1

Assemblea ecclesiale di inizio anno pastorale in Cattedrale, il cardinal Zuppi: «Camminiamo insieme»

Sfoglia la photogallery completa della serata

 

«Come Chiesa camminiamo insieme, pensiamo insieme, nella comunione. Perché non c’è Chiesa senza comunione e non c’è comunione senza l’altro». Le parole del cardinal Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella serata di venerdì 29 settembre nella Cattedrale di Cremona hanno tracciato la strada all’anno pastorale che si apre per la Diocesi di Cremona.

L’occasione è stata, in un Duomo gremito e partecipe, l’assemblea ecclesiale del 29 settembre, che ha fatto seguito al pellegrinaggio diocesano al Santuario di Caravaggio di domenica 24 settembre (leggi qui) e cui seguiranno il convegno diocesano di sabato 30 settembre in Seminario e le ordinazioni diaconali nella serata di domenica 1° ottobre in Cattedrale (per saperne di più cliccare qui). Quattro occasioni di particolare significato ad apertura del anno pastorale, sul tema “Una vita che accende” (leggi qui). Occasioni di Chiesa che intendono offrire uno slancio rinnovato per l’intera comunità nel segno di un’esperienza di comunione cui il Sinodo ha abituato. 

Ad accogliere il cardinal Zuppi è stato il vescovo Antonio Napolioni con il vescovo emerito Dante Lafranconi e un’assemblea numerosa e attenta, fatta di sacerdoti e religiosi inseme a tanti laici, in rappresentanza delle diverse componenti ecclesiali, rappresentando parrocchie e associazioni. Presenti anche le più alte rappresentanze istituzionali civili e militari del territorio.

È stata un’esperienza di Chiesa unita, in preghiera per disegnare le strade del proprio futuro. «Una Chiesa viva, in ricerca, umile e appassionata», come ha detto Napolioni, una comunità che ha saputo leggere il Vangelo di Emmaus guardando all’oggi.

L’attore cremonese Mattia Cabrini nel monologo introduttivo alla serata (che ha preceduto la lettura del brano evangelico di Luca dei discepoli di Emmaus e la prolusione del cardinal Zuppi) ha indossato i panni di uno dei discepoli e si è trovato nello smarrimento di ieri che è quello di oggi: si sono spenti i riflettori, i numeri dei discepoli calano, Cristo pare non vedersi più e i problemi si moltiplicano: diventando crisi climatica, economica, dei migranti che muoiono in mare, educativa. «Ho bisogno di credere», ripete il discepolo nella speranza e luce.

L’intervento del cardianal Zuppi ha segnato un punto di partenza chiaro e netto: «Nostro Signore è entrato nella storia, nella quale siamo immersi» e dalla storia, dalla storia di ciascuno, provata da difficoltà e «tristezze che spengono le passioni», la Chiesa deve ripartire per fare nuova la realtà. Non basta però ripartire insieme, bisogna «saper camminare insieme, pensare insieme», punto sul quale il cardinale ha insistito all’inizio di un anno sinodale durante il quale una delle parole chiave è «discernimento». Perché davvero «quello che viviamo sia nostro – ha proseguito il cardinale – bisogna fare la fatica di trovare delle risposte insieme, ascoltando il Signore e coloro che hai davanti».

Dunque discernimento, ma insieme, partendo dal presupposto che «la chiamata è personale, ma tutti siamo mandati». E se «qualcuno è lontano è per colpa nostra, diceva don Primo Mazzolari», ha aggiunto Zuppi. Sì perché la Chiesa disegnata in questa prolusione è una Chiesa in uscita, «che non è la mania del momento». La Chiesa – ha spiegato Zuppi – è sempre stata missionaria e aperta a tutti. Sulla scorta di don Mazzolari, il parroco di Bozzolo, ha poi ricordato che «quelli che sono lontani lo sono per colpa nostra. Sembrano più distanti ma, diceva il prete di Bozzolo, hanno una domanda di amore che noi non abbiamo». Nel discorso il riferimento a don Primo e I Lontani, «testo che non abbiamo ancora capito, nonostante i lontani siano aumentati»: ne abbiamo oggi i volti più diversi. I volti dei migranti, i volti dei giovani persi in mondi digitali inesistenti e inconsistenti, i volti degli adulti che si rifugiano in dipendenze per evitare di affrontare il reale, i volti delle persone sole ai margini di un mondo segnato dal successo e dall’individualismo. E intanto i problemi si moltiplicano.

 

Guarda la prolusione integrale del cardinal Zuppi

 

Le difficoltà dei discepoli di Emmaus, rimasti subissati dai dubbi dopo la scomparsa di Gesù, oggi sono le molteplici crisi che attanagliano i contemporanei. Crisi citate nel monologo in cui Mattia Cabrini ha dato voce a un discepolo di Emmaus. Si tratta di guerre, flussi di disperati che trovano la morte nel mare, questioni economiche e finanziarie, problemi e catastrofi che attanagliano il pianeta e l’ambiente, sino ad arrivare anche alle visioni parziali di Chiesa (preghiera o servizio? regole o spirito? amore o verità?). Tutti lati di una stessa complessa realtà da dipanare con uno sguardo diverso, più alto. Questioni enormi tanto più difficili da affrontare quando «il successo» viene meno, si spengono i riflettori e il numero di coloro che seguono il Vangelo scende vertiginosamente.

Da questo impasse il cardinale ha suggerito di uscire guardando ai discepoli di Emmaus, nei cui cuori «ardeva la speranza». Fermarsi ad Emmaus non paga, rinchiudersi ad Emmaus non paga. Il cardinal Zuppi ha suggerito la strada del «passaggio dall’io al noi», quella dell’amore che supera la tentazione delle chiusure. «La Chiesa è una minoranza creativa, generativa, che guarda tutti, non ha confini, è come un seme o il lievito». E di nuovo questo «tutti» torna nelle parole di Zuppi prendendo forza da quelle pronunciate da Papa Francesco a Lisbona davanti a una distesa di giovani. «La Chiesa è di tutti, nel senso che è la casa dove i figli e i fratelli sono tutti accolti, non giudicati». Non si tratta di buonismo, ma di mettere in campo un amore «attraverso cui il fratello capirà». E subito la mente corre alla parabola del Figliol Prodigo, dove un padre generoso accoglie e «dona anche un anello», restituisce fiducia a chi lo ha lasciato e dimenticato, abbraccia senza condizioni. Così la Chiesa per Zuppi ha le braccia aperte, tese «in un abbraccio magari immeritato», ma che rigenera.

 

Alcuni dei passaggi più significativi della prolusione del cardinal Zuppi 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Diocesi di Cremona (@diocesi_di_cremona)

 

Le piste di lavoro tracciate nella prolusione sono state tante e tra queste anche la capacità di «aprire la casa e il cuore», che vuol dire mettere in campo una generosità che sa riparare le ferite, sa accogliere «la ricchezza delle diversità», sa «parlare la lingua dell’Amore» attraverso la quale ci si capisce tutti. I problemi ci sono, anche nella Chiesa, e il cardinale non li nega, anche quelli di ogni diocesi: la diminuzione dei sacerdoti, gli accorpamenti delle parrocchie. Ma l’atteggiamento consigliato dal presidente della Cei è di trasformare le situazioni nuove in «opportunità» assumendo lo sguardo di Cristo verso le folle, uno sguardo «di compassione», non di giudizio, ricordando che «tutti abbiamo bisogno di credere», come recitava in un mondo diverso anche il monologo. «Tutti – come scriveva don Primo Mazzolari – abbiamo bisogno di un Amico, che non viene meno, che non tradisce, che non vende, che misura la fatica del vivere, che capisce il dolore dell’uomo, che dà una speranza eterna».

Dopo la prolusione del cardinale e le invocazioni alla Spirito, richiamando il tema dell’anno pastorale – Una vita che accende – ai vicari zonali e alle parrocchie è stata consegnata una lampada, «una lanterna da cercatori di uomini», come ha spiegato il vescovo Napolioni, per uscire in piazza, tutti dalla stessa porta, per illuminare le strade, anche con gesti concreti.

E per questo sono state raccolte le offerte per sostenere un Tir di generi di prima necessità che partirà da Cremona per l’Ucraina attraverso l’impegno di pace e solidarietà della Sant’Egidio. Il cardinale Matteo Maria Zuppi dallo scorso maggio è stato incaricato da Papa Francesco per la missione di diplomazia umanitaria della Santa Sede nel dialogo sulle grandi crisi internazionali che lo ha visto incontrare negli ultimi mesi i vertici dei governi di Russia, Ucraina, Stati Uniti e Cina. 

 

Guarda il video dell’intera della assemblea ecclesiale in Cattedrale 

 

 

 

«Ho bisogno di credere». L’intenso monologo di Mattia Cabrini, un discepolo di Emmaus sulle strade della Chiesa di oggi

Inizia nella «casa di Mamma» il cammino della Chiesa cremonese nel nuovo anno pastorale con Maria

«Una vita che accende», il vescovo Napolioni presenta le Linee pastorali diocesane e il calendario il 2023-24

Domenica sera in Cattedrale l’ordinazione diaconale dei seminaristi Valerio Lazzari e Giuseppe Valerio




Sant’Antonio Maria Zaccaria, a San Luca festa per il 125° della canonizzazione con il cardinal Bagnasco

«A distanza di cinque secoli la figura e il carisma di sant’Antonio Maria Zaccaria è di estrema attualità». Si è espresso così nell’omelia il cardinal Angelo Bagnasco, vescovo emerito di Genova e presidente della Conferenza Episcopale italiana dal 2007 al 2020, che nel pomeriggio di mercoledì 5 luglio ha presieduto la celebrazione eucaristica in San Luca, a Cremona, a conclusione delle iniziative per il 125°anno dalla canonizzazione del fondatore dei Barnabiti (Chierici regolari di san Paolo). Sant’Antonio Maria Zaccaria, proclamato dal vescovo Cazzani nel 1917 patrono secondario della Diocesi di Cremona, delle associazioni cattoliche e del clero, è un santo che sa ancora interpellare anche se «può apparire paradossale in un tempo, il nostro – ha detto il cardinale – lanciato nelle vie del progresso scientifico, dello sviluppo, della cultura globale».

E che fosse un santo attuale lo ha dimostrato la partecipazione della gente a San Luca per una celebrazione dove la Diocesi era rappresentata dal vicario generale don Masimo Calvi insieme a don Irvano Maglia parroco dell’unità pastorale Cittanova, alla presenza anche dei rappresentanti dei vari istituti religiosi di Cremona: Camiliani, Cappuccini e naturalmente Barnabiti.

Ad accompagnare la preghiera, condivisa con autorità militari e civili, il Coro polifonico cremonese, guidato dal maestro Federico Mantovani, che ha anche intonato l’inno di Caudana a sant’Antonio Maria Zaccaria.

La presenza di Bagnasco è stata dovuta non solo ai legami con Cremona dovuti ai nonni materni, ma anche a un particolare legame «per stima e per ricordi scolastici» con i Barnabiti e con il rettore di San Luca, padre Emiliano Redaelli, che ha introdotto la celebrazione con un saluto.

 

Il saluto di padre Emiliano Redaelli

 

L’ingresso solenne, accompagnato dalle litanie dedicate al fondatore dei Barnabiti, ha visto i celebranti sostare davanti all’altare dedicato al santo per poi iniziare la celebrazione.

Nell’omelia, Bagnasco ha messo in guardia dalla fiducia cieca nel progresso se questo non è ancorato alla Verità. Il rischio è quello di «un pensiero unico», centrato sull’uomo mentre, sulla scorta di san Paolo, ha ricordato che «il criterio, il centro va spostato su Cristo, sapienza di Dio».  Al pensiero unico, dominante nel mondo moderno, va contrapposto «il pensiero critico», quello che sa riconoscere una Verità unica sostenuta dalla fede «non fondata sulla sapienza umana». L’invito è stato quello di «dire il vero», testimoniare la Verità senza pensare che così facendo si compia un «atto di arroganza o di presunzione». Inevitabile un richiamo alla vocazione educativa dei Barnabiti, ma in fondo di ogni cristiano adulto. «L’educazione – ha detto il cardinale – è un atto di amore, è insegnare a non avere paura della vita che si apre, è chiamare le cose con il loro nome, avere fiducia in se stessi perché Gesù ha fiducia in noi”. Un compito urgente, visti i tempi complessi per cui ciascuno dovrebbe “sacrificarsi perché i giovani siano veramente liberi».

 

L’omelia del card. Angelo Bagnasco

 

Al termine della messa è stata impartita la benedizione solenne che ha suggellato le celebrazioni in onore del presbitero cremonese sant’Antonio Maria Zaccaria, morto proprio in città il 5 luglio del 1539.

Dal 6 luglio a San Luca entrerà in vigore l’orario estivo delle celebrazioni: le Messe feriali alle 8 e alle 18; le festive alle 8, 11 e 21.

 

 

Sant’Antonio Maria Zaccaria

Nasce a Cremona nel 1502, da nobile famiglia, all’epoca del vivace movimento di riforma cattolica che precedette il Concilio di Trento. Rimasto orfano di padre a pochi mesi di vita, ebbe dalla giovanissima madre una prima educazione tenerissima all’amore dei poveri.

Portò a compimento gli studi di medicina all’Università di Padova e, rientrato a Cremona, piuttosto che alla professione medica si dedicò alla cura gratuita dei poveri e alla catechesi. Dal suo direttore spirituale, un domenicano, fu guidato al sacerdozio. Ordinato prete nel 1528, profondamente convinto della centralità dell’Eucaristia e della Parola di Dio per ridare vigore al popolo di Dio, si dedicò a formare gruppi di laici appassionati alla riforma dei costumi morali dei cristiani.

Seguì a Milano, come cappellano, la contessa di Guastalla Ludovica Torelli, con cui condivideva profondamente le aspirazioni al rinnovamento del laicato cristiano. Qui, iscrittosi all’antica confraternita dell’Oratorio dell’Eterna Sapienza, fondato da mons. Giovanni Antonio Bellotti, ne divenne il capo spirituale e, sotto la sua spinta, l’Istituto germinò tre nuove famiglie religiose, ispirate alla figura di san Paolo: i Barnabiti (o Chierici Regolari “di S. Paolo decollato”), le Angeliche (“di san Paolo converso”) e i “Maritati devoti di S. Paolo”. Con i membri di questi ordini religiosi animò una rinascita spirituale nel popolo milanese, nonostante l’iniziale avversione del clero locale che lo denunciò presso la Curia romana. Da queste accuse fu pienamente scagionato (anche per l’appoggio di san Carlo Borromeo) e continuò la sua opera di riforma spirituale, a tutti i livelli della Chiesa ambrosiana.

Particolare cura dedicò alla costituzione delle Angeliche, primo esempio di ordine religioso femminile non vincolato alla clausura, dedito principalmente all’educazione religiosa del popolo. In missione pacificatrice a Guastalla, colpita da interdetto pontificio, esaurì le sue già molto provate risorse vitali e fu trasportato morente a Cremona, ove concluse la sua vicenda terrena, il 5 luglio 1539. Venne sepolto a Milano. Di lui rimangono dodici lettere, sei sermoni e le Costituzioni, a documentare il suo animo di riformatore, ispirato ai fondamentali valori evangelici, appassionato custode della figura di san Paolo e del culto eucaristico. Una sua incisiva massima è: “È proprio dei grandi cuori mettersi al servizio degli altri senza ricompensa”.




TuxTutti, il Grest 2023 sull’esempio del Buon Samaritano

L’incontro di lunedì 27 marzo a Mozzanica

 

Io sono l’altro, sono quello che spaventa… Così sono iniziate le tre serate di presentazione del Grest 2023, sulle note della famosa canzone di Niccolò Fabi e nel rincorrersi di volti che provano a raccontare chi questo altro sia. Subito dopo una domanda: chi è il mio prossimo? E l’inquadratura del video si allarga per mostrare quanti sono presenti in sala.

Ci sono “altri” nella vita di ciascuno di noi e ciascuno di noi è un “altro” nella vita di chi gli cammina accanto, ed è da questo dato oggettivo, ma forse non troppo scontato, che prende le mosse il Grest di questo anno. Tu x Tutti, il titolo; E chi è mio prossimo? il sottotitolo, esplicito riferimento all’icona biblica del Buon Samaritano, un “altro” per eccellenza. Il tema sotteso lo possiamo intuire di conseguenza: la cura.

 

L’incontro di martedì 28 marzo a Casalmaggiore

 

Il tema del Grest 2023 è stato presentato ai sacerdoti e ai responsabili delle attività estive in tre serate – da lunedì 27 a mercoledì 29 marzo – promosse dalla Federazione oratori cremonesi rispettivamente a Mozzanica, Casalmaggiore e Cremona, all’oratorio della Beata Vergine.

Dopo che nel 2021 si era cercato di riscoprire il valore del gioco e nel 2022 era stato introdotto un profondo lavoro di alfabetizzazione emotiva, quest’anno ciò che ci sta a cuore è ridare dignità e peso ad ogni atto di cura, certi della loro portata universale e della capacità che hanno di andare oltre ogni differenza culturale, religiosa o di qualsiasi altro tipo.

Non esistono una carità cristiana e una carità umana, ma dei gesti che, nella misura in cui realizzano un atto di cura, parlano la lingua stessa in cui Dio stesso si riconosce e istituiscono la possibilità dell’incontro.

 

L’incontro di mercoledì 29 marzo a Cremona

 

Ed è così che, attraverso la presentazione del logo e dell’idea che ha portato alla sua realizzazione, alcune sottolineature circa i materiali inseriti nel manuale e la presentazione delle novità di quest’anno, si è cercato di mostrare ai responsabili dove poter trovare le cinque coordinate in cui è stato declinato questo tema della cura – occhi aperti, braccia tese, mani in pasta, gambe in spalla e cuore libero – e come poterle mettere in risalto all’interno delle settimane di Grest.

Se si ha a disposizione una cassetta degli attrezzi – questo il paragone che don Francesco Fontana, incaricato diocesano per la Pastorale giovanile, ha scelto per parlare del manuale – e non si sa che cosa c’è dentro, difficilmente si potrà decidere che cosa utilizzare nel momento del bisogno. Sapendolo invece, si potrà prendere ciò che fa al caso mio e non scomodare ciò che non serve.

Non ci resta allora che augurarvi buon Grest e che sia con: occhi aperti, breccia tese, mani in pasta, gambe in spalla, cuore libero!

suor Valentina Campana




«Diciamo sì alla vita che vince»: i giovani della Zona 1 in cammino verso la Pasqua

Sfoglia la fotogallery della veglia

«In questa Settimana Santa diciamo sì alla vita che vince. Lo ha fatto Gesù prima di noi. Ora facciamolo anche noi nella nostra vita».

La voce di Linda Fanton, suora francescana del Gesù Bambino di Assisi, si fa spazio nel buio. È uno spiraglio di luce e di buone notizie nel cuore dei tanti giovani che hanno scelto di partecipare alla Veglia delle Palme, organizzata dall’equipe di pastorale giovanile della zona 1 nel santuario della Madonna del Riposo a Pandino. Si sono dati appuntamento lo scorso sabato.
Davanti agli occhi il crocifisso di san Damiano, di fronte al quale Francesco ricevette la chiamata del Signore. «È un’icona, che ci guarda. Ci regala lo sguardo glorioso e amante di Gesù, nonostante la sofferenza. È un dono, ci racconta che non c’è niente di definito e di definitivo. Neanche la morte». Nulla. Tranne l’amore di Dio: «I suoi occhi ci fanno sentire amati, così come siamo. Donano forza, libertà, forza di ripartire. Di entrare appieno nell’esistenza». Di vivere veramente.
Con un corpo, il suo, nudo, ferito. Ma risorto. «È lì, davanti a noi. È qui, in noi. Perché ciascuno di noi ha bisogno di riempirsi gli occhi di vita». Nel momento del suo limite, quello della morte, Gesù mostra un corpo luminoso: «È lo specchio del vostro corpo. Lo viviamo come un dono? Dovremmo, perché il nostro corpo è lo specchio della nostra storia. Delle gioie, delle sofferenze, delle ferite, dei segni. Siamo noi. È ciò che ci rende reali». Umani, imperfetti, «è dove risiede la felicità. Per scovarla Gesù ci invita a guardarci con i suoi occhi».

Serve anche «stare dentro alle mancanze, perché dentro un corpo imperfetto potremo vivere la perfezione dell’amore». È l’amore di Dio «che va oltre la morte».
Lo stesso che convince Maria a restare ai piedi della croce. Dopo aver visto suo figlio acclamato dalle folle come re e ora morente, Maria resta. «Anche noi lo facciamo ogni volta che non scappiamo dalle paure e siamo pronti a sostenere ed accogliere il dolore. Nostro e degli altri». Ché, oltre il buio, c’è la luce.

C’è musica per l’anima di ciascuno di noi. Pura armonia. In una serata piena di canzoni, di voci, di pensieri, ha vinto la vita. La vita di giovani che, in un periodo complicato, rispondono al rumore delle armi con il silenzio della pace e la fioca luce di un lumino nel buio della notte. Perché tante luci insieme aprono uno spiraglio. Di luce. E di speranza. È la forza di chi ha scelto di vivere veramente. «Morire è più facile, ma vivere appieno, è il dono più bello: diciamo sì alla vita. Oltre il buio, c’è sempre un passo fatto nell’amore di Dio».




In Cattedrale musica e parole nel ricordo vivo di Teresa di Lisieux

Sfoglia la fotogallery completa della serata

Splendidi i giovani del Conservatorio “Claudio Monteverdi” e del Liceo musicale “ Antonio Stradivari”, insieme ai loro insegnanti e responsabili; incantevole il contesto, la Cattedrale di Cremona; profondi e coinvolgenti i testi letti, tratti dagli scritti di Santa Teresa di Lisieux. La sera di giovedì 30 marzo è stato possibile vivere e condividere un’ora e mezza di musica di alto livello, di spiritualità, di ecclesialità.

Il concerto che alla presenza del vescovo Antonio Napolioni ha avuto luogo in un Duomo gremito, è stato offerto dal Conservatorio, diretto da Anne Colette Ricciardi, e dal Liceo musicale, diretto da Daniele Pitturelli, e si è svolto in un contesto di intensa e profonda partecipazione, grazie, oltre che alla grande bravura degli esecutori, al sapiente e adeguato mix di musiche e parole. Da subito, così, il silenzio che ha accolto tutta l’esecuzione di brani e letture, ha permesso una reale condivisione dei contenuti proposti. Silenzio che ha lasciato spazio alla fine, a un lunghissimo ed entusiasta applauso.

La serata è stata introdotta da mons. Franco Follo, sacerdote cremonese per molti anni osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco, che ha richiamato i tratti salienti di Santa Teresa di Lisieux, carmelitana morta a soli 24 anni, proclamata Dottore della Chiesa, di cui ricorrono quest’anno i 150 anni dalla nascita e che dai 193 Stati membri dell’Unesco è stata votata come una delle personalità da onorare maggiormente in questo 2023.

Gli ha fatto eco Arnoldo Mosca Mondadori, della Fondazione Casa dello Spirito  e delle Arti: di particolare significato – come ha spiegato – è stata la presenza al concerto del “Quartetto del mare”, formato da strumenti ad arco (due violini, una viola e un violoncello) realizzati con il legno delle barche dei migranti dai detenuti nel carcere milanese di Opera, sotto la guida di maestri liutai. Una presenza, quella del “Quartetto”, che ha dato un ulteriore tocco di spiritualità, umanità, speranza, in perfetta sintonia, grazie anche alla sensibilità e le parole della santa francese, letti da Mattia Cabrini, attore della Compagnia dei Piccoli.

Ha quindi preso il via l’esecuzione dei brani musicali, che hanno spaziato da Léon Boëllmann a César Frank, da Gabriel Fauré ad Andre Caplet, da Alfred Gerbier ad Alexsander Borodin, a Giuseppe Caffi.

Caratterizzata da grande bravura, e contraddistinta dalla loro coinvolgente freschezza, è stata l’esecuzione dei brani da parte dei giovani coristi, affiancati, sostenuti e accompagnati con straordinaria professionalità dal direttore Pietro Triacchini, dagli organisti Alessandro Sala e Marco Brunelli, dai violinisti Lara Coleghin, Giulio di Gioia, Myriam Traverso e Pietro Fortunato, dai soprani Nunzia Fazzi e Valeria Lanini.

«Davvero la presenza e la cura Santa di Teresa di Lisieux – ha detto il Vescovo Napolioni in conclusione – ha reso possibile l’espressione e la condivisione di tanta bellezza», in una serata da incorniciare, grazie al generoso contributo e alle sinergie messe in campo da tanti, a cui ha riservato convinti ringraziamenti.

L’iniziativa del concerto si è inserita nel contesto dei festeggiamenti, appunto, per il 150 anniversario della nascita di Teresa di Lisieux, che hanno ottenuto per Cremona il patrocinio dell’Unesco e della Pontificia Facoltà Teresianum di Roma e in occasione dei quali è stata allestita una mostra sulla Santa nel Battistero e si e tenuta una conferenza ospitata nell’Aula Magra del Campus Santa Monica della sede cremonese dell’Università Cattolica con la partecipazione della carmelitana Madre Cristiana Dobner e di Arnoldo Mosca Mondadori. Iniziative – tutte – che sempre hanno visto una grande partecipazione e hanno riscosso vivo apprezzamento.




Inaugurata in Battistero la mostra su santa Teresa di Lisieux

«Custode del paradosso dell’amore divino che si fa umano», come ha dichiarato il vescovo Antonio Napolioni, e donna «capace di cogliere il valore delle nuove tecnologie per tradurle in linguaggio spirituale», come ha aggiunto il provinciale dei Carmelitani, padre Fausto Lincio, Teresa di Lisieux è al centro dell’esposizione inaugurata nel pomeriggio di lunedì 20 marzo presso il Battistero di Cremona, presenti le autorità religiose e quelle civili. Si tratta del primo di tre eventi dal titolo “Teresa di Lisieux. La saggezza dell’amore” organizzati in occasione del 150° anniversario della nascita (1873-2023) con il patrocinio della Diocesi di Cremona, della Commissione nazionale italiana per l’Unesco e della Pontificia facoltà teologica Teresianum di Roma.

Una mostra itinerante, essenziale, «che dopo l’esposizione a Parigi – come ha spiegato per l’occasione mons. Francesco Follo, fino al 2022 osservatore permanente della Santa sede presso l’Unesco – poi a Roma, ora è qui a Cremona dove nel 1606 sorgeva, primo in Lombardia, un monastero carmelitano, sito nell’attuale parrocchia di Sant’Imerio», collegato a una ampia serie di altri analoghi: in Francia ad Alençon, Lisieux, Parigi. E dove ancora è attivo un movimento laicale di carmelitani.

Ben 29 pannelli  (allestiti sotto l’occhio vigile di Davide Tolasi, docente della Laba di Brescia) che si snodano in un percorso sulle orme di Teresa, morta a soli 24 anni ma fulgido esempio di fede profonda tanto da essere proclamata dottore della Chiesa da San Giovanni Paolo II e da «essere stata proposta dal Governo francese come uno dei cittadini da onorare nel mondo – ha continuato durante l’inaugurazione Follo – nel 2023 per essere stata un’intellettuale, una scrittrice ed una educatrice. Proposta che i 193 Paesi dell’Unesco hanno approvato». Perché Teresa ha molto da dire agli uomini di oggi, come ha spiegato in maniera brillante Padre Lincio, provinciale dei Carmelitani di Lombardia,  durante l’inaugurazione.

Ascolta l’intervento di mons. Franco Follo

Ascolta l’intervento del vescovo Antonio Napolioni

«Era una donna – ha chiarito Lincio – capace di uscire dalla limitatezza del monastero, una donna che ha avuto il coraggio della tecnologia, che ha introdotto (grazie alla sorella Celina) la macchina fotografica nel monastero, che si è fatta fotografare e ha scattato foto della vita delle monache». Una grande intuizione di come si possa parlare la lingua della fede usando le novità della tecnologia. E non è il solo aspetto che dice la modernità di questa ragazza. «Ci ha lasciato – ha spiegato Padre Lincio – un vocabolario: le parole che dicono cosa sia l’uomo».

Questa santa infatti ha vissuto e testimoniato la forza della fede anche nei momenti di smarrimento interiore, condizione di tanti giovani di oggi, ma ha saputo uscirne con la forza spirituale per chiudere la sua vita «condividendo la mensa dei peccatori», cioè passando per la prova del dubbio.

E nei pannelli esposti, così da rendere fruibile sia la bellezza del battistero, sia la grandezza di Teresa attraverso le sue parole e le sue foto, si legge un percorso profondo che fa di questa ragazza una persona interessante, capace di unire la dimensione religiosa con quella civile.

Ascolta l’intervento di padre Fausto Lincio

Ascolta l’intervento dell’assessora Luca Burgazzi

La mostra, inaugurata alla presenza anche dell’assessore alla Cultura del Comune di Cremona, Luca Burgazzi, sarà visitabile nel Battistero di Cremona sino al 30 marzo negli orari di apertura del Battistero (dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18; chiuso il lunedì).

Prossimo appuntamento di  “Teresa di Lisieux La saggezza dell’amore”, giovedì 23 presso la sede cremonese dell’Università Cattolica con l’intervento di Madre Cristiana Dobner, carmelitana scalza e Arnoldo Mosca Mondadori.

 

Teresa di Lisieux: a Cremona una serie di eventi per il 150° della nascita della santa




Trieste, realtà multietnica e multireligiosa. Diocesi di 134 chilometri quadrati con 242 mila abitanti

Dopo aver annunciato l’elezione a vescovo di Trieste di don Enrico Trevisi, il vescovo Antonio Napolioni ha voluto tracciare il profilo della diocesi che il sacerdote cremonese guiderà, a seguito della rinuncia al governo pastorale della Diocesi presentata dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi e che Papa Francesco ha accettato nella giornata di giovedì 2 febbraio, sottolineando la caratteristica multietnica e multireligiosa di questo capoluogo di regione e più importante porto commerciale d’Italia.

Una diocesi che si estende su un territorio di soli 134 chilometri quadrati. «Un territorio piccolissimo, meno della metà della diocesi di Crema – ha detto il vescovo Napolioni ai presenti –. Intorno ad una città antica e significativa ci sono solamente altri tre comuni. Quindi sarà un vescovo che potrà andare a piedi ovunque e per questo lo invidio».

Dei 242 mila abitanti della diocesi quasi 200 mila vivono in città. Le parrocchie sono 60, 109 i sacerdoti diocesani, 43 i sacerdoti religiosi, 148 le religiose, 15 i diaconi permanenti e 5 i diaconi in attesa del presbiterato, con una ventina di seminaristi divisi in vari centri di formazione, fra cui il Seminario Redentoris Mater del Cammino neocatecumenale.

 

Profilo storico della diocesi di Trieste

La Diocesi di Trieste ha probabilmente origini molto antiche e faceva parte del Patriarcato di Aquileia, anche se non esistono notizie certe fino al VI secolo.

Le prime memorie di archeologia cristiana risalgono al V secolo. Il primo vescovo noto è Frugifero, intorno alla metà del VI secolo (542-565), all’epoca dell’imperatore Giustiniano I. 

Cuore spirituale della Diocesi è la chiesa cattedrale dedicata a san Giusto, laico cristiano martirizzato il 2 novembre 303 durante la persecuzione di Diocleziano, la cui memoria liturgica ricorre il 3 novembre. La città ha in san Sergio, martire in Siria, il patrono secondario: la sua alabarda, che la tradizione dice miracolosamente piovuta dal cielo durante il martirio, conservata nel tesoro della Cattedrale, è diventata l’emblema della città.

Inizialmente suffraganea del patriarcato di Aquileia, all’epoca dello scisma dei Tre Capitoli del 579, avendo aderito allo scisma, entrò a far parte della giurisdizione del patriarcato di Grado. Il vescovo Firmino abiurò lo scisma e per questo motivo ricevette delle lettere di lode e di approvazione da parte di Gregorio Magno.

Tra il tardo impero e l’alto medioevo il territorio diocesano si ridusse per l’erezione delle diocesi di Cittanova, di Pedena e di Capodistria. A partire dall’anno 948 i vescovi ottennero il potere temporale dal re Lotario II che concesse l’indipendenza della diocesi dalla corona, per il territorio fino a tre miglia fuori dalle mura cittadine; vi rinunceranno formalmente nel 1236, anche se le lotte con il Comune continueranno nel corso del Trecento.

Nel 1180 il patriarca di Grado rinunciò alla giurisdizione metropolitica sulle sedi istriane e giuliane, e così Trieste divenne nuovamente suffraganea del patriarcato di Aquileia. Il vescovo Ulrico De Portis (metà del XIII secolo) vendette al comune di Trieste il diritto all’elezione dei giudici, il diritto alla decima ed il diritto di battere moneta. Alla fine del secolo il vescovo Brissa de Toppo concluse il periodo del potere temporale dei vescovi vendendo per 200 pezzi d’argento i rimanenti diritti politici.

Si deve al vescovo cremonese Rodolfo Morandino de Castello Rebecco, originario di Robecco d’Oglio, la costruzione della chiesa capitolina di san Giusto.Per tutto il Medioevo il diritto di elezione del vescovo spetta al capitolo della cattedrale; nel 1459 il diritto di elezione viene conferito all’imperatore.

Nel Cinquecento a Trieste si diffusero le idee del luteranesimo, ma dopo il concilio di Trento la diocesi rientrò pienamente nell’ortodossia cattolica, grazie all’opera del vescovo Nicolò Coret (1575-1591), temibile avversario dei luterani, e all’apostolato dei Cappuccini e dei Gesuiti, presenti rispettivamente dal 1617 e dal 1619.

La storia della città è profondamente legata a quella dell’Impero asburgico che, nel 1719, la fece diventare “porto franco”. Ebbe così un periodo di grande sviluppo demografico, economico e culturale. Iniziarono presto a insediarsi in città fedeli di molte altre religioni: ebrei, greco e serbo ortodossi, luterani, valdesi…

In Diocesi è radicata nel tempo la presenza di fedeli di lingua slovena. Dal 1830 al 1977, infatti, la Diocesi si estendeva sino al territorio di Capodistria e comprendeva anche parte della Dalmazia.

Nel 1784 la diocesi di Trieste subì numerose cessioni territoriali allo scopo di farne coincidere il territorio con i confini politici. Porzioni del territorio diocesano triestino passarono alle diocesi di Cittanova, di Capodistria, di Parenzo e di Lubiana; d’altro canto incorporò porzioni dell’Istria che appartenevano alle diocesi di Parenzo e Pola e la gola di Prosecco, che apparteneva all’arcidiocesi di Gorizia.

L’8 marzo 1788 la diocesi fu soppressa in virtù della bolla Super specula di papa Pio VI ed il suo territorio incorporato in quello di Gradisca, eretta il 19 agosto dello stesso anno. Tuttavia, dopo soli tre anni, il 12 settembre 1791 fu ripristinata con la bolla Ad supremum del medesimo pontefice e resa suffraganea dell’arcidiocesi di Lubiana; la diocesi di Pedena, anch’essa soppressa nel 1788, rimase incorporata nel territorio triestino. Il 19 agosto 1807 divenne immediatamente soggetta alla Santa Sede.

Il 30 giugno 1828 in virtù della bolla Locum beati Petri di papa Leone XII le diocesi di Trieste e di Capodistria furono unite aeque principaliter; contestualmente fu soppressa la diocesi di Cittanova ed incorporata in quella di Trieste. Due anni dopo, il 27 luglio 1830, divenne nuovamente suffraganea dell’arcidiocesi di Gorizia per effetto della bolla Insuper eminenti Apostolicae dignitatis di papa Pio VIII.

Dal 1867 fino al collasso dell’impero austro-ungarico i vescovi di Trieste sedettero come membri della Camera dei signori d’Austria, il senato imperiale. Nel 1919 il vescovo Andrej Karlin, sloveno, si dimise a seguito di un’aggressione da parte di un gruppo di irredentisti. Nello stesso anno sulla cattedra triestina siederà un vescovo italiano, dopo quasi novant’anni di episcopati sloveni, tedeschi e croati.

Il 25 aprile 1925 cedette una porzione di territorio a vantaggio dell’erezione della diocesi di Fiume; un’altra porzione di territorio fu ceduta a Fiume nel 1934. In compenso, il 20 febbraio 1932 in seguito alla bolla Quo Christi fideles di papa Pio XI incorporò il decanato di Postumia, che era appartenuto alla diocesi di Lubiana.

Il vescovo Luigi Fogar, per la sua opposizione al regime fascista, dovette dare le dimissioni nel 1936. Dopo la seconda guerra mondiale, a seguito del trattato di pace del 10 febbraio 1947, una larga parte del territorio diocesano si venne a trovare in territorio jugoslavo; furono perciò erette due separate amministrazioni apostoliche per la zona in territorio sloveno e per quella in territorio croato.

Negli anni di sconvolgimenti profondi, tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, maturarono e agirono nella cultura cittadina e nella comunità ecclesiale personalità di eccezionale rilievo, quali il beato Francesco Bonifacio, il venerabile Marcello Labor e il servo di Dio Jakob Ukmar, quando, nella cupa atmosfera del nazionalismo fanatico, toccò ai vescovi essere ponte tra sacerdoti e fedeli, divisi per nazionalità e per idee politiche.

Nel difficile e teso clima del dopoguerra il vescovo Antonio Santin subì una violenta aggressione a Capodistria nel giugno del 1947; la Congregazione Concistoriale dovette intervenire ufficialmente ricordando che a norma del diritto canonico coloro che commettevano queste violenze sarebbero incorsi nella scomunica. Nel 1958 la diocesi di Trieste si ampliò con l’acquisizione di piccole porzioni di territorio dall’arcidiocesi di Gorizia.

Il 17 ottobre 1977, due anni dopo il trattato di Osimo, in forza della bolla Prioribus saeculi di papa Paolo VI, le diocesi di Trieste e di Capodistria furono separate e rese autonome; contestualmente vennero introdotte delle modifiche territoriali per far coincidere i territori delle due diocesi con quelli degli Stati.

Va riconosciuto al vescovo Antonio Santin, costretto a subire la mutilazione della diocesi, il merito della ricostruzione morale e materiale di comunità e di chiese dopo l’azione devastante della seconda guerra mondiale e della lotta civile, qui scatenatasi più violenta che altrove. Al vescovo Santin si susseguirono alla guida della diocesi mons. Bellomi, mons. Ravignani e mons. Crepaldi.




Don Enrico Trevisi eletto vescovo di Trieste

Guarda la photogallery completa

 

L’annuncio ufficiale è stato dato alle 12 di giovedì 2 febbraio: don Enrico Trevisi, sacerdote diocesano classe 1963 originario di Pieve San Giacomo, è stato eletto vescovo di Trieste. In contemporanea con il bollettino ufficiale della Santa Sede e la Diocesi di Trieste, la notizia è stata resa nota ufficialmente anche in diocesi di Cremona dal vescovo Antonio Napolioni in Seminario a conclusione dell’incontro plenario del clero che, in occasione della Giornata mondiale della vita consacrata, ha visto la presenza anche di suore e religiosi.

È stato il vescovo Antonio Napolioni, al termine della mattinata, a dare lettura alla comunicazione del nunzio apostolico: «Eccellenza, mi reco a premura di comunicarLe che il Santo Padre ha nominato Vescovo di Trieste il rev. Enrico Trevisi, del Clero di Cremona, finora parroco e docente». Un annuncio salutato da un lungo e caloroso applauso, seguito dall’abbraccio fraterno con il vescovo Napolioni e l’emerito Dante Lafranconi. E proprio il vescovo Napolioni ha posto al collo di don Trevisi la croce pettorale, segno dell’episcopato.

«Mistero, comunione e missione», il vescovo Napolioni ha voluto riprendere le chiavi di lettura del Concilio indicate da Papa Giovanni Paolo II per esprimere i propri sentimenti in questa circostanza.

«È mistero la vita della Chiesa – ha detto monsignor Napolioni – perché è intrisa di santità e di divinità, ma anche della nostra fragilità umana. E dunque è mistero quando un uomo e un prete viene chiamato a essere segno di Cristo pastore, come in maniera eccezionale la vita del vescovo incarna». E ancora: «Comunione significa relazione, fraternità, Chiesa di Chiese; e quando l’altra sera ci siamo sentiti con il vescovo Crepaldi, da oggi amministratore apostolico della Chiesa di Trieste, ho detto: diventiamo parenti, c’è un legame tra le Chiese che moltiplica la curiosità innanzitutto, la conoscenza, il dono reciproco, l’arricchimento attraverso le diversità». E infine la missione: «Enrico – ha concluso il vescovo Napolioni – va in una Chiesa nobile, antica, con una storia complessa. Ma ma è bello sentire che parte, come ci dirà, con gratitudine e con fiducia».

Dopo il saluto commosso e pieno di ricordi del vescovo eletto Enrico Trevisi (leggi il testo integrale), monsignor Napolioni ha voluto tracciare il profilo della diocesi di Trieste, sottolineando in particolare tre legami con Cremona: la presenza dell’Istituto della Beata Vergine, l’acciaieria Arvedi e il fatto che all’inizio del XIV secolo vi fu un vescovo originario della terra cremonese, originario di Robecco d’Oglio, mons. Rodolfo Pedrazzani (eletto l’8 agosto 1302 e deceduto il 7 marzo 1320).

Ha quindi preso la parola anche il vescovo emerito Dante Lafranconi, che ha ricordato proprio il viaggio a Trieste in occasione del centenario del vescovo originario di Robecco.

 

 

Tutte le notizie dell’elezione a vescovo di don Trevisi

 

.

 

Guarda il video dell’annuncio nel salone Bonomelli del Seminario Vescovile di Cremona

 

Guarda l’annuncio dato nella Sala dei Vescovi del Palazzo vescovile di Trieste

 

 

Biografia del vescovo eletto

Mons. Enrico Trevisi è nato a Asola (Mn) il 5 agosto 1963 ed è stato ordinato il 20 giugno 1987 mentre risiedeva nella parrocchia di Pieve S. Giacomo. Laureato in Teologia morale a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, è rientrato in diocesi nel 1990 con l’incarico di vicerettore del Seminario.

Dal 1997 al 2004, pur continuando l’insegnamento in Seminario, è stato direttore del Centro pastorale diocesano e, dal 1997 al 2003, anche dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro. Inoltre tra il 2000 e il 2005 è stato assistente spirituale della Acli.

Nel 2004 è rientrato in Seminario con il ruolo di rettore.

Il 10 giugno 2016 il vescovo Antonio Napolioni l’aveva nominato parroco della parrocchia di Cristo Re in Cremona, dove ha fatto il proprio ingresso domenica 18 settembre 2016.

Dal 1 settembre 2016, inoltre, don Trevisi era coordinatore dell’Area pastorale “Comunità educante famiglia di famiglie” e incaricato della Pastorale familiare insieme ai coniugi Maria Grazia e Roberto Dainesi.

Don Trevisi, inoltre, era membro del Consiglio presbiterale diocesano e del Collegio dei Consultori.

Ha ricoperto incarichi di insegnamento nell’Istituto superiore di Scienze religiose a Mantova, nella Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale (MIlano) e nella sede cremonese dell’Università Cattolica del S. Cuore.

 




In Battistero la preghiera davanti alle reliquie dei santi cremonesi

Un solo giorno separa la città di Cremona dal rito di Dedicazione del nuovo altare della Cattedrale che sarà svelato ai fedeli nella solenne concelebrazione di domenica 6 novembre alle 16. Messa caratterizzata dal suggestivo rito di deposizione nell’altare dell’urna con le reliquie dei santi e dei beati cremonesi, attorno ai quali nel pomeriggio di sabato 5 novembre si si è ritrovati in preghiera.

La celebrazione dei Primi Vespri si è svolta in Battistero. Accanto al vescovo Antonio Napolioni il vescovo emerito Dante Lafranconi e il Capitolo della Cattedrale.

Nella sua omelia, il vescovo ha guardato alla Dedicazione del nuovo altare spiegando che «tramontano i giorni del lavoro e si introduce il giorno della festa, il giorno del Signore, che è anche giorno della Chiesa, del popolo di Dio che si raduna per celebrare la Pasqua settimanale» affermando poi che «questa domenica nella quale stiamo entrando, a metà fra la festa di Tutti i Santi e la solennità di sant’Omobono nostro patrono, custodisce un dono, che non è solamente oggetto di curiosità, ma è parola che si attualizza».

Riferendosi poi a un passo del brano dell’Apocalisse di San Giovanni, la riflessione di mons. Napolioni si è rivolta ancora al futuro, spiegando che «domani faremo un’esperienza che echeggia, che attualizza, non per l’ardire degli uomini che pensano da soli di poter realizzare il disegno di Dio, ma per la fede dei credenti che hanno ricevuto in dono lo spirito, il sacramento, i fratelli e le sorelle, la realtà tutta intera, perché sia luogo di salvezza, esperienza dell’amore col Padre, dell’incontro con Cristo della comunione dei santi».

I Primi Vespri, animati con il canto da una rappresentanza del Coro della Cattedrale diretto da don Graziano Ghisolfi, hanno infine lasciato lo spazio alla preghiera, quella più silenziosa e personale, davanti alle reliquie poste sotto la croce. Nell’urna di ottone satinato e argentato le reliquie di sant’Imerio, ve- scovo patrono secondario della città e della diocesi di Cremona, insieme a san Facio, testimone di carità di cui proprio quest’anno ricorrono i 750 anni dalla morte, sono conservati. Sul frontale dell’urna lo stemma di Papa Francesco, del vescovo Antonio Napolioni e la cifra 2022, a datare il rito di dedicazione e della deposizione dell’urna. Insieme alle reliquie degli antichi santi venerati in Cattedrale, all’interno ci sono anche quelle dei più recenti santi e beati cremonesi, dediti all’educazione e alla carità: santa Paola Elisabetta Cerioli, vedova soncinese che realizzò la sua vocazione nell’educazione della gioventù e degli orfani; il beato Arsenio Migliavacca, francescano originario di Trigolo fondatore delle Suore di Maria Santissima Consolatrice; san Francesco Spinelli, fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda; san Vincenzo Grossi, prete diocesano nato a Pizzighettone fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio; e il beato Enrico Rebuschini, camilliano che a Cremona spese la sua vita a servizio dei malati.

La processione composta dai sacerdoti insieme agli studenti di Teologia del Seminario di Cremona, lasciata la suggestiva atmosfera della sala ottagonale del Battistero, simbolo della fonte da cui scaturisce la grazia,  ha quindi accompagnato l’urna delle reliquie all’interno della Cattedrale in attesa della celebrazione di Dedicazione.

 

 





Focr, il 16 settembre in Seminario l’assemblea diocesana degli oratori

La tradizionale assemblea degli oratori all’inizio di un nuovo anno pastorale è ormai occasione di ritrovo, studio e approfondimento per tutti gli operatori che lavorano in oratorio e nella pastorale giovanile. Nel tardo pomeriggio di venerdì 16 settembre, con inizio alle 18.30, presso il Seminario vescovile di Cremona, sono invitati e attesi educatori, catechisti, sacerdoti, religiosi e rappresentanti delle associazioni e dei movimenti per dare insieme avvio, insieme al vescovo Antonio Napolioni e all’incaricato diocesano per la Pastorale giovanile don Francesco Fontana, a un nuovo anno di progetti, azioni e attività.

L’incontro sarà l’occasione per approfondire il tema dell’anno oratoriano, il calendario 2022-2023, che riserva non poche novità, e per raccontare i motivi di alcune scelte. Il titolo di quest’anno ricorda che “la parte migliore” ha a che fare con l’ascolto e con lo “stare”. E proprio da questo deriva l’auspicio che l’assemblea sia prima di tutto un momento in cui poter stare in ascolto: della Parola, del Vescovo e di coloro che tutti i giorni fanno servizio di oratorio.

Sarà proprio il tema dell’ascolto al centro dell’incontro del 16 settembre, che prevede nel programma una suggestiva esperienza musicale, curata da don Massimo Cortellazzi, collaboratore nelle parrocchie di Casaletto di Sopra, Melotta, Insegno, Soncino, che metterà in luce quali sono gli elementi fondamentali di un ascolto autentico e libero, e una tavola rotonda che metterà a fuoco il tema della regia dell’oratorio con uno sguardo alle prospettive future nella conduzione degli oratori.

Prenderà parte alla tavola rotonda don Daniele Rossi, parroco dell’unità pastorale “Mons. Angelo Frosi”, formata dalle parrocchie di Cornaleto, Formigara, Gombito, San Bassano, San Latino e Santa Maria dei Sabbioni. Insieme a lui parteciperanno i coniugi Elena Barbieri e Aldo Lena, genitori e membri dell’associazione “Famiglia buona novella”, Max Bozzoni, educatore, formatore di teatro sociale e di comunità e animatore sociale, e Giulia Ghidotti, educatrice volontaria presso la casa famiglia di Rivolta d’Adda e incaricata “Giovani” della delegazione regionale di Azione Cattolica.

Seguiranno la presentazione del tema e del calendario con un’attenzione particolare al metodo di lavoro che l’ufficio intende perseguire alla luce della riflessione che ha attraversato la chiesa diocesana sulla dinamica sinodale.

Durante la cena, preparata dal bistrot del Seminario e animata dalla musica dei ragazzi di “Radio del Rey”, ci sarà l’occasione di proseguire il confronto in un incontro più informale prima del momento di preghiera conclusivo previsto per le 21.30.

 

Scarica e condividi il post social:

 

 

“La parte migliore”, presentato il tema del nuovo anno oratoriano