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Unità dei cristiani: giovedì sera incontro con padre Giovanni Guaita, ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa; sabato sera veglia ecumenica

Si celebra dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto quest’anno è “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16, 18-20). Due le proposte di riflessione e spiritualità offerte dall’Ufficio diocesano per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso, coordinato da don Federico Celini. 

Di “Unità e diversità nella Chiesa ieri e oggi”, con un cenno all’esperienza del vescovo Liutprando di Cremona, si parlerà la sera di giovedì 17 gennaio al Centro pastorale diocesano di Cremona (ore 21) con padre Giovanni Guaita, ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa.

Sabato 19 gennaio, alle 21, nella chiesa di S. Ilario, a Cremona, la tradizionale veglia ecumenica di preghiera alla presenza del vescovo Antonio Napolioni e del pastore Nicola Tedoldi della Chiesa Metodista di Piacenza–Cremona.

In ogni comunità parrocchiale della diocesi nella celebrazione eucaristica di domenica 20 gennaio potrà trovare le forme più opportune l’intenzione che associa tutte le denominazioni cristiane.

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Il tema di quest’anno è stato scelto e sviluppato dalla comunità cristiana dell’Indonesia. La Settimana è un’iniziativa ecumenica di preghiera nel quale tutte le confessioni cristiane pregano insieme per il raggiungimento della piena unità.

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani tradizionalmente si svolge dal 18 al 25 gennaio (per l’emisfero Nord), perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo. Fu avviata ufficialmente dal reverendo episcopaliano Paul Wattson a Graymoor (New York) nel 1908 come Ottavario per l’unità della Chiesa e dal 1968 il tema e i testi per la preghiera sono elaborati congiuntamente dalla commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, per protestanti e ortodossi, e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per i cattolici.

Di seguito vi proponiamo l’intervista realizzata al Sir al presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, cardinale Kurt Koch.

 

 

“La giustizia è fondamento dell’unità. Non possiamo avere unità se non abbiamo giustizia”. Così il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, commenta il tema “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16, 18-20), che quest’anno accompagnerà le preghiere e le meditazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (dal 18 al 25 gennaio). Nel 2019 – ricorda poi il cardinale Koch – la Settimana si celebra a 20 anni dalla firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica.

Eminenza, quali sono le ingiustizie che colpiscono e preoccupano le Chiese cristiane?
L’ingiustizia fondamentale nel cristianesimo sono le divisioni perché Gesù ha voluto una Chiesa. In questo senso, come ha detto il Concilio Vaticano II, la divisione è una grande ferita, è contraria alla volontà del Signore, danneggia la Chiesa e danneggia l’annuncio principale del Vangelo. Ritrovare l’unità vuol dire quindi superare anche l’ingiustizia della divisione. Il tema della Settimana viene dall’Indonesia che è un Paese formato da cittadini di diverse origini e dove è molto importante trovare l’unità nella diversità e nella giustizia.

Anche in Europa siamo sollecitati da altre culture che bussano alle nostre porte a causa di guerre e povertà. Il tema della Settimana quest’anno vuole essere un richiamo ad essere giusti anche nei confronti di questi uomini e donne?
Vorrei dire che l’Europa è un continente che deve ritrovare la sua unità nella pluralità delle culture che esistono al suo interno. L’unità riconciliata. E poi vorrei anche aggiungere che la grande sfida dell’immigrazione è una grande crisi dell’Europa: possiamo risolvere questo problema soltanto con una più grande solidarietà tra i differenti Paesi. E questo manca.

In questo senso la crisi della migrazione è crisi dell’Europa.

Sono spesso le Chiese ad essere in prima linea in progetti di accoglienza e integrazione. Perché lo fanno e quale messaggio danno all’Europa?

I cristiani lo fanno perché credono in Dio e Dio non è soltanto il Dio dei cristiani ma è Dio per tutti gli uomini.

Come ha detto Gesù nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, in tutti coloro che sono malati, che soffrono, che sono bisognosi, Cristo è presente. Aiutare chi è fuggito da Paesi lontani, è per noi cristiani andare incontro a Cristo. C’è una presenza reale di Gesù Cristo nei poveri, nei bisognosi. Se crediamo che Cristo è presente in questo mondo, dobbiamo vedere la sua presenza in questi uomini.

Papa Francesco è in partenza per Panama e non potendo quindi partecipare ai Vespri che si celebrano il 25 gennaio, ultimo giorno della Settimana di preghiera, ha deciso di anticipare la sua presenza a venerdì prossimo, sempre nella Basilica di san Paolo fuori le Mura. Perché lo ha fatto? 
È una bellissima decisione da parte del Santo Padre. Questo mostra due cose. La prima è che l’ecumenismo sta molto a cuore al Santo Padre. La seconda è che il fatto che quest’anno i Vespri vengano celebrati all’inizio della Settimana, ricorda ancora di più che la preghiera per l’unità è il fondamento e l’origine di tutto il movimento ecumenico. Con la preghiera per l’unità, noi cristiani esprimiamo la nostra condizione e, cioè, che noi non possiamo fare l’unità.

Noi uomini possiamo creare divisioni. Questo lo ha dimostrato la nostra storia e lo dimostra il nostro presente.

L’unità è sempre un dono dello Spirito Santo e la preparazione più adeguata per ricevere questo dono dello Spirito è la preghiera.

Se la meta ultima del movimento ecumenico è la piena comunione delle Chiese, a che punto siamo arrivati? In questi anni, ci siamo avvicinati o allontanati da questa meta?
È difficile da dire. Ed è soprattutto difficile fare un bilancio perché l’ecumenismo non è un nostro compito. Il ministro ecumenico è lo Spirito Santo. Io sono soltanto uno strumento debole. Penso però che abbiamo potuto avanzare in molte cose anche se non abbiamo ancora raggiunto la meta, e cioè l’unità visibile, soprattutto l’unità nella Eucarestia. Siamo una famiglia, siamo fratelli e sorelle, ma non possiamo partecipare alla stessa tavola. È una grande ferita.

Ritrovare questa unità necessita ancora molto tempo, richiede un lungo cammino.

Si tratta, allora, di proseguire con questa visione trinitaria che dice sempre Francesco: camminare insieme, pregare insieme, collaborare insieme.




Papa Francesco: riparare danni causati dall’incomprensione tra ebrei e cristiani

“Per l’ebreo come per il cristiano non v’è dubbio che l’amore verso Dio e verso il prossimo riassume tutti i comandamenti”. “Ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli e sorelle, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune, sul quale fondarsi e continuare a costruire il futuro”. È quanto scrive Papa Francesco nella prefazione del libro “La Bibbia dell’Amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani”. Il volume, a cura di Marco Cassuto Morselli e Giulio Michelini (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2019), è in uscita il 18 gennaio, all’indiomani della XXX Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei (17 gennaio).

Nella prefazione, pubblicata dall’Osservatore Romano, il Pontefice sottolinea che il modo migliore per dialogare “non è solo parlare e discutere, ma fare progetti realizzandoli insieme”. “Obiettivo comune sarà quello di essere testimoni dell’amore del Padre in tutto il mondo”.

Riparare i danni causati dall’incomprensione

“Sono ben consapevole – osserva Francesco – che abbiamo alle spalle diciannove secoli di antigiudaismo cristiano e che pochi decenni di dialogo sono ben poca cosa al confronto. Tuttavia in questi ultimi tempi molte cose sono mutate e altre ancora stanno cambiando”. “Occorre lavorare con maggiore intensità – scrive il Papa – per chiedere perdono e per riparare i danni causati dall’incomprensione. I valori, le tradizioni, le grandi idee che identificano l’Ebraismo e il Cristianesimo devono essere messe al servizio dell’umanità senza mai dimenticare la sacralità e l’autenticità dell’amicizia. La Bibbia ci fa comprendere l’inviolabilità di questi valori, necessaria premessa per un dialogo costruttivo”.

Studio della Torah

“È di vitale importanza per i cristiani – si legge nella prefazione – scoprire e promuovere la conoscenza della tradizione ebraica per riuscire a comprendere più autenticamente se stessi. Anche lo studio della Torah è parte di questo fondamentale impegno. Per questo voglio affidare il vostro cammino di ricerca alle parole dell’invocazione che ogni fedele ebreo recita quotidianamente al termine della preghiera dell’amidah: Che ci siano aperte le porte della Torah, della sapienza, dell’intelligenza e della conoscenza, le porte del nutrimento e del sostentamento, le porte della vita, della grazia, dell’amore e della misericordia e del gradimento davanti a Te”.

(VaticanNews)

 

Il libro di Ester – Sussidio per la XXX Giornata per l’approfondimento
e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei




A Tds parole e musica attraverso il Sud America

Domenica 20 gennaio, presso l’oratorio del Maristella, a Cremona, si è svolto il quarto incontro di Traiettorie di Sguardi, percorso per i giovani della Diocesi che quest’anno ha scelto come tema da seguire nei diversi incontri quello della narrazione. Ospite dell’ultimo incontro è stata l’Associazione latinoamericana di Cremona con il suo coro Voz Latina, esperienza nata qualche anno fa in città da un piccolo gruppo di musicisti argentini che si sono trasferiti in città per studiare musica antica e per riscoprire le loro radici italiane. 

Attraverso il canto la platea di giovani è stata accompagnata a scoprire la storia di un popolo che ha sempre espresso attraverso la musica la commistione e le influenze degli altri popoli che hanno conquistato, abitato e attraversato il Sud America, dal Messico fino alla Patagonia, lasciando un segno.

E così si scopre che nei loro canti tante sono le influenze della “musica nera” arrivata in America del Sud attraverso gli schiavi africani che venivano deportati per lavorare la terra.

Dopo la conquista degli spagnoli nascono canti e danze che tentano di tenere insieme l’identità del popolo indigeno e quella dei conquistatori arrivando anche a cercare somiglianze e punti di tangenza nel rito religioso. Tantissimi sono, infatti, i canti dedicati a Maria che però richiamano anche le caratteristiche dei canti dedicati a Madre Terra.

Nei loro canti numerosi sono i richiami al tema dell’esilio e della migrazione dal paese alla grande città, piuttosto che l’allontanamento dal proprio paese a causa della dittatura.

Altro tema ricorrente è quello dell’unità di un popolo che, nonostante le distanze geografiche, sente un forte senso di appartenenza a tradizioni comuni; e quello del lavoro: tanti, infatti, sono i canti dedicati ad alcune professioni molto umili, come quello della giardiniera.

Il filo narrativo ha tenuto la platea di giovani incantata di fronte a questo susseguirsi di note, parole e voci. Un’esperienza davvero suggestiva.

Scarica qui il programma di TDS 2018

 

 

 




All’Opera Pia di Castelverde mostra pittorica di Liliane Cavalli, ospite della casa di riposo

Dal 21 al 23 gennaio, presso la RSA dell’Opera Pia SS. Redentore di Castelverde, aperta al pubblico la mostra pittorica di un’ospite della casa di riposo. Si tratta della signora Liliane Cavalli, nata a Parigi nel 1930, ma poi trasferitasi a Gerre de’ Caprioli negli Anni ‘60. Avendo appreso il suo passato di artista, il Servizio animazione ha proposto di valorizzare le opere giovanili e non solo, cui la signora Liliane ha dato vita.

Si tratta di lavori splendidi, sia per l’accurata realizzazione, sia per l’originalità dei soggetti ritratti, sia per la capacità di cogliere angolature e colori della natura locale, dal fiume Po alla pianura, dagli argomenti floreali a quelli più ordinari, dai volti delle persone, alle piante, agli uccelli.

La rassegna – esposta nella Sala Conferenze della Fondazione – consta di una ventina di quadri di varie dimensioni, scelti nell’atelier della pittrice, in base allo spazio disponibile e alla loro capacità evocativa.

Un interessante aspetto collegato all’iniziativa è il coinvolgimento della comunità, a partire dai ragazzi della scuola primaria e secondaria di primo grado, grazie alla disponibilità della dirigente scolastica e degli insegnanti dell’Istituto Comprensivo “Ubaldo Ferrari” di Castelverde.

L’inaugurazione della personale ha avuto luogo nella mattinata di lunedì 21 gennaio alla presenza dei sindaci di Gerre de’ Caprioli e di Castelverde.

«È molto significativo – sottolinea nella prefazione alla brochure che accompagna la mostra don Roberto Rota, parroco di Castelverde e presidente dell’Opera Pia – che i cittadini più giovani accostino gli anziani della Residenza Sanitaria Assistenziale, scoprendo i doni di cui essi sono portatori. Un dono evidente è costituito senza dubbio dalle opere di Liliane, ma ci sono tanti altri doni che solo una visita non frettolosa e una minima capacità di ascolto potranno rivelare a chi -oltre alla mostra pittorica- vorrà varcare la soglia della nostra Casa per scoprire i volti e udire i racconti di tanti maestri di umanità che oggi dimorano negli ambienti dell’Opera Pia».




Sabato a S. Ilario momento di spiritualità per insegnanti

In occasione delle memorie liturgiche di S. Tommaso d’Aquino e S. Giovanni Bosco l’Ufficio diocesano per la Pastorale scolastica e Irc propone un momento di spiritualità per docenti (in particolare insegnanti di religione) nel pomeriggio di sabato 19 gennaio (ore 16) presso l’oratorio di S. Ilario di via Chiara Novella, a Cremona.  “Il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde …” è il tema dell’incontro, che vedrà intervenire don Angelo Piccinelli.

Don Piccinelli, è parroco di Soresina e docente – presso gli studi Teologici dei Seminari Riuniti di Cremona, Crema, Lodi e Vigevano – di Teologia spirituale, materia per la quale ha preso la licenza all’Università Gregoriana di Roma.  Per nove anni è stato incaricato diocesano per le vocazioni (1990-1999) e per sei assistente dell’Azione Cattolica Ragazzi (1991-1997).

Al termine possibilità di partecipare alla Messa festiva.




“Un allontanamento progressivo, non una divisione”

“Un allontanamento progressivo, non una divisione”. Con queste parole Giovanni Guaita, ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa, unico italiano in servizio al Patriarcato di Mosca, ha definito la relazione tra ortodossi e cattolici. Per Padre Guaita, l’unità e la diversità sono possibili se alla base di tutto c’è l’amore. Riprendendo il passo del Vangelo “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17: 20-26), ha lanciato un appello a superare le antipatie, le divisioni storiche e culturali che da secoli ostacolano l’unità e il disegno di amore lasciatoci in eredità da Cristo, il suo “nuovo” comandamento: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.

Nel corso dell’incontro, dal titolo “Unità e diversità nella Chiesa ieri e oggi”, organizzato dall’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso nella serata di giovedì 17 gennaio, presso il salone Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona, padre Guaita ha accolto l’invito del vescovo Antonio, conosciuto la scorsa estate in occasione del pellegrinaggio diocesano in Russia, a incontrare ancora la Chiesa cremonese per approfondire, anche da un punto di vista storico, il tema della comunione – non della divisione – tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa.

Don Federico Celini ha presentato Padre Guaita. Di origini italiane, vive a Mosca da 33 anni, dove svolge il proprio ministero in una parrocchia molto numerosa del centro della metropoli, situata a pochi metri dalla Piazza Rossa. Docente di Storia della Chiesa in una facoltà ortodossa, è particolarmente impegnato nella accoglienza dei senzatetto, la cui sopravvivenza è costantemente a rischio, soprattutto durante il gelido inverno moscovita. Attraverso un progetto di recupero vengono messe a disposizione dei clochard un migliaio di case in affitto, sparse in tutto il Paese, con la possibilità di iniziare un percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro.

Il vescovo Napolioni ha introdotto la serata con la preghiera di invocazione dello Spirito di Dio, capace di farci cogliere “l’unicità nella diversità”.

Padre Guaita, senza negare la distanza dottrinale esistente tra ortodossi e cattolici, sia per il contenuto sia per la forma della fede, ha sottolineato però che le differenze teologiche (Filioque, aggiunto al testo del Credo nella nell’XI sec., il dogma dell’Immacolata Concezione, l’Infallibilità papale, la dottrina del Purgatorio e il primato del Vescovo di Roma) non devono essere un ostacolo all’amore reciproco tra credenti, quell’amore che è il fondamento del Cristianesimo. Distanze perlopiù storiche e culturali, che traggono origine da due mondi separati: quello greco e quello latino.

Diffidenza alimentata dai trattati polemici antilatini e dai trattati antigreci in cui si parla anche del vescovo Liutprando di Cremona, trasferito poi a Costantinopoli al servizio dell’imperatore Ottone I.

Lo ieromonaco ha ripercorso i principali avvenimenti che hanno generato tensioni e strappi, ma non divisioni, ricordando che non si può parlare di scisma né nell’IX secolo (con il Concilio di Riconcilizione dell’879 il Papa riconobbe l’autorità del patriarca Fozio), né nell’XI secolo. Quello che storicamente è conosciuto come Scisma d’Oriente, viene definito da padre Guaita “l’incidente del 1054” causato dalla bolla di scomunica, sulla cui validità esistono dubbi, scritta dal cardinale Humberto da Silvacandida nei confronti del patriarca Michele Cerulario.

In chiusura, il vescovo Napolioni, oltre a ringraziare padre Guaita per la sua presenza, ha invitato a superare gli scismi e le eresie del passato, frutto della dimensione umana della chiesa secondo cui i diversi papi, i teologi e i credenti hanno vissuto di bisogni che non hanno nulla a che vedere con il primato del Vangelo.

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Mercoledì sera a S. Ambrogio padre Giulio Albanese

Mercoledì 16 gennaio alle ore 21 presso il teatro della parrocchia di Sant’Ambrogio, a Cremona, padre Giulio Albanese interverrà sul tema “Non c’è pace senza giustizia, ma anche senza una seria informazione”. L’incontro è aperto a tutti.

Padre Albanese, missionario comboniano, è direttore delle riviste “Popoli e missione” e “Il Ponte d’oro”, fondatore del servizio stampa missionario “Misna”, esperto in comunicazioni e conoscitore del panorama geopolitico mondiale, membro del Comitato per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del terzo mondo della Cei.

L’iniziativa è promossa dall’Unità pastorale cittadina “Don Primo Mazzolari” (Sant’Ambrogio, Cambonino, Boschetto e Migliaro) in collaborazione con il Centro missionario diocesano.




“Donare per crescere insieme”, anche i progetti di sette parrocchie cremonesi sostenuti dalla Fondazione Comunitaria

“Donare per crescere insieme” è il motto che muove Fondazione Comunitaria nella Provincia di Cremona. Un impegno reale, che quest’anno si è concretizzato nella promozione e nel finanziamento di 27 progetti su tutto il territorio, per un totale di 400.000 euro. A beneficiarne molte realtà di Cremona, Casalmaggiore e Crema e, tra queste, anche alcune parrocchiali della diocesi di Cremona.

Per quanto riguarda la voce “Tutela, promozione e valorizzazione del territorio”, infatti, la Fondazione sovvenzionerà la parrocchia Santa Maria Assunta di Scandolara Ravara per il restauro delle finestre della chiesetta di Sant’Antonio alla Ravara, la parrocchia di Santa Maria Assunta di Vicobellignano per rinnovare l’impianto elettrico ormai troppo vetusto. A Cremona beneficeranno degli aiuti la parrocchia di San Savino vescovo (opera di conservazione della torre campanaria) e quella di Sant’Agostino (restauro dello storico organo) mentre a Sesto ed Uniti sarà la chiesa dedicata ai SS. Nazario e Celso a vedere finanziati i lavori per la nuova facciata.

Anche a Paderno Ponchielli (chiesa di Santo Stefano) e a Castelleone (Santuario della Beata Vergine della Misericordia) non mancheranno interventi per il restauro di intonaci e organo, mentre ad Annicco saranno realizzate nuove vie per superare le attuali barriere architettoniche nella parrocchia dei SS. Pietro e Paolo.

Organizzazione Titolo del progetto Localizzazione
dell’intervento
Costo totale
del progetto
Contributo
deliberato
Tutela, promozione, valorizzazione del patrimonio storico e artistico
Parrocchia Santa Maria Assunta Nuove finestre per Sant’Antonio alla Ravara SCANDOLARA RAVARA € 15.534,88 € 7.767,44
Parrocchia S.Maria Assunta in Vicobellignano Progetto illuminotecnico della Chiesa di Santa Maria dell’argine in Vicobellignano di Casalmaggiore VICOBELLIGNANO € 15.640,40 € 7.820,20
Parrocchia di S. Savino Vescovo Opere di conservazione della torre campanaria CREMONA € 27.234,68 € 13.617,34
Parrocchia di Sant’Agostino Progetto di restauro organo storico “Tezani 1533 – Bossi 1853” – secondo stralcio CREMONA € 40.000,00 € 20.000,00
Parrocchia Santi Nazario e Celso Intervento urgente sulla facciata della Chiesa della Parrocchia dei Santi Nazario e Celso in comune di Sesto ed Uniti SESTO ED UNITI € 39.921,60 € 19.960,80
Parrocchia Santo Stefano in Ossolaro Restauro e risanamento di parte dell’intonaco interno della chiesa di Santo Stefano martire in Ossolaro di Paderno Ponchielli PADERNO PONCHIELLI € 40.000,00 € 20.000,00
Santuario Beata Vergine della Misericordia Restauro Conservativo Organo storico Fratelli Serassi 1836 CASTELLEONE € 23.650,00 € 11.825,00

Gli altri finanziamenti vanno a cooperative, onlus e associazioni territoriali particolarmente attive nell’ambito dell’assistenza sociale e sanitaria, della formazione e istruzione e dello sport dilettantistico rivolto a soggetti svantaggiati. Come il progetto “Cantieri sportivi 2.0 – porte aperte allo sport per tutti” del CSI (Centro sportivo italiano) con un contributo di 20mila euro sui 40mila del progetto (per saperne di più).

Un impegno concreto a sostegno di tutta la comunità nella sua interezza. Ed è questo il suo scopo: promuovere quella cultura del dono a cui tante volte – negli ultimi anni – anche papa Francesco ci ha richiamati.

Descrizione sintetica dei progetti




Padre Giulio Albanese, voce per la giustizia

La disinformazione grida vendetta al cospetto di Dio!». È perentoria l’uscita di padre Giulio Albanese, ma la lunga esperienza di giornalista e missionario, da anni impegnato da professionista a «dare voce a chi non ha voce», forse gli dà l’autorevolezza necessaria.

Il suo è stato un preciso atto di accusa contro il sistema informativo asservito ai grandi interessi internazionali, documentato e approfondito grazie alla collaborazione che in questi ultimi tempi conduce con economisti e giuristi per un progetto che sveli misfatti e tragedie nascoste alla pubblica opinione. «Non c’è pace senza giustizia, ma anche senza una seria informazione» è il tema che ha affrontato nella serata di mercoledì 16 gennaio presso il teatro della parrocchia cittadina di S. Ambrogio, nel corso di un incontro pubblico promosso dalle comunità cristiane dell’Unità pastorale “Don Primo Mazzolari” che raggruppa in Cremona le parrocchie di S. Ambrogio, S. Giuseppe, Boschetto e Migliaro, in collaborazione con il Centro missionario diocesano.

Proprio il responsabile dell’Ufficio diocesano, don Maurizio Ghilardi, ha introdotto l’intervento dinanzi ad un pubblico numeroso, ricordando alcuni tratti biografici del relatore: missionario comboniano, direttore delle riviste “Popoli e missione” e “Il Ponte d’oro” (quest’ultima dedicata alla formazione multiculturale e missionaria dei ragazzi), già fondatore di “Misna”, straordinario servizio stampa on line che si avvaleva della diretta collaborazione internazionale di missionari di diverse congregazioni religiose, esperto in comunicazioni e conoscitore del panorama geopolitico mondiale, membro del Comitato per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del terzo mondo della Cei. I drammi dell’epoca che ci vede, nostro malgrado, coinvolti e inconsapevoli protagonisti sono stati decritti con lucidità e passione: la deformazione delle notizie, la connivente selezione degli avvenimenti nell’agenda della comunicazione planetaria, ma soprattutto la criminale finanziarizzazione dell’economia: «cancro per lo sviluppo mondiale» – come si è espresso padre Albanese in precisi riferimenti. Una serata che ha offerto spunti di severa riflessione.




Intervista a mons. Carmelo Scampa: dopo 40 anni in Brasile la missione continua

Alla vigilia dell’Epifania ha festeggiato i suoi 16 anni di episcopato. Lo ha fatto nella “sua” Cattedrale di Cremona mons. Carmelo Scampa, vescovo originario della diocesi di Cremona (nativo di Scandolara Ripa d’Oglio), dal 2003 alla guida della diocesi di Saõ Luis de Montes Belos, in Brasile, dove la sua avventura pastorale era iniziata nel 1977. Il mese di gennaio per lui spesso è tempo di una sosta di riposo in Italia. Abbiamo approfittato di questa occasione per intervistarlo.

Mons. Scampa, le recenti elezioni in Brasile hanno portato a una virata politica. Nei 40 anni di missione all’estero come ha visto cambiare questo Paese? «Nel 1977 il Brasile era sotto il regime militare, dunque con restrizioni notevoli di libertà. Poi, attraverso i movimenti popolari, a metà degli anni ‘80 si è aperto per la democratizzazione. Una democrazia ancora faticosa, ma abbastanza in crescita. Ora, dopo una quindicina d’anni di governi di sinistra, che hanno favorito un inserimento concreto ed efficace dei poveri nel contesto nazionale, è stato eletto questo nuovo Governo, notoriamente di destra. Ma è presto per giudicare».

In questi anni, a livello globale, si è visto un periodo di crisi: è stato così anche in Brasile. «A fronte dei cambiamenti significativi vissuti negli ultimi 40 anni, ultimamente notiamo una marcia indietro. Sono 50 milioni i poveri che guadagnano metà del salario minimo (circa 100 euro al mese), 15milioni vivono in stato di miseria (con 20/25 euro al mese), senza contare i 14 milioni di disoccupati. Un quadro che fa emergere un Brasile disuguale e ingiusto: chi è ricco è sempre più ricco e i poveri sempre più poveri».

E quale la situazione a livello ecclesiale? «Per certi versi abbiamo fatto il cammino opposto. Se nel ’77, sotto il regine, la Chiesa era notoriamente impegnata con e per i poveri, profetica, capace di rischiare (molti sono i martiri dell’epoca), oggi le cose sono cambiate, ma non sempre in meglio. Certo c’è una maggiore consapevolezza nella persone impegnate, ma c’è l’ombra di una Chiesa che sta perdendo le molle di una profezia e di un impegno molto più inserito nelle realtà concrete».

Il Papa invita a essere una “Chiesa in uscita”. Cosa si sente di dire paragonando la realtà brasiliana a quella italiana? «È un’espressione tipica di papa Francesco, che in America Latina – e dunque anche in Brasile – è molto comune. Per una Chiesa che ha ancora l’odore della prima evangelizzazione è normale farsi carico di chi era nostro e non lo è più e di tante aree che non sono evangelizzate. Diciamo che fa parte del dna della giovane Chiesa latino americana, anche se certo non mancano rigurgiti di chiusura. In Italia vedo che è molto più difficile: la storia e la tradizione pesano e diventa molto difficile uscire dalla cerchia dei nostri gruppi. Ma è un lavoro profetico che dovrà anche qui essere affrontato, essendovi molte più opportunità di qualche anno fa. Ad esempio per l’enorme fetta di persone che vengono da altri Paesi, con culture e religioni differenti. Allora la Chiesa è chiamata non solo a dialogare, ma anche ad annunciare e uscire da se stessa».

Si è dunque chiamati tutti alla missionarietà. «Il rischio è che la missionarietà si sostenga solo su episodi missionari. Anche il fatto di avere una missione diocesana non dice di per sé che la Chiesa diocesana è missionaria: possono essere solo episodi. Da quanti anni, per esempio, c’è l’esperienza di sacerdoti “fidei donum”: ma Chiesa cremonese è diventata più missionaria? Dovrebbe esserci uno scambio: culturale, di fede, di forze; invece spesso si limita a un aiuto economico per cose concrete. Secondo me ci sono tante cose da rivedere, a cominciare dalla valorizzazione di queste esperienze, che dovrebbero favorire nelle comunità una sana inquietudine».

Una priorità anche nella sua diocesi? «Tra il 2007 e il 2010 abbiamo investito molto sulla dimensione missionaria, perché una Chiesa o è missionaria o non è Chiesa. Questo si è concretizzato in tre anni di missioni popolari: non basate su prete o una équipe, ma sulle forze locali del popolo. Un’azione capillare nelle comunità che direi è abbastanza riuscita e ha lasciato un segno. Poi abbiamo ripreso gli orientamenti della Conferenza di Aparecida che lanciava la missione continentale in tutta l’America latina. Una preoccupazione che ci ha impegnato, anche se non c’è stata quella risposta suscitata dalla missione popolare».

Continuando a guardare alla diocesi di Saõ Luis de Montes Belos, tra le attenzioni pastorali del suo ministero c’è stata quella al clero, di oggi e di domani. «C’è stato un salto di qualità consistente. Nel 2003 i preti erano 19, oggi sono 39. Allora erano 7 i diocesani, oggi sono 29, tutti giovani sacerdoti locali. Sarebbe stato aleatorio, per me – straniero -, non investire nella formazione del clero locale e continuare a chiedere aiuti fuori senza investire in ciò che si ha in casa. Proprio per questo abbiamo acquistato una struttura per il Seminario che oggi conta 21 studenti di Teologia al Maggiore e 4 ragazzi al Minore. Questo ci garantisce una o due ordinazioni per anno, che è il sufficiente per il nostro piccolo, una grazia. A questo tema si affianca quello della pastorale vocazionale, con Incontri frequenti – per tutte le vocazioni – nelle parrocchie e nelle regioni».

Altri fronte di impegno? «Dal 2004 abbiamo insistito sulla formazione biblica come fondamento di tutte le pastorali. Abbiamo istituito la Scuola biblica diocesana, che si realizza nelle cinque regioni pastorali quattro volte all’anno nel fine settimana. È bello sottolineare che si svolge con materiale prodotto in diocesi, anche grazie al contributo di due giovani sacerdoti che sono stati mandati a Roma a formarsi».

Nei 16 anni di episcopato lei è stato anche impegnato in più visite pastorali…  «Un tema importante è quello della diocesanità con la riscoperta della Chiesa particolare, con una sua storia e fisionomia, cercando di suscitare spirito di appartenenza alla Chiesa locale. Proprio le visite pastorali – che sono durate più di sette anni – hanno favorito una prossimità più concreta tra vescovo e comunità e tra comunità e diocesi. Ho cercato di visitare il più possibile le parrocchie: ho fatto due visite pastorali complete e una a metà; la prima della durata di una settimana, visitando ogni realtà della parrocchia (insieme di comunità, famiglie, malati). La seconda è stata di più breve durata».

Sappiamo che avete aperto una casa di recupero per tossicodipendenti, anche grazie al contributo dei cremonesi. «Questa casa è nata dall’esigenza emersa nelle viste pastorali per il numero sempre crescente di persone travolte dal fenomeno droga. Con aiuto anche della Diocesi di Cremona abbiamo comprato un terreno e qui è stata costruita una casa per 24 ospiti. Nel 2016 sono iniziate le attività: noi ci occupiamo degli aspetti più pratici e dell’accompagnamento spirituale, mentre il percorso di recupero dal punto di vista psicologico e terapeutico, in cui noi non abbiamo competenze, l’abbiamo affidato all’associazione “Fazenda de Esperança”, di San Paolo, legata al Movimento dei Focolari. Forse mi aspettavo qualcosa di più da questo progetto: pochissimi, infatti, riescono a fare il cammino completo. Ma è comunque lo sforzo di una Chiesa per cercare di affrontare un grave problema sociale».

Eccellenza, il 5 gennaio ha festeggiato i 16 anni di episcopato e a fine mese compirà 75 anni. Che cosa la attende per il futuro? «Più di un mese fa ho presentato, come da prassi, la mia rinuncia, che ora è nelle mani del Papa. I ritmi del Brasile sono un po’ differenti da quelli italiani: da noi gli avvicendamenti sono più lenti e possono passare da alcuni mesi a più di un anno dalla presentazione della domanda. Mi sento molto tranquillo e pronto a lasciare: quando mi diranno che è l’ultima stazione. Programmi specifici per il futuro non ne ho. All’inizio pensavo di andare in Amazzonia, ma con l’età che avanza non voglio essere un peso anziché una risorsa. Ritornare a Cremona è una possibilità, ma non la più realistica. Quello che più si conferma in me è restare in diocesi di Saõ Luis de Montes Belos, ma non proprio a Saõ Luis, e affiancare un prete, collaborando con lui nella pastorale. Il vescovo emerito è parte di un presbiterio locale, senza incarichi di direzione. D’altro canto sono contento di essere arrivato sino in fondo ed essere stato “marito” di una sola sposa, visto che in questi anni le tentazioni di passare il testimone ad altri non sono mancate».