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San Francesco di Sales, martedì al Monastero della Visitazione la chiusura dell’anno giubilare con il Vescovo

Ricorre il 24 gennaio la memoria liturgica di san Francesco di Sales, vescovo e dottore della Chiesa, patrono dei giornalisti e fondatore dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria. Una ricorrenza che al Monastero della Visitazione di Soresina segna la chiusura dell’Anno giubilare dedicato proprio a san Francesco di Sales, iniziato esattamente un anno fa in occasione del quarto centenario della morte (28 dicembre 1622). Un’occasione resa ancor più significativa dall’arrivo a Soresina di una reliquia del santo.

In questo contesto martedì 24 gennaio alle 17 nella chiesa monastica di via Cairoli, a Soresina, inizierà la preghiera di adorazione che accompagnerà alle 18 quando il vescovo Antonio Napolioni presiederà l’Eucaristia.

L’Ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi e la Comunità claustrale con la superiora madre Maria Teresa Maruti hanno esteso l’invito alla celebrazione a tutti i giornalisti del territorio per condividere insieme la memoria del santo patrono e fondatore.

Proprio nella ricorrenza di san Francesco di Sales sarà diffuso, come ogni anno, il messaggio che il Santo Padre Francesco propone in vista della 57esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebrerà il 21 maggio 2023. Il tema “Parlare col cuore: Veritatem facientes in caritate (Ef 4,15)” – già anticipato dalla Sala Stampa della Santa Sede – si collega idealmente a quello dello scorso anno (“Ascoltare con l’orecchio del cuore”) inserendosi nel cammino che condurrà tutta la Chiesa alla celebrazione del Sinodo dell’ottobre 2023. Parlare con il cuore significa “rendere ragione della speranza che è in noi” (cfr 1Pt 3,14-17), utilizzando il dono della comunicazione come un ponte e non come un muro. In un tempo contraddistinto da polarizzazioni e dibattiti esasperati che esacerbano gli animi siamo dunque invitati ad andare controcorrente. E proprio a noi giornalisti è richiesto uno sforzo ulteriore, facendo della nostra professione una missione per costruire un futuro più giusto, più fraterno, più umano.

Scarica la locandina dell’evento




Alle Figlie di San Camillo l’arrivo della reliquia del beato Luigi Tezza. Il vescovo Napolioni: «È bello sperimentare i frutti della santità»

 

Accompagnata dal canto e dalla preghiera la reliquia del beato Luigi Tezza ha fatto il suo ingresso nella cappella dell’istituto ospedaliero della Casa di Cura Figlie di San Camillo alle 15 di martedì 10 gennaio, accolta dai medici e dagli infermieri, dalle suore Camilliane dell’istituto e dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, che ha presieduto la Santa Messa, concelebrata da padre Virginio Bebber, da don Giulio Brambilla, responsabile per la vita consacrata della diocesi, con il servizio all’altare del diacono Alex Malfasi. Il beato Luigi Tezza, insieme alla santa Giuditta Vannini, è stato il fondatore dell’istituto ospedaliero delle Figlie di San Camillo, che nel caso della struttura di Cremona, la seconda fondata dopo quella di Roma, opera da 130 anni in prima linea nell’assistenza e nella cura dei malati, e dopo numerosi anni si dimostra con fede e capacità, caposaldo fra le case di cura camilliane.

Prima della Celebrazione Eucaristica, dopo l’arrivo della reliquia, la madre superiora dell’istituto Anna Ucci ha preso la parola, introducendo ai presenti la vita del beato fondatore di cui ha ripercorso i momenti più significativi della sua vita, ponendo particolare attenzione su quelli che l’hanno avvicinato all’assistenza dei poveri e dei malati fino all’incontro con santa Giuditta Vannini, spiegando quali sono gli insegnamenti che non solo ha lasciato, ma che ha dimostrato col proprio carisma,.

«Mi sono commosso perché è bello essere un popolo di credenti umili e grati, è bello sperimentare i frutti della santità, è bello riconoscere il nostro bisogno di questi segni che al mondo possono apparire paradossali». Sono queste le parole che il vescovo Napolioni ha utilizzato per descrivere l’arrivo della reliquia. «Ma si fa festa ad un pezzo d’osso? O si fa festa per ogni corpo? Per ogni vita, per ogni frammento di vita umana che ospita la vita di Dio? Ogni briciola di esistenza è una briciola d’Eucaristia».

Il Vescovo si è poi rivolto alle suore, ai medici e agli infermieri, con particolare attenzione al loro operato, ha infatti richiamato l’insegnamento di San Camillo, sottolineando che bisogna «Essere accanto ai malati come una madre amorevole, con tenerezza, avendo cura della persona tutta intera. Quanto volte ci siamo fermati a riflettere su questo? – ha aggiunto – Quanto è bello poter dire che qui questo si sperimenta, si sperimenta l’amicizia, si sperimenta quella gamma di sentimenti e di relazioni di cui il Vangelo è portatore e di cui l’inno alla carità è programma. Il beato Luigi desiderava fare bene il bene, dunque professionalità e qualità del rapporto che si crea con la persona in difficoltà, la fantasia della carità».

Ha poi concluso l’omelia che un monito: «Non dobbiamo temere il futuro se continuiamo a sperimentare che in ogni secolo il Signore ha suscitato uomini e donne profetici, incompresi dai contemporanei e poi riconosciuti come portatori di quelle scelte e quelle opere che corrispondevano davvero alla volontà di Dio e al bene dell’umanità, e allora tocca a noi adesso, tocca a noi far la nostra piccola parte e farla tutta, farla bene e farla con amore».

Ascolta qui l’omelia

 

Il viaggio della reliquia del beato Luigi Tezza non si ferma, ma continua in nuovi luoghi e con nuovi appuntamenti. Da mercoledì 11 fino a venerdì 13 gennaio la reliquia sarà esposta per la venerazione pubblica sempre nella cappella della Casa di Cura Figlie di San Camillo e successivamente, il 14 gennaio, sarà portata in processione alle 17.30 nella vicina chiesa di S. Ambrogio, dove sarà celebrata una Messa alle 18 e dove resterà fino al giorno successivo, domenica 15, con altre due celebrazioni alle 8 e alle 10. La reliquia farà poi ritorno in cappella alle Figlie San Camillo dal 16 al 20 gennaio. Il 21 gennaio, invece, il reliquiario sarà trasferito presso la casa di cura San Camillo, in via Mantova, dove resterà sino al 22 gennaio, con le Messe celebrate alle 17 di sabato e alle 10 di domenica.

Quindi il rientro per un ultimo periodo di venerazione provata nella clinica di via Fabio Filzi, sino a martedi 24 gennaio. Mercoledì 25 alle 15, la Messa presso la cappella della casa di cura, presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi prima che i resti del beato Luigi Tezza lascino la città alla volta di Brescia.

Locandina con il programma cremonese della peregrinatio




Dal 10 al 25 gennaio a Cremona una reliquia di padre Luigi Tezza, fondatore delle Figlie di San Camillo

Arriverà martedì 10 gennaio a Cremona la reliquia di beato Luigi Tezza, padre camilliano, fondatore, insieme a Giuditta Vannini, dell’Istituto delle Figlie di San Camillo, che a Cremona da decenni operano nel campo della sanità presso l’omonima casa di cura di via Fabio Filzi (la seconda più antica della congregazione). Proprio qui nel pomeriggio del 10 gennaio, alle 15, saranno accolte le reliquie del padre fondatore, alla presenza del vescovo Antonio Napolioni che presiederà l’Eucaristia.

Quella cremonese è solo una delle teppe del pellegrinaggio che la reliquia del beato Tezza sta compiendo nelle strutture delle religiose camilliane in occasione del centenario della morte del padre fondatore.

La reliquia, che sarà esposta per la venerazione pubblica presso la cappella della casa di cura Figlie di San Camillo, durante i giorni cremonesi sarà presente in altri due luoghi della città. Il 14 gennaio sarà accolta nella vicina chiesa di S. Ambrogio, dove resterà fino al giorno successivo. Il 21 gennaio, invece, il reliquiario sarà trasferito presso la casa di cura San Camillo, in via Mantova, dove resterà sino al 22 gennaio, per poi far ancora ritorno alle Figlie di san Camillo.

La permanenza a Cremona della reliquia durerà sino a mercoledì 25 gennaio. In programma, per quella data, alle 15, la Messa presso la cappella della casa di cura, presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi. Dopo la celebrazione le reliquie lasceranno la città alla volta di Brescia.

Locandina con il programma cremonese della peregrinatio

 

Profilo di padre Luigi Tezza

Luigi Tezza nasce a Conegliano (Treviso) il 1° novembre 1841 da Augusto e Caterina Nedwiedt. Il padre è medico condotto a Dolo (Venezia), elogiato per la sua competenza e dedizione alla cura dei malati. La madre, oriunda della Moravia (Cecoslovacchia), è donna di grande sensibilità.

Luigi, rimasto orfano di padre a 8 anni, cresce sotto le cure materne e risente della religiosità della madre. Trasferitosi con lei a Padova, viene in contatto con i Camilliani, che sono assistenti spirituali nell‘ospedale cittadino. A 15 anni entra come aspirante Camilliano a Verona. C

on l‘annessione del Veneto al Regno d‘Italia, viene estesa la legge di soppressione degli Istituti religiosi. Nella forzata dispersione dei consacrati, egli accetta con entusiasmo l‘invito del sacerdote veronese Daniele Comboni di andare missionario nel Sudan. Subito dopo viene chiamato a Roma come vice maestro dei novizi. Nel 1871 Padre Luigi è invitato in Francia a sostegno della Fondazione Camilliana a Lille. Nel 1891, durante un ritiro spirituale da lui predicato a Roma, incontra Giuditta Vannini, che sta orientandosi alla vocazione religiosa. Padre Tezza intuisce le capacità di dedizione della giovane e le espone il suo progetto per la realizzazione di una congregazione femminile ispirata al carisma di san Camillo de Lellis.

Padre Luigi è l‘animatore della nuova congregazione e la Vannini ne diviene la prima superiora. La nascente comunità si stabilisce in una casa di Via Merulana 141, a Roma. Le giovani affrontano con gioia le difficoltà economiche che Padre Tezza, con frequenza, ripiana con l‘aiuto della propria comunità.

La notizia della straordinaria dedizione di questo piccolo gruppo di suore verso i poveri e i malati si diffonde presto in città. Il numero delle aspiranti cresce e nel 1893 viene aperta, su richiesta del superiore dei Camilliani, una seconda casa a Cremona. La madre Vannini si preoccupa che le figlie abbiano una preparazione sempre più incisiva, facendo loro frequentare la scuola “San Giuseppe” per religiose infermiere, fondata a Roma nel 1906 su richiesta del Papa Pio X. La Comunità verrà riconosciuta nel 1909 come Congregazione religiosa, con il nome di Figlie di San Camillo.

Nel 1900,  viene mandato a Lima, in Perù, a rifondare la comunità camilliana. Per 23 anni, con instancabile impegno, si mette a servizio dell’ordine. Svolge un apostolato intenso accanto agli ammalati, ai poveri, nelle case private, negli ospedali, nel lazzaretto e nelle carceri, fu confessore e direttore spirituale in diverse Congregazioni religiose, e il suo confessionale fu cattedra di misericordia e spiritualità, fu consultore nell’Assemblea episcopale di Lima, consigliere del Delegato apostolico mons. Pietro Gasparri, e i nunzi apostolici che gli succedettero e le persone più autorevoli lo ebbero come padre spirituale.

Padre Luigi Tezza si spegne serenamente il 26 settembre 1923. Viene poi beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 4 novembre 2001.




Il Vescovo a San Luca: «Siamo anche noi un po’ evangelisti, nella misura in cui, fedeli ai Vangeli, scriviamo nuove pagine con la nostra vita»

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Una chiesa di San Luca gremita quella che nel pomeriggio di mercoledì 18 ottobre, a Cremona, ha celebrato la festa dell’evangelista cui la chiesa dei Padri Barnabiti è proprio intitolata. Una celebrazione animata dai canti del Coro Polifonico Cremonese, diretto dal maestro Federico Mantovani, e che è stata presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata dai religiosi della comunità religiosa con il superiore padre Emiliano Redaelli.

«Cremona è fortunata ad avere questa bella chiesa dedicata a san Luca, resa anche bella e viva dai padri barnabiti – ha detto il vescovo nell’omelia –. Ma Cremona sarà ancora più fortunata se noi saremo una bella Chiesa ispirata a san Luca, modellata dalla Parola del suo Vangelo, degli Atti degli Apostoli, della sua testimonianza e intercessione».

«Gli evangelisti sono santi umili – ha poi spiegato Napolioni –, perché la loro Parola li sorpassa: vengono prima i loro scritti della loro persona. Pensiamo a quanto proviene dalla penna di san Luca». Tra le tante bellezze tramandate dalla sua penna, risultano infatti il Vangelo dell’Annunciazione, la parabola del Figliol prodigo, il canto del Magnificat e la parabola del Buon samaritano, tutti scritti che non possono che essere contemplati nella Chiesa di oggi. E proprio da ciò è arrivato lo spunto del vescovo: «Siamo anche noi Chiesa apostolica e missionaria. Siamo anche noi un po’ evangelisti, nella misura in cui, fedeli ai Vangeli, scriviamo nuove pagine con la nostra vita».

San Luca evangelista e non solo: si è a conoscenza oggi, grazie alle testimonianze bibliche e alla tradizione, di un san Luca medico, ma anche pittore. «Allora lo scrivere di Luca è impregnato del “curare” e del “dipingere”», ha detto Napolioni, un dettaglio tangibile nella sua attenzione alle debolezze umane.

«Il Vangelo ci permette davvero di diventare operatori di pace, facendo della propria vita un capolavoro di conversione – ha spiegato il vescovo –. Come diventare questa Chiesa bella perché modellata sull’esempio del Vangelo e dell’evangelista Luca? Con l’ansia? Con la paura? O con un tuffo amoroso nella braccia di chi è fedele e misericordioso?». Da qui la conclusione: «Ecco gli operai della vigna che ci mancano. Ben vengano le vocazioni al ministero e alla missione, ma non sta scritto da nessuna parte che servono solo preti o suore. Questa è una possibilità offerta a tutti e solo se tutti ci risvegliamo a questa gioia della fede, potremo dire che il Regno di Dio è vicino».




Sabato a Rivolta d’Adda la professione perpetua di suor Evelina Dabellani

I capelli sono racchiusi in un velo di colore blu. La croce al collo si ferma proprio all’altezza del cuore. «L’amore di Dio è una cosa diversa, è totalizzante. Ti avvolge e ti cambia la vita. È presenza costante». Suor Evelina Dabellani emetterà nel pomeriggio di sabato 1 ottobre, alle 16.30, nella chiesa della Casa madre delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento, a Rivolta d’Adda, la professione perpetua davanti al vescovo Antonio Napolioni e alla superiora generale dell’Istituto, madre Isabella Vecchio.

Suor Evelina sceglie la via della vita religiosa a 56 anni, dopo il diploma da geometra e il lavoro nelle aziende come disegnatore meccanico. «Dopo le scuole superiori – ricorda – non avevo le risorse economiche per aprire uno studio tutto mio e ho scelto di andare a lavorare in ditta». Aveva anche smesso di frequentare gli ambienti religiosi. Poi la svolta: «Mi sono avvicinata alla vita comunitaria, prestando servizio in parrocchia e in oratorio circa una ventina di anni fa e ho capito che quella vicino agli ultimi, a servizio degli altri e a servizio di Dio era la mia strada».

Ha coltivato la vocazione lentamente nella sua parrocchia d’origine, a San Giovanni in Croce. «La mia esperienza – racconta – dimostra che nulla è impossibile, che la fede ci raggiunge e la presenza di Dio non ci abbandona più. Ci guida, ci sostiene». E alimenta la fiducia. «In questo percorso – aggiunge – mi ha aiutata ad abbattere i muri e le barriere che in questi anni avevano confinato il mio cuore».

Fondato da san Francesco Spinelli, l’Istituto delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento proprio dall’Eucarestia attinge «la fiamma della carità». Per questo le suore Adoratrici sono vicine agli ultimi, a tutte le persone «in quanto tali piene di dignità». Questo è il carisma che condivide anche suor Evelina: «Mi ha consentito di portare avanti un cammino, sotto la guida di un sacerdote, iniziato nel 2008 presso l’opera di carità Juana Coeli di Stilo de’ Mariani».

La prima professione nell’Istituto delle Adoratrici risale al 2019. Poi l’esperienza in una parrocchia della Calabria. Ora si trova nella casa di spiritualità di Lenno, sul lago di Como.

Il percorso è stato personale, ma non solitario. «Le scelte sono mie, è la mia vita consacrata a Dio, ma non sono sola. Avverto la presenza di Cristo, che è totalizzante, il suo aiuto e quello di quanti non mi hanno lasciato sola».

È un senso di accoglienza che ha generato consapevolezza: «La mia è una decisione in tarda età, ma convinta, frutto di un discernimento. Non può essere frutto di una delusione, durerebbe poco. Voglio invece convintamente mettermi a servizio». Lo prometterà sabato, per sempre.

«Sento un’emozione grande – conclude suor Evelina alla vigilia della professione –. Non ho paura, ma avverto una sorta di timore reverenziale. Dio mi ha chiamata, nonostante io sia così piccola, così piena di limiti, rispetto alla sua grandezza. Sono grata, immensamente. Pronta ad accogliere la sofferenza nascosta dietro occhi velati o la fatica che i giovani fanno ogni giorno. Voglio esserci. Ho scelto, ascoltando la chiamata di Dio».

 

La partecipazione della professione




A Rivolta d’Adda la professione perpetua di suor Evelina Dabellani, il Vescovo: «Il trionfo della gratuità»

Una storia di dono, di gratuità e di bellezza. Una vocazione è tutto questo. Come quella di suor Evelina Dabellani, che nel pomeriggio di sabato 1 ottobre, nella chiesa della casa madre dell’Istituto della Suore Adoratrici del SS. Sacramento, a Rivolta d’Adda, ha emesso i voti perpetui di povertà, castità e obbedienza entrando definitivamente a far parte dell’ordine fondato da San Francesco Spinelli.

Per le Adoratrici un’altra professione perpetua dopo quella di suor Roberta Valeri del giugno scorso, entrambe originarie della diocesi di Cremona. Suor Evelina, classe 1966, nata a Casalmaggiore ma di fatto originaria di San Giovanni in Croce, ex geometra ed ex disegnatrice meccanica presso ditte del settore metalmeccanico, un’esperienza di vita comunitaria nella Ianua Coeli di Stilo de’ Mariani, ha pronunciato la formula di rito davanti al vescovo Antonio Napolioni che ha presieduto la Messa, iniziata alle 16.30 ed animata nel canto dalle voci dei cantori della corale di Pessina Cremonese. Diversi i sacerdoti presenti.

Fra i banchi, oltre ai famigliari di suor Dabellani, anche una delegazione proveniente dalla Calabria, dalla diocesi di Cosenza, dove la religiosa, che attualmente presta servizio nella casa di spiritualità delle Adoratrici di Lenno, sul lago di Como, risiedeva fino all’anno scorso.

Per il vescovo «la professione di oggi è il trionfo della gratuità». «Se agli occhi del mondo farsi suora o farsi prete – ha affermato nell’omelia – non comporta nessun guadagno, il cuore degli uomini è sempre alla ricerca di qualcosa che non si compra e non si vende». E ha proseguito rivolto proprio alla religiosa: «La tua storia, Evelina, sia quindi una storia di gratuità, di stupore e di bellezza. Come disse San Paolo a Timoteo, ce la farai se ravviverai il dono che ti viene dato. Non te ne vergognare, siine fiera e custodiscilo per mezzo dello Spirito Santo il bene che ti è stato affidato».

Dopo l’omelia, i riti tipici della professione perpetua: le risposte della religiosa alle domande del vescovo; la recita, da parte di suor Evelina, della formula di rito accanto alla superiora generale madre Isabella Vecchio («Io suor Evelina Dabellani, davanti alle sorelle qui presenti faccio voto per tutta la vita di castità, povertà e obbedienza») e la consegna dell’anello, simbolo dell’assoluta fedeltà a Cristo, sposo celeste.

Al termine della Messa il saluto della superiora generale. «Mi piace pensare – ha detto madre Isabella Vecchio – alle parole pronunciate domenica scorsa da papa Francesco, che dice che è possibile sognare una Chiesa fatta di uomini e donne che sanno inginocchiarsi davanti all’Eucarestia, ma sanno anche piegarsi alle ferite di chi soffre. Che la tua professione, Evelina, ravvivi anche in noi il desiderio di continuare a sognare. Ti auguriamo di essere Adoratrice secondo il volere di Dio».

La preghiera a san Francesco Spinelli, il fondatore della Adoratrici, davanti alla sua tomba, nella cappella della chiesa ha concluso la cerimonia lasciando poi spazio al momento di festa che suor Evelina ha condiviso con le consorelle, i familiari e gli amici.

 

Sabato a Rivolta d’Adda la professione perpetua di suor Evelina Dabellani




Adoratrici, ultimo saluto a madre Maria Grazia Abeni. Missionaria in Africa, è stata Superiora Generale per 12 anni

L’Istituto delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento ha dato la notizia della morte di madre Maria Grazia Abeni, avvenuta presso la Casa Santa Maria di Rivolta d’Adda nella notte tra venerdì e sabato 30 luglio. Le esequie saranno celebrate lunedì 1agosto alle ore 9.30 presso la Casa Madre dell’Istituto a Rivolta.

Nata a Brescia nel 1931, suor Maria Grazia è entrata nelle Adoratrici nel 1955, per emettere i primi voti nel 1958 e i voti solenni nel 1963 in Congo. Giovanissima infatti, nel 1961 è partita per la missione nell’ex Zaire, dove è rimasta fino al 2008, periodo interrotto dalla parentesi di dodici anni in cui ha guidato l’Istituto come Madre, dal 1983 al 1995.

Come Settima Superiora Generale dell’Istituto – ricorda il il sito delle Adoratrici – “ha continuato con sapienza l’opera di rinnovamento post-conciliare che madre Sofia Locatelli aveva iniziato. Donna della Parola di Dio, ce l’aveva sempre nel cuore e sulla bocca, e forse non c’è Suora Adoratrice che fra le pagine del breviario non tenga uno dei suoi innumerevoli bigliettini con i quali sempre esortava ad accogliere e vivere qualche frase della Sacra Scrittura. È stata lei, a partire dei primi anni ’90, a introdurre tra le Adoratrici lo studio e la meditazione della Parola di Dio, in particolare secondo il metodo della Lectio divina. Spesso ripeteva che nei suoi lunghi anni in Africa, quando gli aiuti spirituali scarseggiavano, è stata proprio la Parola a guidare i suoi passi e a confermare la sua vocazione e la sua missione. Donna di fede forte, carattere deciso e a tratti schivo, ha lasciato il segno di una persona retta e di forte spiritualità, donna dell’essenziale e del sacrificio”.

Dopo il 1995 poi il ritorno in Africa. Prima a Leopoldiville, poi a Kinshasa nel dispensario, quindi nel grande sanatorio di Makala, presso la Capitale, ha riservato la sua cura in particolare ai malati, soprattutto di TBC e di AIDS. È poi tornata in Congo dopo il suo mandato di Madre, per guidare come superiora le comunità di Lonzo, nella foresta congolese, Binza, quartiere popoloso della Capitale, e Bibwa, nuova comunità nei pressi dell’aeroporto.




Barnabiti, la solennità di sant’Antonio Maria Zaccaria si apre nel ricordo di suor Luisa Dell’Orto

Si apre, lunedì 4 luglio, presso la chiesa di San Luca, a Cremona, il programma in preparazione alla memoria di sant’Antonio Maria Zaccaria, cremonese fondatore dell’ordine dei Chierici regolari di san Paolo e patrono secondario della Diocesi di Cremona, che ricorre il 5 luglio.

La giornata di lunedì 4 luglio sarà caratterizzata dall’esposizione dell’Eucarestia nella chiesa di San Luca con l’adorazione continuata dalle 8.30 fino alle 17.30, quando vi sarà il canto dei Primi Vespri. A seguire, alle 18, la celebrazione eucaristica che terminerà con la supplica e la venerazione della reliquia del santo.

Alle 21 del 4 luglio la recita del Rosario, che sarà occasione per ricordare suor Luisa Dell’Orto, religiosa della comunità delle Piccole Sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld, sorella del barnabita padre Giuseppe Dell’Orto, uccisa sabato 25 giugno a Port-au-Prince, capitale di Haiti, dove viveva a vent’anni dedita soprattutto al servizio dei bambini di strada. La preghiera del Rosario meditato avverrà con l’utilizzo dei testi di Charles de Foucault, fondatore delle Piccole Sorelle del Vangelo.

Martedì 5 luglio, invece, i barnabiti cremonesi ricorderanno la solennità del proprio fondatore a San Luca nelle Messe delle 7.15 e delle 8, alle quali seguirà la recita della supplica per gli ammalati e la venerazione della reliquia del santo. Alle 17.30 il canto dei Secondi Vespri, seguita, alle 18, la Messa presieduta dal novello sacerdote barnabita, padre Giacomo Maria Sala. La serata si concluderà con l’apericena nel chiostro di San Luca.

 

Sant’Antonio Maria Zaccaria

Antonio Maria Zaccaria nacque a Cremona nel 1502. Dopo gli studi di medicina all’università di Padova, rientrò a Cremona dove si diede a una intensa vita spirituale e caritativa. Ordinato sacerdote nel 1528, continuò a predicare la Parola di Dio e a promuovere il rinnovamento della vita cristiana tra i fedeli. Nel 1530, a Milano, con alcuni compagni diede inizio alla Congregazione dei Chierici Regolari di san Paolo, chiamati Barnabiti dalla chiesa di san Barnaba presso la quale si stabilirono. Pochi anni dopo fondò anche l’Istituto delle Suore Angeliche e la Società dei Coniugati. Tutta la sua attività ebbe come modello la vitalità apostolica di san Paolo, l’amore a Cristo crocifisso e all’Eucaristia. Morì a Cremona il 5 luglio 1539, consumato dalla fatica, a soli 37 anni. Canonizzato da Leone XIII nel 1897, il vescovo Giovanni Cazzani il 12 dicembre 1917 lo proclamò patrono secondario della diocesi, del clero e delle associazioni giovanili cattoliche.

 

Approfondimento su sant’Antonio Maria Zaccaria

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Comunità dei Barnabiti in lutto per l’uccisione ad Haiti di suor Luisa Dell’Orto




Adoratrici in festa a Rivolta d’Adda per la professione perpetua di suor Roberta Valeri

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Una famiglia, quella delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, in festa insieme a tutta la comunità di Rivolta d’Adda, per la professione perpetua di suor Roberta Valeri, effettuata nel pomeriggio di domenica 12 giugno nella basilica di Santa Maria e San Sigismondo, durante la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e animata dai canti dalla corale della parrocchia della Sacra Famiglia di Modena.

Accanto a Roberta, fisicamente e idealmente, c’erano la superiora generale delle Adoratrici, madre Isabella Vecchio, le tante consorelle, ma anche numerosi compaesani (compresi il sindaco Giovanni Sgroi e la sua vice Marianna Patrini) che non hanno voluto mancare a questo evento. Si, perché di evento si può parlare per il borgo rivierasco, dal momento che Roberta, 33 anni, di stanza a Como e là attiva nel campo dell’educazione, proprio di Rivolta è originaria.  L’ultima rivoltana a fare una professione perpetua fra le Adoratrici era stata suor Lidia Giussani (anche lei presente alla Messa).

«Che meraviglia». Ha esordito con questa esclamazione il vescovo nella sua omelia facendo una contrapposizione con i due funerali celebrati sabato nella stessa basilica, seguiti a due drammatici lutti che hanno colpito il paese negli ultimi tempi. «Che meraviglia – ha detto Napolioni – per questa vocazione. Una vocazione che ha radici lontane, radici che vengono dal cielo. Abbiamo bisogno di questo respiro di eternità. Un respiro infinito, queste radici lontane sono il fine più profondo della nostra esistenza». Rivolgendosi a suor Roberta il vescovo Antonio ha proseguito facendo riferimento al suo sorriso, immancabile: «Dietro il tuo sorriso, che cosa c’è? C’è un senso di pace che Dio regala a quei cuori che osano fidarsi di lui».

Infine, uno sguardo al carisma delle Adoratrici: «Da soli non siamo capaci di portare il peso di tutto ciò ci viene affidato dal Signore. E allora ecco l’invocazione quotidiana dello Spirito Santo. Adorare per servire è una continua esperienza dello spirito. Il servizio vi rimanda all’adorazione. Questo ci dà pace, sicurezza e fiducia e responsabilizza te, suor Roberta, e tutti noi, in preghiera oggi e per tutti i giorni della nostra vita».

Terminata l’omelia suor Roberta ha fatto la sua professione perpetua al cospetto del vescovo, prima rispondendo alle sue domande, poi prostrandosi a terra al canto delle invocazioni dei santi guidato dal vicario don Michele Martinelli. E, infine, recitando, accanto alla superiora generale, madre Isabella Vecchio, la formula di rito: «Io, suor Roberta Valeri, faccio voto per tutta la vita di castità, povertà e obbedienza secondo la regola di vita e di comunione delle suore Adoratrici del Santissimo Sacramento». Da neo-professa Roberta ha poi ricevuto l’anello, simbolo di assoluta fedeltà a Cristo.

A fine celebrazione il saluto del parroco di Rivolta d’Adda, monsignor Dennis Feudatari. «Grazie suor Roberta per la tua testimonianza e per la tua preghiera. Continueremo a pregare per te».

Poi le parole di madre Isabella Vecchio: «Ringrazio la tua famiglia (papà Pietro, mamma Giuliana, la sorella Sonia e il fratello Simone erano tutti presenti in chiesa), dove è nata la tua vocazione; ringrazio la parrocchia e ringrazio il nostro vescovo che fa sempre sentire noi Adoratrici parte importante della Chiesa”.

 

Domenica a Rivolta la professione perpetua di suor Roberta Valeri: ecco chi è




Alla Visitazione anche il Vescovo in preghiera davanti al Cuore di san Francesco di Sales

Nella mattinata di sabato 11 giugno, nel silenzio delle mura claustrali visitandine di Soresina, è arrivato il Cuore del fondatore san Francesco di Sales, accompagnato da madre Maria Natalina e suor Nazarena, del Monastero di Salò.

La reliquia è stata accolta alle 11 nella chiesa salesiana. È stata la superiora, madre Maria Teresa Maruti, a collocarla sull’altare, dove è rimasta durante il momento di preghiera guidato da don Enrico Strinasacchi, collaboratore parrocchiale a Soresina.

Commosse le persone presenti e consapevoli dell’occasione speciale che durerà tre giorni, fino alla partenza per il Monastero di Pinerolo lunedì 13 giugno dopo pranzo.

Commozione e raccoglimento anche nel pomeriggio nel canto del Vespro presieduto dal vescovo Antonio Napolioni. Alla celebrazione hanno preso parte anche il parroco di Soresina don Angelo Piccinelli, il collaboratore parrocchiale don Giuseppe Ripamonti, il vicario don Alberto Bigatti e il diacono permanente Raffaele Ferri.

«Quanto è attuale il messaggio che viene da quel Cuore – ha affermato monsignor Napolioni – per un vescovo, per i sacerdoti, per i diaconi, per le sue figlie, care monache della Visitazione, per le famiglie, per i genitori, gli educatori, per la comunità. Ed è bello che stasera ci siamo tutti: è un momento di chiesa semplice ma completa».

E continuando nell’omelia mons. Napolioni ha ricordato la figura di san Francesco di Sales e il suo cammino di vita e di fede.

A chiudere la giornata l’adorazione eucaristica serale, sempre nella chiesa del Monastero.

Domenica 12 giugno Messe alle 8 (in chiesa) e alle 10.30 (nel giardino del Monastero); nel pomeriggio alle 16.30 preghiera con adorazione del gruppo “La Dieci”.

Durante le tre giornate nella chiesa del monastero saranno possibili momenti di preghiera e venerazione personale davanti alla reliquia.

A caratterizzare la giornata di lunedì 13 in mattinata la visita e preghiera dei gruppi del Grest e alle 13 la partenza della reliquia per il Monastero di Pinerolo.

L’arrivo a Soresina della reliquia di san Francesco di Sales si colloca nell’ambito del Giubileo salesiano che commemora i 400 anni della morte del fondatore dell’Ordine della Visitazione (1622 – 2022); per questo la federazione dei monasteri della Visitazione del nord Italia ha proposto la “peregrinazione” del cuore integro del fondatore dell’ordine tra le comunità delle sue figlie spirituali.

Donatella Carminati

 

La reliquia di san Francesco di Sales

Nonostante il corpo del Santo riposi ad Annecy (Savoia), il suo “muscolo cardiaco”, trovato “grande, sano e completo” nell’operazione di imbalsamazione, venne affidato, per essere custodito come un tesoro prezioso, alle monache Visitandine di Lione, presso le quali il fondatore aveva trascorso gli ultimi giorni della sua vita: il cuore, conservato in uno splendido reliquiario d’oro donato da Luigi XIII re di Francia, nella ricognizione ufficiale del 1658 richiesta da Papa Alessandro VII, risultò “incorrotto, in ottimo stato ed effondente un profumo gradevole e penetrante”. A motivo delle turbolenze innescate dalla Rivoluzione francese, il 10 agosto 1792 le monache di Lione ripararono a Mantova portando con sé la reliquia. Una “quiete” di breve durata: nell’aprile 1796, infatti, Napoleone Bonaparte valicava le Alpi imperversando nella Pianura padana. Le claustrali, incalzate dall’esercito francese, portando con sé il cuore del loro Padre, fuggirono in Boemia, quindi a Vienna e finalmente, nel 1801, a Venezia. Ma poiché anche il monastero veneziano di san Giuseppe, appartenente, secondo le leggi del tempo, al demanio, rischiava la soppressione, le “eredi” del Salesio, per suggerimento di Papa Pio X, nel 1913 si trasferirono a Treviso per costituire una nuova Comunità: presso la quale, ancora oggi, è conservato e onorato il “segno carnale della dolcezza e della carità soprannaturale” del fondatore. Il cuore, paterno e materno, di Francesco di Sales, in effetti, fu il “motore” non solo di sentimenti genuini e umanissimi, ma anche di un dinamismo pastorale irrefrenabile, di un ottimismo realistico e incoraggiante, di un eroismo sorridente ma non stralunato; insomma, di un amore perfetto e concreto.

In una delle sue lettere il santo scrive di sé, quasi per giustificarsi: «È un fatto reale: non c’è nessuno al mondo, almeno così io penso, che voglia bene più cordialmente, più teneramente e, per dirlo in tutta sincerità, con un amore più grande del mio; ed è Dio che mi ha dato un cuore fatto così». Ecco, dunque, il segreto del più “amabile” tra i maestri spirituali: “un cuore fatto così”. Che ama sempre e comunque. Attingendo dall’Amore Eterno, che “arde e non si consuma”. Ma per l’anima “filotea”, cioè “amante di Dio”, l’invito a “partire dal cuore” rappresenta anche un’indicazione strategica: «Non ho mai potuto approvare il metodo di coloro che, per riformare l’uomo, cominciano dall’esterno, dal contegno, dagli abiti, dai capelli. Mi sembra, al contrario, che si debba cominciare dall’interno… Il cuore, essendo la sorgente delle azioni, esse sono tali quale è il cuore… Chi ha Gesù nel cuore, lo ha, subito dopo, in tutte le azioni esteriori». In effetti, secondo la Bibbia, il cuore è un organo “centrale” non solo nell’anatomia del corpo, ma anche nella struttura della personalità: vi hanno sede i sentimenti e le emozioni, ma soprattutto vi si elaborano le scelte della vita. Può essere limpido o perverso. Di carne o di pietra. E i puri di cuore, solamente loro, riescono a “vedere” Dio! La reliquia del cuore integro e incorrotto di san Francesco di Sales che sarà ospitato presso il monastero soresinese renderà visibile, pertanto, l’urgenza personale, comunitaria e mondiale di “ricominciare dal cuore”, dove arde la fiamma viva dello Spirito d’amore.