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Al Santuario di Caravaggio bambine e ragazze “In vacanza con Maria”

Giornate tutte al femminile per bambine e ragazze, dalla terza elementare alla terza media: tre giorni con Maria, vissuti insieme al Santuario di Caravaggio, fra attività, laboratori, gioco e preghiere. L’iniziativa – con lo slogan “In vacanza con Maria” – propone la possibilità di tre giorni residenziali per vivere nella gioia la compagnia di Maria e la scoperta di nuove amicizie.

La proposta è differenziata per età, con due momenti diversi a seconda delle fasce di età:

  • dal 23 al 26 luglio per bambine che hanno frequentato dalla terza alla quinta elementare (locandina elementari);
  • dal 6 al 9 agosto per ragazze che hanno frequentato dalla prima alla terza media (locandina medie).

La “vacanza” è accompagnata dalla comunità delle Suore Adoratrici residenti presso il Santuario.

Per informazioni e iscrizioni contattare suor Paola al 348-4752562.




Sant’Antonio Maria Zaccaria, a San Luca festa per il 125° della canonizzazione con il cardinal Bagnasco

«A distanza di cinque secoli la figura e il carisma di sant’Antonio Maria Zaccaria è di estrema attualità». Si è espresso così nell’omelia il cardinal Angelo Bagnasco, vescovo emerito di Genova e presidente della Conferenza Episcopale italiana dal 2007 al 2020, che nel pomeriggio di mercoledì 5 luglio ha presieduto la celebrazione eucaristica in San Luca, a Cremona, a conclusione delle iniziative per il 125°anno dalla canonizzazione del fondatore dei Barnabiti (Chierici regolari di san Paolo). Sant’Antonio Maria Zaccaria, proclamato dal vescovo Cazzani nel 1917 patrono secondario della Diocesi di Cremona, delle associazioni cattoliche e del clero, è un santo che sa ancora interpellare anche se «può apparire paradossale in un tempo, il nostro – ha detto il cardinale – lanciato nelle vie del progresso scientifico, dello sviluppo, della cultura globale».

E che fosse un santo attuale lo ha dimostrato la partecipazione della gente a San Luca per una celebrazione dove la Diocesi era rappresentata dal vicario generale don Masimo Calvi insieme a don Irvano Maglia parroco dell’unità pastorale Cittanova, alla presenza anche dei rappresentanti dei vari istituti religiosi di Cremona: Camiliani, Cappuccini e naturalmente Barnabiti.

Ad accompagnare la preghiera, condivisa con autorità militari e civili, il Coro polifonico cremonese, guidato dal maestro Federico Mantovani, che ha anche intonato l’inno di Caudana a sant’Antonio Maria Zaccaria.

La presenza di Bagnasco è stata dovuta non solo ai legami con Cremona dovuti ai nonni materni, ma anche a un particolare legame «per stima e per ricordi scolastici» con i Barnabiti e con il rettore di San Luca, padre Emiliano Redaelli, che ha introdotto la celebrazione con un saluto.

 

Il saluto di padre Emiliano Redaelli

 

L’ingresso solenne, accompagnato dalle litanie dedicate al fondatore dei Barnabiti, ha visto i celebranti sostare davanti all’altare dedicato al santo per poi iniziare la celebrazione.

Nell’omelia, Bagnasco ha messo in guardia dalla fiducia cieca nel progresso se questo non è ancorato alla Verità. Il rischio è quello di «un pensiero unico», centrato sull’uomo mentre, sulla scorta di san Paolo, ha ricordato che «il criterio, il centro va spostato su Cristo, sapienza di Dio».  Al pensiero unico, dominante nel mondo moderno, va contrapposto «il pensiero critico», quello che sa riconoscere una Verità unica sostenuta dalla fede «non fondata sulla sapienza umana». L’invito è stato quello di «dire il vero», testimoniare la Verità senza pensare che così facendo si compia un «atto di arroganza o di presunzione». Inevitabile un richiamo alla vocazione educativa dei Barnabiti, ma in fondo di ogni cristiano adulto. «L’educazione – ha detto il cardinale – è un atto di amore, è insegnare a non avere paura della vita che si apre, è chiamare le cose con il loro nome, avere fiducia in se stessi perché Gesù ha fiducia in noi”. Un compito urgente, visti i tempi complessi per cui ciascuno dovrebbe “sacrificarsi perché i giovani siano veramente liberi».

 

L’omelia del card. Angelo Bagnasco

 

Al termine della messa è stata impartita la benedizione solenne che ha suggellato le celebrazioni in onore del presbitero cremonese sant’Antonio Maria Zaccaria, morto proprio in città il 5 luglio del 1539.

Dal 6 luglio a San Luca entrerà in vigore l’orario estivo delle celebrazioni: le Messe feriali alle 8 e alle 18; le festive alle 8, 11 e 21.

 

 

Sant’Antonio Maria Zaccaria

Nasce a Cremona nel 1502, da nobile famiglia, all’epoca del vivace movimento di riforma cattolica che precedette il Concilio di Trento. Rimasto orfano di padre a pochi mesi di vita, ebbe dalla giovanissima madre una prima educazione tenerissima all’amore dei poveri.

Portò a compimento gli studi di medicina all’Università di Padova e, rientrato a Cremona, piuttosto che alla professione medica si dedicò alla cura gratuita dei poveri e alla catechesi. Dal suo direttore spirituale, un domenicano, fu guidato al sacerdozio. Ordinato prete nel 1528, profondamente convinto della centralità dell’Eucaristia e della Parola di Dio per ridare vigore al popolo di Dio, si dedicò a formare gruppi di laici appassionati alla riforma dei costumi morali dei cristiani.

Seguì a Milano, come cappellano, la contessa di Guastalla Ludovica Torelli, con cui condivideva profondamente le aspirazioni al rinnovamento del laicato cristiano. Qui, iscrittosi all’antica confraternita dell’Oratorio dell’Eterna Sapienza, fondato da mons. Giovanni Antonio Bellotti, ne divenne il capo spirituale e, sotto la sua spinta, l’Istituto germinò tre nuove famiglie religiose, ispirate alla figura di san Paolo: i Barnabiti (o Chierici Regolari “di S. Paolo decollato”), le Angeliche (“di san Paolo converso”) e i “Maritati devoti di S. Paolo”. Con i membri di questi ordini religiosi animò una rinascita spirituale nel popolo milanese, nonostante l’iniziale avversione del clero locale che lo denunciò presso la Curia romana. Da queste accuse fu pienamente scagionato (anche per l’appoggio di san Carlo Borromeo) e continuò la sua opera di riforma spirituale, a tutti i livelli della Chiesa ambrosiana.

Particolare cura dedicò alla costituzione delle Angeliche, primo esempio di ordine religioso femminile non vincolato alla clausura, dedito principalmente all’educazione religiosa del popolo. In missione pacificatrice a Guastalla, colpita da interdetto pontificio, esaurì le sue già molto provate risorse vitali e fu trasportato morente a Cremona, ove concluse la sua vicenda terrena, il 5 luglio 1539. Venne sepolto a Milano. Di lui rimangono dodici lettere, sei sermoni e le Costituzioni, a documentare il suo animo di riformatore, ispirato ai fondamentali valori evangelici, appassionato custode della figura di san Paolo e del culto eucaristico. Una sua incisiva massima è: “È proprio dei grandi cuori mettersi al servizio degli altri senza ricompensa”.




Il 5 luglio il cardinale Bagnasco a San Luca per la memoria di sant’Antonio Maria Zaccaria

Sarà il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana dal 2007 al 2020, e legato alla terra cremonese nel periodo dell’infanzia, a presiedere il 5 luglio nella chiesa di San Luca, a Cremona, la solenne Eucaristia nella memoria di sant’Antonio Maria Zaccaria, presbitero cremonese fondatore dell’ordine dei Chierici regolari di san Paolo, meglio conosciuti come Barnabiti, e patrono secondario della Diocesi di Cremona.

In preparazione alla festa del fondatore, lunedì 3 e martedì 4 luglio nella chiesa di San Luca, dove è presente la comunità barnabita di Cremona, si svolgeranno le Quarant’ore, caratterizzate dall’adorazione eucaristica dopo il canto della Lodi mattutine alle 8.45. Nei due pomeriggi, invece, l’esposizione del SS. Sacramento alle 15, sino al canto del Vespro alle 17.30. Le Messe alle ore 7.15, 8 e 18.

Mercoledì 5 luglio, giorno anniversario della morte di sant’Antonio Maria Zaccaria, avvenuta il 1539 proprio all’ombra del Torrazzo, alle 8.45 avrà luogo l’esposizione del SS. Sacramento con il canto della Lodi; alle 12 la recita della Supplica al santo. Alle 18, quindi, la Messa solenne presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco e concelebrata dai barnabiti della comunità di San Luca insieme alla rappresentanza della Diocesi di Cremona, dell’unità pastorale “Cittanova” (nel cui territorio si trova San Luca) e delle comunità religiose presenti in città. La liturgia sarà animata con il canto dal Coro polifonico cremonese diretto dal maestro Federico Mantovani.

A legare il cardinal Bagnasco al territorio cremonese il fatto che trascorse i primi anni di vita a Robecco d’Oglio, dove la sua famiglia era sfollata dai nonni materni, pur essendo nato nel 1947 nel vicino ospedale di Pontevico, il provincia e diocesi di Brescia, dove fu anche battezzato.

«Siamo arrivati alla conclusione del 125° anno dalla canonizzazione di sant’Antonio Maria Zaccaria, avvenuta nel 1897 con Papa Leone XIII – spiegano dalla comunità di S. Luca –. Un anniversario già celebrato a Milano e che noi, qui a Cremona, vogliamo onorare in questa circostanza».

Dal 6 luglio a San Luca entrerà in vigore l’orario estivo delle celebrazioni: le Messe feriali alle 8 e alle 18; le festive alle 8, 11 e 21.

 

Sant’Antonio Maria Zaccaria

Nasce a Cremona nel 1502, da nobile famiglia, all’epoca del vivace movimento di riforma cattolica che precedette il Concilio di Trento. Rimasto orfano di padre a pochi mesi di vita, ebbe dalla giovanissima madre una prima educazione tenerissima all’amore dei poveri.

Portò a compimento gli studi di medicina all’Università di Padova e, rientrato a Cremona, piuttosto che alla professione medica si dedicò alla cura gratuita dei poveri e alla catechesi. Dal suo direttore spirituale, un domenicano, fu guidato al sacerdozio. Ordinato prete nel 1528, profondamente convinto della centralità dell’Eucaristia e della Parola di Dio per ridare vigore al popolo di Dio, si dedicò a formare gruppi di laici appassionati alla riforma dei costumi morali dei cristiani.

Seguì a Milano, come cappellano, la contessa di Guastalla Ludovica Torelli, con cui condivideva profondamente le aspirazioni al rinnovamento del laicato cristiano. Qui, iscrittosi all’antica confraternita dell’Oratorio dell’Eterna Sapienza, fondato da mons. Giovanni Antonio Bellotti, ne divenne il capo spirituale e, sotto la sua spinta, l’Istituto germinò tre nuove famiglie religiose, ispirate alla figura di san Paolo: i Barnabiti (o Chierici Regolari “di S. Paolo decollato”), le Angeliche (“di san Paolo converso”) e i “Maritati devoti di S. Paolo”. Con i membri di questi ordini religiosi animò una rinascita spirituale nel popolo milanese, nonostante l’iniziale avversione del clero locale che lo denunciò presso la Curia romana. Da queste accuse fu pienamente scagionato (anche per l’appoggio di san Carlo Borromeo) e continuò la sua opera di riforma spirituale, a tutti i livelli della Chiesa ambrosiana.

Particolare cura dedicò alla costituzione delle Angeliche, primo esempio di ordine religioso femminile non vincolato alla clausura, dedito principalmente all’educazione religiosa del popolo. In missione pacificatrice a Guastalla, colpita da interdetto pontificio, esaurì le sue già molto provate risorse vitali e fu trasportato morente a Cremona, ove concluse la sua vicenda terrena, il 5 luglio 1539. Venne sepolto a Milano. Di lui rimangono dodici lettere, sei sermoni e le Costituzioni, a documentare il suo animo di riformatore, ispirato ai fondamentali valori evangelici, appassionato custode della figura di san Paolo e del culto eucaristico. Una sua incisiva massima è: “È proprio dei grandi cuori mettersi al servizio degli altri senza ricompensa”.

 

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Al Santuario di Caravaggio ordinati presbiteri due frati minori cappuccini

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Fra Luca Savoldelli, 33enne bergamasco di Rovetta, e fra Fabio Burla, 40enne veronese, sono adesso sacerdoti dell’ordine dei frati minori cappuccini. A consacrarli, nella mattinata di sabato 24 giugno al Santuario di Caravaggio, è stato il vescovo Antonio Napolioni che ha presieduto la celebrazione nella basilica di Santa Maria del Fonte.

Un’ottantina i cappuccini presenti, sufficienti a riempire, in aggiunta alle delegazioni di conterranei, parenti ed amici dei due novelli preti, la basilica in un’atmosfera di solennità e di gioia nella ricorrenza di san Giovanni Battista.

E propria sulla figura, le gesta e gli insegnamenti di quello che ha definito come «Il più grande profeti» il vescovo ha incentrato la sua omelia. «Forse – ha esordito Napolioni rivolgendosi a fra Luca e fra Fabio – oggi qui nascono due profeti. Anzi, togliamo il forse, perché certamente Fabio e Luca ricevono la missione di annunciare Cristo da presbiteri oltre che da figli e fratelli di Francesco. Un avvenimento puntuale che sprigiona però i suoi effetti per l’eternità, perché si è sacerdoti per sempre».

Invitando fra Luca e fra Fabio ad avere una bella amicizia con i preti diocesani, con le parrocchie e con i vescovi che incontreranno, Napolioni ha augurato loro di mantenere quel pizzico di libertà che significa «una vocazione profetica, evangelica e missionaria più che clericale e puramente liturgica e sacerdotale». «È il sacerdozio del Cristo Crocifisso – ha aggiunto – che come paramento porta solo uno straccio».

In conclusione, traendo spunto dalle parole del prefazio della preghiera eucaristica, le raccomandazioni ai due neo sacerdoti: «Il prefazio – ha sottolineato il vescovo – contiene dei verbi che al passato remoto descrivono la missione del Battista ma che, declinati al futuro, contengono anche la missione che oggi inizia per voi: esultate sempre, anche nelle circostanze avverse; non stancatevi di essere uomini che portano l’annuncio ovunque e che lo sanno preparare; abbiate la capacità di indicare Gesù, che non è nel passato né nei nostri cassetti; agite dentro un popolo che è chiamato ad essere corpo di Cristo; testimoniate la parola di Cristo con autenticità umana anche fra le difficoltà che troverete».

L’ordinazione presbiteriale è stata per i due cappuccini il coronamento di un lungo percorso. La loro provenienza è dal mondo del lavoro. Fabio Burla ha lavorato in un’azienda alimentare e nell’agricoltura mentre Luca Savoldelli dall’età di 16 anni ha sempre svolto sempre la professione di metalmeccanico in un’azienda di Cerete alternandola con gli studi presso le scuole serali come dirigente di comunità. Poi la vocazione. Per entrambi, il postulato a Lendinara (Rovigo) e, dopo il primo periodo di discernimento vocazionale conclusosi con la professione perpetua, l’inizio degli studi teologici (terminati circa un mese fa) e l’ordinazione diaconale nel convento di Venezia, datata 5 novembre 2022.




Viadana in festa con le Figlie dell’Oratorio, in servizio da 130 anni

130 anni di servizio a Viadana, nel campo dell’educazione: era il 1893 quando l’allora parroco di Vicobellignano, don Vincenzo Grossi, il santo che nel 1885 fondò l’Istituto religioso delle Figlie dell’Oratorio, volle costituire una comunità delle sue suore nella zona più rurale di Viadana, perché il carisma da lui ricevuto dallo Spirito diventasse dono fecondo per la terra mantovana. Una comunità che, fin dagli inizi, si è dedicata alla formazione umana e cristiana delle giovani generazioni nella scuola dell’infanzia “San Pietro” e che ha sempre offerto la sua collaborazione nella parrocchia e nell’oratorio, affiancando i sacerdoti nella pastorale.

Le numerose suore che si sono succedute hanno dato vita a questi luoghi rendendoli spazi di sana accoglienza e di evangelizzazione per generazioni di ragazzi e per le loro famiglie, che hanno trovato nelle Figlie dell’Oratorio un punto sicuro di riferimento per la loro educazione e formazione umana e cristiana, donne pronte ad ascoltare, ad accompagnare a consolare. 130 di presenza significativa che la comunità ha voluto festeggiare con alcuni momenti pubblici.

La serie di eventi è stata inaugurata sabato 17 giugno con la festa con le famiglie dei bambini della scuola dell’infanzia.

Il 20 giugno, all’oratorio di San Pietro, l’incontro tra gli ex oratoriani definitisi “quelli del 900” e gli oratoriani attuali.

Mercoledì 21 giugno, alle 21 nella chiesa parrocchiale di San Pietro, veglia di preghiera e di adorazione eucaristica guidata madre Roberta Bassanelli, superiora generale delle Figlie dell’Oratorio.

Domenicale del 25 giugno, nell’ambito della festa patronale, la Messa delle 10 sarà presieduta dal vescovo Antonio Napolioni. Alla celebrazione sono state invitate le suore che in passato hanno prestato servizio a Viadana. Accanto al vescovo ci saranno anche alcuni sacerdoti originari di Viadana: don Maurizio Lucini, don Fabrizio Martelli e fra Attilio Martelli.

A chiudere le celebrazioni anniversarie sarà quindi, nella serata di domenica 25 giugno, alle 21, sempre nella chiesa di S. Pietro, il concerto in onore di san Vincenzo Grossi, animato dalla corale civica “Marino Boni” di Viadana, in concomitanza anche del ventesimo anniversario di attività del coro.

«La presenza delle Figlie dell’Oratorio nelle nostre parrocchie ha uno scopo ben preciso – spiega don Antonio Censori, parroco dell’unità pastorale “Città di Viadana” –. San Vincenzo volle che le sue suore si inserissero nella vita liturgica, pastorale, educativa ed evangelizzatrice della Chiesa locale, che partecipassero attivamente alla vita e alla missione della parrocchia. E lo hanno sempre fatto, in modi diversi, a seconda delle disponibilità. Da 130 anni sono una grande testimonianza di devozione e dedizione nella nostra comunità. Speriamo possano restare tra noi il più possibile».

Una presenza, quella delle Figlie dell’Oratorio a Viadana, che non si è mai interrotta, nonostante il calo numerico delle religiose e delle loro forze fisiche: la loro presenza gioviale e accogliente vuole continuare a essere un richiamo significativo ed evangelico per le persone che incontrano. Attualmente sono sei le Figlie dell’Oratorio presenti a Viadana. L’Istituto religioso, la cui casa madre si trova a Lodi, è presente in diverse parti d’Italia (e in diocesi di Cremona anche a Pizzighettone) oltre che in America latina.

 




“Siate fuoco e incendiate il mondo”, l’eredità lasciata a Casa di Nostra Signora dalle oblate Angela Maria Guarneri e Lucia Galimberti

Nelle scorse settimane l’Istituto secolare delle Oblate di Nostra Signora del Sacro Cuore di Cremona ha perso la presenza terrena di Angela Maria Guarneri (il 3 maggio) e di Lucia Galimberti (il 16 maggio). Insieme hanno lavorato per una vita, anzi due. E insieme se ne sono andate. Sembrerebbe dolcemente romantico se non fosse che si aveva a che fare con due guerriere.

L’Istituto delle Oblate – che ha in don Claudio Rubagotti il suo assistente ecclesiastico – si è, infatti, caratterizzato negli anni per l’impegno religioso, sociale ma anche politico, volto all’educazione e alla promozione della figura femminile, accompagnandone lo sviluppo culturale in tempi storici divenuti memorabili, di cui però, non si sono ancora pienamente soddisfatte le premesse: si pensi alla malintesa emancipazione femminile, all’attenzione quasi esclusivamente economica al mondo dell’infanzia e alla sostituzione degli antichi valori con il nulla, che se fosse almeno tale si potrebbe pensare di abitarlo con qualcosa, con qualcuno, mentre sembra piuttosto un non luogo in un non tempo artificialmente perfetto, asettico, in cui i giovani (e non solo) “ammazzano” il tempo unico della propria esistenza in una sorta di allucinazione collettiva. È “stupefacente” come noi adulti spesso restiamo inermi, incapaci di combattere pensandoci scagionati dalla responsabilità che è l’azione nel giusto, ad esempio.

Per nostra fortuna c’è sempre chi resta col cerino in mano.

Casa di Nostra Signora rappresenta una prova della volontà di tracciare un solco, fatto di tanti passi (nel tempo e nello spazio) per arrivare non solo ad avere “un luogo” ma anche persone che lo abitino, insieme. È la casa voluta e costruita dalle oblate, che oggi opera segno di Caritas Cremonese che ne ha ricevuto il testimone e che sempre di più vuole essere palestra di un impegno religioso e civile che tenta di tenere accesa l’attenzione all’oltraggiata umanità.

Nella quotidianità veloce e sfuggente, contraddistinta per lo più dal perseguimento della soddisfazione (effimera) di bisogni indotti e inutili, non ci accorgiamo dell’esistenza di persone simili a piccoli angeli che si adoperano quotidianamente per rendere il mondo un posto migliore in cui vivere. Raramente siamo in grado di riconoscere chi è in difficoltà, ancor meno ci accorgiamo di chi presta soccorso, specialmente se, alla vera maniera cristiana – ma basterebbe dire “alla vera maniera” – si tratta di un fare tanto concreto quanto silenzioso: nascosto o forse sarebbe meglio dire mescolato come fosse un ingrediente segreto ma irrinunciabile per la buona riuscita di un piatto prelibato.

Mi piace insistere sul termine “segreto” e sulla sua accezione bella e positiva, così lontana dall’apparente (dis) orientamento di (non) senso attuale: un segreto è qualcosa che sta in un altro luogo e che probabilmente prende buona parte del suo valore proprio nel tempo e nello spazio, altro, in cui si anima. Un segreto comporta inesorabilmente un conflitto, una scissione di quel sé da ciò che sta nascosto, il “se-cernere” che nell’etimologia del termine italiano è un participio, cioè un partecipante, per giunta passato, nel senso di composto. Perché da soli sarebbe inutile avere un segreto. Un segreto comporta comunque l’esistenza di almeno due persone: chi ce l’ha e chi lo ignora.

Questo fanno le Oblate: tengono un segreto con il Signore, tengono un segreto tra di loro e, per quel che ho potuto toccare con mano, mantengono in disparte, tra loro, l’aspetto “conflittuale” di questa scelta che è poi quella di mettersi da parte per fare posto all’Altro attraverso gli altri, tengono segreta la parte nascosta del cuore, quella “soavemente tenuta” da qualcun Altro con cui dialogano e talvolta litigano, ma poi ubbidiscono sempre in nome dell’Amore, anche oltre la ragione.

Anche questo è ciò che ho visto in Angela Maria e in Lucia, Oblate di Nostra Signora del Sacro Cuore. Questa è l’eredità vera che ci lasciano e che ci lasceranno le Oblate: queste presenze significative e silenziose nel mondo, nascoste perché mimetizzate, confuse tra la gente per arrivare anche dove l’apparenza potrebbe chiudere una porta, un orecchio, un cuore. Testimonianza viva di un servizio che per essere tale non deve distaccarsi dal mondo, ma da quella parte di sé che se troppo presa sul serio allontana da tutti, perché sfuggente di natura, perché la mappa per trovare il centro di ognuno di noi porta, in verità, fuori da noi a percorrere le vie del mondo che sono poi quelle del Signore, già da Lui tracciate nell’esperienza terrena.

Abbiamo bisogno di qualcuno che sia in grado di testimoniare la soddisfazione che si prova prendendo sentieri, soprattutto impervi, che avvicinano agli altri. Abbiamo bisogno della bellezza che deriva dalla spontaneità schietta di chi tira dritto al centro al cospetto di chiunque in nome di una verità inconfutabile: mettere in disparte se stessi significa trovare se stessi.

Siamo qui per testimoniare la testimonianza. Sembra un discorso da matti, ma è proprio così. Perché Angela Maria e Lucia avevano fatto questa scelta: consacrare la vita al servizio del bene, nel giusto. Ogni giorno lavoravano e curavano la vigna del Signore a mani nude, in un modo un po’ segreto, alla maniera delle Oblate.

Casa di Nostra Signora, a nome della quale sto scrivendo, rappresenta l’eredità che l’Istituto delle Oblate ci lascia, perché possa manifestarsi in essa la cura delle fragilità – che sono poi occasioni per essere migliori – e la promozione della figura femminile. Ogni volta che venivano ci chiedevano “chi c’è in casa?” e non chiedevano, come fanno molti, quante persone ci sono. Sapevano riconoscere l’unicità e l’importanza di ciascuno, ragionavano con noi delle possibili soluzioni ai tanti problemi della vita ed erano molto lucide nell’offrire risposte concrete, senza perdere tempo, allargando il tempo come solo chi vive per gli altri, per un Altro, può fare.

La mission di Casa di Nostra Signora è nel tentativo di testimoniare la potenza di uno stare accanto – con competenza e con passione – a chi ci viene offerto come prossimo, a chi ci viene incontro perché possiamo noi essergli prossimo, declinando il giorno con semplicità.

Angela Maria ci ha lasciato un messaggio appeso sulla porta dell’ufficio: “Siate fuoco e incendiate il mondo!”. Come facevano loro. Come proviamo a fare, dietro di loro.

Nicoletta D’Oria Colonna
operatrice Caritas Cremonese
coordinatrice Casa di Nostra Signora




Il 10 maggio a San Camillo il ricordo del beato Enrico Rebuschini

Ricorre il 10 maggio la memoria liturgica del beato Enrico Rebuschini, padre camilliano legato alla città di Cremona in cui ha operato come economo e superiore della clinica San Camillo. E proprio nella casa di cura di via Mantova, nel giorno anniversario della sua morte, il vescovo Antonio Napolioni presiederà l’Eucaristia in programma alle 10 presso la cappella della struttura, dove le spoglie del beato Rebuschini sono conservate.

Alla celebrazione, alla quale saranno presenti i membri della comunità camilliana, con il superiore padre Virginio Bebber, sono stati invitati tutti i medici della clinica, le autorità del territorio. E naturalmente non farà mancare la propria presenza anche una rappresentanza delle Figlie di San Camillo.

Dopo la Messa il vescovo Napolioni avrà modo di visitare i degenti della struttura, che per motivi sanitari non potranno partecipare alla celebrazione.

 

Biografia del beato Rebuschini

1860 – Enrico Rebuschini nasce a Gravedona, ultimo di cinque figli.

1871 – Terminato il Ginnasio, si iscrive al Liceo “Volta” di Como, poi, frequenta il primo anno alla Facoltà di Fisica e Matematica di Pavia.

1880 – Compie un anno di volontariato nel servizio militare a Milano come sottotenente.

1882 – Ottiene il diploma di ragioneria a Como. Il padre lo colloca all’Ospedale di Sant’Anna della città; spesso lascia gli uffici per incontrare ed interessarsi personalmente dei malati aiutandoli anche con denaro e abiti propri.

1884 – Nonostante l’opposizione paterna, è accolto dal vescovo di Como in Seminario, poi inviato a Roma per studiare alla Gregoriana.

1886 – Costretto da un grave esaurimento, rientra in famiglia, ma il desiderio di seguire il Signore non lo abbandona. Nella chiesa di Sant’Eusebio, di fronte ad un dipinto che rappresenta san Camillo incoraggiato dal crocifisso, si fa strada la vocazione camilliana.

1887 – Entra nella Comunità camilliana di Verona. Dopo due anni inizia il noviziato, durante il quale, per dispensa speciale chiesta dagli stessi superiori, è ordinato sacerdote dal futuro Papa Pio X.

1899 – Padre Rebuschini è destinato a Verona, poi a Cremona dove rimarrà per il resto della vita, svolgendo numerosi incarichi: economo e superiore della nuova clinica da lui apprestata, coordinatore con le Suore Camilliane nell’assistenza ai malati di vaiolo, collaboratore della Croce rossa italiana nella cura dei soldati feriti in guerra, confessore del vescovo e di numerosi penitenti della città, sollecito nell’assistenza spirituale ai malati a domicilio. In città tutti lo conoscono, lo stimano, lo cercano.

1938 – Muore a Cremona, il 10 maggio.

Nella sua vita spirituale spiccano: l’amore al crocifisso e all’Eucaristia, l’affetto filiale alla Madonna della Salute e a san Camillo, le devozioni alla Vergine di Pompei e a san Giuseppe.




Alle Ancelle della Carità di Cremona inaugurata l’Area Donna del reparto radiologia

 

«Abbiamo cercato di creare un ambiente unico, un punto in cui le due diagnostiche comunicassero, dove si possa eseguire un esame mammografico seguito da un accertamento ecografico senza troppi disagi, con solo una porta a dividere le due zone». Sono queste le parole che il dottor Antonio Dell’Osso, responsabile di radiologia, ha usato per descrivere la nuova area dedicata alle donne nel complesso del servizio di radiologia della Casa di Cura Ancelle della Carità di Cremona, inaugurata nel pomeriggio di martedì 2 maggio. Presenti all’inaugurazione il vescovo Antonio Napolioni, il sindaco Gianluca Galimberti, del direttore sanitario dell’Asst Rosario Canino e il Consiglio di Amministrazione della fondazione Teresa Camplani di cui fa parte la casa di Cura delle Ancelle, guidato dal Presidente Alessandro Masetti Zannini, dal direttore generale Fabio Russo e dal direttore amministrativo Vittorio Marchetti.

«È un ambiente dove la donna trova la risposta ad una serie di possibili problematiche – ha continuato il dottor Dell’Osso – che non tralascia un certo gusto per il bello: abbiamo aggiunto alcune stampe realizzate con la tecnica della doppia esposizione, ridipinto le stanze e reso l’ambiente accogliente e familiare, ma voglio ricordare le parole di una nostra paziente: “La cosa importante è che ci siate voi medici e infermieri”».

Durante l’inaugurazione è poi intervenuta madre Maria Oliva Bufano, vicaria generale delle Ancelle della Carità fondata da Santa Maria Crocifissa di Rosa, aggiungendo che «c’è tanta gratitudine per tutti quelli che han contribuito a rendere possibile questa realtà, e un ringraziamento speciale al nostro Vescovo che è venuto a portare la benedizione del Signore. Noi siamo cittadine di Cremona dal 1841, la storia è lunga, e siamo state portate qua dalla nostra santa fondatrice per elargire il dono dell’assistenza e della cura a tutti i malati». Ha poi aggiunto che «l’Ancella può dare il massimo della sua capacità nell’assistenza al malato, può dare la propria vicinanza d cui ogni malato ha bisogno, e dove c’è necessità noi continuiamo con il nostro operato nel quale crediamo e nel quale continuiamo a credere ogni giorno».

Anche il vescovo di Cremona ha voluto condividere una breve riflessione con tutti i presenti. Soffermandosi su una diapositiva della presentazione che raffigurava una delle stampe citate dal dottor Dell’Osso, ha sottolineato che «questa immagine rappresenta una città; la città è donna, la Chiesa è donna, la comunità è donna, la salute è donna. Dire che c’è un’area che si prende cura delle nostre donne, delle nostre mamme, sorelle, figlie e amiche è un’attenzione che deve essere emblematica per la società, per la città e per la Chiesa. Che questo avvenga in una struttura sanitaria creata dalle suore, donne, e ispirata da una fondatrice, donna, ci ricorda che ci sono carismi potenti che aiutano ad essere umani, ad essere sul pezzo delle esigenze reali della vita».

Monsignor Napolioni ha poi concluso svelando che «ogni volta che vengo in questa struttura imparo la sinergia, la collaborazione e la stima reciproca. Guai a chi ci tocca le Ancelle, guai a chi ci tocca le nostre strutture, guai a chi ci tocca le nostre donne e le nostre famiglie delle quali dobbiamo prenderci cura proprio come si fa a Cremona».

L’inaugurazione dalla sala dedicata a suor Antonietta si è poi spostata nel reparto donna di radiologia dove si è svolto il taglio del nastro dando così ufficialmente inizio all’operato della nuova area.




San Sigismondo, il programma delle celebrazioni del Triduo

Anche la comunità claustrale delle monache domenicane di San Sigismondo, a Cremona, vivrà con intensità le celebrazioni delle Triduo pasquale, con le celebrazioni aperte anche ai fedeli.

Giovedì 6 aprile, alle 18, sarà celebrata la Messa nella Cena del Signore.

Il giorno successivo, venerdì 7 aprile, si aprirà con l’Ufficio delle Letture e con le Lodi, in programma alle 7, e proseguirà con la celebrazione della Passione alle 15.

Sabato 8 aprile, alle 7, la recita delle Lodi. Alle 18, invece, i Vespri del Sabato Santo. Infine, alle 21, la Veglia pasquale.

Domenica 9 aprile, il giorno della Pasqua, in cui si celebra la Risurrezione del Signore, alle 11 la Messa solenne, seguita nel pomeriggio, alle 17, dai Vespri solenni con processione al fonte battesimale.

Il programma delle celebrazioni si chiuderà lunedì 10 aprile con la Messa delle 11 e, alle 17, i Vespri presieduti dal vescovo Enrico Trevisi.




San Francesco Spinelli, «un uomo semplice che, infuocato dalla Spirito, ha saputo e saprà coinvolgere tanti»

Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento in festa, nella giornata di lunedì 6 febbraio, per la ricorrenza del loro fondatore, san Francesco Spinelli. «Un uomo semplice che, infuocato dalla Spirito, ha saputo e saprà coinvolgere tanti». Così, in un passaggio dell’omelia del vescovo Antonio Napolioni nell’Eucaristia celebrata nel pomeriggio nella chiesa della Casa madre dell’Istituto.

La solenne celebrazione, che ha fatto seguito alla celebrazione del Vespro presso Casa Santa Maria, ha concluso il ciclo di celebrazioni che le religiose hanno dedicato al loro fondatore, beatificato nel 1992 da papa Giovanni Paolo II e canonizzato da papa Francesco quattro anni e mezzo fa.

Il saluto iniziale al vescovo, ai sacerdoti e ai fedeli presenti (tanti, come sempre, i rivoltani ma parecchie anche le persone arrivate da fuori paese) è stato affidato alla superiora generale, medre Isabella Vecchio. «Quando i Santi incrociano la nostra vita e la nostra storia – ha detto – scolpiscono dentro di noi qualcosa di Dio. Così fa anche san Francesco Spinelli che ci indica l’Eucarestia come fonte della nostra vita e come fonte della carità. Oggi, come ogni anno, davanti al sacello del nostro Padre fondatore abbiamo riletto il suo testamento spirituale da cui risaltano la sua rettitudine, la sua delicatezza e la sua umiltà ed è con questi sentimenti che voglio esprimere anch’io un grazie a tutti e a ciascuno in particolare. Tutti siamo preziosi agli occhi di Dio e agli occhi del nostro Padre».

Ascolta il saluto di madre Isabella Vecchio

 

Nell’omelia il vescovo Napolioni ha fatto costantemente riferimento alla Giornata per la vita celebrata il giorno precedente dalla Chiesa per ricordare come la giornata terrena di ciascuno, la giornata terrena di san Francesco Spinelli, debba essere «una vita che fiorisce e che porta frutto». Non è sempre facile, anzi. Ma una prima soluzione, secondo lui sta nella conformazione a Cristo Crocifisso, dicendo sì alla vita comunque essa sia. «Capita di pensare – ha sottolineato Napolioni – che l’unica via d’uscita sia farla finita. La Bibbia ci racconta che successo anche al profeta Elia e anche san Francesco Spinelli l’ha vista brutta; costretto a lasciare Bergamo per Cremona, ha sofferto riconoscendosi fallito economicamente, ma forse anche vocazionalmente». E ha proseguito: «Tuttavia ha detto a Dio: prendi la mia vita, pensaci tu, aprimi una strada. Perché il Signore sa prendere la nostra vita e riplasmarla capovolgendoci il cuore e chiamandoci a conversione».

Da ultimo, un riferimento alla fruttuosità dell’albero della vita («Che deve darci pace, gioia e fiducia») e una raccomandazione: «Guai a noi vivere le feste del Santi tirando solo delle righe sui nostri bilanci umani. A noi è chiesto osare seguirli anche quando il cammino si fa impegnativo. Lì tutto ridiventa possibile».

Ascolta l’omelia del vescovo Antonio Napolioni

 

Al termine della celebrazione, prima di impartire la benedizione sull’assemblea, il vescovo ha guidato la preghiera davanti all’urna che conserva le spoglie del Santo.