre Scritture alla celebrazione di san Francesco di Sales, ha aggiunto: «Oggi vi invidio, questa festa perché san Francesco di Sales è un uomo affascinante, ha una purezza celestiale; di lui colpisce la sua mitezza, la sua carità. Non urta mai con frasi severe, ma non fa sconti e non è ambiguo sulla verità. La prima misericordia, la più grande carità da fare è la verità. Vuole formare anime forti, a partire dalla donna che ritiene per natura un’innamorata di Dio. È convinto che la santità sia per tutti e trasmette questo messaggio. Ama l’uomo e lo vede redento da Dio, ma lo ama perché, prima di tutti, ama follemente il Signore, infatti l’umanesimo di san Francesco di Sales ha al centro Gesù». Il vescovo emerito di Palestrina ha quindi concluso l’omelia con un messaggio, anzi un monito per le monache della Visitazione: «Ora vi incombe la responsabilità di far bruciare l’amore di Dio nel mondo. In questo anno giubilare il vostro compito è far conoscere e amare san Francesco di Sales».

 

Biografia di San Francesco di Sales

Nato a Thorens il 21 agosto 1567, concluse a Lione i suoi giorni, consunto dalle fatiche apostoliche, il 28 dicembre del 1622, l’anno della canonizzazione di San Filippo Neri, che Francesco conosceva attraverso la Vita scritta dal Gallonio, a lui inviata dall’amico Giovanni Giovenale Ancina. Iscritto nell’albo dei Beati nel 1661, fu canonizzato nel 1665 e proclamato Dottore della Chiesa nel 1887 da Leone XIII.

Francesco di Sales si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, ricevendo al tempo stesso una solida base di vita spirituale. Il padre, che sognava per lui una brillante carriera giuridica, lo mandò all’università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove pure portò a maturazione la vocazione sacerdotale. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, e si dedicò soprattutto alla predicazione, scegliendo non la contrapposizione polemica, ma il metodo del dialogo.

Per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia. Questa intuizione, che dette frutti notevoli tanto da determinare il crollo della “roccaforte” calvinista, meritò a S. Francesco di essere dato, nel 1923, come patrono ai giornalisti cattolici.

A Thonon fondò la locale Congregazione dell’Oratorio, eretta da Papa Clemente VIII con la Bolla “Redemptoris et Salvatoris nostri” nel 1598 “iuxta ritum et instituta Congregationis Oratorii de Urbe”. Il suo contatto con il mondo oratoriano non riguardò tanto la persona di P. Filippo, quanto quella di alcuni tra i primi discepoli del Santo, incontrati a Roma quando Francesco vi si recò nel 1598-99: P. Baronio, i PP. Giovanni Giovenale e Matteo Ancina, P. Antonio Gallonio.

L’impegno che Francesco svolse al servizio di una vastissima direzione spirituale, nella profonda convinzione che la via della santità è dono dello Spirito per tutti i fedeli, religiosi e laici, fece di lui uno dei più grandi direttori spirituali. La sua azione pastorale – in cui impegnò tutte le forze della mente e del cuore – e il dono incessante del proprio tempo e delle forze fisiche, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, con uno spirito ed una impostazione che trovano eco profondo nella proposta spirituale di San Filippo Neri, la quale risuona mirabilmente esposta, per innata sintonia di spirito, nelle principali opere del Sales – “Introduzione alla vita devota, o Filotea”, “Trattato dell’amor di Dio, o Teotimo” – come pure nelle Lettere e nei Discorsi.

Fatto vescovo di Ginevra nel 1602, contemporaneamente alla nomina dell’Ancina, continuò con la medesima dedizione la sua opera pastorale. Frutto della direzione spirituale e delle iniziative di carità del Vescovo è la fondazione, in collaborazione con S. Francesca Fremiot de Chantal, dell’Ordine della Visitazione, che diffuse in tutta la Chiesa la spiritualità del S. Cuore di Gesù, soprattutto attraverso le Rivelazioni di Cristo alla visitandina S. Margherita Maria Alacocque, con il conseguente movimento spirituale che ebbe anche in molti Oratori, soprattutto dell’Italia Settentrionale, centri di convinta adesione.

 

Il giubileo salesiano … per recuperare l’ottimismo

Tra il 24 gennaio e il 28 dicembre 2022 corre l’anno “giubilare”, cioè di grazia, per i figli e le figlie spirituali di san Francesco di Sales, universalmente riconosciuto come il santo dell’umanesimo cristiano, ovvero dell’ottimismo realista ma irriducibile. Un “giubileo dell’ottimismo”, cioè della speranza e della fiducia, in tempo di pandemia, è esattamente quello di cui abbiamo bisogno. Secondo il Salesio un credente deve essere ottimista: “per fede” più che per carattere. Per chi crede, infatti, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). In questo modo l’ottimismo diventa virtù. La questione, pertanto, non è se il mondo di oggi sia così buono da poter essere amato o talmente cattivo da dover essere odiato. È vero, invece, il contrario: che se amiamo l’umanità, cioè la società e, nel dettaglio, la Comunità soresinese cui apparteniamo … la renderemo certamente migliore; se la ignoriamo, contribuiremo alla sua inesorabile deriva. Come osserva acutamente l’intellettuale inglese convertito dall’ateismo G. K. Chesterton (+ 1936): “Gli uomini non amarono Roma perché era grande; Roma fu grande perché gli uomini la amarono” (“Ortodossia, cap. V). Un “semenzaio” di ottimismo e fiducia, nel nostro contesto cittadino, è certamente la Comunità claustrale della Visitazione: il regalo più bello che, da oltre duecento anni, san Francesco di Sales offre a Soresina. Una famiglia monastica è una grazia speciale ed un privilegio che non ha uguali: ne siamo consapevoli e profondamente riconoscenti al Signore. Ma non ci sfugge l’enorme responsabilità che ne deriva: a non sciupare un’esperienza tanto stimolante e provocatoria, la cui indole contemplativa sollecita, in tutti e in ciascuno, la coscienza di dover continuamente “ripartire da Dio”, tenendo fisso lo sguardo al Regno di Dio cui aspiriamo e verso cui siamo incamminati. Da lì, infatti, dal cielo “squarciato” invocato dagli antichi profeti e aperto per sempre e per tutti da Cristo Gesù, derivano la rugiada, la luce, la speranza per il nostro cammino. Un anno con S. Francesco di Sales ci aiuterà, non “nonostante”, ma attraverso la pandemia, trasformata, in “occasione” per mare di più, a recuperare l’entusiasmo del bene, la bellezza del vivere come famiglia dei figli di Dio, la gioia del Vangelo con cui contagiare vicini e lontani … Ci convincerà a prendere finalmente sul serio le parole di papa Francesco: “Non dobbiamo avere paura della bontà e della tenerezza”.

 

 




Soresina, il Vescovo al Monastero della Visitazione

Domenica 19 dicembre il vescovo Antonio Napolioni ha fatto visita alla comunità claustrale di Soresina, consueto appuntamento nei tempi forti, come in Quaresima e appunto in Avvento. Una visita per portare gli auguri suoi personali e di tutta la Diocesi alle otto monache visitandine che hanno accolto il vescovo con molta gratitudine.

Un incontro iniziato con la Messa presieduta dal vescovo alle 8 nella chiesa monastica di via Cairoli insieme al parroco di Soresina don Angelo Piccinelli e al segretario vescovile don Flavio Meani, con il seminarista Fabrice, per il secondo anno ospite a Soresina nei fine settimana, che ha prestato servizio all’altare.

«Il saluto del Signore a tutti voi, alle sorelle visitandine, caro don Angelo – le parole del vescovo all’inizio della Messa -. Possiamo gioire anticipatamente, pregustare, accendere il desiderio, disporre l’anima, il cuore, la vita, al dono al quale non dobbiamo fare l’abitudine: fare il confronto con gli altri Natali è peccato. È un dono nuovo, sempre nuovo, sempre più vero, sempre più vicino è il compiersi delle promesse di Dio».

Una riflessione proseguita nell’omelia, con rifermento anche a san Francesco di Sales e santa Giovanna Francesca de Chantal, fondatori dell’ordine della Visitazione.

«Non c’è luogo più adatto di questo, il Monastero della Visitazione, per accogliere il vangelo della IV domenica di Avvento dell’Anno C. La liturgia ci prepara al Natale facendoci riscoprire il valore di questa visita, del visitare: Maria che non pensa solo alla sua gravidanza, straordinaria, sconvolgente, divina e umanissima nello stesso tempo, ma va ad aiutare la cugina. Un incontro tra l’attesa del mondo che si riassume nel grembo di Elisabetta e il Dono di Dio, il Salvatore, custodito nel grembo di Maria».

Dopo la celebrazione un’incontro informale tra il vescovo e le monache riunite in parlatorio è stato l’occasione per scambiarsi gli auguri e per un confronto fraterno che ha visto monsignor Napolioni raccontare del nuovo Museo diocesano, con l’attenzione andata anche al Monastero della Visitazione di Milano, da cui provengono quattro delle otto monache soresinesi a seguito di un riassetto delle comunità visitandine, oggi affidato all’Ordine dei Fatebenefratelli per le loro opere sociali e caritative.

Un momento molto fraterno a cui si sono aggiunti per un saluto anche i sacerdoti della parrocchia: il parroco don Angelo Piccinelli, il vicario don Alberto Bigatti, i collaboratori do Giuseppe Ripamonti e don Enrico Strinasacchi, insieme al seminarista Fabrice.




“Nella tua strada in cammino”, dal 27 novembre dai Barnabiti gli incontri dedicati al Vangelo di Luca

La comunità Barnabita di Cremona promuove, a partire all’Avvento, “Nella tua strada in cammino”, una serie di incontri dedicati al Vangelo di Luca. Gli appuntamenti, in programma a partire dal 27 novembre, si svolgeranno alle 16.30 nel Convento dei Barnabiti di Cremona (presso San Luca) con ingresso da viale Trento e Trieste 1. Relatore sarà padre Giuseppe, dell’Orto biblista barnabita.

La proposta proseguirà sino alla fine di maggio secondo il seguente calendario:

AVVENTO
27 novembre 2021 – Introduzione ai Vangeli dell’infanzia (e Annunciazione Lc 1,26-38)
11 dicembre 2021 – Gesù dodicenne al tempio (Lc 2,41-52)

DOPO L’EPIFANIA
8 gennaio 2022 – Il battesimo di Gesù e la genealogia (Lc 3,21-28)
22 gennaio 2022 – Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,14-30)

5 febbraio 2022 – La chiamata dei primi discepoli (Lc 5,1-11)
19 febbraio 2022 – Il discorso della pianura (Lc 6,17-36)

QUARESIMA
5 marzo 2022 – La predicazione di Giovanni Battista (Lc 3,1-20)
19 marzo 2022 – Gesù in casa di Simone e la peccatrice (Lc 7,36-50)

2 aprile 2022 – La passione di Gesù secondo Luca
9 aprile 2022 – Gesù muore in croce (Lc 23,35-49)

PASQUA
30 aprile 2022 – La risurrezione di Gesù (Lc 24,1-12)

14 maggio 2022 – Sulla strada verso Emmaus (Lc 24,13-35)
28 maggio 2022 – Apparizione agli Undici, ultime istruzioni e ascensione (Lc 24,36-53)




Giornata “Pro Orantibus”, domenica la preghiera per chi prega

Domenica 21 novembre si celebra la Giornata “Pro Orantibus”, la cui istituzione risale al secondo dopoguerra, più precisamente nel 1953, quando Pio XII pose la propria attenzione su tutti i monasteri di clausura del mondo, segnati profondamente dalla fine del conflitto mondiale, che li aveva portati ad affrontare gravi situazioni di indigenza. Oggi questa giornata assume un significato diverso: con il passare del tempo l’iniziativa si è infatti tinta di un colore prettamente spirituale, di vicinanza e di solidarietà.

Sono due le comunità di clausura presenti in diocesi di Cremona: a Cremona le monache Domenicane e a Soresina le monache Visitandine. La vita di clausura non va intesa come una fuga dalla realtà, ma come una scelta coraggiosa che si basa sulla preghiera per il prossimo, che accompagna e sostiene le persone nel proprio cammino da fedeli.

La Giornata, ormai da diversi anni, viene vissuta in diocesi con un momento di preghiera e riflessione che vede riunirsi le religiose di vita apostolica, perché la loro preghiera si unisca a quella delle monache, per ringraziarle dell’accompagnamento orante che le sostiene nel cammino apostolico. L’appuntamento, quest’anno, sarà a Cremona nella chiesa di San Sigismondo dove alle 16 è previsto il canto del Vespro con esposizione del Santissimo. A guidare la preghiera sarà il vescovo emerito Dante Lafranconi, che terrà la meditazione. La celebrazione è aperta a tutti.

A San Sigismondo l’ulteriore momento della giornata sarà la Messa del mattino, alle 11.

A Soresina, invece, l’Eucaristia sarà celebrata nella chiesa del monastero alle 8 del mattino: durante la celebrazione avverrà il rinnovo delle promesse da parte delle monache. Nel pomeriggio, in comunione spirituale con la comunità domenicana di Cremona, la preghiera del Vespro (ore 16) con a seguire l’adorazione eucaristica (dalle 16.30 alle 17.30) promossa dal gruppo La Dieci pregando per i giovani.




Suore della Beata Vergine, la casa di Sestri Levante apre le porte a 18 afgani

Una e-mail e le Suore della Beata Vergine di Cremona sono coinvolte nella grande storia di disperazione e di amore che oggi attraversa il mondo. Mittente è una ex alunna ligure della scuola materna che ricorda alla perfezione la casa dell’Istituto a Sestri Levante, quella dove molti degli alunni cremonesi hanno trascorso le vacanze estive in tempi no-covid. La richiesta è quella di mettere a disposizione la struttura per dare ospitalità a un gruppo di diciotto afgani in fuga dal loro Paese.

Concitazione, ricordi, immagini affollano la mente delle religiose di via Cavallotti. Sguardi interrogativi… ma in breve tempo la decisione è presa.

La mail è del 25 agosto; il 26 agosto la risposta positiva; il 27 agosto il viaggio al mare per la consegna delle chiavi e far trovare tutto pronto per le 23, ora dell’arrivo dei profughi.

«Non abbiamo fatto lunghe e aride riflessioni – raccontano le suore della Beata Vergine dall’istituto di via Cavallotti – ci siamo lasciate trasportare dal cuore pensando anche ai figlioletti di quelle famiglie e soprattutto alla bimba nata da due giorni. Siamo felici di aver compiuto questo gesto d’amore che certamente comporta qualche rinuncia da parte nostra… ma in compenso la casa risuonerà delle voci e delle risa dei bambini e questo ci basta». «E soprattutto – concludono le religiose – senza scordare la Parola: “Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me” (Mt. 25,46)». E concludono: «La felicità della condivisione abita il nostro cuore e i nostri giorni».