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Buono sì, ma non basta. C’è fame di pane giusto

La Giornata del Ringraziamento sembra aver perso di valore nell’epoca delle tecnologie applicate all’agricoltura. Sempre meno i frutti della terra appaiono dono della Provvidenza e vengono più facilmente associati all’indiscussa abilità dell’uomo. L’agricoltore medio oggi è tentato di abbassare lo sguardo sulle possibilità offerte dall’iPad o dal trattore di ultima generazione piuttosto che alzarlo sulla benevola presenza del Creatore.

Il tema della Giornata di oggi è un invito ad associare il lavoro dei campi con il cuore della fede cristiana. «Dalla terra e dal lavoro: pane per la vita» mette in stretta relazione il pane con il lavoro. Felici espressioni quotidiane come «guadagnarsi il pane» o «portare a casa il pane» continuano a ricordarci che il lavoro della terra produce vita, la rende possibile e la custodisce. L’uomo vive del «pane quotidiano». La vita si sostiene grazie al pane «buono», nutriente, genuino.

La biodiversità dei grani porta sulle nostre tavole anche una molteplicità di modi di panificare e di qualità di pani. È meglio il pane pugliese o la focaccia? Conquista più il palato la pizza o la piadina? E che dire del pane Carasau sardo, di quello di Altamura, della michetta lombarda, del pane valdostano o toscano, della baguette parigina, del pane arabo o delle friselle pugliesi… fino alle ricette di prodotti da forno del panettiere sotto casa? Dietro al pane ci sono storie di vita, cultura, creatività, laboriosità e capacità di adattare la produzione all’intera filiera del cibo. Già questo fa pensare, nel tempo delle farine importate, all’epoca del grano non sempre genuino a causa di muffe e nella stagione delle lievitazioni industriali che riducono il livello qualitativo del pane. Ben venga la riscoperta di colture antiche, di semi che salvaguardano la biodiversità e rendono il corpo umano più resistente alle varie allergie.

Abbiamo fame di pane buono! Tutto ciò non basta. Il pane dev’essere anche giusto. Il vangelo mette in guardia dal cercare il pane solo per riempirsi la pancia: «Non di solo pane vive l’uomo». Ciò significa che il pane non è mai solo pane! Visto sotto uno sguardo meramente materiale, il pane subisce due riduzioni. Da una parte non basta mai, è sempre insufficiente e dà vita alla logica dell’accumulo e dello spreco (ironia della sorte: quasi tutto il pane scade, diviene raffermo!).

Le guerre del pane hanno attraversato la storia. Dall’altra parte, però, il pane viene oscurato dal companatico, entrato in scena nelle trasmissioni televisive che continuano a spettacolarizzare il cibo. Gli chef sono i nuovi maestri che si occupano del corpo: la loro ricetta finisce per relativizzare il pane. Quasi non serve più a tavola! La rinuncia di Gesù a trasformare le pietre in pane nel brano evangelico delle tentazioni (Mt 4,1–11) è il rifiuto della visione materialistica. Il pane si accompagna a una Parola che ne offre senso e pienezza. Lo ricorda la profezia di Isaia (58,6–10): «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: (…) nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo. (…) Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce». Il bisogno di pane distrae la vita se non è associato alla domanda di carità e di giustizia. Sarà un caso che nei vangeli l’episodio della moltiplicazione (in realtà è «condivisione»!) dei pani e dei pesci sia raccontato sei volte dagli evangelisti e sia più narrato persino dell’ultima cena? Sarà un caso che il gesto che riassume l’eucaristia e che permette di riconoscere Gesù da parte dei discepoli di Emmaus sia lo spezzare il pane?

Lo scrivono i vescovi italiani nel loro messaggio per il Ringraziamento: il pane «è fatto per essere spezzato e condiviso, nell’accoglienza reciproca». L’uomo ha bisogno di pane buono. Ma senza pane giusto non c’è vero nutrimento per la vita. Siamo esseri spirituali proprio perché capaci di rispondere ai bisogni materiali della persona. Sappiamo condividere. Quando spezziamo il pane diventiamo più umani. Per questo, davvero spirituali.

Don Bruno Bignami

direttore Ufficio nazionale CEI per i Problemi sociali e il lavoro