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Per Santa Lucia un pastello in dono per i bimbi del Togo

Martedì 11 dicembre, alle ore 16.45, la chiesa del seminario Vescovile di Cremona ospiterà l’icona di santa Lucia e accoglierà i bambini che porteranno un loro dono per i bambini dell’orfanotrofio di Kpdome, in Togo.I piccoli partecipanti, infatti, sono invitati a portare in chiesa un pastello nuovo del vostro colore preferito. Tutti insieme, saranno poi inviati ai bimbi di Kpdome.
Tutti i bambini sono invitati (ma anche i grandi!) per trascorrere insieme un momento di gioia che terminerà con la benedizione; poi tutti a prendere il mazzetto di fieno preferito dall’asinello di santa Lucia.




Un concerto gospel nel ricordo di don Aldo Grechi

Per ricordare ad un anno dalla sua scomparsa la figura del sacerdote cremonese don Aldo Grechi, per 55 anni anni  parroco a Brancere, fondatore e promotore dell’Associazione cremonese S.a.I. Sostegno all’Infanzia Onlus di Cremona, ormai da parecchi anni promotrice di progetti umanitari in Africa e Brasile, il Gruppo Missionario di Brancere ed il Collegio Beata Vergine di Cremona, presentano un concerto di musica gospel tenuto dal Coro Sixth Pop Choir Gospel diretto dal Maestro Massimo Ardoli e presentato da Matteo Lazzari.

Il concerto in realizzato collaborazione con il Comune di Cremona la sera di venerdì 14 dicembre alle ore 21 nel salone Lucia Perotti del Collegio Beata Vergine, con ingresso libero da Via Guido Grandi n. 5.

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Il mondo guarda a Mazzolari, costruttore di pace

“Don Primo Mazzolari fu un vero costruttore di pace. I suoi insegnamenti ci ricordano che la pace è un bene che deve essere chiesto per tutti, anche per coloro che non lo meritano, che è frutto dell’impegno di tutti gli uomini di buona volontà”, “che non può essere imposta ma offerta”. È il Segretario di Stato card. Pietro Parolin, a indicare lo spessore della figura del sacerdote cremonese aprendo giovedì 29 novembre a Parigi, presso l’Unesco, il congresso internazionale su “il messaggio e l’azione per la pace di don Primo Mazzolari”.

A presentare il convegno organizzato da Missione Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO e Diocesi di Cremona con il patrocinio dell’Unesco e la collaborazione della Fondazione Mazzolari è stato mons. Francesco Follo, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco, alla presenza nella grande sala di una nutrita presenza di rappresentanze diplomatiche (in prima fila anche l’ex premier Enrico Letta) e media, tra cui il dott. Giacomo Ghisani, vice direttore della Segreteria per le Comunicazioni del Vaticano. Presenti anche circa 130 pellegrini cremonesi, tra cui il prefetto Paola Picciafuotchi, il sindaco di Cremona Gianluca Galimberti e il primo cittadino di Bozzolo Giuseppe Torchio.

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II vescovo Napolioni: “Una fonte cui attingere ragioni di impegno e speranza”

Ad aprire i lavori è stato poi il vescovo di Cremona Antonio Napolioni che ha presentato la figura do don Primo portando il saluto della diocesi: “Don Mazzolari è un uomo di periferia: Cremona è periferia della Lombardia. Le sue parrocchie di Cicognara e di Bozzolo, in provincia di Mantova, sono periferie d’Italia, oggi come allora. Ma diviene uomo dallo sguardo senza confini”.

Guarda l’intervista al Vescovo a Parigi

Il vescovo ha tracciato le linee biografiche di Mazzolari, affermando:

“Oggi guardiamo alla vita e al pensiero di don Mazzolari come a una fonte, cui attingere ragioni di impegno e speranza.

Ci aiuta a farlo il magistero di Papa Francesco, che ha sorpreso tutti recandosi il 20 giugno 2017 a Bozzolo, per pregare sulla tomba di un parroco di campagna. Quel giorno, il Papa così concludeva il suo discorso: ‘Se doveste riconoscere di non aver raccolto la lezione di don Mazzolari, vi invito oggi a farne tesoro. Il Signore, che ha sempre suscitato nella santa madre Chiesa pastori e profeti secondo il suo cuore, ci aiuti oggi a non ignorarli ancora. Perché essi hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni’”. Napolioni ha concluso: “Siamo qui oggi, sotto gli occhi del mondo e della sua ricerca di pace, per fare ancora tesoro di quella lezione”.

Card. Parolin: “Ha compreso che tra Vangelo e violenza la distanza è abissale”

“Riflettere su come il pensiero e l’azione di questo sacerdote”, don Primo Mazzolari, “può aiutarci tutti a vivere il nostro tempo con coraggio e aiutare a costruire ciò che Papa Francesco chiama la civiltà dell’amore”.

E’ poi nelle parole pronunciate nella sua prolusione dal Segretario di Stato Vaticano card. Pietro Parolin, che si spiega l’obiettivo del congresso internazionale presso la sede di un organismo laico ma aperto e attento al dialogo tra culture e religioni come l’Unesco.

Il cardinale, aprendo i lavori, ha ripercorso la vita di questo sacerdote che, avendo “affrontato il dramma della guerra” prima come soldato semplice poi come cappellano militare, ha maturato “convinzioni che lo condurranno a diventare un costruttore di pace del XX secolo”.

È la “dura realtà della guerra” che “lo aiuta a comprendere che tra il Vangelo e la violenza la distanza è abissale”.

Guarda l’intervista al card. Parolin

Dagli anni dei regimi totalitari in cui Mazzolari

“ha avuto il coraggio di opporsi con forza a tutte le forme di ingiustizia e razzismo”, al sostegno alla Resistenza “come esercizio di una coscienza che voleva preservare l’umanità dall’incubo della violenza”;

dalle indicazioni nel periodo della seconda guerra mondiale sul discernimento del “bene e vero” in una “realtà che non è mai limpida”, all’impegno per l’educazione della coscienza (“il mito del dovere come esattamente opposto al primato della coscienza morale”) o la convinzione della necessità di una istituzione sovranazionale come garante di pace.

Parolin ha ricordato come lo stesso Papa Francesco ne abbia visitato la tomba a Bozzolo il 20 giugno 2017, “per commemorare questa straordinaria figura di sacerdote e profeta”. Dei suoi scritti Parolin ha detto sono “una miniera alla quale possono aspirare ricercatori, intellettuali e uomini di buona volontà”. Dall’esperienza di don Primo il cardinale ha ricavato “tre lezioni di vita”:

“La pace nasce da un dialogo tra gli uomini”, quando “i cuori e gli arsenali sono disarmati”;

“la pace nasce dal fatto che l’educazione non è e non dovrebbe mai essere vista in modo puramente utilitaristico”, ma come “trasmissione di saggezza”, “apprendimento del significato della vita”;

“la pace nasce dall’impegno di tutti a vivere la storia con amore” con un “impegno concreto, personale”.

“Siamo convinti che”, le ultime parole del cardinale, “come ha sostenuto don Mazzolari, la pace deve rimanere la costante ostinazione dell’uomo. In ogni momento e per tutte le persone”.

Don Bignami: “oltre la teoria della guerra giusta”

Tra gli altri interventi anche quello di don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione, presidente della Fondazione Mazzolari e Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei.  “Don Primo Mazzolari è figlio del suo tempo. – ha detto – Anche per quanto riguarda la riflessione sulla pace, ha risentito degli insegnamenti della Chiesa prima del Concilio Vaticano II. Gli studi compiuti nel seminario di Cremona lo hanno inserito nel solco della tradizione teologica che ragionava servendosi della teoria della ‘guerra giusta’”; “l’idea di fondo era quella di limitare il più possibile il ricorso alla guerra come strumento di soluzione delle controversie. Don Mazzolari ha appreso quel principio, ma l’ha trovato insufficiente alle esigenze del messaggio evangelico. Si trova così a rivedere gradualmente le proprie posizioni che da interventiste, alla vigilia della Grande Guerra, si fanno sempre più radicali di opposizione al conflitto. Scriverà nel 1955 a proposito delle sue posizioni resistenziali: ‘Non avrei potuto fare diversamente con davanti il Vangelo e l’esperienza della guerra’”.

“Possiamo trovare nel suo percorso tre conversioni che lo hanno condotto al pacifismo:

la fraternità come senso del vivere umano, il dialogo come forma di condivisione della vita e il modello di umanità come esperienza di credibilità”

Cosa rimane del messaggio di don Mazzolari? – si è poi chiesto don Bignami nella sua relazione a Parigi. “In primo luogo occorre riconoscere che la sua voce ha trovato eco nell’insegnamento della Chiesa. Si pensi all’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) e alla Costituzione del Concilio Gaudium et spes (1965). Non presentano più il concetto di guerra giusta e sembrano suggerire un nuovo modo di affrontare il tema della pace”. Emerge “una nuova visione dei rapporti tra i popoli, in termini di ‘interdipendenza’ della comunità umana”.

“Possiamo affermare che Mazzolari ha saputo aprire una strada che solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1959, la Chiesa ha avuto il coraggio di percorrere”.

A un secolo di distanza dalla conclusione della prima guerra mondiale, “sarebbe interessante leggere in parallelo il messaggio di don Mazzolari con l’omelia proclamata da Francesco al Sacrario militare di Redipuglia il 13 settembre 2014. Afferma: ‘La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione’. Mazzolari “continua a parlare anche a noi che siamo radunati in questa Sede dell’Unesco in un’epoca in cui assistiamo a una guerra dislocata ‘a pezzi’ in varie parti del mondo. Non possiamo chiudere gli occhi e dimenticare sofferenze e ingiustizie che alimentano sete di vendetta”. La pace “si fonda sul riconoscimento della fraternità dell’altro. Solo allora i cuori si disarmano e gli arsenali perdono valore”.




Bioetica e sanità, per una riflessione «ai confini della vita»

Il 1° dicembre si è svolto presso la Parrocchia S. Stefano di Casalmaggiore il convegno dal titolo “Ai confini… della vita”. Durante la giornata organizzata dall’Ufficio Pastorale della Salute in sinergia con Newtabor Onlus e la Cappellania dell’Ospedale OglioPo, si sono susseguiti relatori di grande professionalità e competenza, che ricoprono ruoli di rilievo internazionale.

Ha iniziato Mons. Jean-Marie Musivi Mupendawatu, segretario del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede e membro della Pontificia Commissione per le attività del settore sanitario delle persone giuridiche pubbliche della Chiesa, che ha presentato la Nuova Carta degli operatori sanitari, un vademecum rivolto a chi desidera lavorare in armonia con gli insegnamenti di Cristo e con il Magistero della Chiesa.

Il testo aggiorna la prima stampa pubblicata nel 1995, revisione necessaria a seguito delle numerose conquiste della ricerca biomedica e delle mutate politiche sanitarie mondiali che hanno accresciuto la sensibilità ai principi di solidarietà e sussidiarietà nell’accesso a farmaci ed alle tecnologie. La nuova carta tiene conto dei numerosi pronunciamenti del Magistero, emanati attraverso le varie Encicliche di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e Papa Francesco, e dei documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Pontificia Accademia per la Vita. La struttura è articolata su tre aree: generare, vivere e morire, ed è uno strumento efficace ed utile di fronte all’affievolirsi delle evidenze etiche, del soggettivismo delle coscienze e del pluralismo culturale.

L’On. Domenico Menorello, membro della Camera dei Deputati dello Stato, che ha trattato il tema e l’iter seguito dalla recente legge 219/2017 sulle DAT. I numerosi emendamenti proposti sono stati tutti bocciati e così, la “proporzione”, invocata dal Magistero rispetto alle cure al fine di mantenere la vita, viene rovesciata e diventa “proporzione” per evitare il tabù del dolore, della invalidità, di una condizione di diversità, in cui la vita non sarebbe più dignitosa e dunque, non sarebbe più vita. L’opzione culturale rintracciabile nel tessuto normativo proposto implica un concetto di “dignità” connesso alla capacità del soggetto di “performare”, di essere all’altezza delle attese della società. Chi è inabile, chi non ha utilità economiche e sociali, chi soffre non ha, per questa mentalità, una evidente dignità. Non siamo più capaci di accettare la vita stessa che è fatta anche di cose difficili. La malattia fa parte della vita. Come la nascita e la morte. Noi allontaniamo tutto e rapportiamo tutto al successo. Il desiderio di significato, la domanda di verità, di bellezza, di giustizia che albergano e si accendono nel cuore di ogni uomo, anche e soprattutto nel dolore, sono il proprium dell’umano, ciò che lo rende grande, ciò che fa ritenere ugualmente “dignitosi” un sovrano e un mendicante, un campione olimpionico e un disabile”.

E’ intervenuto poi il prof. Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica e Medical Humanities della Facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del S. Cuore di Roma, che ha trattato il tema importantissimo del comitato etico, strumento indispensabile per rendere operative le teorizzazioni della bioetica, assegnandogli un nuovo ruolo, non di polizia, ma di facilitazione del dialogo e di coscienza morale delle istituzioni sanitarie.

Sono seguiti: il Dr. Giovanni Paganini, Direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute della Diocesi di Mantova, che ha messo in evidenza l’importanza delle cure palliative e le modalità con cui approcciarsi ai pazienti gravi; il dr. Gianfranco Salzillo bioeticista clinico con una sua testimonianza sul campo ed, infine, la prof.ssa Palma Sgreccia, preside dell’Istituto internazionale di Teologia pastorale sanitaria Camillianum di Roma, la quale ha fornito le basi per una nuova pastorale della salute che possa affrontare le nuove sfide etiche nella società odierna.




Il card. Bassetti alla mostra itinerante su don Primo Mazzolari

A pochi giorni di distanza dal grande evento ospitato a Parigi dalla sede Unesco, dove è stato presentato al mondo il suo messaggio di pace, la figura di don Primo Mazzolari si è trovata ancora una volta al centro di un importante evento della Chiesa, questa volta italiana.

Domenica 2 dicembre, infatti, presso l’Hotel Domus Pacis di Assisi è stata inaugurata alla presenza del Presidente della Cei, il Card. Gualtiero Bassetti, la mostra “Conoscere don Primo Mazzolari” (qui il link che riporta l’intervento del Cardinale) Iniziativa curata dalla Fondazione Mazzolari e dalla Postulazione della Causa di Beatificazione, in occasione del 60° anniversario della morte del parroco di Bozzolo. Una mostra itinerante messa a disposizione per enti e parrocchie, con un allestimento di pannelli, video e immagini d’archivio e con contenuti multimediali che rappresentano la vita e il messaggio di don Primo.

In questi giorni si sta tenendo ad Assisi il 35° Corso di formazione nazionale dei partecipanti al Progetto Policoro, abbracciato e sostenuto da parecchi anni dalla Conferenza Episcopale Italiana e di cui un nostro prete diocesano don Bruno Bignami è il responsabile (scopri di più sul progetto Policoro).

In questa occasione la figura di don Primo Mazzolari è stata proposta come icona “di un cristianesimo impegnato nel mondo al servizio degli ultimi”, queste le parole del Presidente della Cei. «Abbiamo fatto la scelta di accompagnare la formazione del progetto con una figura di spiritualità sociale – ha spiegato don Bruno Bignami -. Iniziamo quest’anno con la testimonianza di don Primo Mazzolari, facendo memoria dei sessant’anni dalla morte, ma soprattutto riprendendo la sua proposta di un cristianesimo impegno nel mondo al servizio degli ultimi. Al termine dei giorni di Assisi lasceremo a tutti il testo di don Primo “Ci impegniamo noi e non gli altri…”, che reciteremo insieme. Nelle meditazioni di questi giorni ci metteremo in ascolto anche di alcuni testi del parroco di Bozzolo»

E il racconto della vita e del pensiero di don Primo è ripreso proprio attraverso i pannelli della mostra realizzata dalla Fondazione: un portale di ingresso, 8 roll up, due schermi e due palmari che in modo conciso, aggiornato e interattivo danno la possibilità di farsi un’idea completa di don Primo Mazzolari, dei suoi scritti e delle sue idee. Sarà disponibile, su prenotazione, per tutto il 2019. Insieme alla mostra, gli organizzatori propongono di dedicare un momento specifico a una conferenza o ad una celebrazione di preghiera sulla figura di don Mazzolari, a un suo scritto o a un tema della sua vasta opera. E la possibilità – in quell’occasione – di vendere dei libri

Per la prenotazione rivolgersi direttamente a don Umberto Zanaboni, vice postulatore della causa di beatificazione (tel. 331 8363752 – donumbertozanaboni@libero.it) e Fondazione don Primo Mazzolari (tel. 0376 920726 – info@fondazionemazzolari.it).




Nuova vita per la Fondazione Benefattori Soresinesi

“In questi giorni, dopo un lungo e paziente lavoro di tessitura e l’espletamento di estenuanti procedure burocratiche, è venuta alla luce la nuova Fondazione Benefattori Soresinesi che unisce ed unifica tre precedenti realtà benefiche della città: la Fondazione Casa Robbiani per la Maternità, la Fondazione Antonio Zucchi e Maria Falcina, la Fondazione Giuseppina Guida.

La nuova Fondazione avrà a disposizione un patrimonio sufficiente per sostenere, a norma dello statuto e conformemente ai propri obiettivi specifici, alcune iniziative a vantaggio della cittadinanza, soprattutto a sostegno delle fasce sociali più deboli. Al nuovo Consiglio di Amministrazione della “Fondazione Benefattori Soresinesi”, la stima, l’incoraggiamento e gli auguri dell’intera Comunità cristiana”.

Questo il messaggio del parroco don Angelo Piccinelli, tra l’altro consigliere della Fondazione, all’ente Benefattori Soresinesi presieduto da Alessandro Tironi. La Fondazione opera con un Consiglio di Amministrazione composto da 7 consiglieri: 3 nominati dal Sindaco di Soresina, 1 dal Vescovo di Cremona, 1 dal Parroco di Soresina, 2 dalle Associazioni di volontariato soresinesi con finalità sociali o socio assistenziali. Una scelta che risponde ad una visione della gestione dei beni della comunità demandata alle forze sociali anziché alla rappresentanza politica.

La nuova realtà, va ricordato, ha adottato uno statuto che recepisce le finalità testamentarie di tutti i benefattori delle originarie fondazioni, aggiornando i servizi offerti all’attuale momento storico. Ecco perché la Benefattori Soresinesi manterrà le attuali attività di assegnazione di alloggi per persone anziane, ma autosufficienti e di CAH (Comunità Alloggio Handicap), mentre sono allo studio varie soluzioni per utilizzare l’immobile dell’ex Fondazione Zucchi e Falcina (ormai non più utilizzato come sede scolastica). In particolare, gli alloggi dedicati a persone anziane autonome sono 19, tutti occupati, e il servizio è particolarmente gradito, mentre il CAH ha visto un aumento dei residenti (intesi come ospiti solo diurni o fissi nelle 24 ore) nella casa famiglia.

Il futuro presenta sicuramente una sfida, ma le idee e i progetti non mancano:

  • sono in revisione le modalità di attribuzione degli alloggi destinati agli anziani, riscrivendo i requisiti di valutazione basandosi su criteri socio assistenziali (anziani autosufficienti che hanno necessità di custodia o assistenza per le attività della vita quotidiana);
  • si sta strutturando un progetto per avere una maggiore continuità e regolarità di utilizzo del CAH (Comunità Alloggio Handicap);
  • si sta lavorando per recuperare il palazzo Zucchi e Falcina e mantenerlo attivo per destinarlo ad attività formative organizzate anche in collaborazione con la Fondazione.

Il patrimonio della Fondazione comprende anche un podere – podere Retorto – sito nella campagna soresinese per il quale è allo studio un progetto per la realizzazione di un impianto sportivo per motocross e ciclocross. Un’opportunità per i soresinesi e per il circondario con un ritorno economico da investire nei progetti socio-assistenziali della Fondazione.

La Fondazione Benefattori Soresinesi, per presentarsi nella sua nuova veste alla città, oltre alle normali attività, ha promosso un’iniziativa natalizia, ovviamente solidale. Grazie alla collaborazione con ASPM (Azienda Servizi Pubblici Municipalizzati), ASCOM (Associazione Commercianti), Scuola Cattolica “Immacolata” e Istituto Comprensivo Bertesi, sono state realizzate decorazioni natalizie, con materiale di riciclo, attualmente esposte presso i negozi di Soresina e la Fondazione. I manufatti saranno poi battuti all’asta, il 15 dicembre presso la Fondazione, e il ricavato dell’iniziativa sarà utilizzato per sostenere le attività della Benefattori Soresinesi.

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L’Avvento di Fraternità 2018 per la missione delle Suore Adoratrici in Congo

E’ intitolata «L’accesa carità in missione» l’iniziativa diocesana proposta per l’Avvento di carità  2018 dall’area pastorale “Nel mondo con lo stile del servizio”, dal Centro missionario diocesano e dalla Caritas Online e si propone – nell’anno della canonizzazione di padre Francesco Spinelli – come “un filo diretto con i progetti delle Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda.

Il contributo della diocesi sarà destinato infatti al progetto “Una scuola per Bibwa”, portato avanti dalla missione dell’Istituto religioso nel sobborgo di Kinshasa, capitale della Repubblica del Congo.

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Bibwa è un quartiere semi rurale, vicino all’aeroporto, abbastanza esteso, ma dove l’80% della popolazione non ha un impiego stabile. L’ambiente sociale e vitale è molto povero e i servizi di base pressoché inesistenti. Sono molto scarse le strutture adeguate all’educazione scolare e i servizi sanitari (dispensari, maternità …) sono carenti. L’attuale crisi politica non aiuta certo un miglioramento della situazione sociale. Dal 2005 le Suore Adoratrici del SS. Sacramento sono presenti in questa realtà con una piccola comunità, a stretto contatto con la gente.

Le religiose esprimono il loro carisma di adorazione e servizio attraverso diverse opere caritative. Sono impegnate nella pastorale, in stretta collaborazione con i Missionari Comboniani; si prendono cura dei più poveri nel piccolo dispensario, dove da alcuni anni si è aperto anche il servizio di maternità. In risposta alle pressanti richieste delle famiglie hanno aperto una Scuola dell’infanzia e primaria.

Il continuo aumento degli alunni richiede un ampliamento dell’attuale struttura della Scuola primaria, composta ad ora di 4 aule. Le Suore Adoratrici ha progettato perciò la costruzione di altre 4 aule sopra a quelle esistenti, con un preventivo di costo di circa €. 80.000,00, convinte della fondamentale importanza di investire nell’educazione e formazione, a partire dai più piccoli.

A quest’opera di carità è dunque chiamata a partecipare l’intera Chiesa locale cremonese con l’Avvento di carità 2018.

Come contribuire:

  • Presso gli uffici della Caritas diocesana via Stenico 2B – Cremona – tel. 0372 35063
  • Con carta di credito attraverso il servizio “Dona ora” sul sito www.caritascremonese.it
  • Con versamento su conto corrente bancario iban: IT 28 X 08454 11403 000000080371 intestato a “Diocesi di Cremona” indicando come causale “Avvento di Fraternità 2018” e specificando il nome e la località della Parrocchia che effettua la donazione

 

 

 




Giornata Mondiale contro l’AIDS: a Cremona c’è una casa che dà un volto alla speranza

Un giardino curato, una struttura ordinata  e pulita e un andirvieni di infermieri, operatori, suore, parenti e medici accoglie chi entra a Casa Speranza, in via Borgo Loreto a Cremona. Così è stato ieri, pochi minuti prima che iniziasse la Santa Messa nel giorno dedicato alla lotta mondiale contro l’Aids.

Difficile muoversi tra le tante persone presenti, tutte lì per un motivo: chi è ricoverato, chi è venuto a trovare un parente, chi ci lavora, chi è amico di quest’opera -discreta ma grandissima -che dal 2001 ha aiutato centinaia di persone ad affrontare una malattia impietosa e, a volte, anche la morte. Eppure il messaggio dato durante l’omelia da don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il Clero e il Coordinamento pastorale, non ha avuto toni foschi.

“Quando sono arrivato qui oggi”, ha esordito, “ho letto subito l’insegna fuori dal cancello: ‘Casa della speranza’. Se a Cremona ci fosse un negozio che vende la speranza ci sarebbe il pienone, perché la speranza è un bene raro ormai e la gente sarebbe disposta a dare qualunque cosa per averne. Qui però non siamo in un negozio”. E allora – ha proseguito – “perché chiamare ‘Casa della speranza’ un posto dove si accolgono tante fragilità? Non è ironico. Tutto quello che vendono fuori, sono inganni. Noi invece abbiamo capito che la speranza non è data dalle cose, ma dall’accogliere le persone. Quando uno si sente preso a cuore, quando non è un numero ma un volto e la sua storia viene accolta, esce dalla paura: torna a vivere.  E capite che questo non si può comprare, lo si può solo accogliere come dono. Un dono insperato. Cosa fa alzare il capo? Qualcuno che guarda te, che ti regala il suo tempo. La speranza ha un nome: è il fratello, volontario, infermiere, il volto che si è preso cura di te. E questa èuna cosa che puoi fare anche tu”, dice rivolto ai dieci pazienti oggi in cura nella struttura. Ma, conclude, “non è tutto. All’ingresso troviamo una stanza dove non c’è qualcosa, ma Qualcuno. Un pezzo di pane. Oggi inizia l’Avvento e ci ricorda che Dio non ha promesso miracoli o effetti speciali, ma che si è dato a noi, che ci fa compagnia. E’ la presenza di un Dio che dice “io non ti mollo, sono con te, per me hai un destino meraviglioso”. Dio-con-noi. Dio non si concepisce solo, ma è presenza che ci accompagna. Questo luogo può essere speranza per tanti altri. Buon cammino di Avvento a tutti! Siamo annunciatori del fatto che Cristo Gesù è la nostra speranza, non dimenticatelo”. Alla fine della celebrazione sono intervenuti brevemente don Antonio Pezzetti, che ha ringraziato i tanti amici presenti che negli anni non hanno mai smesso di supportare l’opera, e il dottor Giuseppe Carnevale, medico infettivologo tra i primi a veder nascere e volere quest’opera, che ha fatto il punto dell’evolversi del virus HIV nel mondo. Proprio con lui abbiamo avuto la possibilità di scambiare due parole a margine della messa.

“Chi è ospite oggi della Casa della Speranza, vive un’esperienza di accompagnamento. Non è sempre facile, certo; qui entrano pazienti con Aids conclamato, che hanno avuto percorsi di vita diversi. Molti l’hanno presa per via sessuale, l’età è molto variabile: si va dai 30 anni agli 80 e più. E i pazienti provengono non solo dal cremonese ma anche da province limitrofe o dall’estero (ci sono un africano e un brasiliano)”, racconta. “Non possiamo fare miracoli, ma cerchiamo di curare la persona dal punto di vista fisico (con la possibilità di essere seguiti dal punto di vista farmacologico in maniera costante) e umano. Ecco perché l’impegno maggiore è quello di dare un aiuto nella quotidianità, nelle piccole cose di tutti i giorni: la pulizia personale, la cura dell’alimentazione, piccoli momenti di impegno o svago dove non sentirsi solo malati ma persone. In tutto questo opera uno straordinario personale infermieristico e medico, insieme ad alcune suore e 4 educatori. Si cerca di riallacciare i rapporti famigliari (i parenti possono venire a visitare i loro congiunti) anche se a volte la situazione è talmente compromessa che i pazienti sono stati abbandonati e isolati da tutti. Ci sono poi persone in carrozzina o anziane il cui rientro in società è più difficile. Ma, come recita il nome dell’opera, non ci facciamo abbattere dalle fatiche perché si continua a sperare, sempre”.




A San Luca le messe di Avvento sono “degli artisti”

Nelle quattro domeniche di avvento, la Messa delle 21 nella chiesa di San Luca sarà la messa degli artisti, grazie al progetto dei Barnabiti «L’arte che nutre l’attesa». Saranno gruppi di artisti, soprattutto giovani, ad animare la liturgia secondo diversi linguaggi che interpreteranno i temi centrali dell’attesa, della luce e dell’incontro.

Il primo appuntamento è per la Messa di domenica 2 dicembre che sarà animata da un coro femminile, con la proposta di un repertorio liturgico tra tradizione classica e corale del rinnovamento. Il 9 dicembre il linguaggio dell’arte figurativa accompagnerà l’omelia di padre Giorgio Viganò, che farà riferimento ad alcune tele anche di artisti locali nel commento alla Parola della seconda domenica d’Avvento.

Il 16 dicembre, domenica Gaudete, l’animazione artistica vedrà un momento precedente, alle 20, con la proposta della sonata op.110 di Beethoven come commento in musica alla vita di Cristo, mentre la liturgia sarà animata con espressioni di danza e colori.

Infine il 23 dicembre sarà il linguaggio teatrale a rievocare il tema dell’incontro tra Maria ed Elisabetta e a stimolare la riflessione sulla maternità di Maria.

Il percorso si propone in particolare di valorizzare la chiesa di San Luca, la cultura dei Barnabiti e di coinvolgere artisti e giovani nell’animazione liturgica. Tanto che si sta già pensando ad un percorso artistico quaresimale con l’idea di una installazione sul tema della risurrezione nel tempietto affrescato che sorge sul piazzale della chiesa.




Il messaggio «inascoltato» di don Primo Mazzolari

Si svolgerà giovedì 29 novembre a Parigi il convegno internazionale dedicato alla figura e al pensiero di don Primo Mazzolari organizzato da Missione Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO e Diocesi di Cremona con il patrocinio dell’UNESCO e in collaborazione con la Fondazione «Don Primo Mazzolari». Il tema su cui interverrà anche il segretario di Stato Vaticano card. Pietro Parolin è «Il messaggio e l’azione di pace di Don Primo Mazzolari». Un tema toccato anche da don Bruno Bignami, postulatore della causa di Beatificazione di don Mazzolari, nell’intervista rilasciata al settimanale Mondo Padano. 

Nell’intervista, realizzata da Carla Parmigiani per il settimanale cremonese, don Bignami affronta alcuni dei temi più cari a don Primo: il rapporto tra Chiesa e mondo, l’attenzione agli ultimi, il legame con la terra, il dialogo con la cultura del proprio tempo, l’esperienza del dolore e del rifiuto, e – appunto – il grande discorso sulla pace.

Qui il pdf dell’intervista

«Quanto poi al suo messaggio sociale, pacifista e attento ai poveri, è stato una conseguenza della sua spiritualità evangelica. “Tu non uccidere” è un comandamento che interpella la storia di ognuno e la prossimità ai poveri non può che avvenire nel coraggio della condivisione».

«Oggi qualsiasi messaggio sociale è inascoltato – riflette don Bruno Bignami -. Siamo così intrisi di individualismo che leggiamo qualsiasi tema sociale come un intruso nella nostra vita e ci siamo anestetizzati alle grandi questioni del nostro tempo. Tutto passa sopra le nostre teste e nessun problema che riguardi le persone e la società ci scalda il cuore. Preferiamo divano e pantofole alla strada e al volto dei fratelli. Abbiamo bisogno di ricostruire la nostra umanità a partire dalla vocazione che ci contraddistingue: siamo fatti per la comunione e per vivere nella società». «Lo stile – aggiunge – era quello di aiutare le persone a smuoversi dall’indifferenza e dal torpore. Nella vita ognuno deve imparare a scendere in campo: è una sconfitta per tutti lo stare in panchina…»