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“Coltivare Solidarietà”, Cascina San Marco vince l’Oscar Green 2023

Cascina San Marco di Tidolo (Sospiro), con i suoi ragazzi e dirigenti, ha vinto l’Oscar Green 2023 – prima classificata nella categoria “Coltiviamo Solidarietà” – il premio promosso da Coldiretti Giovani Impresa che punta a valorizzare il lavoro di tanti giovani che hanno scelto per il proprio futuro l’agricoltura.

Un applauso particolarmente caloroso ha accolto sul palco i giovani di Cascina San Marco, con il presidente Simone Zani e tutti gli amministratori di Fondazione Sospiro uniti per sottolineare il valore di un progetto e di una realtà “dove si fa inclusione con gusto”. La consegna è avvenuta a Lonato del Garda, presso la cantina Perla del Garda, in una serata che ha raccolto numerosissimi giovani imprenditori agricoli, insieme a rappresentanti della Coldiretti e delle Istituzioni, sottolineando l’impegno concreto dei giovani agricoltori lombardi di fronte alle sfide ambientali per garantire cibo ed energia al Paese in maniera sempre più sostenibile.

Il premio tributato da Coldiretti Giovani Impresa Lombardia è stato occasione per far conoscere, anche attraverso un video, l’importante progetto che a Tidolo vede cinquanta ragazzi e ragazze con disabilità e con autismo vivere quotidianamente la dimensione lavorativa partecipando in prima persona a tutte le fasi di produzione, lavorazione e trasformazione di piccoli frutti, dalla coltivazione sino al contatto diretto con il consumatore. Ribes, lamponi, more e mirtilli sono trasformati nel laboratorio aziendale in confetture di qualità – spiega Coldiretti Cremona – con un ingrediente segreto: il sorriso dei ragazzi. Il progetto di inclusione sociale e lavorativa di Cascina San Marco di Tidolo è promosso da Fondazione Sospiro Onlus, realtà multifunzione che offre servizi socio sanitari e si occupa di anziani e di disabilità, oltre che essere referente unico dell’Istituto Superiore Sanità per lo studio, la ricerca e il trattamento dell’autismo.

Accanto ai giovani protagonisti di Cascina San Marco – in rappresentanza di tutto il gruppo sono saliti sul palco, per ricevere l’Oscar, Filippo, Sebastiano, Luca, Sara, William, insieme al presidente Simone Zani – c’erano il presidente di Fondazione Sospiro Giovanni Scotti, il direttore generale Fabio Bertusi, Francesca Scudellari, vice presidente di Cascina San Marco, i consiglieri Liana Boldori e Andrea Scolari, con il coordinatore operativo di Cascina San Marco Gianluca Rossi, educatori e collaboratori. In prima linea, con grande emozione, c’erano anche i vertici di Coldiretti Cremona, con i vicepresidenti Enrico Locatelli e Serana Antonioli, il direttore Paola Bono, il segretario di Zona di Cremona Marco Benedini, il delegato provinciale dei giovani Piercarlo Ongini, con una delegazione di giovani imprenditori agricoli cremonesi.

Sei gli Oscar conferiti da Coldiretti Lombardia, insieme a tre menzioni, alla presenza di: Gianfranco Comincioli, presidente di Coldiretti Lombardia; Angelo Ciocca, europarlamentare; Alessandro Beduschi, assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste; Barbara Mazzali, assessora regionale al Turismo, Marketing territoriale e Moda; Simona Tironi, assessora regionale all’Istruzione, Formazione, Lavoro; Maria Rosaria Laganà, Prefetto di Brescia; Roberto Tardani, sindaco di Lonato del Garda; Laura Facchetti, presidente Coldiretti Brescia.

“Le esperienze premiate – ha evidenziato Giovanni Bellei, delegato Giovani Impresa Coldiretti Lombardia – sono esempi di un modello di innovazione sostenibile in agricoltura, che affonda le sue radici nella terra e nelle comunità. Esperienze giovani che nascono tanto dall’esigenza di rendere reale un sogno individuale d’impresa quanto dalla voglia di dare risposte alle necessità di una collettività realizzando idee originali, custodendo prodotti e razze in via di estinzione o arricchendo il territorio di nuovi servizi e opportunità”.

 

LA CASCINA DEI SORRISI, DOVE SI FA INCLUSIONE CON GUSTO

Categoria Coltiviamo solidarietà

Cascina San Marco – Tidolo (Cremona)

Cinquanta ragazzi e ragazze con disabilità intellettiva e con autismo sono i protagonisti dell’esperienza di Cascina San Marco di Tidolo (Cremona): ogni giorno, affiancati da personale qualificato, i ragazzi sperimentano la dimensione lavorativa partecipando in prima persona a tutte le fasi di produzione, lavorazione e trasformazione di piccoli frutti, dalla coltivazione sino al contatto diretto con il consumatore. Ribes, lamponi, more e mirtilli sono trasformati nel laboratorio aziendale in confetture di qualità, dove l’ingrediente segreto è il sorriso dei ragazzi. Il progetto di inclusione sociale e lavorativa di Cascina San Marco di Tidolo – spiega la Coldiretti Lombardia – è promosso da Fondazione Sospiro Onlus, una realtà multifunzione che offre servizi socio sanitari e si occupa di anziani, di disabilità anche nelle forme più gravi oltre che essere referente unico dell’Istituto Superiore Sanità per lo studio, la ricerca e il trattamento dell’autismo.




#NoiTestimoni: tra i monumenti di Roma, sulle sulle orme dei santi martiri di ieri e di oggi

La fotogallery completa della seconda mattinata di attività

 

La seconda giornata di pellegrinaggio dei ragazzi di fine mistagogia a Roma è iniziata con un momento di preghiera nella splendida cornice della Domus Aurea. Qui il gruppo ha riflettuto sulle figure dei martiri, attraverso parte di un discorso pronunciato da Papa Francesco in occasione della sua visita alla Basilica di San Bartolomeo all’Isola il 22 aprile 2017.

Prima tappa del pellegrinaggio il Colosseo, uno dei monumenti più rappresentativi della città di Roma che spesso si dimentica essere luogo in cui molti uomini e donne hanno perso la vita per divertimento altrui. Sono stati qui ricordati tutti coloro che sono stati perseguitati, perché cristiani, durante i primi tre secoli della nostra epoca.

 

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Seconda tappa della mattinata l’arco di Costantino, per ricordare che l’imperatore Costantino, dal quale prende il nome l’arco, ha posto fine alle persecuzioni dei cristiani da parte dell’Impero Romano, concedendo libertà di culto ai discepoli di Gesù. Un momento in cui tuttavia non è mancato un pensiero rivolto alle tante vittime delle persecuzioni dei cristiani che continuano e accompagnano la storia, anche oggi in molte parti del mondo.

È proprio con la terza tappa che i ragazzi, attraverso un momento di gioco sono venuti a conoscenza dei martiri del nostro tempo, leggendo delle “carte d’identità” di martiri provenienti da tutto il mondo e riflettendo sulle caratteristiche che accomunano uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede fino al dono totale della loro vita.

Il gruppo si è poi diretto alla chiesa di San Bartolomeo dove è stata celebrata la messa concelebrata da tutti i sacerdoti presenti. Don Andrea Piana nell’omelia ha sottolineato: «Che bello vedere il signore nella nostra famiglia, nei nostri amici nei nostri oratori». E ha proseguito: «Ci sono persone che hanno donato la loro vita, non perché pagati, non perché obbligati, non perché erano dei pazzi, ma perché hanno capito che seguire Gesù ne vale davvero la gioia, che è bello essere suoi testimoni».

Dopo la celebrazione è stato possibile nella cripta all’interno della Chiesa di San Bartolomeo il memoriale dei nuovi martiri dal XX al XXI secolo.

Nel pomeriggio la visita a San Paolo Fuori le mura, una delle quattro basiliche papali a Roma, la più grande dopo quella di San Pietro in Vaticano.

 

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Dopo un momento di preghiera e il rinnovo della professione di fede, i diversi gruppi di oratori si sono riuniti nel parco presente a lato della basilica, sfruttando la bella giornata di sole, per cantare gli inni rap degli oratori realizzate dai singoli gruppi il primo giorno durante il viaggio in treno. Questo momento ha permesso ai ragazzi di conoscersi tra loro e stringere nuove amicizie anche tra gruppi di oratori diversi.

Domani, ultimo giorno di pellegrinaggio, l’udienza papale in piazza san Pietro e la visita della Basilica con un momento di preghiera all’altare della Cattedra prima della partenza per il viaggio di ritorno.




Academy del sociosanitario: formazione gratuita per personale Asa

La gestione della fase post Covid ha evidenziato l’esigenza di incrementare le figure professionali nelle strutture socio–sanitarie. In quest’ambito nasce l’iniziativa promossa da A.R.Sa.C, l’associazione che riunisce tutte le RSA e le RSD della provincia di Cremona, e UNEBA Cremona per la promozione di corsi gratuiti per la formazione di Asa (ausiliari socio assistenziali) necessari alle strutture del Cremonese, Cremasco e Casalasco. L’iniziativa, “Academy del sociosanitario”. è stata presentata nella mattinata di venerdì 24 febbraio nella sala del Consiglio della Provincia di Cremona con l’intervento di Giovanni Scotti (presidente ARSAC), don Roberto Rota (presidente di UNEBA Cremona), Franco Tirloni (consigliere ARSAC e UNEBA) e Germana Scaglioni (direttrice ARBRA), nonché dei rappresentanti degli enti sostenitori.

«Academy del sociosanitario» è un’iniziativa finalizzata a formare personale specializzato nel sistema assistenziale della provincia di Cremona. Il progetto è partito lo scorso anno coinvolgendo due RSA del territorio (la Fondazione Elisabetta Germani e l’Istituto Ospedaliero di Sospiro) e per il 2023 coinvolgerà tutta la provincia con quattro classi di Asa. In tutto saranno un centinaio i candidati, 25 per classe: si tratta di disoccupati, privi delle risorse necessarie per pagarsi un percorso di studi oneroso oppure di stranieri disposti a integrarsi. Con la prospettiva, per loro, di un’assunzione diretta nelle RSA del territorio.

La formazione, che si comporrà di una parte teorica e di una pratica con appositi tirocini, sarà curata dall’agenzia di formazione ARBRA con il sostegno di Regione Lombardia.

«Come associazioni abbiamo fortemente voluto questa opportunità che sarà gratuita per i partecipanti – hanno dichiarato i Presidenti di A.R.Sa.C. e UNEBA, Giovanni Scotti e don Roberto Rota – ma che alla fine del corso offrirà loro una possibilità di lavoro immediata e duratura nelle nostre strutture».

Due corsi si terranno a Cremona, presso ARBRA, un altro presso l’Istituto ospedaliero di Sospiro e il quarto presso la RSA Zucchi-Falcina di Soresina. Le iscrizioni entro il 31 marzo scrivendo a adesioni@arbra.it o telefonando allo 0372-30096. Il corso avrà una durata di 800 ore: 450 d’aula e 350 di tirocini, da svolgersi direttamente presso le RSA della provincia nei pressi dei domicili dei candidati.

L’Academy è finanziata tramite il fondo “FormaTemp” dalle Agenzie per il Lavoro: tale fondo rappresenta uno strumento per la gestione bilaterale della formazione e del sostegno al reddito; rende disponibili le risorse necessarie per qualificare o riqualificare il lavoro, in termini di conoscenze, di competenze e di aggiornamento, in somministrazione nelle politiche attive del lavoro.

Come ha sottolineato la direttrice di ARBRA FORMAZIONE, Germana Scaglioni, «Il finanziamento complessivo che ricadrà sul nostro territorio è importante, confermando così come le Rsa-Residenze Sanitarie Assistenziali, rappresentino per il territorio un’autentica risorsa in termini sì di assistenza alla popolazione con fragilità, ma anche di sostegno all’economia locale».




Alle Figlie di San Camillo l’arrivo della reliquia del beato Luigi Tezza. Il vescovo Napolioni: «È bello sperimentare i frutti della santità»

 

Accompagnata dal canto e dalla preghiera la reliquia del beato Luigi Tezza ha fatto il suo ingresso nella cappella dell’istituto ospedaliero della Casa di Cura Figlie di San Camillo alle 15 di martedì 10 gennaio, accolta dai medici e dagli infermieri, dalle suore Camilliane dell’istituto e dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, che ha presieduto la Santa Messa, concelebrata da padre Virginio Bebber, da don Giulio Brambilla, responsabile per la vita consacrata della diocesi, con il servizio all’altare del diacono Alex Malfasi. Il beato Luigi Tezza, insieme alla santa Giuditta Vannini, è stato il fondatore dell’istituto ospedaliero delle Figlie di San Camillo, che nel caso della struttura di Cremona, la seconda fondata dopo quella di Roma, opera da 130 anni in prima linea nell’assistenza e nella cura dei malati, e dopo numerosi anni si dimostra con fede e capacità, caposaldo fra le case di cura camilliane.

Prima della Celebrazione Eucaristica, dopo l’arrivo della reliquia, la madre superiora dell’istituto Anna Ucci ha preso la parola, introducendo ai presenti la vita del beato fondatore di cui ha ripercorso i momenti più significativi della sua vita, ponendo particolare attenzione su quelli che l’hanno avvicinato all’assistenza dei poveri e dei malati fino all’incontro con santa Giuditta Vannini, spiegando quali sono gli insegnamenti che non solo ha lasciato, ma che ha dimostrato col proprio carisma,.

«Mi sono commosso perché è bello essere un popolo di credenti umili e grati, è bello sperimentare i frutti della santità, è bello riconoscere il nostro bisogno di questi segni che al mondo possono apparire paradossali». Sono queste le parole che il vescovo Napolioni ha utilizzato per descrivere l’arrivo della reliquia. «Ma si fa festa ad un pezzo d’osso? O si fa festa per ogni corpo? Per ogni vita, per ogni frammento di vita umana che ospita la vita di Dio? Ogni briciola di esistenza è una briciola d’Eucaristia».

Il Vescovo si è poi rivolto alle suore, ai medici e agli infermieri, con particolare attenzione al loro operato, ha infatti richiamato l’insegnamento di San Camillo, sottolineando che bisogna «Essere accanto ai malati come una madre amorevole, con tenerezza, avendo cura della persona tutta intera. Quanto volte ci siamo fermati a riflettere su questo? – ha aggiunto – Quanto è bello poter dire che qui questo si sperimenta, si sperimenta l’amicizia, si sperimenta quella gamma di sentimenti e di relazioni di cui il Vangelo è portatore e di cui l’inno alla carità è programma. Il beato Luigi desiderava fare bene il bene, dunque professionalità e qualità del rapporto che si crea con la persona in difficoltà, la fantasia della carità».

Ha poi concluso l’omelia che un monito: «Non dobbiamo temere il futuro se continuiamo a sperimentare che in ogni secolo il Signore ha suscitato uomini e donne profetici, incompresi dai contemporanei e poi riconosciuti come portatori di quelle scelte e quelle opere che corrispondevano davvero alla volontà di Dio e al bene dell’umanità, e allora tocca a noi adesso, tocca a noi far la nostra piccola parte e farla tutta, farla bene e farla con amore».

Ascolta qui l’omelia

 

Il viaggio della reliquia del beato Luigi Tezza non si ferma, ma continua in nuovi luoghi e con nuovi appuntamenti. Da mercoledì 11 fino a venerdì 13 gennaio la reliquia sarà esposta per la venerazione pubblica sempre nella cappella della Casa di Cura Figlie di San Camillo e successivamente, il 14 gennaio, sarà portata in processione alle 17.30 nella vicina chiesa di S. Ambrogio, dove sarà celebrata una Messa alle 18 e dove resterà fino al giorno successivo, domenica 15, con altre due celebrazioni alle 8 e alle 10. La reliquia farà poi ritorno in cappella alle Figlie San Camillo dal 16 al 20 gennaio. Il 21 gennaio, invece, il reliquiario sarà trasferito presso la casa di cura San Camillo, in via Mantova, dove resterà sino al 22 gennaio, con le Messe celebrate alle 17 di sabato e alle 10 di domenica.

Quindi il rientro per un ultimo periodo di venerazione provata nella clinica di via Fabio Filzi, sino a martedi 24 gennaio. Mercoledì 25 alle 15, la Messa presso la cappella della casa di cura, presieduta dal vescovo emerito Dante Lafranconi prima che i resti del beato Luigi Tezza lascino la città alla volta di Brescia.

Locandina con il programma cremonese della peregrinatio




Il Vescovo alla Protezione civile: «Come Gesù, sempre pronti a rispondere alla chiamata»

 

Nei momenti di difficoltà e nelle situazioni di pericolo, dove a gran voce si richiede conforto a causa di disastri naturali e sciagure, il Dipartimento della Protezione Civile è sempre pronto ad intervenire, senza chiedere nulla in cambio, con i propri volontari, che da semplici cittadini passano a indossare la divisa per gettarsi in prima linea dedicandosi a chi è in pericolo, coordinando le attività di gestione nei luoghi colpiti e assistendo le forze dell’ordine con rigore e disciplina.

La città di Cremona certo non dimentica chi, per puro altruismo, impegna se stesso e il proprio tempo in favore della comunità, e per questo, nel pomeriggio di mercoledì 14 dicembre, presso la chiesa del Seminario, il vescovo Antonio Napolioni ha celebrato, in occasione del Natale, per la prima volta, la Messa per i volontari della Protezione Civile, che hanno riempito la chiesa rigorosamente vestiti della tipica uniforme gialla e nera.

«Questa non è la Messa di Natale: ci prepara al Natale, lo prepara nel cuore, attraverso quella scelta di libertà che è il volontariato e aver detto sì a una chiamata». Con queste parole il Vescovo ha introdotto la celebrazione, rivolgendosi a tutti i presenti.

L’omelia è stata introdotta con una domanda e una provocazione. «Se davanti alle disgrazie, alle difficoltà e alle prove della vita, ci fosse solo la preghiera, ce la faremmo?». Rivolgendosi quindi ai volontari, riprendendo le parole del Battista, ha spiegato che «in qualche modo dobbiamo aspettare tanti altri, tanti altri volontari». «Quanti volontari ci servono affinché ci sia la pace nel mondo? Quanti uomini e donne di buona volontà aspettiamo che corrispondano all’annuncio degli angeli?». «Servono tutti – la risposta – c’è bisogno di tutti, siete tanti, grazie, ma non bastate mai». Una vera e propria missione, quella degli uomini e delle donne della Protezione civile dei vari gruppi sparsi sul territorio, «come Gesù, sempre pronti a rispondere alla chiamata».

Al termine della celebrazione il Vescovo è andato a salutare e congratularsi personalmente con i membri della Protezione Civile, augurando loro che «il senso profondo della vita» non li abbandoni mai, affinché siano sempre pronti e giusti nell’intervento.

La Messa è stata vissuta nell’ambito dell’incontro di fine d’anno con la Protezione Civile, per questo ha fatto seguito nel salone Bonomelli del Seminario la presentazione del consuntivo delle attività svolte nel 2022 ed i ringraziamenti alle singole Associazioni e Gruppi di Protezione civile.

Oltre al Presidente della Provincia, Paolo Mirko Signoroni, presenti numerosi Sindaci del territorio con i consiglieri provinciali Matteo Gorlani e Attilio Paolo Zabert, la responsabile della Protezione Civile della Provincia Elena Milanesi con gli uffici, il rettore del Seminario don Marco D’Agostino, che ha portato i suoli saluti.

Presenti sul territorio 33 Organizzazioni di Volontariato (ODV) – Gruppi Comunali, per un totale di 750 Volontari e due gruppi convenzionati, uno di Mantova ed uno di Brescia; 750 persone attivate nel 2022 per le emergenze per circa 1000 giornate di lavoro, più di 500 per le esercitazioni e duecento per gli eventi.

A concludere l’iniziativa la consegna degli attestati di ringraziamento ai vari gruppi ed Associazioni di Protezione civile.




Presentazione alla cittadinanza dell’adeguamento liturgico della Cattedrale. Gli interventi

L’intervento del sindaco di Cremona Gianluca Galimberti 
L’intervento di don Gianluca Gaiardi, direttore dell’Ufficio diocesano per i Beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto
L’intervento dell’architetto Massimiliano Valdinoci
L’intervento del liturgista Goffredo Boselli
L’intervento del vescovo di Cremona mons. Antonio Napoolioni

 





Statistica diocesana, entro il 30 novembre la comunicazione dei Sacramenti conferiti nel 2022

Al fine di permettere la compilazione in modo corretto della statistica diocesana annuale, l’Ufficio Studi e Documentazioni della Cancelleria della Curia invita i parroci e gli amministratori parrocchiali a comunicare i dati relativi ai Sacramenti amministrati nell’anno 2022.

In particolare è necessario comunicare il numero di Battesimi (differenziati nelle tre fasce d’età: 0/1 anno; 1/7 anni; più di 7 anni), Prime Comunioni, Cresime e Matrimoni.

La raccolta dei dati riferiti ai sacramenti può essere “cumulativa” nel caso di unità pastorali o di più parrocchie con un solo parroco, mentre quella della popolazione deve essere riferita ad ogni singola parrocchia.

I dati devono essere comunicati, attraverso apposita scheda (Scaricare qui), entro il 30 novembre alla Cancelleria secondo le seguenti modalità:




Sinodo. Per una Chiesa che non divide il mondo, ma lo ascolta alla luce della Parola. Intervista a don Maccagni

È stato pubblicato in questi giorni il documento di Sintesi in cui la Conferenza episcopale italiana ha raccolto il lavoro della prima fase del percorso sinodale avviato nelle diocesi italiane nel primo anno dedicato all’ascolto. Un percorso che ha coinvolto anche la Chiesa cremonese nelle zone pastorali, nelle parrocchie, tra i gruppi e le associazioni.

Scarica qui il documento completo (pdf)

Rileggiamo dunque la Sintesi della Cei alla luce del percorso diocesano insieme a don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il Clero e la pastorale della Diocesi di Cremona.

Don Maccagni, lei ha seguito da vicino la fase diocesana nelle comunità sul territorio: riconosce la voce della chiesa Cremonese tra le righe del documento di sintesi pubblicato della CEI?

Mi ci ritrovo molto, soprattutto nella prima parte del documento, in cui si descrivono le difficoltà e le buone opportunità sperimentate nel corso del percorso avviato in diocesi con la fase di ascolto. Da un lato la difficoltà di uscire dall’ambito parrocchiale e intra-ecclesiale, quella di intercettare alcuni ambiti della società, come ad esempio quello dei giovani, e anche la fatica di motivare tutto il clero che non ha accolto sempre con convinzione ed entusiasmo  l’opportunità dell’evento sinodale. Ci consola in qualche modo riconoscere che anche le altre diocesi italiane hanno vissuto le stesse difficoltà. Così come è bello vedere che anche le altre chiese locali italiane hanno riconosciuto nella riscoperta di uno stile di ascolto e di discernimento con il coinvolgimento dei laici una una buona opportunità. Certo, deve essere mantenuto e non solo ricordato come un evento che inizia e finisce.

La voce delle comunità, consegnato a Roma il documento di sintesi del Sinodo (video e download)

C’è nella sintesi Cei qualche passaggio in particolare emerso con forza anche in diocesi?

Si è notato subito un deficit di ascolto. Quando abbiamo creato situazioni in cui i laici hanno avuto la possibilità di esprimersi anche molto liberamente, si è notato con evidenza il bisogno di essere ascoltati. È una dimensione che si era trascurata. È emerso come la gestione delle parrocchie e delle strutture ecclesiali in generale sia ancora centrata sul ruolo determinante del clero. I laici e i religiosi si sentivano considerati come buoni collaboratori e non come soggetti attivi. Questo si traduce nell’invito urgente a mettere al centro persone e relazioni più che le cose da fare, così come – ad esempio – nella domanda di liturgie più attraenti e coinvolgenti, in un nuovo modo di concepire e praticare la collaborazione tra preti, laici e religiosi.

A che punto siamo su questo fronte?

Per rendercene conto abbiamo osservato lo stato di salute degli organismi diocesani di rappresentanza ecclesiale, che dovrebbero essere la rappresentazione di una Chiesa che vive dei suoi diversi carismi. Vi abbiamo trovato una sentimento diffuso di stanchezza e frustrazione; si percepisce spesso la sterilità di questi organismi che non mostrano il volto di una Chiesa come deve essere: luoghi di sincero ascolto dove esiste, certo, una presidenza presbiterale, ma soprattutto luoghi dove si ascolta. Il compito del prete è quello di riconoscere le voci di tutti e farne sintesi. Può avere l’ultima parola ma non deve certo essere l’unica. 

In questo senso come procede il cammino sulle nuove ministerialità laicali all’interno della Chiesa? 

Paradossalmente la diminuzione numerica del clero non ha portato in questi anni a una reale valorizzazione dei ministeri laicali, ma ha prodotto piuttosto un sovraccarico di lavoro per i preti e una tendenza alla delega ai laici di alcune mansioni pastorali, come una triste necessità più che come occasione. Dovremo lavorare per dare nuovo valore a spazi di condivisione e corresponsabilità e proporre percorsi efficaci di formazione per i ministeri laicali. Tra i cantieri messi in evidenza dal vescovo per il nuovo anno pastorale c’è proprio quello su ministerialità e formazione.

Fragilità, liturgia, ruolo delle donne, mancanza di una comunicazione trasparente… Sono tanti i temi affrontati dalla sintesi della CEI: quale tra questi secondo lei toccherà più da vicino la sensibilità delle comunità cristiane?

Sono temi significativi. A porli, anche in diocesi, più che i gruppi parrocchiali, sono stati movimenti, associazioni e gruppi informali creati nelle parrocchie. Ad esempio si è sottolineato con forza il bisogno di ridare vigore e dignità alla donna nella vita ecclesiale, non solo nella fase esecutiva, ma in quella decisionale da cui purtroppo la presenza femminile è ancora tenuta ai margini.

Un altro aspetto che è stato proposto con particolare urgenza è quello di una comunicazione che non può essere intesa sono solo interna al tessuto ecclesiale, ma deve porsi l’obiettivo di imparare un linguaggio meno ecclesiastico che consenta di aprire un dialogo con i mondi in cui cristiani sono presenti nel quotidiano: cultura politica sport… e con il mondo delle fragilità, ambito dove in alcuni casi la comunità si mobilita, mentre in altri la Chiesa appare ancora distante (penso ad esempio alle comunità Lgbt o alle persone separate e divorziate):  c’è ancora chi si sente giudicato come utente, più che accolto come persona con cui dialogare.

Da un lato il documento della Cei sottolinea il richiamo al rinnovamento, dall’altro la necessità di riferimenti certi: la Sintesi fa più volte riferimento alla necessità di tornare sempre di più alla Parola. Le nostre comunità hanno iniziato questo percorso con il Giorno dell’Ascolto: quali frutti sta portando e quali potrà portare?

È un cammino da proseguire. La Cei parla di “conversazione spirituale” e la logica è proprio quella del nostro Giorno dell’ascolto: abitudine a ritrovarsi nell’ascolto della Parola, e insieme a dei fratelli, per fare discernimento su una storia che pone interrogativi nuovi a cui lo Spirito dà risposte nuove da riconoscere per interpretare correttamente il tempo e il vissuto delle persone. È questo il fondamento per una Chiesa che non sia più solo “maestra”, che sa già tutte le risposte dare, ma che sia una Chiesa capace di ascoltare, di mettersi alla ricerca dei segni che lo Spirito ha disseminato negli ambiti e nei luoghi della società. “Discernimento” è la parola chiave che richiede oggi uno sforzo per mettersi autenticamente in ascolto della realtà, da comprendere e interpretare alla luce della Rivelazione che ci viene data nella Parola di Dio.

Certo, la volontà di rinnovamento che emerge da questa prima fase di Sinodo, prende forma da una forte presa di coscienza di criticità significative che mettono in evidenza il rischio di una distanza sempre maggiore tra la Chiesa e la società. Qual è la via da seguire?

Più che di strategie pastorali, si tratta di abbracciare una nuova mentalità: non considerare più il mondo spaccato in due tra chi è dentro e chi è fuori, tra chi è “dei nostri” e chi è lontano. C’è bisogno di una Chiesa che non abbia sul mondo uno sguardo di proselitismo: non viviamo un mondo da riconquistare perché abbiamo perso spazi, ma è principalmente un mondo da ascoltare, accompagnare e incontrare nei semi di verità che lo Spirito suscita in ogni circostanza. Così è urgente entrare in dialogo con il nostro tempo per portare la luce del Vangelo come risposta al bisogno di pienezza che c’è nel cuore di ogni uomo. I passi in avanti sono da fare insieme all’umanità e dentro la storia.

Quale sarà l’utilizzo che la comunità cristiana sul territorio potrà fare di questo documento?

Come orientamenti pastorali per il nuovo anno abbiamo sposato in pieno i cantieri proposti dalla Chiesa italiana per questa seconda fase del Sinodo, che chiamiamo “fase narrativa”. Sono quattro i cantieri che il Vescovo proporrà alla comunità cristiana  in cui i temi emersi verranno posti al centro dell’attenzione: l’ascolto di quei ‘mondi’ che non abbiamo ancora intercettato, la sperimentazione di nuovi spazi e nuovi linguaggi per il dialogo, la condivisione della Parola, la formazione del clero e del laicato, promuovendo una autentica ministerialità. Ci sarà anche un cantiere dedicato all’itinerario dell’iniziazione cristiana introdotto vent’anni fa in diocesi, ma bisognoso ora di adattamenti . Vivere questo secondo anno “narrativo” impegnandoci tutti in questi cantieri già aperti che ci permetteranno di individuare percorsi efficaci per il rinnovamento ecclesiale che viene richiesto.

Sinodo: pubblicata dalla CEI la sintesi finale della fase diocesana




Il Sinodo in parrocchia. In una Chiesa che sia come casa

Un po’ rincuora, un po’ sollecita la sintesi (SCARICA QUI) pubblicata dalla CEI e riguardante gli ascolti diocesani a chiusura del primo anno sinodale delle chiese in Italia. Sì, perché l’articolazione del testo, di non immediata lettura e non così sintetico, colpisce per alcune pennellate di realismo che disinnescano lo scetticismo con cui ormai si approcciano testi “ufficiali”. Colpisce un approccio aderente alla realtà, capace di non trasformare immediatamente i vissuti raccolti in moralismo. Non mancano alcune sottolineature “fuori onda”, come quella di alcuni stili episcopali non in linea con le istanze sinodali o come quella che riguarda il peso – anche giuridico – delle strutture pastorali, come pure quella che fotografa il carattere ondivago dei processi sinodali, segnati anche da una buona dose di scetticismo.

A leggere il testo, soprattutto nello scorrere le dieci parole-chiave che fungono da coagulo dei materiali prodotti dalle singole diocesi, si riconosce un pezzo importante della condizione ecclesiale oggi: non di una chiesa teorizzata a tavolino, ma di un corpo reale che a volte intuisce ma non sa mettersi in gioco, a volte abita la prossimità ma non sa trasformare questa vocazione in cultura… insomma sembra di essere a casa. E si sa, ciascuno conosce di casa sua la bellezza e la familiarità, ma anche i guai che non si cancellano a suon di documenti o certificati.

C’è molta verità della Chiesa e sulla Chiesa e a fare la differenza sembra proprio il nesso esistenziale tra biografie (personali e comunitarie) e mistero di Gesù. Perché ricorre spessissimo, come chiave di lettura, il binomio che unisce relazioni ed esperienza vitale della fede.
La massa di riletture è ricondotta a dieci snodi di fondo, da leggere come i segnavia di un percorso non sempre facile, come accade a chi parte per la montagna e ogni tanto deve consultare la mappa, verificare la propria posizione, sostare per riposare, prendere fiato e bere qualcosa: ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo. Ce ne sarebbe per innumerevoli consigli pastorali, ma soprattutto ce ne sarebbe per sfatare certi miti: quelli numerici, quello dell’innervatura certa delle comunità nei territori, quello della chiesa-istituzione ancora modellata e percepita su un’idea piramidale e discendente dell’autorità… ma, si sa, i miti persistono e spesso abitano la ruggine più insistente delle simboliche mentali.
A porre in filigrana il testo di sintesi con l’esperienza quotidiana di una comunità, sembrano evidenziarsi almeno quattro questioni, problemi e sfide ad un tempo:

  1. lo stile delle relazioni: ormai la questione “affettiva” dentro la Chiesa non è più rinviabile. Essa non si limita al delicato e pure urgente tema delle minoranze né al solo recupero della presenza femminile, ma ha il sapore più ampio, e spesso più amaro, della temperatura emotiva dell’appartenenza comunitaria. Si fa spesso fatica a percepire nell’esperienza psicologica quello che per teologia si è nella Chiesa: fratelli e sorelle, commensali alla medesima Eucaristia. Mettere a tema la qualità delle relazioni significa ridisegnare costantemente il modo di essere nella Chiesa, non dare per scontata la leadership, smettere di mettere tra parentesi la questione del potere e delle responsabilità, come se esistesse un cortile dove si è fratelli e una stanza dei bottoni in cui solo la solitudine magari del clero può espletare alcune funzioni.
  2. la connessione tra parola di Dio e vita: perché l’annuncio del Vangelo narri un senso, è necessario l’incontro con la vita e quella saldatura di realtà che oggi è la grande sfida culturale della Chiesa. Si può continuare a riproporre un ritmo, anche liturgico, separato ed autonomo oppure si può dar fiducia alla vita, soprattutto delle famiglie e delle esperienze laicali: queste interpellare ed ascoltare, a queste chiedere di innervare la parola di Dio nella storia. Le conseguenze soprattutto di natura psicologica sull’idea anche della parrocchia come un centro di servizi o un luogo in cui “fare rapporto” sono evidenti.
  3. la geografia della cura e della prossimità: non va mai perso di vista il dispositivo centrale della fede cristiana, la norma dell’incarnazione che giudica ogni stile e lo richiama alla sua prima vocazione. Che il destino bello ed avvincente delle comunità ecclesiali stia proprio anche nel farsi carico delle periferie, anzi essere loro stesse periferie? Domanda scomoda, che però risuona anche oltre la retorica su papa Francesco. Chiese, parrocchie e oratori sono già periferia, e da un pezzo. La sfida è sempre con quale stile questi luoghi vengono abitati e chi sceglie di accettare questa vocazione, dentro la complessità della vita.
  4. l’idea di una Chiesa-casa: le metafore per descrivere la Chiesa sono davvero moltissime, ma forse in questa stagione ecclesiale l’idea di una Chiesa che assomigli anche ad una casa, accogliente ed inclusiva, pare efficace ed urgente. Una casa in cui la familiarità delle relazioni non sia una chimera e in cui l’arredamento, i ritmi e l’atmosfera facciano percepire che si è autorizzati a vivere. Una casa in cui si abbia il coraggio non solo di fare cose o pretendere servizi, ma anche raccontarsi e respirare. Forse non è un caso che il prossimo anno sinodale sia scandito dall’episodio di Gesù che frequenta la casa di Marta e Maria.

don Paolo Arienti
Docente Teologia ISSR S. Agostino e Seminario di Cremona

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L’«eccomi» di don William Dalé, ordinato sacerdote in Cattedrale

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Don William ha fatto il suo ingresso nella grande navata della Cattedrale di Cremona accompagnato dalle note di un inno allo Spirito Santo. È entrato nella celebrazione della sua ordinazione presbiterale in veste di diacono, lo sguardo fisso in direzione dell’altare, un cero acceso tra le mani. Ad accompagnarlo, come una solenne corrente bianca in preghiera, il Vescovo Napolioni con il clero diocesano, i sacerdoti che lo hanno accompagnato nel suo percorso di formazione nelle parrocchie dove è cresciuto e ha prestato servizio da seminarista, don Giuseppe Nevi, parroco di Soncino, il team di formazione del Seminario vescovile, i giovani preti che con lui hanno condiviso un tratto di percorso. Nei primi banchi i famigliari e i sindaci di Soncino e Casalbuttano, dove don William è nato e dove ha svolto il suo ministero diaconale nell’ultimo anno.

Con un raccoglimento profondo il giovane diacono ha seguito la liturgia della Parola, prima del momento dell’ordinazione, introdotto dal momento della presentazione ed elezione, in cui don William, presentato dal rettore del Seminario, don Marco D’Agostino, ha pronunciato il suo «eccomi», prima di disporsi all’ascolto dell’omelia del vescovo che in più di un passaggio si è rivolto direttamente a lui, in un significativo richiamo tra la figura di san Barnaba, descritta nel brano degli Atti degli Apostoli, e la missione del sacerdote, che – ha sottolineato monsignor Napolioni – rappresenta una sorta di «identikit» del presbitero che si lascia «coinvolgere dal Vangelo». «Sei in cammino – si è rivolto il vescovo, direttamente all’ordinando –, tutti noi siamo faticosamente alle prese con i nostri limiti ma anche grati a chi ci ha formato, affinché le virtù diventassero attraenti, ma soprattutto si facesse spazio in noi allo Spirito Santo e diventassimo uomini e donne credenti. Questa è la prima caratteristica, il più grande complimento per un prete: “quello è un prete che ci crede!”».

Riprendendo poi i passaggi della Scrittura, il Vescovo ha sottolineato altri aspetti centrali della vocazione sacerdotale: «La missione di un prete comincia da qui: nel vedere e riconoscere la grazia di Dio che ci precede. Ovunque andrai non sarai il primo a portare il Signore: c’è già! Noi siamo lì a rallegrarci e a far sì che tutti si rallegrino. Questo dilata la Chiesa e il regno di Dio, nel dialogo, con le esperienze, i cammini e le diversità che il Signore non ha paura di toccare con il suo amore».

Un percorso, dunque, che continua nel confronto con la storia e con le relazioni che costituiscono la Chiesa: «Barnaba – è proseguita la riflessione di monsignor Napolioni – ha portato il Vangelo insieme ad altri apostoli. Nessuno diventa prete da solo: l’imposizione delle mani che tra poco vivremo è segno che supera le nostre simpatie e rende possibile la misericordia degli uni verso gli altri, perché solo così possiamo essere credibili. Non possiamo pretendere umiltà e fedeltà se noi non le pratichiamo».

Altri due passaggi degli Atti  sono stati poi ripresi dal vescovo che ha voluto andare al cuore della fede cristiana ricordando come proprio ad Antiochia «i discepoli furono chiamati per la prima volta cristiani. Noi – ha quindi riflettuto – ci abbiamo fatto l’abitudine e c’è il rischio che oggi occorra far sì che noi cristiani scopriamo di essere anche discepoli. Ti chiedo di aiutare i cristiani a vivere da discepoli. Il Cristianesimo non può essere un certificato, una cerimonia, ma deve essere un’esperienza quotidiana, di ascolto del Vangelo, condivisione della vita, di avventura della missione».

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«E il fondamento di ogni missione – ha quindi concluso il vescovo – è in quell’inciso che torna: “Strada facendo…”. La strada sarà il vero luogo di realizzazione della tua missione. Non chiuderti solamente in parrocchia e in oratorio, ma fai che parrocchia e oratorio siano una strada, aperti sulla strada. Non avere paura».

Dopo l’omelia la celebrazione è proseguita con la liturgia dell’ordinazione di don William Dalé che dopo la manifestazione della volontà e l’assunzione dell’impegno al ministero sacerdotale con i cinque «lo voglio», ha posto le sue mani in quelle del vescovo per la promessa di rispetto e obbedienza.

Quindi il canto delle litanie dei santi ha intonato la preghiera mentre don William si è prostrato con il volto a terra, prima del momento dell’imposizione delle mani sul capo da parte del vescovo e di tutti gli altri presbiteri concelebranti in segno di fraterna accoglienza nel presbiterato. Poi il vescovo ha recitato la preghiera di ordinazione introducendo ai riti esplicativi: la vestizione degli abiti sacerdotali, l’unzione con il sacro crisma, la consegna del pane e del vino, l’abbraccio di pace con il vescovo e la professione di fede, che ha concluso il rito dell’ordinazione.

La Messa è quindi proseguita con la liturgia eucaristica, durante la quale per la prima volta il sacerdote novello ha consacrato il pane e il vino.

La festa com i confratelli, i parenti e gli amici, al termine della celebrazione, continuerà domenica 12 giugno a Soncino dove il sacerdote novello celebrerà la sua prima Messa alle 10.30 nella chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta e San Giacomo apostolo.

 

Il video integrale della celebrazione

 

Biografia di don William Dalé

Don William Dalé, classe 1994, è originario della parrocchia di Santa Maria Assunta e San Giacomo apostolo di Soncino. Dopo gli studi teologici presso il Seminario vescovile di Cremona, il 18 settembre 2021 è stato ordinato diaconi.

Da tre anni presta servizio presso l’unità pastorale Nostra Signora della Graffignana, in particolare dedicandosi alla catechesi dei giovani nella parrocchia di Casalbuttano, coadiuvando il parroco in oratorio e prestando assistenza spirituale alla casa di riposo.

Nel 2020 ha conseguito il baccalaureato in Teologia e nel 2021 ha insegnato religione al liceo “Sofonisba Anguissola” di Cremona; mentre nell’ultimo anno è stato docente di religione presso la scuola media di Castelverde.

 

A Soncino la Prima Messa del prete novello don William Dalè