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Il 23 giugno a Commessaggio una serata di riflessione immagini e musica sui cambiamenti climatici

In occasione della notte di San Giovanni, la comunità “Laudato si’ – Città di Viadana” promuove una serata di riflessioni, immagini e musica. Appuntamento a Commessaggio domenica 23 giugno.

Il programma. Alle 17.30, nella piazza del municipio, incontro pubblico sul tema “Mutamenti climatici. Che fare? Impegno globale di piccoli e grandi”: interverranno Michele Boato (dell’EcoIstituto veneto “Alex Langer”) e un esponente del gruppo mantovano “Fridays for Future”.

Alle 19.45, presso l’azienda agricola biologica Corte Pagliare Verdieri, tradizionale tortellata all’aperto “per prendere la rugiada”. A seguire, ci si sposterà nel bosco (si consiglia ai partecipanti di portare una pila) per assistere a uno spettacolo: le acrobazie aeree con tessuti a cura di Emma & Nora, e i canti popolari di Paolo Bergamaschi e la sua Band.

Durante l’evento, saranno allestite bancarelle per la vendita di prodotti ecosostenibili. Saranno inoltre a disposizione i moduli di una raccolta firme per la proposta di legge regionale a favore di una economia sociale e solidale.

L’appuntamento è promosso in collaborazione con Consulta viadanese del volontariato, condotta Slow Food Oglio-Po, Distretto bio viadanese-casalasco e associazione New Tabor. Per info: don Paolo Tonghini al 347 8004683.




“Famiglia dei popoli”, il 23 giugno festa a Rivarolo del Re

Si terrà quest’anno domenica 23 giugno a Rivarolo del Re, presso festa presso Casa Paola – Casa Diego (strada Gialdine 8) la tradizionale festa “Famiglia dei popoli”. L’evento è promosso dalla “Tenda di Cristo” in collaborazione con Caritas Cremonese, Acli Casalmaggiore, Coop. Nonsolonoi, società cooperativa Santa Federici, Associazione M.I.A., Amurt, Tavola della pace, Coop. sociale Agorà, Gruppo persona ambiente, Cpia Casalmaggiore e Concass, con il sostegno del CSV Lombardia sud.

L’appuntamento è per le 9.30 con il momento di accoglienza, in attesa del momento iniziale con una preghiera comunitaria interreligiosa. Alle 11 la Messa, cui seguirà alle 12.30 il pranzo multietnico a buffet in stile comunitario (chi desidera è invitato a portare qualcosa da condividere).

Seguirà un pomeriggio di festa, musica e spettacolo con la partecipazione del coro Joy Voices di Casalmaggiore e una sfilata di abiti etnici con la presentazione della collezione primavera-estate della cooperativa Nonsolonoi. A chiusura l’esibizione di coreografie dei ragazzi della cooperativa Santa Federici guidati da Luisa Sartori.

Per tutta la giornata sarà garantito uno spazio bimbi con giochi, laboratori, truccabimbi e favole.

Ulteriori informazioni contattando lo 0375/534023 o scrivendo a latendadicristo@libero.it.

Locandina




Don Paolo Antonini, il prete dell’accoglienza, “erede” di don Primo (VIDEO)

Si è conclusa domenica 16 giugno la tre giorni dedicata alla figura di don Primo Mazzolari “Rimandi Mazzolariani. Il fiume, la cascina, la pianura”, voluta da Fondazione Mazzolari in occasione del sessantesimo anniversario della morte di don Primo. Con il patrocinio di Regione Lombardia, Comune di Bozzolo, Comune di Sabbioneta, ass. FiloMeeting, ass. Gli Amici di Gemma, Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Francesco” di Mantova e naturalmente della Parrocchia di Bozzolo, la rassegna ha visto affiorare una modalità nuova di relazionarsi al pubblico che, numeroso, ha raggiunto Bozzolo in questi giorni: tanti gli appuntamenti dedicati alla figura di don Primo che, anche in simultanea, si sono avvicendati in diversi luoghi cittadini.

“La formula che abbiamo scelto per questa celebrazione è stata vincente – dichiara il parroco don Luigi Pisani-. Le persone hanno potuto partecipare in base alle loro preferenze. Abbiamo proposto dibattiti, ma anche momenti di riflessione a partire da letture delle parole di don Primo. E poi musica, cinema, arti visive. Senza dimenticare di dare spazio a momenti di animazione per bambini. Tra la fine dell’anno in corso e il successivo si succederanno altri eventi tra Cremona e Mantova in collaborazione con l’attuale rassegna bozzolese e ci auguriamo che questo sia l’inizio di un percorso che si possa ripetere ogni anno”.

Sul palco, anzi sarebbe meglio dire tra i borghi di Bozzolo, si sono succedute grandi personalità del panorama nazionale che nella più assoluta semplicità hanno dato vita a momenti di elevata riflessione: don Bruno Bignami (presidente della Fondazione Mazzolari e direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro), che ha aperto la manifestazione venerdì sera con una riflessione intitolata “In dialogo con don Primo Mazzolari”; Stefano Zamagni (docente di economia politica presso l’Università di Bologna e presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali) che ha presentato nel pomeriggio di sabato 15 una riflessione dal titolo “Redistribuire la ricchezza”; Moni Ovadia che ha proposto i suoi “Racconti di un viandante”.

Particolarmente significativo l’evento di apertura di domenica 16 quando, presso la sala  assemblee dell’oratorio, è stato presentato il docu-film “Don Paolo Antonini, il prete dell’accoglienza”. Ideato da un gruppo di volontari provenienti da diverse zone della Diocesi di Cremona, credenti e non credenti, legati alla figura di colui che dal 1978 al 1997 fu parroco a Casalmaggiore, produzione e regia di Gigi Bonfatti Sabbioni, il documentario è stato introdotto dalle parole di don Luigi Pisani.

“C’erano tanti preti che come don Paolo ripercorrevano le orme di don Mazzolari – ha dichiarato – ma se ai tempi di don Primo la profezia era nella base della Chiesa oggi è al vertice. Eppure una parte della base della Chiesa non la ascolta, non è sintonizzata con i valori di una Chiesa dei poveri e nemmeno con quelli espressi dal Concilio Vaticano II. Ma noi non possiamo tornare indietro”.

Una lettura attualizzata molto intensa della vita di don Paolo Antonini. Una lettura condivisa con l’amico e giornalista Nazzareno Condina.

“Nei dieci anni in cui ho avuto il piacere di collaborare con lui – dichiara – non l’ho mai visto rifiutare un aiuto a qualcuno. Non riusciva mai a dire di no. Don Paolo era una persona particolare già dai suoi modelli, che passavano dal pacifismo militante di Balducci ai teologi della liberazione, dall’inquietudine di Turoldo alla lezione di don Milani. Senza dimenticare il suo don Primo Mazzolari, che citava sempre. Don Paolo infatti era un uomo di cultura oltre che un uomo di profonda fede. E oltre che essere un uomo di cultura era un uomo di azione”. Azione che viene narrata proprio nel documentario.

Attraverso il racconto di testimoni oculari, Bonfatti Sabbioni ha riproposto la cronologia della storia di don Paolo dall’ingresso in seminario giovanissimo, dove venne ordinato sacerdote nel 1945, al decesso in Domus a Bozzolo nel 2009.

Don Paolo fu inviato giovane prete nella parrocchia di Breda Cisoni, dove sarebbe rimasto fino al 1961 per poi entrare in Gazzuolo e qui vivere il sacerdozio per 17 anni. Sono gli anni dell’apertura dei primi circoli ACLI della zona, a dimostrare l’interesse di un giovane parroco verso giovani uomini. E se già in quei primi anni si poteva intuire lo spessore dell’uomo oltre che del sacerdote, “mi dicevano di lasciar perdere gli scritti di don Primo e di dedicarmi allo studio dei testi” dichiara lo stesso don Paolo a Giancarlo Ghidorsi di Fondazione Mazzolari, il vero exploit si ebbe all’arrivo a Casalmaggiore, dove prese in mano la parrocchia che era appartenuta fino ad allora a Mons. Brioni. Qui l’apertura della Casa dell’accoglienza per quelli che allora venivano chiamati “extracomunitari” (termine oggi sostituito dal più inclusivo “migranti”), che fungeva inizialmente da alloggio per i lavoratori stagionali ma poi divenne rifugio per tutto l’anno, fu probabilmente l’opera che più lo identificò sia in paese che fuori.

Figura complessa e dedita all’uomo in tutte le sue sfaccettature, don Paolo viene descritto come il prete degli ultimi, degli emarginati, dei soli. Il prete che agiva la sua fede, a dirla con una sua dichiarazione rilasciata nel 1993 allo stesso Bonfatti Sabbioni, in “orizzontale”.

“Non è possibile vivere la nostra esperienza di fede limitandola ad un rapporto verticale, il rapporto con Dio, senza una dimensione orizzontale, quindi senza una dimensione sociale. Non si può andare a Dio se non si passa dall’uomo e il nostro andare a Dio rimanda all’uomo. Noi crediamo in un Dio che si è incarnato, Dio che fa della sua esistenza un dono all’uomo. Un Dio per l’uomo, un Dio con l’uomo, un Dio nell’uomo. Questo è il mistero dell’incarnazione e della redenzione”. E le sue non erano solo parole, ma diventavano accoglienza, ascolto, comprensione. Diventavano vicinanza a ragazzi dipendenti dalle droghe, a famiglie in difficoltà, a malati nel corpo e nella psiche. Diventavano alloggio per uomini e donne che venivano da lontano a cercare una vita migliore e tentativi di impostare, tra essi, il dialogo interreligioso proposto dal Concilio Vaticano II. Molto ancora ci sarebbe da dire, ma vogliamo rimandare al prossimo novembre quando, stavolta a Casalmaggiore, prenderanno avvio le celebrazioni per il decennale della sua morte.




Quando da una ferita nasce un bene più grande: Annalisa Teggi “rilegge” Promessi Sposi con uno sguardo di speranza

Esiste una singolare connessione tra il Vangelo in cui Gesù invita a porgere l’altra guancia e i Promessi Sposi di Manzoni. “Il male esiste da sempre eppure non deve essere accolto sempre e solo come obiezione”. Lo ha spiegato bene nella serata di domenica 16 giugno Annalisa Teggi, scrittrice e studiosa, al folto pubblico dell’Happening presente in piazza Stradivari.

“Le vicende dei Promessi Sposi, romanzo al quale sono legata fin da piccolissima, hanno inizio con un intento malvagio, e cioè quello di don Rodrigo. Questo signorotto violento intraprende tutta una serie di azioni cattive per impedire il matrimonio tra i due giovani eppure nonostante questo, alla fine, il legame tra Renzo e Lucia ne esce enormemente rafforzato. Perché? Perché i due avevano programmato un matrimonio d’amore, avevano i loro bei progetti, la casa… e don Rodrigo sconvolge tutto. Don Rodrigo diventa l’obiezione – termine che deriva dal latino e significa “qualcosa che mi è gettato contro”, ha stessa radice di “oggetto”.

Nel romanzo, spiega la Teggi, così come nella vita di ciascuno, bisogna decidere se quello che ci viene lanciato addosso è obiezione o se piuttosto non sia occasione per allargare gli orizzonti e il cuore. “Pensiamo a quanti matrimoni – io mi occupo di cronaca e di queste storie ahimè ne sento a decine – falliscono o degenerano in violenza perché la famiglia si è chiusa in se stessa, si è chiusa in casa. Se Renzo e Lucia avessero portato subito a compimento il loro sogno di sposarsi e vivere nel paesello, sarebbero stati così felici? Forse sì, ma in questo romanzo incentrato sulla Provvidenza abbiamo visto che se non fossero accadute tutte quelle cose, i due protagonisti non avrebbero avuto un guadagno così grande. La cronaca oggi ci dice che una relazione che si chiude ammazza. Per questo l’esempio più facile che posso fare è quello di un abbraccio. Le braccia devono potersi aprire, allargare, per poter abbracciare l’altro prima di chiudersi. Anche le ferite sono così: aprono la pelle. Eppure un abbraccio che si apre contiene molto di più di quanto c’era all’inizio. La gioia ha radici nella ferita. E così la casa di Renzo e Lucia sarà molto più grande e viva e bella dopo tutte queste ferite. Anche per l’Innominato sarà così”.

La giornalista ripercorre tanti piccoli episodi della vita quotidiana fatta di asili, difficoltà al lavoro, amiche malate di cancro, bancomat che non funzionano e farmacie che al momento opportuno non hanno i farmaci richiesti per dire che tutti noi ci imbattiamo in tanti “don Rodrigo” ogni giorno ma è soltanto accogliendoli non con il solo lamento quanto piuttosto un’occasione di bene che la vita può prendere un altro sapore. “Bisogna lasciarsi chiamare dalla realtà”, ha sottolineato riprendendo la bellissima lezione che un insospettabile Jovanotti ha tenuto pochi mesi fa all’Università Statale di Milano. Anche di fronte a cose dure come un padre che ti rifiuta.

“Mio padre mi ha cresciuta con la frase: «Tu non sei mia figlia, e comunque io avrei voluto un maschio». Ci ho messo tanti anni a capire che non era una frase cattiva. Certo, da piccola non capivo, ed ero ferita a morte da quelle parole e vedere le altre famiglie con papà sorridenti e premurosi apriva in me una ferita dal dolore pungente. Ora mio padre gioca coi miei figli con una tenerezza che a me non ha mai riservato. Ci è voluto molto tempo per capire che il suo non era distacco, né cattiveria, né cinismo, bensì paura; una gigantesca paura di voler bene a qualcuno che chiami figlio”. Racconta di aver incontrato la figura di una psicologa che l’ha accolta, e le ha insegnato a guardare quella ferita in modo nuovo.

Perché in fondo, ha ricordato la Teggi, è proprio come diceva Chesterton: “Ogni avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto, ogni incidente è un’avventura considerata nel modo sbagliato”. Alla luce di questo, anche la frase evangelica dell’inizio acquista una prospettiva nuova: accogliere le ferite non è segno di debolezza, ma di grandezza. Perché è apertura a una prospettiva molto più grande di quanto possiamo immaginare noi con le nostre sole forze: quella di Dio.




De Palo: «Non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti»

Politica, bene comune, leadership, consenso, famiglia. Sono queste “le parolacce” intorno alle quali è ruotato lunedì 17 giugno il seguitissimo incontro dell’Happening con protagonista Gigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni familiari. Incalzato da Cristiano Guarneri, il giovane politico e padre di famiglia (sposato con Anna Chiara, ha cinque figli) ha raccontato l’inizio del suo impegno in politica e soprattutto per le migliaia di famiglie italiane oggi troppo spesso dimenticate.

«Sono cresciuto in parrocchia, sono un cattolico semplice. Poi è accaduto qualcosa di importante: partecipai alla giornata mondiale della gioventù a Tor Vergata nel 2000. Giovanni Paolo II invitò tutti i giovani presenti a impegnarsi, con quel “voi non vi rassegnerete” che divenne epocale. In quel momento capii che avevo una chiamata, quella di impegnarmi per il bene comune». Diventa così presidente delle Acli di Roma a soli 25 anni e sei anni dopo viene scelto come assessore alla famiglia, alla scuola e ai giovani di Roma.«Avevo già tre figli. Sono diventato subito un appestato per aver detto di sì al bene comune».

Così quando Guarneri domanda che cosa sia davvero per lui il bene comune, De Palo non ha dubbi.«Il bene comune ha a che fare con te, ma non è il tuo interesse particolare». Ci sono due episodi che lo dimostrano, racconta. Il primo lo vede protagonista in prima persona. Giovane studente non troppo brillante, lavora anche come «scaricatore di giornali» all’alba e collabora con un’agenzia di stampa per lo sport. Una sera, rientrando stanchissimo a casa, si accorge che l’ascensore non funziona. Qualche furbastro non ha chiuso le porte e così deve essersi bloccato. Decide di salire a piedi. Una volta in casa, però, si fa insistente il pensiero dell’anziana Teresa, una vicina di casa che fatica a fare le scale e l’indomani non avrebbe saputo come andare a Messa. Così, sebbene stanchissimo, De Palo esce di nuovo, sale al sesto piano e sblocca l’ascensore. Il secondo episodio riguarda la politica. «Quando ero assessore, mi ritrovai un sabato al mercato. Da un lato c’erano i negozianti che giustamente cercavano di vendere, dall’altro dei disabili che per promuovere la propria associazione stavano tenendo una sorta di concerto con le percussioni piuttosto fastidioso. Erano entrambe cose giuste sebbene in conflitto ed è stato lì – nella babele che si stava verificando – che ho capito che non è la somma degli interessi particolari a fare il bene di tutti,  ma serve un amministratore che possa armonizzare tutto quanto. Lavorare per il bene comune significa creare il terreno perché il seme di ciascuno di noi possa portare frutto. Un compito faticoso. Il bene comune è un massacro e presuppone che un politico sia martirizzato (come dice il Papa) al servizio di questo massacro».

Parla chiaro, De Palo. Sa che oggi parlare di politica e famiglia risulta noioso, ma la colpa – assicura – non è solo dei media o delle lobby, quanto piuttosto di una narrazione vecchia e stantia di cui tanta parte del mondo cattolico si è fatta complice. Ecco perché il suo impegno ruota tutto intorno al tema della famiglia, per ridarle la dignità che merita. «Faccio proposte per migliorare la vita delle famiglie. È politica. Non è una parolaccia. Abbiamo raccontato la famiglia come qualcosa di triste e angosciante,  mentre è l’avventura più grande. Idem la politica. È necessaria. Servono meno politici cattolici ma più cattolici in politica. E serve umiltà della semina: sono tanti anni che non si semina. Per poter incidere veramente a livello politico come cattolici e come famiglie, serve un lavoro lungo e paziente, perché il consenso – assicura –  è direttamente proporzionale si piedi che tu riesci a lavare in un territorio. E serve una narrazione positiva di quello che viene fatto: questo sarà poi premiato con voti reali».

L’affondo è chiaro. «Questo manca oggi al mondo cattolico. Chi oggi è in politica come cattolico vive spesso la logica del santino, ma un seggio assegnato senza lo sforzo di un lavoro di medio-lungo periodo ti fa essere succube di chi quel seggio te l’ha dato e non costruisce nulla. Noi dobbiamo smuovere dal basso quelle leadership territoriali già esistenti e fare un’organizzazione con unico concetto, un’unica linea guida: quella del dare la vita». Racconta della sua, di famiglia. Del matrimonio con Anna Chiara, dei loro cinque figli, di cui l’ultimo – Giorgio Maria – è nato con la sindrome di Down.

«La famiglia è una bellezza che va raccontata. Io continuo ad amare mia moglie nonostante le litigate e desidero tornare da lei e dai miei figli ogni sera e so che un domani le mie figlie desidereranno essere amate dagli uomini così come hanno visto fare dal papà e dalla mamma. La bellezza della famiglia è quella di un luogo dove non si censura nulla, neanche le discussioni. Ma il problema è che oggi noi cattolici siamo sciatti, diamo sempre la colpa agli altri visto che il messaggio cristiano sembra sparire. Eppure siamo presentissimi in Italia: ci sono i corsi per il battesimo, la comunione, la cresima. L’88% dei ragazzi italiani si avvale dell’insegnamento della religione cattolica. Eppure non incidiamo più nella vita politica e comune. Perché? Perché – come dice sempre mia moglie – ci siamo concentrati solo sul ribadire concetti sacrosanti senza più portare però la concretezza della bellezza di una vita vissuta. E’ come ribadire che per fare il pane servono farina, lievito, sale, acqua e non far sentire più il profumo di quel pane che fa venire l’acquolina. Noi cattolici abbiamo fatto per anni  l’elenco degli ingredienti ‘giusti’ per una famiglia, ma non abbiamo suscitato l’acquolina in bocca perché uno voglia formarla. Io ho scelto di sposarmi quando ho incontrato una famiglia con quattro figli FELICE. E ho desiderato, per invidia, che fosse così anche per me». Si può ripartire da qui. È un invito aperto a tutti, anche a Cremona.  Nel solco di quel “voi non vi rassegnerete».




Moni Ovadia a Bozzolo per la tre giorni dedicata a don Mazzolari (AUDIO e FOTO)

Una serata molto partecipata e intensa quella di sabato 15 giugno a Bozzolo nella cascina di fronte alla Fondazione don Primo Mazzolari. Ospite, all’interno della rassegna di tre giorni dedicata a don Mazzolari, Moni Ovadia, famoso artista eclettico e intellettuale italiano di origini bulgare e di cultura yiddish.

L’atmosfera nella cascina è stata molto accogliente, preceduta da una semplice cena a buffet animata da una band giovanile durante la quale i partecipanti hanno potuto conoscersi e intrattenersi anche con il celebre relatore, giunto prima anche per avere la possibilità di fare visita alla Fondazione.

Don Bruno Bignami, presidente della Fondazione, ha introdotto l’incontro ricordando che la cascina è stata uno dei tre elementi evidenziati da papa Francesco durante la sua visita a Bozzolo due anni fa (insieme al fiume e alla grande pianura): “la figura della cascina è però pericolosa – ha affermato don Bignami – perché può diventare sinonimo di chiusura, mentre il suo vero significato deve essere quello del vivere insieme in comunità, come una famiglia”.

Moni Ovadia è stato introdotto dal professor Enrico Garlaschelli, docente di filosofia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e docente presso l’Istituto di scienze religiose di Mantova, che ha voluto indicare come questa rassegna (organizzata per la prima volta) sia un tentativo di andare oltre i soli libri di Mazzolari per provare a riflettere e ragionare anche di materie come l’economia, la filosofia o l’ecologia, per tentare altre strade entrando in azione e accettando le novità. Presentando l’ospite ha sottolineato come “Moni è una persona difficilmente catalogabile, è una persona a tutto tondo che, come don Primo, pensando ai lontani li sente vicini”.

Moni Ovadia ha saputo coinvolgere i numerosi presenti con parole intense e profonde, partendo dall’evocazione della situazione umana del viaggiare: “da Abramo a Odisseo il viaggio è la scoperta dell’umano e di se stessi. Abramo nel suo viaggio scopre Dio e che l’etica del viandante si identifica con l’etica dello straniero perché, come ci insegnano i maestri cabalisti, il cammino più grande è quello che si innesca quando si va incontro all’altro”. L’artista ha poi ricordato che “come Abramo riceve la benedizione universale da Dio, una benedizione che è unica ma che si declina in diversi modi per ogni famiglia, popolo e religione, così Odisseo non è protagonista di un grande poema perché è tornato a Itaca dalla famiglia e l’ha circondata col filo spinato ma perché compie un percorso di conoscenza, di identità che va verso l’altro con curiosità”. Così è stata poi introdotta la figura di don Mazzolari.

È iniziato poi un percorso sulle parole di Gesù che invitano ad amare il prossimo, ad amare lo straniero perché “in ogni essere umano c’è l’immagine di Dio, che è l’immagine dell’amore. In ebraico si può omettere il verbo essere e, secondo alcune interpretazione, il comandamento dell’amore può essere letto in una diversa chiave: ‘ama il prossimo tuo che è te stesso’, diventando così un invito alla pace. Infatti, secondo la Bibbia, abbiamo tutti un unico progenitore, Adamo, per ricordarci che nessuno può così vantare un’ascendenza superiore”.

Garlaschelli ha poi voluto provocare Ovadia ripartendo da don Primo, per il quale tutti sono esuli, poiché non c’è nessun pellegrino come il cristiano che è in un cammino di formazione umana. A questa provocazione l’artista ha voluto dare risposta indicando come “la giustizia e l’uguaglianza sociale dovrebbero essere alla base della convivenza umana, andando oltre l’idea dell’appartenenza della terra, poiché in realtà essa non ci appartiene: è soltanto un dono che riceviamo. Ci possiamo così ricordare che la fragilità è ciò che caratterizza l’uomo e senza questa si perderebbe l’umanità: questa precarietà ci ricorda che in ogni momento la nostra vita può cambiare e ciò non dipende dalla nostra grandezza o dal nostro potere. Ed è proprio nell’accogliere questa fragilità che i grandi padri biblici, attraverso i loro difetti si sono potuti mettere in contatto con Dio: infatti è nella fragilità che splende la grandezza dell’essere umano”.

Ovadia, che non è cristiano e ha deciso di uscire dalla comunità ebraica, è comunque profondo conoscitore delle Scritture (della Torah come della Bibbia cattolica, ma anche del Corano) e ha voluto ricordare come per i cattolici, per definizione stessa del termine, il Vangelo è per tutti, è di tutti e che la più grande blasfemia è fare di questo libro un simbolo di parte”.

Al termine della serata è stata omaggiata all’artista una maglietta personalizzata con le parole di don Primo “Ciò che è bello non si lascia prendere”.

Matteo Lodigiani

 

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Segue, nella giornata di lunedì, il resoconto della giornata di domenica con il convegno su don Antonini.




Fare il bene è possibile, nonostante gli sbagli (VIDEO)

Cremona, cortile Federico Il. Lo spazio è circondato dalle mura del Comune, ma se si alza lo sguardo il cielo è limpido, pieno di piccole rondini. È martedì sera e un piccolo palco da dove le casse passano “One Love” degli U2 lascia intendere che qualcosa deve accadere. Uno spettacolo, in effetti, è in programma. Si tratta di una “prima” speciale: interamente recitata dai detenuti della casa circondariale della città.

Ideatore dello spettacolo – andato in scena nella serata di martedì 18 giugno – è Alfonso Alpi, attore che da tempo dedica il suo tempo libero insieme ad altri amici per aiutare i carcerati.

Il cortile si riempie, non ci sono più sedie e allora c’è chi si mette per terra, chi appoggiato al muro. Non è mai stato così vivo, questo solitamente mesto cortile.

Si inizia, e subito a irrompere è un imprevisto, proprio come recita il sottotitolo dell’Happening che ha fortemente voluto questo momento. Un imprevisto, dicevamo, perché essendo casa circondariale – spiega Alpi- i detenuti non sono soggetti a pene definitive e quindi possono essere trasferiti in qualunque momento. Così, proprio in queste ore, due dei protagonisti dello spettacolo sono venuti a mancare perché inviati ad un’altra galera.

Nessuno si scoraggia: due amici (Giovanni e Michele) si improvvisano attori e gli altri si ingegnano per interpretare più parti. Il risultato è commovente. Un’ora dove ciascuno di quei ragazzi – che interpretavano in chiave moderna la storia del figliol prodigo – sono stati realmente protagonisti. Perché in quelle frasi imparare a memoria, nella tensione evidente perché tutto andasse per il meglio, si è visto un cuore battere. Come quando – a un certo punto – il figliol prodigo viene salvato da un uomo che ricorda che a suscitare in lui una ricerca del bene era stato un suo professore, tanti anni prima, a scuola. “Perché è stato grande? Perché un professore non deve dare risposte, deve suscitare domande”.

Alla fine dello spettacolo, uno dei detenuti ha letto commosso una lettera di ringraziamento per quest’esperienza così ricca. “Vi chiediamo scusa per quello che abbiamo commesso, e vi ringraziamo perché questo spettacolo ci ha insegnato che fare il bene è possibile, che rientrare nella società è possibile nonostante gli sbagli”. L’applauso è durato più di due minuti. Perché dove non bastano le parole, arrivano i gesti del cuore.

 




La conversione dell’Innominato del Manzoni al centro della mostra dell’Happening

“E se c’è questa vita?”, frase tratta dai Promessi Sposi di Manzoni, è il titolo scelto per l’Happening dei giovani che apre oggi i battenti in Piazza Stradivari a Cremona.

Una frase pronunciata dall’Innominato – uomo votato al male coinvolto nel rapimento di Lucia, una donna che in lui risveglia però un moto d’animo (o forse di cosciente nza) che lo tormenta per una notte intera. Durante quelle ore insonni, l’uomo ricorda quando, giovane, qualcuno gli aveva parlato di un’altra vita, più bella e ricca di gioia.

Che fare, dunque? Fidarsi o lasciar perdere. Tra le due, sceglie la seconda e il mattino seguente, quando il popolo festante accoglie l’arrivo in città del cardinal Federico Borromeo, ecco che l’Innominato gli va incontro. Spera che almeno lui possa alleviare l’inquietudine che lo tormenta. Tra loro un abbraccio che segnerà in maniera definitiva il cammino umano di questo signore e padrone, fino alla conversione.

L’amicizia con il Cardinale – storicamente realmente esistito – è qualcosa di talmente grande che l’Innominato spera duri per sempre. “Voi tornerete, nevvero?”, domanda il card. Borromeo. La risposta è commovente: “S’io tornerò? Quando voi mi rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il povero. Ho bisogno di parlarvi, ho bisogno di vedervi, ho bisogno di voi”.

Una mostra, esposta da oggi fino a martedì in piazza, ripercorre in pochi semplici pannelli quello che è stato il percorso dell’Innominato. Un percorso possibile anche oggi a ciascuno di noi, perché tutti cercano in fondo un’amicizia e dei rapporti che facciano rinascere la vita, che le diano gusto e sapore.

Anche per questo l’Happening sarà ricco di incontri, festa,musica sul solco di questo motto: l’imprevisto accade. Incontri come quello tra il cardinale e l’Innominato sono possibili a tutti: non importa se sei in carcere, se sei ricco o povero, buono o cattivo, bello o brutto. Questa vita è possibile, come dimostra il fitto programma. Si va dal punto ristorazione (comprensivo di bar e ristorante all’aperto per la cena) fino alle aree dedicate ai più piccoli. Venerdì 14 giugno alle 21.30 live show dei Blues 4 People. Sabato alle ore 19.00 – sempre in piazza Stradivari – l’incontro con la giornalista e scrittrice Annalisa Teggi e alla sera concerto dei Five Live. Lunedì alle 19.00 dialogo con Luigi De Palo, presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari, mentre alle 21.30 il live show della Mauro MoruzziJunior Band.

Si chiude martedì con lo spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Cremona (ore 19.00 Cortile Federico II) e con la festa finale guidata dalla Diskorario Band.




La tre giorni su don Mazzolari anche su L’Osservatore Romano

Anche L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, nell’edizione di lunedì 17 giugno ha dato spazio alla tre giorni che, dal 14 al 16 giugno a Bozzolo, ha celebrato i sessant’anni dalla morte di don Mazzolari con una rassegna – intitolata “Il fiume, la cascina, la pianura”— che ha previsto mostre, musiche, letture, incontri e testimonianze, con la partecipazione di ospiti illustri.

La pagina 5, quasi interamente dedicata a don Primo, ospita in particolare il resoconto dell’interessante iniziativa che nel pomeriggio di sabato 15 giugno ha messo a tema “Ricchezza, povertà e redistribuzione” grazie agli approfondimenti di economisti politici come Stefano Zamagni e Flavio Delbono dell’Università di Bologna, della docente di Filosofia politica Carla Danani dell’Università di Macerata e della docente di Economia Aziendale dell’Università Cattolica di Piacenza Annamaria Fellegara. L’articolo è a firma di Paolo Rizzi, docente del Dipartimento di Scienze economiche e sociali dell’Università Cattolica.

Ampio spazio è dedicato anche all’intervento del presidente della Fondazione don Primo Mazzolari, don Bruno Bignami, che a partire dall’immagine del fiume offre alcuni punti di luce sull’intera esistenza sacerdotale del “parroco d’Italia”.

La pagina de L’Osservatore Romano




Dal 15 al 18 giugno a Cremona torna l’Happening

Non mancherà nemmeno quest’anno a Cremona la manifestazione Happening, evento promosso dal Centro Culturale S. Omobono nella bellissima piazza Stradivari, che raggiunge così l’edizione numero 22. Da sabato 15 giugno a martedì 18, ogni sera gli stand di questo consueto appuntamento estivo offriranno musica, dibattiti e buona cucina. Il filo conduttore dei quattro giorni è racchiuso in un titolo: “E se c’è questa vita? L’imprevedibile accade”.

Gli organizzatori ne spiegano il senso: «La frase di quest’anno prende spunto dalla vicenda dell’Innominato, personaggio de “I Promessi sposi”, tormentato da un risveglio di coscienza dopo il dialogo con Lucia, appena rapita e custodita nel suo palazzo. È da quel tormento che nascerà qualcosa di ‘imprevedibile’, cioè l’incontro con Federigo Borromeo e la conversione dell’Innominato». La vicenda di questo personaggio, osservano i responsabili del Centro S. Omobono, descrive cosa può riaccendere la vita di ogni uomo: l’accadere di qualcosa di imponente e meraviglioso che cambia il cuore.

Sabato 15 giugno l’apertura degli stand alle 19.00, con la possibilità di cenare, come ogni sera, presso il Ristorante e l’Hosteria dell’Happening; dalle 21.30 musica con i Blues4people, band milanese che riproporrà il meglio dal repertorio del film “Blues Brothers”.

Domenica 16 giugno il primo dibattito: alle 19.00 la giornalista Annalisa Teggi, traduttrice dell’autore inglese G. Chesterton, incontrerà il pubblico in piazza in un incontro intitolato “Il paese delle meraviglie è qui”. Dalle 21.30 serata musicale con la cover band Five Live.

Lunedì consueta apertura dalle 19.00 e incontro in piazza Stradivari dal titolo “Servire il bene di tutti”: interverrà Gigi De Palo, presidente del Forum nazionale delle Associazioni familiari. La serata proseguirà con l’esibizione dei due complessi strumentali “Junior Band” e “Crescendo”.

L’ultima serata di martedì 18 giugno si aprirà con lo spettacolo teatrale intitolato “Si può vivere così”, curato dall’artista e regista Alfonso Alpi, nel quale reciteranno i detenuti del carcere cremonese Ca’ del Ferro. L’appuntamento è alle ore 19.00 presso il cortile Federico II. Festa di chiusura affidata alla cover band Diskorario (dalle 21.30).

All’Happening è abbinata una lotteria a premi il cui ricavato sarà destinato in gran parte a sostenere il centro per bambini disabili di Cremona “Casa d’oro”.