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Dopo mons. Mosconi un altro cremonese a Ferrara

Mons. Gian Carlo Perego è il terzo cremonese a guidare la diocesi di Ferrara-Comacchio. Il primo fu il card. Ignazio Giovanni Cadolini (1794-1850), seguito dall’arcivescovo Natale Mosconi (1904-1988), il cui ricordo è ancora vivo in quel terre, così come a Cremona..

Nato a Soresina nel 1904, Mosconi fu ordinato sacerdote nel 1927. In diocesi svolse il ministero come insegnante in Seminario, vicario di S. Imerio e segretario della Giunta di Azione Cattolica. Dal 1936 al 1939 fu direttore del settimanale diocesano “La Vita Cattolica”, quindi parroco di Sant’Abbondio.

Nel 1951 fu eletto vescovo di Comacchio.

La nomina a Vescovo annunciata su “La Vita cattolica”

L’ordinazione episcopale sul settimanale diocesano

 

Nel 1954 fu trasferito all’arcidiocesi di Ferrara, alla quale, in seguito, fu unita quella di Comacchio.

L’annuncio del trasferimento a Ferrara
sul settimanale diocesano “La Vita Cattolica”

«Si fece subito amare soprattutto dai giovani – ricorda il suo biografo ferrarese don Sergio Vincenzi -, per il suo carattere di trascinatore, per la sua irruente giovialità, per il suo carattere forte. Il suo “vocione” risuona dal pulpito – con in una mano i fogli delle sue memorabili omelie e con l’altra a sistemarsi lo zucchetto sulla testa, in continuazione – ma soprattutto anche accanto a chi soffriva e come barriera contro le ingiustizie».

Mosconi si dimostrò subito un personaggio impetuoso, un lottatore, un passionale, un pastore che amava il suo gregge al di sopra di tutto: «Era un personaggio all’antica – sottolinea ancora don Vincenzi -, in senso buono, non vecchio. Del passato conserva l’impeto, gli insegnamenti, i princìpi, la fermezza. Dall’altra parte era sempre pronto a un sorriso, alla battuta scherzosa».

«Era un classico vescovo d’assalto per quei tempi – continua il biografo – che non perdeva occasione per denunciare le ingiustizie, le prepotenze e per difendere la Chiesa. Il suo atteggiamento attivo e quasi focoso, era capace di contagiare, per la causa del bene, i suoi sacerdoti e i fedeli»

Nel 1976, Mons. Mosconi si dimise dall’incarico, ma restò a Ferrara fino alla morte, avvenuta il 27 settembre 1988. Le esequie furono celebrate dal card. Biffi, allora arcivescovo metropolita di Bologna che disse nell’omelia: «Il lungo episcopato di monsignor Mosconi sarà senza dubbio oggetto di ricerca e di analisi in altra sede e con altro agio, in modo che venga consegnato alla memoria storica di questa Chiesa un lavoro apostolico di eccezionale ampiezza e spessore».

Legatissimo alla sua terra, è sepolto nel cappella di famiglia nel cimitero di Soresina.

L’annuncio della morte su La Vita Cattolica
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La gioia della Migrantes per la nomina ad Arcivescovo del direttore generale mons. Perego

La Fondazione Migrantes si unisce alla gioia dei fedeli della diocesi di Cremona per la nomina di Papa Francesco, ad Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, di mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. Nella scelta del Pontefice si legge, ancora una volta l’attenzione particolare verso il mondo migrante e della mobilità umana.

Alla guida della Fondazione mons. Perego, attraverso molteplici incontri nelle varie diocesi italiane e Missioni Cattoliche Italiane all’estero, ha sottolineato la centralità della persona a partire dal mondo migrante in tutte le sue dimensioni: immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, rom, sinti e camminanti, circensi, lunaparchisti, gente dello spettacolo viaggiante e italiani residenti all’estero.
Un impegno che certamente continuerà anche come Arcivescovo della Chiesa particolare di Ferrara- Comacchio – dice il Presidente della Commissione CEI per le Migrazioni, Mons. Guerino Di Tora annunciando, nella sede della Migrantes, la nomina di Mons. Perego – che porterà avanti “con disponibilità, senso di responsabilità, lungimiranza nell’interpretare e rispondere alle reali situazioni del momento”.

I direttori degli uffici diocesani Migrantes, i delegati e coordinatori nazionali delle Missioni Cattoliche italiane all’estero, i cappellani etnici, il personale, i collaboratori, e tutti i sacerdoti e volontari impegnati nella pastorale della mobilità umana esprimono gratitudine a papa Francesco e ringraziano mons. Perego per il suo costante impegno accanto ai migranti.

 




Una riforma per favorire la comunione

«L’intento non è di mortificare, ma di ridare ossigeno alle parrocchie attraverso un riassetto territoriale che sia il più condiviso possibile con la base». Don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per la pastorale, ci tiene a rassicurare che la costituzione di nuove unità pastorali sarò accompagnata da un confronto con le comunità così da evitare scelte frettolose o azzardate: «Questo non vuol dire temporeggiare! Occorre al più presto avviare dei processi di ripensamento della pastorale che non può più avere il proprio baricentro nel campanile, ma che si deve allargare ad un territorio ben più vasto».

Il sacerdote non nega che uno dei problemi fondamentali è la diminuzione costante e significativa di clero: «Non è la prima e l’unica motivazione! Molte nostre parrocchie si stanno spopolando, si assottiglia notevolmente il numero dei fedeli con la conseguente impossibilità a promuovere proposte formative o aggregative adeguate; cresce poi la presenza di persone di altre fedi religiose; inoltre alcuni problemi pastorali non possono più essere affrontati singolarmente, ma all’interno di un territorio più vasto. Inoltre non dimentichiamo quella logica di comunione che ci ha consegnato il Concilio Vaticano II e che deve sempre più caratterizzare il volto della nostra Chiesa. Infine occorre rivedere la vita concreta dei presbiteri: è impensabile al giorno d’oggi che non abbiano dei momenti di confronto e amicizia tra loro. Questo non vuol dire concentrarli nei centri più grossi, sguarnendo le  parrocchie più piccole, ma trovare delle occasioni di fraternità che contrastino la solitudine e l’autoreferenzialità».

Il discernimento comunitario sul territorio è stato annunciato da mons. Napolioni nelle linee pastorali del settembre 2016 e ribadito nella lettera pastorale di Natale dedicata all’iniziazione cristiana catecumenale: «Il primo passo – rimarca Maccagni – è stata la costituzione di una commissione composta da alcuni membri del consiglio presbiterale, da un diacono e e di volta in volta dal vicario della zona interessata. In questa sede è stata fatta una prima lettura del territorio e sono state fatte alcune ipotesi partendo comunque da quello che è stato fatto finora». Un secondo passaggio è stato poi quello di tutti i sacerdoti: «La proposta della commissione è stata poi discussa dai parroci e vicari nelle singole zone. Lo studio della commissioni e le successive osservazioni serviranno al Vescovo per presentare un progetto più definito sia al Consiglio presbiterale sia al Consiglio pastorale diocesano, convocati nei prossimi giorni».

Nel frattempo la diocesi ha avuto modo di conoscere il lavoro organico e capillare della Chiesa di Brescia che sulle unità pastorali ha convocato un sinodo: «La loro esperienza – prosegue il vicario per la pastorale – ci sta aiutando a delineare fisionomia, funzione, criteri e tappe di costituzione delle unità pastorali».

Dopo il passaggio dagli organi consultivi diocesani il Vescovo redigerà una lettera che accompagnerà le proposte di riassetto territoriale e che motiverà dal punto di vista pastorale e spirituale il cambio di mentalità di preti e laici. L’ultimo passaggio sarà il confronto con i consigli pastorali zonali sulle proposte concrete: «L’obiettivo è di avere entro l’estate un quadro completo della situazione così che il Vescovo possa fare le scelte più opportune».

Non tutte le unità pastorali, però, vedranno la luce nel prossimo settembre: «Sarà un inizio graduale che coinvolgerà un certo numero di comunità. Le nuove unità pastorali, poi, saranno effettivamente costituite fra due anni. Intanto si cominceranno a fare dei piccoli passi come la nomina del moderatore e dell’équipe dei sacerdoti, la proposta di incontri formativi per operatori pastorali e fedeli e la formulazione di un progetto pastorale condiviso». Ci sarà, dunque, una sorta di tutoraggio da parte della diocesi: si verificherà, passo dopo passo, se la scelta è stata corretta oppure bisognerà fare un passo indietro.

Saranno, poi, riviste le unità pastorali che da undici diventeranno sei: «Questa scelta è la più urgente e sarà certamente fatta in settembre. Le zone continueranno a mantenere la loro funzione di coordinamento e di formazione, anche se su un territorio ben più ampio, ma allo stesso tempo omogeneo». Il cantiere è avviato, il sogno comincia ad avverarsi.




Nota di Caritas Cremonese sul fuorviante accostamento del suo nome alla vicenda giudiziaria che ha riguardato un profugo

Pubblichiamo la nota di Caritas Cremonese relativa al fuorviante accostamento del suo nome alla vicenda giudiziaria che ha riguardato un profugo, messa in atto dai mezzi della comunicazione locale. L’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali sottolinea anche il discutibile utilizzo di immagini di ambienti parrocchiali cittadini, indebitamente associate al reato contestato.

Caritas diocesana di Cremona, organismo pastorale della Chiesa di Cremona, esprime vivo rammarico per il fuorviante accostamento del proprio nome alla vicenda giudiziaria che ha riguardato un profugo operata dai mezzi di comunicazione locali.

Tale associazione dimentica l’impegno quotidiano che Caritas opera a favore degli ultimi attraverso le proprie strutture: centro d’ascolto, dormitorio, centro di prima accoglienza (in convenzione col Comune di Cremona) ecc. In questi luoghi, autentici ospedali da campo secondo la definizione di papa Francesco, ogni giorno, vengono accolte, ascoltate e aiutate decine di persone grazie all’impegno di operatori e volontari. Molte di queste persone sono spesso accompagnate o indirizzate alle strutture Caritas, a qualsiasi ora del giorno e della notte, da parte di sacerdoti, volontari, associazioni, enti locali, forze dell’ordine ecc. Tutto questo lavoro silenzioso che caratterizza il mandato statutario di Caritas avviene quotidianamente, 365 giorni l’anno, senza alcun titolo in prima pagina o nei telegiornali.

Dal 2014 dalla Casa dell’accoglienza sono stati accolti e transitati oltre 680 richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, secondo gli accordi e le convenzioni stipulate con la Prefettura di Cremona. Coloro che hanno contravvenuto alle leggi, una piccolissima minoranza, sono stati prontamente allontanati dalla Casa dell’accoglienza secondo le modalità concordate con le forze dell’ordine, con le quali è costante il rapporto di collaborazione per garantire la legalità dentro e nei pressi della struttura.

 




A Cremona serata in stile Taizé

Intima, accogliente e calda l’atmosfera dell’incontro dei giovani, nella serata di domenica 12 febbraio, con la testimonianza e lo stile di Taizé: un po’ come la chiesa del Maristella, alla periferia di Cremona, in cui si è svolto. Un appuntamento proposto dall’Ufficio diocesano di pastorale giovanile – e caldeggiato a più riprese dal Vescovo Antonio – per favorire l’approccio meno formale e più concreto con l’esperienza della Comunità monastica interconfessionale che ad agosto 2017 ospiterà il pellegrinaggio dei giovani della Diocesi.

A condurre la serata al Maristella, reduci da analoghi incontri in altre diocesi italiane, si sono avvicendati due Fratelli della Comunità di Taizé, frère John e frère Xavier.

Ad ascoltarli, nella prima parte dedicata alla presentazione della proposta, oltre al Vescovo Antonio anche diversi sacerdoti impegnati in pastorale o in responsabilità diocesane, tra cui don Federico Celini, referente per le attività ecumeniche.

Ai giovani cremonesi si sono affiancati anche amici di Taizé delle diocesi di Crema, Milano e Brescia.

Introduzione di don Arienti

Intervento del Vescovo

Con semplicità frère John, teologo e biblista statunitense, ha illustrato i tratti che da decenni rendono il “pellegrinaggio di fiducia” a Taizé un’esperienza che tocca le corde profonde dei giovani: la preghiera riscoperta nel ritmo della giornata, la condivisione tra culture e appartenenze che imparano ad ascoltarsi, l’essenzialità come stile di vita.

Ingredienti genuini, antichi quanto il monachesimo, rigenerati in forme libere dalle incrostazioni del tempo. Freschezza e creatività che l’ascolto della Parola sa trasformare in progetti di umanità nuova, in cammini di liberazione e di giustizia. I giovani ne sono capaci.

Presentazione di frère John

Risposte al dibattito

Conclusioni di don Arienti

Anche “l’assaggio” di preghiera proposto alla fine della serata – 40 minuti dinanzi all’icona della croce di Taizé – ha mantenuto il ritmo e l’armonia ormai diffuse nel mondo attraverso il linguaggio del canto.

Commenti a caldo: positivi. Adesioni alla proposta: alcune entusiastiche, altre più contenute ma promettenti. Adesso occorre fare i conti con l’agenda dell’estate, così densa di mille proposte. Ma ogni albero vigoroso comincia sempre con un seme gettato.

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San Valentino, un giorno per dire che l’amore è per sempre

In questi giorni vetrine, giornali e media invitano all’acquisto di gioielli, dolci e fiori contornandoli con cuoricini e frasi ad effetto: è san Valentino, la festa degli innamorati. Nata nel quinto secolo per riproporre in chiave cristiana la festa pagana della fertilità e ricordare il vescovo Valentino, martirizzato per aver celebrato le nozze tra una cristiana ed un pagano, è una festa ormai molto diffusa, spunto per giornali e media per parlare di tematiche di coppia, ma soprattutto per sostenere il commercio.

Questo fatto ci porta spesso ad ignorarla, a considerarla semplicemente un fatto di costume a supporto di una economia in crisi; eppure il Papa, che spesso parte da fatti della quotidianità per stimolare a riflessioni pastorali, la cita in Amoris Laetitia con queste parole “Per fare un semplice esempio, ricordo il giorno di San Valentino, che in alcuni Paesi è sfruttato meglio dai commercianti che non dalla creatività dei pastori.” (AL208) Il Papa stesso nel 2014 aveva incontrato i fidanzati in quella data per rispondere a loro domande sul fidanzamento e sul matrimonio.

Allora lasciamoci anche noi provocare a cogliere in questa festa una occasione per riflettere sul mondo degli affetti, ma soprattutto per aiutarci reciprocamente a vivere l’amore.

In fondo San Valentino può essere una bella occasione per uomini e donne di ogni età per dirsi che ci può essere l’amore per sempre e per testimoniarlo agli altri.

Per i più giovani può essere l’occasione per sentirsi guardati dagli adulti con la simpatia e l’interesse di chi non vuol far loro delle prediche, ma aiutarli a capire che perché l’amore cresca deve coinvolgere tutte le dimensioni della persona. Questa è infatti una delle maggiori attenzioni per ogni coppia e, allo stesso tempo, una grossa sfida educativa: aiutare a cogliere che l’amore non è solo qualcosa di emotivo, o solo di fisico, o solo di valoriale o solo di razionale, ma che è l’ insieme di questi aspetti che costruisce la relazione tra due persone.

Per chi si avvicina al matrimonio San Valentino può essere occasione per ricordare che tale relazione si gioca nella quotidianità, ma che ha bisogno anche di passione e di creatività oltre che di un sostegno da parte di altre coppie e della comunità cristiana.

Per chi ha già alle spalle anni di vita matrimoniale può essere l’occasione per sorridersi e rinnovare con l’alfabeto arricchito dalle esperienze la tenerezza che accompagna verso il futuro. Questo diventa anche testimonianza per i giovani che hanno bisogno di vedere coppie che condividono con serenità e semplicità la loro vita, senza nascondere la fatica che a volte sperimentano, ma anche mostrando la capacità di far festa nel cogliere la ricchezza del quotidiano in una normalità bella di vita.

Per tutti può essere una occasione per tornare a pregare insieme e affidare all’Amore le nostre vite perché in Lui crescano e portino frutto.

Come è stato fatto nel quinto secolo anche noi dunque possiamo cogliere da un rito “laico” che celebra l’amore occasioni per riflettere e annunciare “quei contenuti che, trasmessi in modo attraente e cordiale, aiutino i giovani a impegnarsi in un percorso di tutta la vita con animo grande e liberalità” (AL207).

Maria Grazia Antonioli e Roberto Dainesi
Responsabili di pastorale familiare




Il Vescovo “interrogato” dai ragazzi dell’Anffas

Mattinata insieme ai ragazzi dell’Anffas di Cremona, martedì 14 febbraio, per mons. Antonio Napolioni. L’incontro si è svolto presso la sede di via Gioconda, all’interno del parco del Vecchio Passeggio, dove il Vescovo ha avuto modo di conoscere da vicino questa realtà e le sue attività.

Mons. Napolioni è stato accolto all’eterno della struttura da una delegazione degli ospiti che, già dai primi saluti, non ha mancato di far sentire tutto il proprio affetto. A fare gli onori di casa anche il presidente Dario Diotti insieme allo staff degli educatori coordinati da Serena Gagliardi.

L’incontro ha quindi avuto inizio ufficialmente nella sala mensa, per l’occasione adibita ad auditorium, dove l’atteso ospite ha accettato con disponibilità di rispondere alle tante domande poste dai ragazzi. Curiosità di ogni tipo: dai segni distintivi di un Vescovo alla differenza tra preti e cardinali, dalla squadra e il cantante preferito alla giornata tipo. Taccuini alla mano gli interrogativi si sono susseguiti a raffica: molti preparati nelle attività dei giorni precedenti, altre suscitate dalle emozioni del momento. Un dialogo che i ragazzi metteranno poi nero su bianco sul loro giornalino.

Mons. Napolioni ha avuto modo quindi di ammirare i lavori realizzati durante i laboratori e conoscere da vicino le attività portate avanti quotidianamente coinvolgendo i 25 partecipanti, tutti over 18. Il centro diurno, infatti, accoglie i ragazzi una volta concluso il ciclo di studi obbligatori.

Presente in città dal 1966, l’Anffas opera in particolare per favorire la socializzazione e l’autonomia personale. Lo fa per lo più portando i ragazzi a vivere esperienze nell’ambiente quotidiano. Per 8 di loro anche attraverso tirocini gratuiti in ambienti lavorativi esterni.

Accanto al Centro Socio Educativo (CSE) “Il filo continuo” si colloca, infatti, il Servizio di Formazione all’Autonomia (SFA) “Il cammino”. In questo senso si colloca anche l’esperienza di autonomia domestica presso l’appartamento di via Dante.

Dopo la foto di gruppo, e la visita ai locali, non senza qualche omaggio offerto al Vescovo, la mattinata si è concluso facendo tappa presso la vicina ludoteca “Lo Stregatto”, alla presenza del referente Michele Brancaccio. Un servizio pomeridiano offerto ai più piccoli fino ai 6 anni il martedì pomeriggio, e il giovedì per i bambini sino agli 11 anni.

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Intervista a mons. Bonazzi sul Museo diocesano

Fervono i lavori, all’interno del Palazzo vescovile di Cremona, per la preparazione dei locali che ospiteranno presto il nuovo Museo diocesano. Vogliamo fare il punto della situazione, cercando di focalizzare gli obiettivi che hanno portato a questa realizzazione insieme ai criteri che ne guideranno l’allestimento. Per questo abbiamo intervistato mons. Achille Bonazzi, incaricato per la costituzione del Museo diocesano, che ha fortemente voluto e per il quale ha posto le basti.

Mons. Bonazzi, quello in fase di realizzazione è il museo del Duomo e della Diocesi di Cremona…

«Questa denominazione, per ora provvisoria, indica che le opere d’arte che andranno a formare il nuovo museo provengono da tutta la realtà diocesana, da Rivolta d’Adda a Viadana, e in modo particolare dalla Chiesa-Madre, la Cattedrale della città di Cremona».

Un importante spazio espositivo che avrà sede all’interno di Palazzo vescovile: perché la scelta proprio di questo luogo?

«Sì, gli spazi per la realizzazione del Museo sono stati identificati nelle cantine del Palazzo vescovile. La scelta si fonda su alcune considerazioni. Da una parte permette la valorizzazione del Palazzo vescovile: le cantine erano in uno stato di serio degrado. Senza considerare che sono ambienti fascinosi, che comprendono anche l’antica ghiacciaia, parte integrante dell’itinerario museale. Ma non solo: la vicinanza con la Cattedrale e il Battistero, sede del Museo delle Pietre Romaniche, con una collocazione nel centro cittadino, e in prossimità al Museo del Violino, che costituisce un significativo polo d’attrazione turistica, sono stati fattori molto importanti».

È già possibile abbozzare una fotografia del nuovo Museo diocesano?

«L’ingresso, secondo il progetto autorizzato, è previsto in piazza S. Antonio Maria Zaccaria. Le opere non saranno esposte secondo un criterio cronologico (sala del Trecento, del Quattrocento…), bensì tematico. Le sale del Museo, pertanto, illustreranno dapprima la realtà territoriale con alcuni dei suoi protagonisti per passare all’esposizione del mistero della morte e Risurrezione del Signore, attraverso opere diverse costituite da quadri, sculture, corali, suppellettili. Seguirà la sala che illustra la devozione della Vergine, per puntualizzare alcuni valori essenziali: l’Assunta, patrona della chiesa cattedrale; la Madonna di Caravaggio (Bg) e della Fontana di Casalmaggiore (Cr). Vi sarà poi l’esposizione di opere che sottolineano il culto dei Santi universali della Chiesa (S. Pietro, S. Paolo…) e quelli particolari della Chiesa cremonese (i santi fondatori, S. Omobono, S. Facio…). Infine troveranno spazio alcuni aspetti particolari, quali, a titolo esemplificativo, l’epoca dei Visconti; il ruolo di Francesco I, re di Francia, per Pizzighettone. In una sala centrale saranno collocate alcune opere che costituiscono parte della collezione del mecenate cui si deve la realizzazione del Museo. Non saranno utilizzate solo le cantine, ma anche qualche spazio del primo piano, come la galleria dei Vescovi, la stanza rotonda e la sala Bolognini. Nel Museo saranno disponibili, infatti, anche spazi per organizzare mostre temporanee su temi specifici».

Con quali finalità nasce questo museo?

«Direi che l’erigendo Museo diocesano intende dare una risposta concreta ad una triplice motivazione. La prima è quella di illustrare e ricostruire l’identità religiosa della nostra realtà diocesana: in un tempo nel quale culturalmente si ricercano i fondamenti di ogni realtà territoriale al fine di valorizzare il senso di appartenenza, si intende delineare le caratteristiche dell’identità religiosa della nostra Diocesi. Il Museo, inoltre, dovrà rispondere all’esigenza di “ricoverare” alcune opere d’arte provenienti da chiese che verranno dismesse. L’evoluzione demografica del tessuto diocesano, con alcune parrocchie costituite da poche decine di abitanti, sta portando, con sofferenza, a decidere la chiusura di alcune piccole chiese, non più fornite di sorveglianti e sacerdote. C’è anche una terza necessità: per rispondere alle leggi dello Stato e della Regione che obbligano la realizzazione di alcuni ambienti con caratteristiche particolari ai fini conservativi dove “ricoverare”, in caso di calamità naturali, opere esposte attualmente nelle chiese. Per questo il Museo prevede la costruzione di alcuni spazi nei quali ricoverare tali opere per la loro tutela e conservazione, anche se temporanea».

Che tipo di opere confluiranno in questa esposizione? Lei, insieme a don Andre Foglia e don Pietro Bonometti sta lavorando anche in questo senso?

«Le opere d’arte che confluiranno nell’erigendo Museo sono tutte di alto valore anzitutto religioso, ma anche storico-artistico: la storia della città e della diocesi merita questa particolare attenzione. Una commissione, voluta dal Vescovo, ha stilato un elenco di circa un centinaio di opere, scelte con il criterio della massima rappresentatività, privilegiando quelle provenienti da chiese di piccole comunità, quindi poco frequentate, anche per ragioni di tutela. Non sono state scelte quindi opere come la tavola di S. Agata, quella del Perugino in S. Agostino, perché storicamente legate a quei luoghi di culto».

Le opere saranno trasferite nel nuovo Museo in modo definitivo?

«In questo senso è necessario sottolineare che le opere continueranno a essere di proprietà delle rispettive parrocchie di provenienza e che saranno esposte in Museo solo temporaneamente, ritenendo che una certa circolazione possa risultare più significativa».

Quali i tempi che ci separano dall’apertura ufficiale?

«A seguito dell’autorizzazione del giugno 2016, si ritengono necessari ancora diversi mesi apprestare i locali, cui seguirà il necessario tempo per la collocazione delle opere».




Banco farmaceutico, tra Cremona e Casalmaggiore raccolti 2.450 medicinali da banco

Sono stati un centinaio i volontari che, fra Cremona e Casalmaggiore, sabato 11 febbraio hanno presidiato gli esercizi aderenti all’iniziativa solidale del Banco Farmaceutico, destinata ad offrire a chi non ha mezzi economici sufficienti prodotti di marca o generici per guarire. «Il risultato? Leggermente superiore a quello dello scorso anno», ha sintetizzato Agazio Galati, responsabile per la zona Cremonese-Casalasca.

Nella giornata dell’11 febbraio la XVII Giornata di Raccolta del Farmaco ha coinvolto, in 101 province, oltre 3.600 farmacie, dove è stato possibile acquistare uno o più medicinali da banco da donare ai più bisognosi attraverso il Banco Farmaceutico, che devolverà quanto raccolto agli oltre 1.600 enti assistenziali convenzionati con la Fondazione Banco Farmaceutico onlus.

«Tra Cremona e Casalmaggiore, in 24 diverse farmacie del territorio, abbiamo raccolto 2.450 medicinali da banco – ha spiegato Agazio Galati -. Un ottimo risultato, dal mio punto di vista, che dimostra quanto la carità resti un sentimento diffusissimo. Si tenga conto che, a differenza dell’altra nostra iniziativa solidale, il Banco Alimentare, un farmaco non costa quasi mai meno di 4 o 5 euro e può arrivare fino a 10 nel caso di certi sciroppi per la tosse».

«Un segno importante – sottolinea ancora Galati – di quanta disponibilità verso il prossimo ancora c’è sul territorio nonostante una crisi che non molla la presa. Pensi che, sostanzialmente, il 90% delle persone entrate in farmacia nella giornata di sabato scorso ha lasciato in offerta qualche cosa».

La manifestazione, giunta ormai alla sua diciassettesima edizione, ha coinvolto tutto il Paese in un gesto d’amore nei confronti di chi ha più bisogno.

«Un ringraziamento, oltre che ai volontari, va fatto anche ai titolari delle farmacie, senza i quali non si sarebbe potuto raggiungere un risultato di questo tipo – ha affermato ancora Galati -. Grazie alla loro professionalità, è stato anche possibile indirizzare i cittadini verso un tipo di medicamento oppure un altro. Ogni punto vendita, infatti, ha un ente specifico al quale girerà poi il materiale raccolto. Per associazioni che si occupano di bambini è chiaro che l’attenzione si focalizzerà su farmaci adatti a loro, per organizzazioni che invece si occupano di altre categorie di persone la raccolta può cambiare sensibilmente».

«Da anni faccio il volontario per il Banco – ha concluso Galati – ma devo dire che ancora oggi, al di là dell’aspetto operativo concreto di cui sono responsabile, la soddisfazione che provo al termine della giornata è impagabile. Ti scalda il cuore vedere tutte quelle persone che, in un loro momento di difficoltà (se vanno in farmacia qualche motivo ci sarà…) si impegnano comunque nei confronti di altri che con ogni probabilità stanno peggio di loro. Senti di far parte di una società nella quale la solidarietà non è finita e che l’uomo, l’umanità, è naturalmente fatta per il bene e non per il male. È una ventata di ottimismo che dovrebbe far bene a tutti noi».




Giornata del malato, mons. Napolioni: «Samaritani gli uni degli altri»

Fare propria la tenerezza di Dio, sull’esempio e la garanzia di Maria, per diventare buoni samaritani gli uni degli altri, nella consapevolezza che, prima o poi, a turno, ognuno si troverà morente lungo la strada. Questo l’invito espresso dal vescovo Antonio Napolioni in occasione della celebrazione diocesana della Giornata mondiale del malato che, come ogni anno, è stata celebrata l’11 febbraio, nella memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes.

L’appuntamento quest’anno è stato a Bozzolo. Una scelta non casuale visto che proprio 80 anni fa, nel 1937 don Primo Mazzolari scriveva “Il Samaritano”, icona per eccellenza di chi assiste poveri e sofferenti. Un testo che, pubblicato un anno dopo per motivi di censura, sa coniugare analisi psicologica dei personaggi e rivisitazione dell’ambiente scenico: ai suoi occhi, la parabola evangelica del Samaritano è una sintesi della vita stessa. Il Samaritano diventa così storia di salvezza e ogni vicenda di redenzione si trova rappresentata in quei gesti.

 

La celebrazione in chiesa

Nel pomeriggio di sabato 11 febbraio l’appuntamento è stato nella chiesa parrocchiale di Bozzolo, proprio lì dove si trova la tomba del celebre parroco per il quale è in corso il processo di beatificazione. Alle 15.30 la recita del Rosario, a seguire la Messa presieduta dal Vescovo.

In prima fila erano presenti naturalmente gli ammalati, chi sulle carrozzine chi accompagnato dai propri familiari. Ma a garantire a tutti la possibilità di spostamento c’erano anche i volontari dell’Avulss e le dame e i barellieri dell’Unitalsi, guidati dalla presidente Maria Enrica Lambri.

Insieme al Vescovo hanno concelebrato l’Eucaristia alcuni sacerdoti, tra i quali il parroco don Giovanni Maccalli che, all’inizio della liturgia, ha porto il proprio saluto.

Sull’altare anche l’incaricato diocesano per la Pastorale della salute, don Maurizio Lucini, il vicario zonale don Luigi Pisani, don Ernesto Marciò (parroco di Cividale Spineda), don Elio Culpo (della Piccola Betania alla Badia) e don Emilio Bini (residente in paese). Ha prestato servizio all’altare il diacono permanente Eliseo Galli. Accanto al cerimoniere don Flavio Meani, il vicario don Gabriele Barbieri, che ha coordinato il gruppo dei ministranti.

 

La riflessione del Vescovo

Il Vescovo ha voluto iniziare l’omelia con l’interrogativo, provocatorio, su chi sono realmente i malati e i sani. Perché lo star bene non è solo questione di diagnosi mediche. Se la salute del corpo è certamente la prima necessità, visto che le precarietà di salute rendono l’intera vita più difficile, è però guardando all’esperienza di Lourdes che mons. Napolioni ha voluto aiutare a capire ciò che realmente fa star bene. «Non dimentichiamo che l’uomo – ha precisato il Vescovo – è fatto di corpo, mente e anima». Ognuna di queste parti può essere malata.

Quindi una riflessione sul «male inevitabile da affrontare», ma anche sull’immenso amore messo in circolo da Dio. Un male che dunque, per quanto grande, rimane comunque circondato dalla misericordia di Dio, ha ricordato il Vescovo citando S. Agostino attraverso Giovanni Paolo II.

E ha proseguito, rileggendo la pagina evangelica: «I cristiani non possono limitarsi a non uccidere. Potremmo dire che per noi il comandamento è: non ti ammalerai e non farai ammalare». Evitando le cose che fanno male al corpo, ma anche alla mente e al cuore. «Come una certa televisione, le chiacchiere, il pessimismo. E con che facilità noi possiamo contagiare gli altri di questi virus terribili, che ci rendono ancora più deboli davanti alle prove della corpo».

Quindi il messaggio di speranza, per la possibilità di guarigione di se stessi e nei confronti degli altri: «Chi di noi non conosce sante famiglie, sante storie di grandi sofferenze portate con grande dignità». E qui il ricordo personale dell’amico che da 10 anni è immobilizzato dalla Sla.

Paure e debolezze che non tolgono di sentirsi amati da Dio con la capacità di riconoscere che, comunque, la vita è bella. La certezza di essere amati che scaturisce dall’Incarnazione con Dio che «vuole che ognuno di noi sia per l’altro un riflesso della sua presenza».

Rifacendosi al messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del malato di quest’anno ha sottolineato due aspetti. Anzitutto l’esigenza che chi sta male non sia un numero (e un peso), ma una persona, con la sua storia e la propria sensibilità. Da accostare in punta di piedi, da fratelli, con la tenerezza di Dio di cui Maria è garante.

Infine il riferimento a don Mazzolari, che proprio 80 anni fa scrisse “Il Samaritano”. «Ci aiuti con la sua preghiera, e noi invochiamolo affinché prendiamo il gusto di essere gli uni samaritani degli altri, sapendo che prima o poi, a turno, siamo tutti mezzi morti lungo la strada. Ma se avremo imparato a uscire da noi stessi e a venirci incontro allora sì che la civiltà dell’amore che Paolo VI prefigurava 50 anni fa cresce in mezzo a noi». E ha concluso: «Preghiamo gli uni per gli altri, guardiamoci con benevolenza, soccorriamoci quando è necessario, ringraziamo coloro che dedicano la vita ai più deboli con la loro professionalità e la loro vocazione. Tutto mettiamo nelle mani di Dio: Maria garantisce che la tenerezza di Dio diventerà la nostra».

Al termine della Messa, animata dalla corale parrocchiale, l’omaggio alla Vergine con l’offerta del cero e dei fiori e la recita della preghiera.

Il messaggio del Papa per la Giornata

Photogallery della celebrazione

 

La visita alle strutture sanitarie

Il pomeriggio del Vescovo a Bozzolo è proseguito, dopo la Messa, con la visita ai ricoverati della casa di riposo e del presidio riabilitativo.

Prima tappa presso la “Domus Pasotelli Romani” che, gestita dalle Piccole Suore della S. Famiglia, accoglie circa un centinaio di anziani. Dopo il momento d’incontro nella sala comune, dove mons. Napolioni si è intrattenuto con i presenti, salutati personalmente e con i quali ha condiviso un momento di preghiera, prima di ricevere un gradito dono. Tra i presenti anche don Giuseppe Giussani, a lungo presidente della Fondazione Mazzolari e don Alberto Crovetti, originario della diocesi di Camerino. La visita è continuata con l’incontro con i responsabili della struttura e la visita agli anziani allettati.

Photogallery della visita alla Domus

 

Successiva tappa presso il presidio riabilitativo multifunzionale “Don Primo Mazzolari”, dell’Asst di Mantova “Carlo Poma”. Accolto dal direttore sanitario, alla presenza anche del sindaco Cinzia Nolli, il Vescovo si è quindi recato in cappella per un momento di spiritualità guidato dal gruppo della Piccola Betania alla Badia.

Poi, accompagnato dai medici e dagli operatori sanitari, oltre che da don Culpo, ha visitato i reparti, dove ha dedicato tempo e attenzioni agli oltre 70 ricoverati, alcuni incontrati durante la cena e altri nelle stanze. Nell’occasione il Vescovo ha invitato a seguire gli importanti progetti intrapresi sempre all’insegna del dialogo e nella sinergia tra Chiesa e Istituzioni, nella consapevolezza che faro per le scelte da compiere deve essere sempre la ricerca del bene comune.

Photogallery della visita all’ospedale Don Mazzolari