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Nella veglia della pace del 31 dicembre a S. Ilario l’auspicio del Vescovo a creare un nuovo tessuto quotidiano all’insegna della prossimità

È stato il messaggio di Papa Francesco a fare da filo conduttore alla veglia in preparazione alla 49° Giornata mondiale della Pace (1° gennaio 2016) tenutasi, come da tradizione, nella chiesa di sant’Ilario, a Cremona, la sera del 31 dicembre. Il momento di preghiera, condiviso da circa un centinaio di persone, è stato guidato dall’amministratore apostolico mons. Dante Lafranconi.

Indifferenza: è questo il nome della malattia che minaccia, secondo il Santo Padre, la pace nella società globalizzata. Indifferenza rispetto a Dio, al prossimo (specialmente se debole) e al creato, visto come semplice risorsa da spremere e poi scartare.

I testi della preghiera hanno cercato di trasmettere ai fedeli la consapevolezza che tutto è, invece, in relazione. Relazione che chiede responsabilità, attenzione, prossimità. Proprio questa parola è stata al centro della riflessione del Vescovo. Partendo dal mistero del Natale, mistero che parla di un Dio che sceglie di farsi prossimo all’uomo per Misericordia e con Misericordia, il Presule ha spiegato che è proprio l’indifferenza l’opposto di questa dinamica di Dio.

Prendere le distanze, non conoscere, non rispettare e non condividere: sono questi i segni dell’indifferenza. Ma è proprio con l’indifferenza che si mina la pace: viene meno l’intesa, l’affidabilità, non si sa più cosa voglia dire cercare insieme di costruire un bene comune che cerchi di soddisfare tutti. Da qui l’appello che si fa esame di coscienza: vincere l’indifferenza del nostro mondo quotidiano e chiedersi dove la vita di ciascuno mini i rapporti di autentica solidarietà e amore.

Tutti – ha affermato il Vescovo – abbiamo grandi potenzialità e possibilità. Se anche non sarà possibile modificare i rapporti tra le nazioni, i giochi e gli interessi di potere dei grandi della terra, però, è possibile creare tutti insieme un nuovo tessuto quotidiano all’insegna della prossimità. È questa la strada della pace, quella stessa strada che mette in comunione profonda di stile e di vita con il Principe della Pace: il Signore Gesù, volto della Misericordia del Padre.

L’omelia del vescovo Dante Lafranconi

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Al Te Deum di S. Agostino un esame di coscienza sull’impegno per costruire relazioni nuove e giuste

Un serio esame di coscienza sui modi di pensare e agire, troppo spesso segnati dall’indifferenza nei confronti degli altri. È quanto chiesto dall’amministratore apostolico, mons. Dante Lafranconi, durante la tradizionale Messa di fine anno celebrata a Cremona nella chiesa di S. Agostino. L’occasione anche per un bilancio dell’anno trascorso, segnato da violenze in tanti paesi del mondo e anche a Cremona con la guerriglia urbana del 24 gennaio. Da qui un sentimento di sofferenza e timore, ma anche di speranza nella coraggiosa testimonianza di tanti martiri.

La celebrazione ha avuto luogo nel pomeriggio del 31 dicembre come tradizione nella chiesa cittadina di S. Agostino. Accanto a mons. Lafranconi il parroco, don Stefano Moruzzi, e gli altri sacerdoti delle comunità di S. Agostino e S. Pietro al Po: don Giuseppe Ferri, don Roberto Musa e don Pieraltero Ziglioli. Presente anche mons. Ruggero Zucchelli, procuratore per l’Ente Cattedrale e residente a Sant’Agostino, e il delegato episcopale per la Pastorale, don Irvano Maglia. Ha servito all’altare il diacono permanente Franco Margini. I ministranti sono stati coordinati dal cerimoniere vescovile don Flavio Meani.

La celebrazione – come ha sottolineato il Vescovo nell’omelia – è stata da un lato l’occasione per un bilancio dell’anno trascorso, dall’altra il modo per prendere consapevolezza che “con la venuta del Signore la pienezza del tempo fa sì che lo scorrere dei giorni non sia semplicemente un passato che si chiude, ma un contare costantemente sulla presenza del Signore che ci accompagna, dandoci già la possibilità di gustare in qualche modo ciò che è eterno”.

Guardando al 2015 mons. Lafranconi ha voluto anzitutto ricordare i tanti motivi di dolore e anche di paura: dalle guerre in molte parti del mondo, alle uccisioni di cristiani e minoranze; da quanti sono stati “inghiottiti dal mare” alle vittime di soprusi e ingiustizie. “Non possiamo fare a meno di raccogliere dalla fede di queste persone – ha affermato – una testimonianza che ci sproni a vivere con la stessa intensità di fede e apertura all’incontro al Signore che hanno testimoniato”.

Violenze che hanno segnato profondamente anche la città di Cremona, come ha ricordato mons. Lafranconi riferendosi alla guerriglia urbana dello scorso gennaio. L’occasione per ricordare che “è impegno di tutti noi non fermarci ai fatti che dividono e che si esprimono con violenza, ma rinnovare in noi al buona volontà e l’impegno quotidiano per costruire, nella fiducia e in relazioni nuove, anche il tessuto nuovo di una società dove il sentirsi a proprio agio e l’affidabilità reciproca è il segno migliore della convivenza serena e la radice del nostro trovarci bene dentro la vita sociale”.

Poi un piccolo segno di speranza, individuata dal vescovo nella “Carovana della pace, organizzata anche in nome dela città di Cremona, in coincidenza della visita del Papa in Africa e come espressione che grida il proprio desiderio di vincere ogni paura e operare, pur senza gesti grandiosi, per la pacifica convivenza tra la gente”.

Da qui il richiamo al messaggio per la Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2016) di Papa Francesco, secondo il quale la convivenza è possibile solo se si vince l’indifferenza nei confronti degli altri. Quindi l’invito a un vero e proprio esame di coscienza sui come i modi di pensare e agire quotidiani possano essere segnati proprio dall’indifferenza. Necessaria per il Vescovo una testimonianza “diversa”, con anche un preciso impegno educativo rispetto alle generazioni future: “Su questo – ha detto mons. Lafranconi – siamo chiamati a misurarci: educare i nostri ragazzi a vincere ogni forma di indifferenza per creare situazioni, parole, gesti e associazioni di solidarietà, di volontariato e di rispetto reciproco. È quello che, a partire dalla famiglia sino ad arrivare alla scuola e ad ogni altra forma di associazione, dovrebbe stare a cuore a noi tutti che siamo cristiani, ma anche a noi tutti che condividiamo con gli uomini queste aspirazioni buone di convivenza pacifica”.

Non è mancato neppure un riferimento all’anno giubilare della Misericordia, che tra l’altro lega il 2015 al 2016: “un percorso in cui – ha sottolineato il Vescovo – riscopriamo per noi stessi la misericordia di Dio: quanto Dio ha preso e continua a prendere a cuore la nostra vita, la nostra storia e la nostra società, i buoni e i cattivi, perché per tutti è venuto a portare un messaggio di salvezza e una grazia di condivisione della sua vita.

E richiamando ancora il Papa, mons. Lafranconi ha invitato a un esame di coscienza sull’impegno individuale nella costruzione di relazioni nuove e giuste, che devono essere manifestate anzitutto all’interno delle comunità cristiane, dove non possono prevalere – ha affermato – incomprensioni e diffidenze. Il compito per ogni cristiano è quello di “mostrare con evidenza la forza della misericordia”.

Intenzioni che mons. Lafranconi ha voluto affidare alla Madonna, Madre della Misericordia, “perché la sua vicinanza con il Signore Gesù, che ha ispirato sentimenti di maternità per tutta l’umanità, continuai a ispirare a ciascuno di noi sentimenti autentici di fraternità. È il modo migliore – ha concluso – per onorare il Signore Gesù che nell’Incarnazione si è fatto nostro fratello: fratello di tutti gli uomini”.

La Messa si è conclusa, prima della benedizione episcopale, con il canto del Te Deum.

Il testo dell’omelia di mons. Dante Lafranconi

Photogallery della celebrazione




Mons. Lafranconi il giorno di Natale: “Gesù, il Natale e l’Anno Santo della Misericordia svelano il vero volto di Dio”

Contemplare il volto di Gesù per cogliere il mistero profondo di Dio: il Dio della misericordia. È ciò che l’amministratore apostolico mons. Dante Lafranconi ha voluto fare il giorno di Natale nella Messa pontificale presieduta alle 11 in Cattedrale. Naturale il richiamo all’Anno giubilare, con l’auspicio che questo tempo di grazia possa essere l’occasione di conoscere meglio il volto di Dio, una fisionomia che deve manifesti nel volto e nelle mani di ogni discepolo.

La riflessione di mons. Lafranconi nell’omelia ha preso spunto dalle ultime parole del Vangelo: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. (Gv 1,1-18). Facendo propria l’immagine di una famiglia che per la prima volta guarda il neonato appena venuto al mondo, cercando di cogliere nella sua fisionomia caratteristiche e somiglianza, mons. Lafranconi ha invitato a una vera e propria contemplazione del volto di Gesù per cogliere il mistero profondo di Dio, reso visibile proprio nell’Incarnazione.

Ricordando le diverse modalità in cui nella storia si manifesta il volto di Cristo, l’amministratore apostolico ha ricordato come in ogni caso sia il segno dell’interessamento di Dio nei confronti dell’umanità.

Poi il richiamo all’Anno della Misericordia. “Il volto che noi contempliamo – ha proseguito il Vescovo – è davvero quello della misericordia”.

Ma è questo il volto di Dio che l’uomo ha nel cuore? Se l’è chiesto mons. Lafranconi, che ha proseguito: “Noi siamo più inclini a riconoscere Dio quando fa giustizia secondo i nostri criteri, che non quando interviene con misericordia ed eccessiva larghezza. Noi assomigliamo al fratello maggiore della parabola del Figliol prodigo”.

L’unica strada per conoscere il volto di Dio è dunque quella di Gesù Cristo. “Gesù, il Natale, l’Anno Santo della Misericordia – ha sottolineato – svolano il vero volto di Dio. Ma non secondo le nostre aspettative e i nostri desideri”.

Mons. Lafranconi ha quindi ricordato come il Natale porti la “consolazione di trovare la certezza che Dio è misericordioso”, diventando così “stimolo alla conversione”, “perché l’Anno Santo non passi inutilmente, ma lasci dentro di noi il ritratto vero di Dio: padre, misericordioso, che perdona per mille generazioni”. “Non un Dio che disprezza la giustizia, ma la recupera in un orizzonte più ampio che è quello della misericordia; perché con la giustizia non si va lontano: solo con la misericordia si recupera la realtà del nostro rapporto con Dio e la verità del nostro rapporto che crea con noi”.

“Chiediamo al Signore, come dono natalizio, questa conversione del cuore: perché possiamo riconoscere Dio per quello che egli è veramente, così come Gesù ce lo rivela. E perché questa non diventi soltanto motivo di contemplazione, chiediamo anche la grazia che, una volta recepito il vero volto di Dio misericordioso, esso si manifesti anche attraverso il nostro volto e le nostre mani, desiderose di mostrare il volto e le mani misericordiose di Dio verso ogni fratello”.

A caratterizzare la Messa del giorno di Natale (così come quella della notte) il fatto che alle parole del Credo «Et incarnatus est», eseguito in polifonia, il Vescovo, i sacerdoti e tutti i fedeli presenti si sono inginocchiati per meditare più profondamente il mistero del Natale.

Insieme al Vescovo hanno concelebrato il parroco della Cattedrale, mons. Alberto Franzini, il presidente del Capitolo, mons. Giusepe Perotti, alcuni canonici e i superiori del Seminario.

I canti sono stati proposti dal Coro della Cattedrale, accompagnato all’organo Mascioni dal maestro Caporali e sotto la direzione del maestro don Graziano Ghisolfi.

Il servizio all’altare è stato assicurato dai seminaristi diocesani e al diacono don Fracesco Gandioli, che il prossimo giugno sarà ordinato sacerdote, coordinati dal cerimoniere e segretario episcopale don Flavio Meani.

Nella preghiera universale si è in particolare pregato per il Santo Padre, per l’amministratore apostolico mons. Lafranconi e per il vescovo eletto di Cremona mons. Napolioni, oltre che per la popolazione della città natale di Gesù e tutti i luoghi segnati da guerra e violenze.

Al termine dell’Eucaristia mons. Dante Lafranconi ha impartito la benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria.

Il testo dell’omelia di mons. Lafranconi nel Pontificale del giorno di Natale



In via Giordano il suggestivo presepio dell’oratorio don Bosco

Davvero suggestivo il presepe allestito presso l’oratorio Don Bosco di via Giordano, a Cremona. Progettata da Stefano Massaroni, militare della Guardia di Finanza nonchè giovane papà che frequenta la parrocchia, la scena della Natività si affaccia sulla trafficata via Giordano, segno ben visibile del Natale per chiunque passi da quella strada.

Un allestimento nato quasi per caso a seguito del dono alla parrocchia di San Pietro al Po di alcune statuine in legno da parte dalle “Oblate della Casa di Nostra Signora”. “È stato proprio il fatto che le statuine, essendo monocrome, male si sarebbero inserite in un presepe tradizionale – spiega lo stesso Massaroni – a dare l’idea di realizzare questo presepe nell’oratorio “Pei Nostri Fanciulli”, altrimenti non sarebbe mai nata. Prima ho pensato a un paesaggio completamente color legno. Poi un giorno, scendendo da via Belvedere, dopo aver ammirato la facciata dell’oratorio, ho immaginato di entrarvi e nell’ingresso trovare di nuovo l’oratorio, questa volta però più piccolo, perfettamente in scala, dove scorgere sempre nell’ingresso, ma questa volta del plastico, la Natività. Un po’ come vedere un dipinto nel dipinto. Il punto di osservazione quindi accomuna e mette in stretta relazione l’osservatore, con la rappresentazione della nascita del Salvatore. Ecco l’idea! Facile a dirsi, o quasi”.

La realizzazione è iniziata partendo da un’osservazione delle statuine per stabilirne la scala, passando poi alla misurazione della facciata per riportare il tutto su una vecchia lastra di truciolato, traforala per creare porta d’ingresso e finestre. Un foglio di compensato, tolto da un divano rotto, è stato impiegato per realizzare gli infissi e le parti sporgenti. Un tubicino in rame per il discendente della grondaia; un dismesso battiscopa per i davanzali; carta velina per i vetri. Vernice accuratamente stesa e lettere in plastica a comporre la scritta ed ecco il presepe.




Al Rifugio Cuor di Gesù un incontro gioioso tra Sorelle

Le festività natalizie sono una preziosa occasione di incontro per scambiarsi gli auguri e per trascorrere momenti di affettuosa condivisione. Così a Cremona è avvenuto anche tra religiose di diverse Congregazioni che lunedì 4 gennaio si sono date appuntamento per un pomeriggio di relax e di conoscenza reciproca all’Istituto “Rifugio Cuor di Gesù” di via Bonomelli.

Sorelle provenienti da tutto il mondo hanno pregato insieme e trascorso un piacevole pomeriggio all’insegna dell’amicizia tra i popoli: non sono mancate allegre risate e canti delle proprie nazioni d’origine. Un modo semplice e gioioso per comunicare le proprie esperienze, i ricordi della patria lontana e le speranze di bene in un mondo così conflittuale e talvolta poco accogliente.

Alla sera, ritornando nelle proprie case, si sono sentite tutte più ricche e contente: gli occhi brillavano di gioia e i canti riecheggiavano nel cuore.




Mons. Lafranconi nella Messa di Mezzanotte: nel Natale un messaggio universale di salvezza e misericordia

È un messaggio universale di salvezza quello che il Natale rivolge a ogni uomo, chiamato a rispondere con apertura di cuore, come fecero i pastori. Questo il cuore dell’omelia proposta dall’amministratore apostolico mons. Dante Lafranconi nella Notte di Natale in Cattedrale. L’attenzione del Vescovo, oltre che alla scena della Natività, è andata anche all’Anno giubilare, nella consapevolezza che proprio la misericordia di Dio è segno costante dell’attenzione di Dio verso l’uomo, che per amore è arrivato persino a incarnarsi e morire in croce.

È sulle note del celebre canto natalizio “Astro del ciel”, armonizzato da don Dante Caifa, che allo scoccare della mezzanotte ha avuto inizio nella Cattedrale di Cremona la solenne Messa pontificale della Notte di Natale presieduta da mons. Dante Lafranconi.

La processione d’ingresso, partita dalla sagrestia capitolare, ha come consuetudine fatto sosta nella navata centrale per permettere al Vescovo di recarsi davanti al presepio. Mons. Lafranconi ha incensato la statua del Bambinello, rimanendo poi alcuni istanti in preghiera.

Ad accompagnare con il canto la liturgia il Coro della Cattedrale di Cremona sotto la direzione del maestro don Graziano Ghisolfi; alla tastiera dell’organo Mascioni il maestro Fausto Caporali.

Accanto all’amministratore apostolico hanno concelebrato il vicario generale, mons. Mario Marchesi, il presidente del Capitolo, mons. Giuseppe Perotti, il rettore del Seminario, don Enrico Trevisi, il delegato episcopale per la Pastorale, don Irvano Maglia, il parroco della Cattedrale, mons. Alberto Franzini, e alcuni altri sacerdoti, in particolare membri del Capitolo.

Il servizio liturgico è stato offerto dai seminaristi diocesani, con il diacono che a giugno sarà ordinato sacerdote, don Francesco Gandioli, che ha servito all’altare proclamando il Vangelo della Natività.

Proprio il brano dell’evangelista Luca (2,1-14) con l’incipit che fa riferimento al censimento voluto da Cesare Augusto, è stato l’occasione per sottolineare la portata universale del Natale e del messaggio cristiano. Quindi mons. Lafranconi ha focalizzato l’attenzione sulla figura dei pastori che hanno accolto il messaggio dell’angelo. “Noi ci muoviamo con la stessa disponibilità di cuore dei pastori?”, ha domandato guardando ai fedeli nella navata e interrogandosi sulle motivazioni della loro presenza in Cattedrale nella notte di Natale, certamente contrassegnate dal desiderio di incontrare “qualcuno che ci ama ed è fedele fino in fondo”.

Non è mancato un riferimento all’Anno giubilare. “Che cosa vuol dire – ha precisato l’amministratore apostolico – se non ricordare che Dio è benevolo nei confronti di ciascuno e desideroso di mostrarci la sua misericordia”. Misericordia che Dio rivolge a ciascuno, proprio come il messaggio del Natale è annunciato a tutte le genti.

“Chiediamo al Signore – ha concluso il Vescovo – di renderci santi, per costruire, anche contro corrente, quel bene radicato nella giustizia, nella verità e nel rispetto della persona, come Gesù ci ha insegnato con la sua vita, con la sua Parola e con la sua morte”.

Le offerte raccolte durante la Messa – che ha visto la presenza per il servizio d’ordine dell’Associazione Nazionale Carabinieri – sono state devolute alla San Vincenzo per far fronte alle necessità dei più poveri.

Il testo dell’omelia di mons. Dante Lafranconi

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Lunedì 4 gennaio a Cremona l’annuale incontro dei redattori della rivista “Quaderni di Diritto ecclesiale”

Si terrà lunedì 4 gennaio a Cremona l’annuale incontro dei redattori della rivista “Quaderni di Diritto ecclesiale”, che da 25 anni approfondisce tematiche canoniste con un taglio pastorale. L’appuntamento, che vedrà la partecipazione di canonisti delle diverse diocesi, avrà luogo presso la parrocchia di S. Abbondio.

L’occasione è come consueto collocata nel contesto della festa del patrono dei giuristi, san Raimondo di Penyafort, domenicano insigne conoscitore del Diritto canonico: la memoria liturgica del Santo ricorre il 7 gennaio, ma la riunione redazionale per programmare il lavoro dell’anno è stata anticipata a lunedì 4.

A fare gli onori di casa il vicario giudiziale della diocesi di Cremona, don Massimo Calvi. Non sarà presente il presidente onorario della rivista, il card. Francesco Coccopalmerio. Hanno confermato, invece, la propria presenza l’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli (nella foto), il nuovo vescovo della diocesi di San Miniato, mons. Andrea Migliavacca, e mons. Pierantonio Pavanello, solo pochi giorni fa eletto vescovo della diocesi di Adria e Rovigo.

La giornata di lavori si concluderà con una visita alla Cattedrale, dove alle 18 sarà celebrata l’Eucaristia alla presenza dell’amministratore apostolico, mons. Dante Lafranconi.




“Servite Domino in laetitia”: ecco lo stemma del nuovo vescovo di Cremona

“Servite Domino in laetitia” (Servite il Signore nella gioia): è questo il motto dello stemma araldico del nuovo Vescovo di Cremona. L’immagine, che rispecchia quanto previsto dalla tradizione araldica, propone diversi richiami all’esperienza di vita e di fede di mons. Antonio Napolioni: non manca un richiamo di riconoscenza nei confronti di  Papa Francesco e Paolo VI e il riferimento all’esperienza scoutistica, senza tralasciare la terra che il Santo Padre gli ha affidato come pastore, con il fiume Po presente nello stemma.

Secondo la tradizione araldica ecclesiastica cattolica, lo stemma di un Vescovo è tradizionalmente composto da:

  • uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altro;
  • una croce astile a un braccio traverso, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
  • un cappello prelatizio (galero), con cordoni a dodici fiocchi, pendenti, sei per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3.), il tutto di colore verde;
  • un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero.

La croce astile è di tipo “trifogliato”, gemmata con cinque pietre rosse che richiamano le Cinque Piaghe di Cristo.

Si è qui adottato uno scudo araldico di foggia “inglese”, in omaggio alla terra di Sir Baden-Powell, fondatore dello “scautismo”, per richiamare il forte legame di Mons. Napolioni con lo scautismo cattolico.

 

Descrizione araldica (blasonatura) dello scudo del Vescovo Napolioni

“Inquartato: nel 1° d’azzurro, all’ombra di sole d’oro caricata del trigramma IHS di nero; nel 2° d’argento, a un monte all’italiana di sei cime di verde movente dalla partizione; nel 3° d’argento, alla gemella ondata d’azzurro posta in fascia; nel 4° di rosso, al giglio del terzo” (consulenza del dott. Renato Poletti).

 

Il motto: SERVITE DOMINO IN LAETITIA

Le parole scelte da Mons. Napolioni per il proprio motto episcopale sono tratte dal Salmo 99,2, che custodisce uno splendido invito: “servite il Signore nella gioia”. L’invito a tutti i popoli della terra a riconoscere l’unico Dio e a servirlo, cioè obbedire al suo disegno, che ha come centro l’uomo stesso. Il salmista invita a servirlo nella gioia, cioè con la gratitudine, l’esultanza di chi si riconosce amato e salvato da Dio. Sono parole che rivelano il senso della vita e della missione di una Chiesa locale e del suo Vescovo, come di ogni credente e di ogni uomo. Mons. Antonio vi riconosce la trama della propria vicenda umana e cristiana, della vocazione che il Signore ha voluto per lui, della missione che ne costituisce l’orizzonte.
La ricerca della gioia, infatti, muove sempre il cuore umano, sin dalla giovinezza, all’incontro, al rischio, all’esperienza, talvolta anche allo slancio del servizio. Ma solo la grazia di incontrare il Signore Gesù permette di scoprirne e gustarne la pienezza. E la letizia perfetta – come insegna San Francesco d’Assisi, riecheggiando Gc 1,2 – non è disgiunta dalla croce, che ci mostra l’infinito amore che Dio ha per noi.

 

Interpretazione

Il sole con le lettere IHS (Iesus Hominum Salvator) è esplicitamente ripreso dallo stemma di papa Francesco, quale segno di gratitudine per la sua paternità e, più ancora, per esprimere la centralità di Cristo, sole che sorge, non tramonta e che dà vita. Egli, il Cristo Signore, è “lumen gentium”, il cui fulgore non può essere vinto dalle tenebre del mondo. Il sole è in oro, primo tra i metalli nobili, quindi simbolo della prima tra le Virtù: la Fede. Infatti è tramite la Fede che ci abbandoniamo alla guida misericordiosa della luce che promana da Cristo e si riflette nell’universo.

Il monte, qui rappresentato in foggia araldica, oltre ad essere un rimando al contesto in cui il Vescovo è cresciuto, costituisce luogo fortemente evocativo dell’esperienza dell’incontro con Dio, luogo di trasfigurazione (icona venerata nel Seminario Regionale di Ancona, dove don Antonio ha prestato a lungo servizio); richiama il mistero pasquale, esperienza condivisa con famiglie e persone provate dal dolore e dalla morte.

Le due onde azzurre richiamano il fiume che bagna la città di Cremona, il Po. Inoltre, dal tempio di Cristo e della Chiesa (che coinvolge pienamente il Vescovo nella sua apostolicità) sgorga un fiume di grazia, perché “un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio” (Sal 45,5).

Il giglio, ripreso dallo stemma di Paolo VI, oltre ad onorare il Papa del Concilio Vaticano II, rimanda al nome Antonio (che significa anche: fiore) e all’esperienza scout che ha segnato il cammino umano e cristiano del Vescovo. Essendo da sempre simbolo di purezza, è anche un’immagine di chiaro significato mariano: “Eccomi, sono la serva del Signore”. (Luca 1,38). Paolo VI ha insegnato a venerare Maria come immagine e Madre della Chiesa, che a sua volta, come la luna, non vive di luce propria, ma riflette quella del suo Signore. Idea resa anche dalla differenza tra l’oro del sole e l’argento del giglio.

I colori delle campiture dello scudo sono: azzurro, colore che simboleggia l’incorruttibilità della volta celeste, le idealità che salgono verso l’alto, rappresentando quindi il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio; argento, metallo che in araldica rappresenta la trasparenza, quindi la Verità e la Giustizia, doti che devono accompagnare quotidianamente lo zelo pastorale del Vescovo e rosso, il colore intenso dell’amore e del sangue, della Carità; l’amore senza limiti del Padre che ha inviato il Figlio ad offrirsi fino all’estremo e a versare il proprio sangue per la nostra redenzione. Dal punto di vista teologico-spirituale, azzurro e rosso esprimono il mistero umano-divino dell’Incarnazione e della salvezza, che incrocia anche visivamente nello stemma le realtà umane, simboleggiate da monti e fiumi, che si trasformano in luoghi dell’incontro con Dio e dell’esperienza della Sua grazia.




Sessant’anni fa la scomparsa dell’arcivescovo Cazzani, tra i pastori più insigni della Chiesa che è in Cremona

Domenica 26 agosto 2012 è stato celebrato il sessantesimo anniversario della morte di mons. Giovanni Cazzani, arcivescovo di Cremona dal 1914 al 1952. Mons. Cazzani, originario di Samperone in provincia di Pavia, è unanimemente considerato uno dei pastori più insigni della Chiesa cremonese: apprezzatissimo per la vasta cultura e la sincera pietà, guidò con mano ferma e sapiente la diocesi nel mezzo di due guerre mondiale, della dittatura fascista e del difficile tempo della riconciliazione e della ricostruzione dopo la Liberazione dal giogo nazista. Particolarmente attento allo sviluppo dell’associazionismo cattolico e alla preparazione culturale e spirituale dei suoi sacerdoti, compì 6 visite pastorali, indisse 3 sinodi, scrisse 38 lettere pastorali.

 

Sacerdote a Pavia e a Ravenna

Giovanni Cazzani nasce a Samperone, provincia di Pavia, nei pressi della Certosa, il 4 marzo 1867, da una agiata famiglia di affittuari terrieri. Trascorre la sua infanzia ad Albuzzano, un piccolo centro rurale poco lontano, e nel 1878, a 11 anni, entra nel Seminario diocesano, dove resta fino al 1889, anno della sua ordinazione sacerdotale.

I primi dieci anni di ministero sono particolarmente intensi sia per il conseguimento di tre lauree (in Lettere e Filosofia presso l’università di Pavia e in Teologia alla Facoltà di Milano) e sia per i delicati incarichi di vicerettore e insegnante in Seminario. Non manca una significativa attività pastorale fatta di conferenze alle suore, predicazioni straordinarie e corsi di esercizi spirituali.

Nel 1899 Cazzani diviene segretario del vescovo, mons. Riboldi, e lo segue, due anni dopo, quando viene trasferito a Ravenna ed elevato alla porpora cardinalizia. Riboldi è il modello a cui Cazzani si ispira una volta divenuto lui stesso Vescovo: in vent’anni di episcopato a Pavia mons. Riboldi tenne otto sinodi e portò a termine otto volte la visita pastorale.

A Ravenna don Giovanni resta per tre anni: nel 1902, alla morte di Riboldi, egli torna in diocesi dove, a soli 35 anni, diviene rettore del Seminario. Un incarico che dura pochissimo: nel 1904 Cazzani è eletto vescovo di Cesena.

 

Vescovo a Cesena

Dell’espiscopato in terra romagnola si ricorda soprattutto l’impegno sociale: il giovane pastore invita i cattolici ad associarsi e a prendere parte alla vita politica e addirittura, nel 1907, scende in campo in prima persona durante le agitazioni agrarie. La lettera pastorale scritta in quella circostanza si segnala come uno degli interventi più equilibrati, ma anche chiari e coraggiosi, tanto che è ripresa da Giuseppe Toniolo con una edizione per l’Unione Popolare Cristiana ed è fatta propria, nella sostanza, dall’episcopato dell’Emilia Romagna, che pubblica un pronunciamento nella stessa linea e nello stesso tono. Cazzani, in quello scritto, dopo aver richiamato i lavoratori della terra sui loro doveri, ricordando anche i loro diritti (di associazione e di rivendicazione del dovuto), esorta i proprietari non solo a corrispondere il giusto salario ai propri dipendenti, ma addirittura ad amarli come se stessi.

Lo spesso culturale e spirituale del presule è notato da Papa Pio X che l’avrebbe voluto nei ranghi della Curia Romana. Il 16 dicembre 1914 Il suo successore, Benedetto XV, che ben lo conobbe al tempo del suo episcopato a Bologna, destina mons. Cazzani a Cremona, degno successore di Geremeia Bonomelli.

 

Vescovo a Cremona

L’11 aprile 1915, nel pieno della grande guerra, il vescovo Giovanni fa il suo ingresso in diocesi, preceduto da una lettera pastorale nella quale si possono scorgere i tratti fondamentali della sua azione nella nostra diocesi. In tale documento traspare anzitutto la sua fede radicata, la sua dedizione alla preghiera, la sua passione per la Parola di Dio, ma anche il suo zelo per la cura delle anime e la sua profonda cultura che fin da subito lo impone come un grande maestro di dottrina e un fine predicatore.

Dal carattere mite, ma estremamente fermo e chiaro, si contrappone al sindacalista Guido Miglioli quando esagera nei toni contro i proprietari terrieri, così come si oppone, con indomito coraggio, alla tracotanza fascita e alle minacce di Roberto Farinacci, ras indiscusso della città per tutto il tempo del Ventennio. Pur mostrando un profondo spirito di patria e una sincera lealtà alle autorità costituite, Cazzani manifesta sdegno e riprovazione quando è chiusa d’imperio l’Azione Cattolica, quando si minaccia l’educazione cristiana delle nuove generazioni o quando iniziano le persecuzioni contro gli ebrei. Particolarmente significativa è la lettera pastorale per la Quaresima del 1944 dove già egli vede oltre la guerra. Nel testo, lodato da tutto l’episcopato lombardo, egli prospetta una nuova serie di pericoli che, specie tra le classi meno abbienti, già sembrano profilarsi tanto nell’ambito religioso che in quello sociale. Tra quei pericoli elenca le insidie già serpeggianti «di un socialismo e di un comunismo ateo e materialista» non meno deprecabili, sul lato opposto, di quelle «del liberismo economico e del sistema capitalistico fondato su di esso». A tutto ciò contrappone le linee di una sana e autentica «riforma sociale cristiana».

Il giorno successivo alla liberazione d’Italia, il 26 aprile 1946, pubblica un Manifesto alla cittadinanza intonato alle parola d’ordine: «carità e pace». E come si prodigò per mitigare le violenze fascite così si impegna a contrastare le vendette dei partigiani invocando un «esercizio della giustizia che si compia nei modi e nelle forme convenienti a un popolo civile».

Per i suoi alti meriti ecclesiali e civili Pio XII, Il 25 maggio 1944, gli conferisce il titolo personale di arcivescovo.

Ma mons. Cazzani fu soprattutto “pastore d’anime”. Il suo zelo lo spinge a compiere ben sei visite pastorali: 1916, 1922, 1927, 1933, 1939 e 1944. Tre, invece, sono i sinodi diocesani indetti: il primo è celebrato nel 1921, dopo oltre 40 anni dal precedente, voluto da mons. Bonomelli nel 1880. In quella assise sono aggiornati gli strumenti di governo della diocesi anche alla luce del Codice di diritto canonico promulgano quattro anni prima. Il sinodo del 1933 è convocato per adeguare la legislazione ecclesiastica alle nuove condizioni create dal Concordato del 1929, mentre l’ultima assise, quella del 1951, appare come una semplice conferma delle due precedenti, salvo alcune norme richieste dalle nuove situazioni determinate dalla seconda guerra mondiale e dai primi anni del dopoguerra.

Tra le priorità pastorali di mons. Cazzani emergono la solida formazione dei seminaristi e la cura del presbiterio, lo sviluppo dell’Azione Cattolica e la promozione del laicato, la valorizzazione dei mezzi di comunicazione attraverso il nuovo settimanale diocesano «La Vita Cattolica», la stretta collaborazione con religiose e religiosi.

Mons. Cazzani è esemplare anche nell’attenzione ai poveri, soprattutto se carcerati. Nel 1949, in occasione della Perigrinatio Mariae, invita a generose offerte straordinarie per gli indigenti. Da parte sua, «non avendo denaro» offre in vendita per quello scopo la sua preziosa croce pettorale e l’annessa collana d’oro.

 

La testimonianza dell’avv. Groppali

Vale la pena citare il brano di una lettera dell’avvocato Beniamino Groppali indirizzata al vicario generale della diocesi, mons. Paolo Rota, all’indomani della morte di mons. Cazzani, avvenuta il 26 agosto 1952. Di seguito il testo preso dal volume “Giovanni Cazzani. La vita e l’episcopato cremonese” edito dalla NEC nel 2002 in occasione del cinquatesimo della morte e curato da don Andrea Foglia, storico e direttore dell’archivio diocesano.

«M.R. Monsignore, soltanto oggi ho appreso dai giornali la dolorosa notizia della morte del nostro amato Arcivescovo, che mi ha profondamente turbato e commosso. Con lui scompare una delle più luminose figure della Chiesa, con lui che fu veramente il degno continuatore degli insigni vescovi che lo hanno preceduto. Alla profonda sapienza e alla sconfinata cultura, univa la mite, serena vigilante bontà del santo, per cui poteva in ogni evento eccellere su tutti, e segnare sicuro la vita della giustizia e della salvezza. Se Cremona si sottrasse alla rovina, nelle epiche giornate della Liberazione, lo si deve alla sua sagacia, al suo coraggio e al suo fascino personale. Le omelie da lui pronunciate nelle sacre ricorrenze erano pagine di rara e appassionata eloquenza, e, dal pulpito della Cattedrale di Cremona, la sua parola, ricca di dottrina e di profonda umanità, correva per le città d’Italia, ad infondere forza e coraggio e nuova vigoria nella fede. Colla sua vita intemerata, coi suoi costumi austeri, colla incessante dedizione ad ogni opera di carità e di pietà, egli si è eretto un monumento aere perennius, e la sua memoria resterà dolce e profonda in ogni cuore, mentre il grande paterno spirito continuerà dall’alto a proteggere la diletta città».

Mons. Cazzani riposa nella cripta della Cattedrale a pochi metri dall’urna che contiene le reliquie di Sant’Omobono, patrono della città e della diocesi.

 

Uno stralcio del testamento spirituale di mons. Cazzani

«… Chiedo perdono a Dio di ogni mia infedeltà, come di cuore chiedo perdono a tutti coloro ai quali, comunque fosse, anche inconsapevolmente avessi recato danno, offesa, disgusto e scandalo. In particolare al mio Clero e al mio popolo diletto chiedo perdono d’ogni mio difetto di vigilanza, di sollecitudine pastorale, di correzione e di energia, o di pazienza e di carità. E perdono di cuore e imploro la divina misericordia a chiunque, in qualunque modo, mi avesse recato offesa o dolore. Mi raccomando alle preghiere di tutti e specialmente dei miei sacerdoti. A tutti ripeto, come vorrei ripetere dal letto di morte, la più viva raccomandazione di star sempre fermi nella professione e nella pratica coerente della fede cattolica romana, e nella devozione filiale e obbedienza sincera al Romano Pontefice; di amare e frequentare e promuovere la dottrina cristiana, di sostenere e promuovere in miglior maniera l’opera delle Vocazioni ecclesiastiche, il Seminario Diocesano e l’Azione Cattolica, e tutte le istituzioni per l’educazione cristiana della gioventù. Al Clero, in particolare, raccomando la pietà, la severa illibatezza del costume, il disinteresse e lo spirito di sacrificio e di disciplina e, soprattutto, la fraterna carità e concordia nell’unione cordiale al Papa e al Vescovo…».

+ Giovanni Cazzani, arcivescovo

 

Per approfondire la figura

Per approfondire la figure di questo insegne vescovo si possono consultare: “Giovanni Cazzani. La vita e l’episcopato cremonese” edito dalla Nuova Editrice Cremonese nel 2002 e curato da don Andrea Foglia o il libro “Diocesi di Cremona” edito dall’editrice La Scuola nel 1998 e in particolare il capitolo curato da mons. Giuseppe Gallina: “La diocesi di Cremona e l’episcopato di mons. Giovanni Cazzani dall’inizio della prima guerra mondiale agli anni del secondo dopoguerra” (pagg. 369-404).




“Scegliere per capire”: dal 3 al 5 gennaio in Seminario una due-giorni dedicata al tema della scelta

“Scegliere per capire”: questo il titolo dell’iniziativa proposta dal Centro diocesano vocazioni per i ragazzi che stanno affrontando l’ultimo anno delle scuole superiori e che, a breve, si troveranno davanti alla necessità di fare una scelta grande e importante. Si tratta di una due-giorni, in agenda dal 3 al 5 gennaio, incentrata proprio sul tema della scelta.

I ragazzi sono attesi per le ore 19 di domenica 3 gennaio in Seminario. La recita comunitaria del Vespro darà inizio a questa esperienza spirituale. Nella giornata di lunedì 4 proseguiranno le attività con un momento di ritiro che si concluderà con la celebrazione comunitaria della Messa. Infine, nella mattinata del 5 gennaio ci sarà spazio per un momento di condivisione dei sentimenti e delle riflessioni maturate in ciascuno.