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Il Papa e le vittime del triplice disastro: l’indifferenza si vince con la compassione

Per ricordare un disastro che è stato ribattezzato “triplice”, terremoto, tsunami e incidente nucleare, e le oltre 18mila persone che l’11 marzo 2011 e nei giorni e negli anni successivi hanno perso la vita, la prima parola di Papa Francesco è pregare in silenzio. “Una preghiera che ci unisca e ci dia il coraggio di guardare avanti con speranza”. E il silenzio scende nell’auditorium del Bellesalle Hanzomon, il centro convegni di Tokyo, dove il Papa incontra, nel suo penultimo giorno in Giappone, più di 800 vittime di quel disastro che ha cambiato la storia del Paese.

Alle 14.46 una scossa in fondo al mare di magnitudo 9

Nel silenzio la mente torna alle 14.46 di quel giorno terribile, quando una scossa di magnitudo 9, al largo delle coste nord-orientali del Giappone, nella regione di Tohoku, a 30 chilometri di profondità, fa tremare la terra e provoca uno tsunami con onde più alte di 10 metri (fino a 40 nella città di Miyako, nella prefettura di Iwate). Le onde distruggono anche i generatori di emergenza della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, provocando tre esplosioni nucleari e un incidente di livello 7 (il più alto) nella scala internazionale. Gli sfollati furono 470 mila sfollati, e 50 mila sono ancora oggi in senza sistemazione definitiva.

Toshiro: ritrovata la speranza vedendo chi ci aiuta

Francesco sul podio saluta 10 vittime e poi ascolta tre testimonianze. Toshiro Kato è direttrice di un asilo cattolico proprio a Miyako, la città colpita dalle onde record. Una bambina del suo asilo è morta mentre tornava a casa, la sua casa è stata spazzata via dallo tsunami, come la diga costruita intorno alla città come barriera per fermare le onde. Ho capito, spiega “che gli esseri umani non possono vincere la natura e che la sua potenza e saggezza ci è necessaria”. Tra le macerie della sua casa ha ringraziato per il dono della vita e oggi può dire che “attraverso questo terremoto, ho ricevuto di più di quanto ho perso”, perché ha ritrovato la speranza “nel vedere che le persone si uniscono per aiutarsi a vicenda”. Ma ancora molto c’è da fare, perché ”se non fai nulla, il risultato è zero, ma se fai un passo, avanzerai un passo”.

Matsuki: Il Paese ha smesso di preoccuparsi per gli sfollati

Toccante è anche la testimonianza di Matsuki Kamoshita, che al momento del disastro nucleare di Fukushima aveva 8 anni, e viveva a Inaki. Racconta la sua fuga verso Tokyo con la madre e il fratellino di tre anni, che piangeva nascosto sotto le lenzuola, mentre il padre, insegnante, tornava coraggiosamente a Fukushima per proteggere i suoi studenti. Parla del bullismo di cui è stato vittima perché sfollato e denuncia che “il Paese ha rinunciato a preoccuparsi degli sfollati”, anche se i materiali radioattivi, dopo otto anni “stanno ancora emettendo radiazioni”. “Gli adulti – dice – hanno la responsabilità di spiegare, senza nascondere nulla, le conseguenze dell’esposizione alla radiazioni e i futuri possibili danni”. “Non voglio  – è la sua drammatica richiesta – che muoiano prima di noi, avendo mentito o non ammettendo la verità”. Per favore, è il suo appello al Papa, “preghi affinché coloro che hanno il potere trovino il coraggio di seguire un’altra strada”. E preghi con noi “affinché in tutto il mondo si lavori per eliminare dal nostro futuro la minaccia dell’esposizione alle radiazioni”.

Guarda il video integrale dell’incontro

La preghiera silenziosa per le 18 mila vittime

Il Pontefice abbraccia Matsuki a lungo, in un momento di intensa commozione, e quando prende la parola, ringrazia lui, Toshiro e il sacerdote buddista Tokuun, “per aver espresso con le vostre parole e con la vostra presenza la tristezza e il dolore sofferti da tante persone, ma anche la speranza aperta ad un futuro migliore”. E risponde al suo invito di unirsi alle vittime in preghiera.

Facciamo un momento di silenzio e lasciamo che la nostra prima parola sia pregare per le oltre diciottomila persone che hanno perso la vita, per le loro famiglie e per coloro che sono ancora dispersi. Una preghiera che ci unisca e ci dia il coraggio di guardare avanti con speranza.

Un sostegno che, otto anni dopo, va prolungato

Dopo il silenzio, Papa Francesco ringrazia le amministrazioni locali e tutti coloro che si prodigano nella ricostruzione e per alleviare la situazione delle oltre 50mila persone evacuate che sono ancora senza una vera casa. Si dice grato per chi, con prontezza, si è mobilitato per soccorrere “le popolazioni colpite con la preghiera e l’assistenza materiale e finanziaria”, ma chiede che l’azione sia prolungata e sostenuta, perché “alcuni di coloro che vivevano nelle aree colpite ora si sentono dimenticati e non pochi devono affrontare continui problemi: terreni e foreste contaminati e gli effetti a lungo termine delle radiazioni”.

Nessuno si ricostruisce da solo, servono mani amiche

Il Papa si appella così “alle persone di buona volontà perché le vittime di queste tragedie continuino a ricevere l’aiuto di cui hanno tanto bisogno”. La ricostruzione, spiega, “richiede di sperimentare la solidarietà e il sostegno di una comunità”, perché “nessuno si ‘ricostruisce’ da solo; nessuno può ricominciare da solo”. È essenziale “trovare una mano amica, una mano fraterna”.

Otto anni dopo il triplice disastro, il Giappone ha dimostrato come un popolo può unirsi in solidarietà, pazienza, perseveranza e resistenza. La strada per un pieno recupero può essere ancora lunga, ma è sempre possibile se può contare sull’anima di questa gente capace di mobilitarsi per soccorrersi e aiutarsi a vicenda.

Siamo una famiglia, se uno soffre, tutti soffriamo

L’ invito di Francesco a tutti i giapponesi è “ad andare avanti ogni giorno, a poco a poco, per costruire il futuro basato sulla solidarietà e l’impegno reciproco, per voi, i vostri figli e nipoti, e per le generazioni a venire”. Il Pontefice ricorda quanto gli ha chiesto il secondo testimone, il sacerdore buddista Tokuun Tanaka: come rispondere ad altri importanti problemi che ci riguardano ovvero guerre, rifugiati, alimentazione, disparità economiche e sfide ambientali. “È un grave errore” sottolinea, pensare che possano essere affrontati “in maniera isolata senza considerarli come parte di una rete più ampia”, perché tutto è interconnesso. Il primo passo, chiarisce Papa Francesco, “oltre a prendere decisioni coraggiose e importanti” “sulle future fonti di energia”, è lavorare e camminare “verso una cultura capace di combattere l’indifferenza”.

“ Uno dei mali che più ci colpiscono sta nella cultura dell’indifferenza. Urge mobilitarsi per aiutare a prendere coscienza che se un membro della nostra famiglia soffre, tutti soffriamo con lui; perché non si raggiunge una interconnessione se non si coltiva la saggezza dell’appartenenza, l’unica capace di assumere i problemi e le soluzioni in modo globale. Apparteniamo gli uni agli altri. ”

I vescovi del Giappone “chiedono l’abolizione del nucleare”

Il Papa si sofferma quindi a ricordare l’incidente nucleare di Daiichi a Fukushima “e le sue conseguenze”, e sottolinea che oltre  “alle preoccupazioni scientifiche o mediche, c’è anche il lavoro immenso per ripristinare il tessuto della società”. Vanno ristabiliti i legami sociali e va condivisa la preoccupazione dei “fratelli vescovi del Giappone” “per il prolungarsi dell’uso dell’energia nucleare, per cui hanno chiesto l’abolizione delle centrali nucleari”. Perché ricorda Francesco, il progresso tecnologico non può essere “la misura del progresso umano”. Va quindi ridiscusso, come il Pontefice ha già chiesto nell’enciclica “Laudato sì” il “paradigma tecnocratico”, ed è importante “fare una pausa e riflettere su chi siamo e, forse in modo più critico, su chi vogliamo essere”. Domandarci: “che tipo di mondo, che tipo di eredità vogliamo lasciare a coloro che verranno dopo di noi?”.

La nostra responsabilità verso le generazioni future

Con la “saggezza e l’esperienza degli anziani, insieme all’impegno e all’entusiasmo dei giovani”, è necessario allora per Papa Francesco “plasmare una visione diversa”, “che aiuti a guardare con grande rispetto il dono della vita e la solidarietà con i nostri fratelli e sorelle nell’unica, multietnica e multiculturale famiglia umana”.

Quando pensiamo al futuro della nostra casa comune, dobbiamo renderci conto che non possiamo prendere decisioni puramente egoistiche e che abbiamo una grande responsabilità verso le generazioni future. In tal senso, ci è chiesto di scegliere uno stile di vita umile e austero che risponda alle urgenze che siamo chiamati ad affrontare.

La compassione è la strada per trovare speranza nel futuro

Il Papa conclude ricordando che, nel lavoro “di recupero e ricostruzione dopo il triplice disastro, molte mani devono stringersi e molti cuori devono unirsi come se fossero una cosa sola”. Così “quanti hanno sofferto riceveranno sostegno e sapranno di non essere stati dimenticati”, e sapranno che molte persone, “condividono il loro dolore e continueranno a tendere una mano fraterna per aiutare”. Possa, è l’augurio finale di Francesco la compassione di chi ha cercato di alleggerire il peso delle vittime “essere la strada che permetta a tutti di trovare speranza, stabilità e sicurezza per il futuro”.




L’omaggio di Casalmaggiore a don Paolo Antonini nel decennale della morte

Auditorium Giovanni Paolo II gremito venerdì 22 novembre, in occasione del convegno  “Don Paolo. Un prete tra noi”. Casalmaggiore ha voluto rendere omaggio, a dieci anni  dalla morte, a don Paolo Antonini, parroco di Casalmaggiore presso la parrocchia di Santo Stefano dal 1978 al 1997 e scomparso il 23 novembre 2009 a Bozzolo.

Non un memoriale sterile ma «un modo di comprendere e di rileggere questa figura» secondo le parole con cui don Claudio Rubagotti, attuale parroco casalese, ha introdotto la serata.

«Non è la commemorazione di un morto – ha aggiunto Sebastiano Fortugno a nome del comitato organizzatore- bensì è un invito a parlare ancora con don Paolo, e non di don Paolo, perché i relatori ci ricorderanno le parole, i gesti, le azioni che don Paolo ha compiuto passando tra noi». Da sacerdote e da cristiano, come indicato dal suo personale crocifisso condiviso per la serata dall’amico Renzo Zardi.

Della testimonianza evangelica di questo sacerdote, che ha speso la sua vita alla sequela di Cristo incarnando il Vangelo in tutte le sue sfaccettature, hanno parlato don Luigi Pisani, Enza Mazzoli e Giacomo Daina. A ciascuno è andato il compito, arduo, di descrivere il rapporto di don Paolo con la società del suo tempo, quella che andava dal dopoguerra alla fine gli anni ’90, segnata da nuove forme di povertà sociali indissolubili. La solitudine di giovani e anziani, le dipendenze da droghe e alcol, la malattia divenuta una componente del privato ad imporre marginalità e non condivisione, la risposta del mondo politico non sempre soddisfacente.

A questo don Paolo fece fronte ripartendo dal Concilio Vaticano II. Chiesa come popolo di Dio e non mera gerarchia, sacerdote come colui che supera la legge per stare «dalla parte dell’uomo», nuovo umanesimo fondato sui temi dalla Dottrina Sociale della Chiesa. La sua vicinanza a don Primo Mazzolari, come è stato ricordato dall’attuale parroco di Bozzolo don Pisani, lo ha portato a percorrere strade non ancora battute nella Casalmaggiore degli anni ’90. Non solo l’apertura della Casa dell’accoglienza per migranti, per cui è spesso ricordato, ma molte altre azioni pastorali innovative che lo hanno reso sacerdote di tutti e per tutti. L’apertura di una sede AVO (associazione volontari ospedalieri) a Casalmaggiore, in cui era coinvolto anche il mondo del volontariato laico perché «don Paolo l’ha voluta laica per evitare barriere», la nascita della cooperativa Santa Federici (tutt’ora attiva) per andare incontro alle famiglie che avessero al loro interno casi di disagio psichico, l’esperienza dei centri di ascolto per indagare la Parola di Dio attraverso la guida di un teologo e la riflessione comunitaria, la trasmissione via radio della Messa per arrivare ad anziani e malati impossibilitati ad essere presenti in chiesa, la possibilità che i laici portassero l’Eucaristia nelle case, l’attenzione verso i poveri, le missioni, il recupero della chiesa di San Francesco e molte altre.

Così come molte furono le parole che don Paolo scrisse e che sono state lette per raccontarlo quale «maestro e compagno di viaggio», come «colui che indica la strada e la percorre», «testimone credibile» del Vangelo. E che sono state accompagnate dal personale saluto da parte di due ex ragazzi della Casa dell’accoglienza, che hanno voluto dirgli il loro grazie.




“L’uomo di fronte alla meraviglia dell’universo”, relazione di Mario Gargantini a Pandino (AUDIO)

L’uomo e l’universo, inteso come la realtà che ci circonda: un rapporto fatto di ascolto, di interrogativi e di scoperte continue. Ne ha parlato Mario Gargantini, docente di fisica e divulgatore scientifico, ospite nella serata di venerdì 22 novembre all’oratorio di Pandino del terzo dei quattro incontri per adulti a tema non fisso organizzati da un gruppo di laici delle parrocchie di Arzago, Calvenzano, Cassano d’Adda-San Zeno, Pandino, Rivolta e Vailate, dal titolo “L’uomo di fronte alla meraviglia dell’universo”.

“Da sempre l’uomo, quindi anche quello primitivo – ha esordito il professore – ha osservato l’universo, le stelle, e di fronte a questo spettacolo ne è rimasto colpito iniziando ad interrogarsi su che cosa fosse quella meraviglia che vedeva volgendo lo sguardo verso l’alto. L’universo, inteso come tutta la realtà che ci circonda suscita continuamente interrogativi. È la scienza che si è incaricata di cercare delle risposte, trovandone anche di importanti. Tuttavia ne sa dare solo alcune, interessanti, importanti, certo, ma apre anche nuovi interrogativi”.

Alla radice della scienza, secondo Gargantini, ci sono evidenze che sono le stesse da cui partono tutti. La prima è che la realtà esiste. La scienza constata ciò e lo riconosce. E si stupisce.

“Un grande scienziato –ha detto il relatore- è colui che trova tutti i giorni la sorpresa, un concetto ben espresso da Albert Einstein che lo ha chiamato la sacra curiosità dell’indagine che si desta nell’impatto con l’universo. La realtà colpisce con le sue caratteristiche e la persona risponde. Fare lo scienziato è un modo di rispondere ma anche chi non lo è risponde, in vari modi, con una fotografia, con la musica, con una poesia o semplicemente parlandone con un amico. Insomma, la realtà colpisce e l’uomo in qualche modo risponde”.

Una seconda evidenza è che il cosmo non è muto ma parla. “Nel 1920 –si è scoperto che il sole, la luna e le stelle in generale non emettono soltanto luce ma anche onde elettromagnetiche, che potevano essere catturate e così è stato fatto: oggi è possibile farlo”.

Terza evidenza: il cosmo è comprensibile. L’uomo riesce a capirci qualcosa, secondo Gargantini, perché tutto l’universo è un fiorire di comprensione. L’uomo può partecipare a questa conoscenza perché si rende capace di interrogare sempre meglio l’universo ma la risposta di quest’ultimo è sempre più grande. E cosa serve per interrogare l’universo? La semplicità. Quella stessa semplicità di cui scriveva una delle personalità più intelligenti del secolo scorso, lo scienziato Enrico Fermi, facendo l’esempio di quel contadino, apparentemente rozzo, ma solo apparentemente tale, che una sera lui stesso, ascoltandolo mentre parlava con altri contadini guardando il cielo stellato, sentì dire. “Com’è bello. E c’è chi dice che Dio non esiste”.

Ascolta l’audio della serata

Al termine della relazione Gargantini ha risposto a diverse domande del pubblico. Don Andrea Lamperti Tornaghi, vicario pandinese, ha chiuso la serata.

Il quarto incontro si terrà venerdì 29 novembre, all’oratorio di Calvenzano e verterà sul tema “Pace a Nagasaki”.




Domenica 1 dicembre concerto nella chiesa parrocchiale di Cicognara

Domenica 1 dicembre alle ore 16, presso la chiesa parrocchiale di Cicognara di Viadana (MN), si terrà un concerto, promosso dall’Associazione Giuseppe Serassi, a cura del coro Civico Marino Boni e Schola Cantorum Pomponazzo diretti da Marino Cavalca, con Felice Santelli al flauto.

Il concerto prevede l’esecuzione di pezzi di Antonio Vivaldi, tra cui il Magnificat RV610. Per l’occasione sarà utilizzato anche l’antico organo Lingiardi.

Il concerto offerto dall’amministrazione comunale di Viadana è ad ingresso libero.




A Castelleone la Settimana della disabilità

Dal 28 novembre al 5 dicembre a Castelleone si tiene la Settimana della disabilità. Abbiamo rivolto alcune domande a Gianluigi Valcarenghi, consigliere comunale delegato al Terzo settore e al volontariato, per conoscere i motivi di questa iniziativa.

Perché l’Amministrazione Comunale di Castelleone ha deciso di dedicare una settimana al tema della disabilità?

«L’arte e la cultura sono patrimonio di tutti, disabili compresi e per chi ha una disabilità avere la possibilità di esprimersi artisticamente è prezioso ed importante. Il corpo, anche quando non risponde perfettamente ai comandi è ugualmente un mezzo per esprimersi, questo viene fatto non per mostrare difetti fisici, problemi e difficoltà, al contrario, è un momento dove si esprime ciò che si è veramente. In queste occasioni il fisico, il corpo, non conta, si evade dalla realtà e si porta lo spettatore nel proprio mondo interiore che è ciò che vuole fare ogni artista disabile o normodotato che sia. Per questi motivi l’Amministrazione Comunale ha fortemente voluto celebrare la giornata della disabilità, anzi ha voluto andare oltre, organizzando la settimana della disabilità».

Com’è stata accolta la proposta dell’Amministrazione comunale?

«Con entusiasmo e non abbiano dovuto faticare per coinvolgere le associazioni, infatti, il lavoro e i rapporti costruiti in questi anni con le diverse associazioni di volontariato hanno fatto sì che fossero loro stesse a proporsi e a proporre».

Com’è strutturata la Settimana della disabilità?

«Il primo appuntamento sarà il 29 novembre con Faber a modo nostro per la regia di Max Bozzoni, spettacolo realizzato con Il Seme di Castelleone, l’ANFASS di Crema, il Centro Primavera di Camisano, Camminiamo insieme di Rivolta D’Adda Cooperativa Altana, Lo Scricciolo di Fiesco. La seconda serata sarà il 2 dicembre con un gruppo di adolescenti impegnati in una cena al buio guidati e accompagnati da Davide Cantoni, un giovane ipovedente. Con la cena si vuol far vivere a chi vede, in modo assolutamente non drammatico, simpatico, amichevole e naturale, la quotidianità di una persona non vedente e sensibilizzare i ragazzi sulle problematiche che il disabile visivo si trova a fronteggiare quotidianamente. Questa iniziativa è stata fortemente voluta dal nuovo vicario dell’Oratorio, don Matteo Alberti,  che ha individuato nei ragazzi sino ai 18 anni il target a cui riferirsi. L’ultimo appuntamento sarà il 3 dicembre, l’Associazione Liberi e forti con Anfass, Unione Ciechi, Ballo Anch’io e la scuola di danza Sporting Chieve proporranno lo spettacolo  “A svegliarmi ci pensa la vita 2.0”, dove il tema principale è quello di raccontare la meraviglia di danzare oltre i limiti e di vivere sempre con il sorriso sulle labbra, abbracciando le differenze. Ringrazio tutti per la disponibilità e per l’attenzione dimostrata al tema disabilità, soprattutto la Pro Loco perché se questi eventi sono possibili è anche e soprattutto grazie alla Pro Loco e in modo particolare al Presidente Antonio Ruggeri».

Locandina




L’accoglienza come scelta di un’umanità controcorrente

“Umanità: voce del verbo accogliere” è il titolo del primo incontro del percorso proposto per i giovani della zona pastorale 1. Oltre un centinaio di ragazzi hanno affollato l’oratorio S. Tarcisio di Covo per entrare a far parte di quelle storie di incontri che avrebbero poi costituito il comune denominatore della serata. Due le testimoni che hanno portato la propria esperienza sul tema della accoglienza a cui va il ringraziamento di tutta la zona: Paola e Benedetta .

“Quelle dei migranti sono storie di incontro tra le persone e le culture” è l’estratto della Christus Vivit di Papa Francesco che apre la serata, introducendo la bellezza della relazione come trait d’union tra le due testimonianze che, pur diverse tra loro, trovano come elemento fondamentale la relazione con l’altro. Paola racconta infatti come ha rivalutato la propria storia e il proprio punto di vista dopo i primi incontri con i richiedenti asilo che ogni giorno si affacciano agli uffici della Caritas di Crema dove lavora come psicologa e come ha potuto constatare che sono proprio le differenze ciò che in realtà unisce. L’ unità nella diversità è ciò che ha sperimentato anche Benedetta al liceo d’eccellenza di Rondine, quando passando un anno con ragazzi provenienti da zone di guerra che si trovavano a condividere la propria quotidianità, ha potuto sperimentare ciò che definisce una “trasformazione creativa del conflitto”.

Immersi nel contesto mediatico contemporaneo, queste testimonianze suonano come voci fuori dal coro che sicuramente possono restituire speranza a quelle comunità che ancora si spendono per costruire legami e unirsi nell’accoglienza del diverso. Le scelte controcorrente comportano però una continua maturazione nella consapevolezza che non può rimanere confinata all’ambiente professionale o scolastico ma coinvolge ogni aspetto della vita.

Se è la famiglia che infatti ha spinto Benedetta nella decisione di intraprendere il suo quarto anno liceale a Rondine, la giovane racconta di aver preso consapevolezza giorno dopo giorno della bellezza della sua scelta. In questa presa di posizione sicuramente la fede non passa in secondo piano. Il costante esercizio nella carità e l’opportunità di ritagliarsi spazi di riflessione sono elementi che Paola identifica come essenziali per affrontare i momenti più difficili senza lasciarsi travolgere dalle difficoltà che inevitabilmente l’incontro con l’altro comporta.

Il tono semplice dell’incontro con narrazioni che partono dall’esperienza quotidiana non ha lasciato indifferenti i giovani presenti che ancora una volta hanno scelto di infittire l’intreccio di storie che legano non solo chi arriva da molto lontano ma anche chi vive in comunità molto vicine tra loro come quelle della stessa zona.




Unitalsi in festa nella Giornata dell’adesione

Come ogni anno, nella prima domenica di Avvento, l’Unitalsi celebra la Giornata nazionale dell’adesione. La ricorrenza a Cremona è stata anticipata a domenica 24 novembre, solennità di Cristo Re, con la Sottosezione cremonese dell’Unitalsi che ha preso parte alla Messa delle 11 in Cattedrale presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata dall’assistente diocesano don Maurizio Lucini, il parroco della Cattedrale mons. Alberto Franzini e il cerimoniere episcopale don Flavio Meani.

Nell’omelia mons. Napolioni ha voluto riflettere sul significato della solennità liturgica: «La festa di Cristo Re – ha affermato – è di grande profondità spirituale e di grande rilevanza umana. Chi e cosa regna nel mio cuore e nella mia vita? Oggi, nel nostro tempo dell’individualismo ci verrebbe da rispondere che conta solo il proprio ego a discapito di tutti gli altri».

Il vescovo ha voluto poi ricollegarsi allo spirito unitalsiano approfondendo un significato più profondo e veritiero, perché «l’Unitalsi ci ricorda che è bello e necessario stare insieme, stringersi la mano e salta così la differenza tra chi ha bisogno e chi soccorre: nel profondo del nostro cuore non c’è la legge dell’individualismo ma la legge dell’amore, della condivisione». Infatti, concludendo, ha poi ribadito come «la vera unità, la vera Unitalsi, è l’unità con Cristo Gesù».

Durante la celebrazione i volontari unitalsiani, dame e barellieri, in divisa ufficiale, hanno rinnovato il loro “sì” alla scelta di stare accanto a malati e disabili, che ogni anno accompagnano in pellegrinaggio verso i santuari di Lourdes, Loreto e Caravaggio, condividendo con loro momenti di preghiera anche nelle varie realtà parrocchiali e nelle strutture, sostenendo la loro piena inclusione in ogni ambito della vita.

Ad animare la celebrazione eucaristica il coro “Vox Lucis” guidato dal maestro Armando Maria Rossi.

La giornata è proseguita con il consueto pranzo alla Casa dell’Accoglienza insieme al vescovo Antonio e un pomeriggio di festa presso il Centro pastorale diocesano di Cremona alla quale hanno partecipato tutte le persone che hanno incontrato l’Unitalsi nella loro vita e ne condividono le finalità.

Photogallery della celebrazione




A Casalmorano i funerali di mons. Talamazzini con un «a rivederci»

«Perseveranza nella preghiera, amore a Gesù e alla santa Chiesa, devozione filiale alla Vergine santissima e una particolare attenzione ai piccoli, ai poveri e ai sofferenti». Sono queste le raccomandazioni che monsignor Angelo Talamazzini ha voluto lasciare ai propri cari e alle persone che ha amato e servito nei suoi 55 anni di ministero. A dare voce al suo testamento spirituale il vescovo Antonio Napolioni nei funerali presieduti, nel pomeriggio di sabato 23 novembre, a Casalmorano.

Il suo paese, «il più caro», dove lo scorso anno aveva deciso di ritirarsi sentendo sempre più il peso degli anni. Vicino ai suoi cari, che l’hanno accompagnato sino all’ultimo, quando le difficoltà erano cresciute, tanto da rendere necessario un ricovero in ospedale. Pochi giorni prima del decesso, avvenuto giovedì 21 novembre, presso la casa di riposo dove risiedeva.

Il secondo Angelo del presbiterio diocesano salito in Cielo nelle ultime settimane, ha ricordato, con riferimento anche alla recente scomparsa di don Scaglioni, monsignor Napolioni, che ha anche espresso la vicinanza del vescovo emerito Lafranconi, impossibilitato a essere presente per impegni pastorali.

Nella chiesa parrocchiale di Casalmorano tanti preti (con i canonici del Capitolo della Cattedrale) e una folta assemblea si è stretta attorno ai familiari del canonico. Oltre alla gente del paese folte rappresentanze da Casalbuttano (dove nel 1963 aveva iniziato il proprio ministero come vicario), da Corte de’ Frati (dove fu parroco per la prima volta) e S. Michele Vetere, in città, che servì per vent’anni prima di spostarsi di poche centinaia di metri, in Cattedrale, come canonico e penitenziere.

Nell’omelia del vescovo Napolioni è emersa con chiarezza la figura di monsignor Talamazzini, incontrato pochi giorni prima della morte e di cui ha voluto in particolare ricordare la consapevolezza di essere salvato dal Signore. Una certezza che ha potuto sperimentare nei momenti difficili della propria vita e che l’ha accompagnato sino all’ultimo. In quella salda fiducia nel Signore, e anche nelle persone, che monsignor Talamazzini esprimeva a tutti con il proprio sorriso, capace di mettere ciascuno a proprio agio. Un sorriso di ascolto e accoglienza, che in tanti hanno potuto sperimentare, soprattutto nel confessionale della Cattedrale dove «ha offerto in abbondanza la misericordia di Dio», «colpito dallo stile di papa Francesco».

Sempre consapevole che il Vangelo illumina, purifica e orienta i nostri desideri: lo ha imparato lui e ha cercato di aiutare i fratelli a farlo a loro volta, cercando sempre di fare almeno un po’ di bene. Come egli stesso auspicava nel suo testamento spirituale concluso son un «a rivederci in Cielo a Dio».

Al termine della Messa, dopo la benedizione, la salma è stata trasferita nel cimitero locale, dove è stato tumulato.

A rivederci don Angelo!

R.A.M.

Photogallery della celebrazione

 

Profilo di monsignor Talamazzini

Nato a Casalmorano il 29 gennaio 1937, monsignor Talamazzini fu ordinato presbitero l’8 giugno 1963. Una classe di undici sacerdoti, oggi rappresentata solo da monsignor Giuseppe Perotti, don Raffaele Carletti e don Angelo Bravi. Iniziò il suo ministero pastorale come vicario a Casalbuttano. Nel 1977 assunse l’incarico di parroco di Corte de’ Frati. Nel 1984 il trasferimento a Cremona, nella parrocchia di San Michele vetere, dove rimase come parroco vent’anni. Lasciata la parrocchia di San Michele, il vescovo Lafranconi l’ha voluto come membro del Capitolo della Cattedrale, affidandogli nello stesso tempo l’incarico di penitenziere della Cattedrale. Nel 2018 monsignor Talamazzini decise di ritirarsi presso la casa di riposo di Casalmorano, suo paese natale, dove ha scelto di essere sepolto.

 

 

Riproponiamo il testo dell’intervista che monsignor Talamazzini, quale penitenziere della Cattedrale, rilasciò al nostro Portale nel maggio 2013.

«Grazie ai richiami alla misericordia è tornata a confessarsi gente lontana da 30 anni»

In questi ultimi tempi, grazie al carisma di Papa Francesco e ai suoi continui richiami alla misericordia di Dio, il numero di quanti sono ritornati a celebrare il sacramento della Riconciliazione è aumentato.  L’ondata di novità e di entusiasmo portata da Jorge Mario Bergoglio ha toccato anche il confessionale di mons. Angelo Talamazzini, da nove anni penitenziere della diocesi oltre che canonico del Perinsigne Capitolo della Cattedrale. Per lui anche la gioia di accogliere persone che da 30 anni non si inginocchiavano davanti al confessore.

Sabato 11 maggio al santuario di Castelleone, dedicato proprio alla Madonna della Misericordia, il vescovo Lafranconi aveva parlato di un aumento delle confessioni in questo ultimo periodo, anche a fronte del nuovo Pontefice. «Certamente questo papa semplice, che parla continuamente di misericordia – spiega il penitenziere della Cattedrale – ha influito su una fascia di persone che da tempo non si confessava e forse era anche psicologicamente lontana dalla Chiesa». A testimoniarlo sono gli stessi penitenti che entrano in confessionale: «Mi ha colpito il fatto – spiega ancora mons. Talamazzini – che i fedeli, senza essere interrogati al proposito, dicano di essere contenti di questo Papa, di essere rimasti ottimamente impressionati. Direi che improvvisamente, proprio attraverso la figura di Francesco, hanno sentito la Chiesa molto vicina ai loro problemi. In modo particolare ha commosso la sua frase: “Dio mai si stanca di perdonarci, caso mai siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. E poi ha colpito molto anche un’altra frase, sotto forma di auspicio: “Come vorrei ci fosse una Chiesa povera per i poveri”. Parole molto significative in quanto pronunciate in questa stagione di crisi. Tutti sono ammirati dalla sua semplicità e anche dal fatto che abiti in poche stanze a Santa Marta invece che negli appartamenti del Palazzo Apostolico».

Ma cosa porta dopo tanti anni a riaccostarsi alla Confessione? Secondo il penitenziere della Cattedrale di Cremona non è tanto una decisione personale, quanto la Grazia di Dio. «Io credo fermamente che è la grazia di Dio che prepara. Uno non ci pensa, poi comincia a rifletterci, poi decide di confessarsi e inizia anche a dare una sterzata alla propria vita. Credo che dietro la scelta di confessarsi ci sia una preparazione remota, anche se, certamente, ci può essere uno stimolo magari dovuto a una malattia o una guarigione, personale o di chi sta accanto, o un problema di difficile soluzione. Si arriva alla conclusione che l’aiuto degli uomini e delle istituzioni può aiutare, ma serve soprattutto l’aiuto di Dio. È dunque la vita che prepara; poi c’è anche una preparazione prossima, anche attraverso un sussidio che aiuta nell’esame di coscienza».

La Confessione, dunque, non sembra assolutamente passata di moda. «Direi che – afferma il Canonico – se la confessione non ci fosse (Gesù l’ha istituita) bisognerebbe inventarla. C’è un forte desiderio di parlare, di essere ascoltati in un ambito così segreto; e poi sentire “Io ti assolvo dai tuoi peccati”. Forse sugli abitudinari queste parole non hanno quell’impatto forte che è presente invece sempre in chi torna alla confessione dopo tanti anni. C’è gente che dice: “Adesso sono contento”, “Mi sento liberato”, “Mi ha dato coraggio”. Situazioni che si ripetono con tanta frequenza».

Eppure anche per molti cattolici la confessione rimane un appuntamento un po’ ostico. «Quando qualcuno mi dice di far fatica a confessarsi io rispondo che il sacramento ha il nome in testa: bisogna fare una penitenza. Sicuramente per noi, abituati a vivere nel nostro mondo e anche un po’ sospettosi a parlare di noi stessi, la confessione, che costringe ad aprirsi completamente, costa. E però è un prezzo che viene ripagato da un senso di novità e libertà».

Gli “abitudinari” della confessione comunque non mancano e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono anche tanti giovani. «Non credo affatto che a muovere queste persone sia solamente l’abitudine, ma sentimento e motivazioni serie: c’è sempre un bisogno autenticità». Una pratica costante che a volte sfocia in una vera e propria direzione spirituale. «Essa – precisa mons. Talamazzini – di per sé è distinta dal sacramento della Riconciliazione. Però spesso la confessione, specialmente se il penitente viene più volte, diventa anche direzione spirituale».

«In questi 9 anni da penitenziere – conclude mons. Talamazzini – ho scoperto più da vicino le anime, che ci sono, anche dove non lo si direbbe. E ho scoperto che la gente è meno indifferente di quanto si pensi. Proprio nella confessione vengono a galla le esigenze dello spirito, che sono presenti in tutti, anche se magari in modo latente o soffocate da pregiudizi. Comunque sempre si sente l’esigenza di pulizia interiore».

Chi è il penitenziere

Il penitenziere è il sacerdote autorizzato a confessare anche in tutti quei casi speciali, che di norma sono sottratti alla competenza del sacerdote ordinario. Il penitenziere, ai sensi del codice di diritto canonico (can. 508), fa parte del Capitolo dei Canonici e per delega del Vescovo ha, in forza dell’ufficio, la facoltà ordinaria, che però non è delegabile, di assolvere in foro sacramentale dalle censure “latae sentetiae” non dichiarate non riservate alla Sede Apostolica (scomunica, interdetto, sospensione). Tale facoltà riguarda in diocesi anche gli estranei e i diocesani anche fuori del territorio della diocesi.




Un progetto di rinascita per la chiesa cittadina di Santa Lucia

Nella mattinata di venerdì 15 novembre, presso la casa parrocchiale di San Pietro al Po, il parroco don Antonio Bandirali ha chiarito la situazione della chiesa di Santa Lucia, attualmente ancora chiusa al pubblico. Le criticità emerse sono molteplici, da problemi strutturali ad interventi artistici. Infiltrazioni d’acqua susseguitesi nel tempo hanno portato a danni consistenti, causando caduta di intonaco, stucco e pellicola pittorica; a questo si aggiungono la presenza di fessurazioni, il restauro della volta centrale e la revisione dell’interno del campanile. Una situazione che dunque rende necessari ulteriori interventi sulla struttura, in termini di messa in sicurezza e a norma dei vari impianti. 

«Queste problematiche – spiega la restauratrice Federica Cattadori – hanno richiesto una programmazione del lavoro di ristrutturazione e restauro in più fasi.: una fase cautelativa, per mettere in sicurezza l’edificio, una fase di pulitura delle superfici e di alleggerimento della parte pittorica, per un ritorno alla freschezza ed originalità dei dipinti originali, ed infine una fase di consolidamento profondo ed ancoraggio delle parti in distacco».

Considerata la complessità dei lavori, è stata necessaria (ed è ancora in corso) una consistente opera di monitoraggio ed analisi completa dei vari aspetti, sotto la supervisione dalla Sovrintendenza. Risulta pertanto difficile scandire delle tempistiche precise, sebbene sia importante sottolineare che i lavori siano già iniziati con la realizzazione di un primo ponteggio.

La chiesa di Santa Lucia non porta però solo preoccupazioni, ma anche speranza ed entusiasmo: Ezio Gozzetti, architetto direttore dei lavori, definisce la chiesa come un «bellissimo manufatto, straordinariamente efficace e dall’omogeneità splendida». Insomma un piccolo gioiello ricco di storia ed elementi pittorici poco conosciuti: per questo i lavori di ristrutturazione e restauro potrebbero anche diventare una bellissima occasione di studio e incontro con esperti di storia dell’arte e beni culturali.

I laboriosi interventi sono stati sostenuti con il contributo della Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona e le generose offerte della comunità, anche se la strada è ancora lunga. «Tuttavia – sottolinea don Antonio – il problema non è solo economico. Occorre riprendere e rivalutare il culto di Santa Lucia, tanto amata e sentita non solo dalla comunità parrocchiale, ma da tutta quanta la cittadinanza».

Per questo il 29 novembre, alle ore 21, presso la chiesa di San Pietro al Po, si terrà un evento promosso dalla associazione dal CrArt “Cremona Arte e Turismo” dedicato proprio alla figura di santa Lucia; nella stessa chiesa, dal 1° dicembre verrà esposta la statua della santa e il 13 dicembre si celebrerà la Messa. Occasioni di incontro, preghiera e raccolta di offerte per sostenere questo progetto ambizioso di rigenerazione culturale e spirituale per il bene di tutta la città.




Unitalsi, domenica la Giornata dell’adesione con la Messa in Cattedrale

Come ogni anno, nella prima domenica di Avvento, l’Unitalsi celebra la Giornata nazionale dell’adesione. La ricorrenza a Cremona sarà però anticipata a domenica 24 novembre, solennità di Cristo Re, con la Sottosezione cremonese dell’Unitalsi che prenderà parte alla Messa delle 11 in Cattedrale presieduta dal vescovo Antonio Napolioni e concelebrata dall’assistente diocesano don Maurizio Lucini, il parroco della Cattedrale mons. Alberto Franzini e i sacerdoti amici dell’Unitalsi che potranno esserci. La celebrazione potrà essere seguita in diretta sul nostro portale, sui canali social della Diocesi e in tv su Cremona1 (canale 80).

Durante la celebrazione i volontari unitalsiani, dame e barellieri, in divisa ufficiale, rinnoveranno il loro “sì” alla scelta di stare accanto a malati e disabili, che ogni anno accompagnano in pellegrinaggio verso i santuari di Lourdes, Loreto e Caravaggio, condividendo con loro momenti di preghiera anche nelle varie realtà parrocchiali e nelle strutture, sostenendo la loro piena inclusione in ogni ambito della vita.

La giornata proseguirà con il consueto pranzo alla Casa dell’Accoglienza e un pomeriggio di festa presso il Centro pastorale diocesano di Cremona. L’invito è rivolto anche a tutte le persone che hanno incontrato l’Unitalsi nella loro vita e ne condividono le finalità.