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Soresina, festa patronale con Mons. Sigalini

Una chiesa gremita, la prepositurale di San Siro in Soresina, ha accolto mons. Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina, intervenuto per la ricorrenza del Santo patrono Siro. In prima fila, ad accoglierlo, i bambini e i ragazzi dell’ACR giovani tanto cari al Vescovo che si è occupato di pastorale giovanile a livello nazionale e dell’organizzazione di tante giornate mondiale della gioventù, quando Papa era Giovanni Paolo II.

La giornata patronale unisce mondo religioso e secolare: i sacerdoti soresinesi di nascita e di ministero, in comunione con i sacerdoti della Zona Pastorale Seconda, il sindaco Diego Vairani e gli assessori, le autorità civili e militari, la Pro Loco, i rioni, le associazioni … tutti intervenuti per celebrare San Siro e chiedere la sua misericordiosa benedizione sulla comunità soresinese.

Dopo l’ingresso, il parroco don Angelo Piccinelli ha salutato e ringraziato il Vescovo Sigalini. Nel suo messaggio di benvenuto, don Piccinelli ha ricordato Siro, proto Vescovo di Pavia, tratteggiandone le caratteristiche, per poi passare al ricordo di don Maurizio Galli, soresinese, Vescovo di Fidenza, di cui ricorre il decennale della scomparsa. Del Vescovo Galli ha ricordato le doti di predicatore, insegnante e guida per molti seminaristi.

Subito dopo, il presidente della Pro Loco Pier Paolo Bolzoni e un volontario, Luciano Galli, sono stati invitati a portare il cero votivo che, ogni anno, per tradizione, offrono in occasione della festa patronale, quale richiesta di protezione per tutta la comunità.

Carica di significato l’omelia del Vescovo Sigalini che può essere così riassunta: “Viviamo in un’epoca in cui la tendenza a tirare a campare ogni tanto ci assale, fino a dimenticarci degli altri. Dio invece è all’opera sempre e si propone alla vita dell’uomo con un piano di salvezza. Dio ha soltanto un obiettivo: convertire il cuore dell’uomo per distruggere i muri, creare accoglienza, profondere giustizia. Quello che la vita non dà, infatti, lo deve offrire il cuore. Con Gesù arriva un dinamismo nuovo, di bontà. Questo dinamismo, Siro lo ha vissuto con intensità, quando le Diocesi cominciavano a prendere vita dopo le persecuzioni di Diocleziano. Siro è ricordato come pastore caritatevole, in un’epoca cercava di superare il periodo delle persecuzioni. Siro, nella difficoltà di ricostruire la pace dopo un periodo buio, è stato molto deciso, misericordioso e generoso”.

Ascolta qui l’omelia di mons. Sigalini

Il Vescovo Sigalini ha ricordato anche il Vescovo Maurizio Galli, un ricordo personale, basato su esperienze vissute in gioventù e su un’amicizia consolidata negli anni. Di lui ha detto: “Era un uomo sempre sereno, ma tenace. Viveva rigidamente le proprie convinzioni senza mai imporle agli altri, ma proponendole”.

Nel momento più solenne della celebrazione, quello della consacrazione, “tradendo” i suoi trascorsi dedicati ai giovani, il Vescovo Sigalini si è lasciato andare ad un tono più familiare ed ha invitato i ragazzi, schierati in prima fila, a far sentire forte il loro “Amen”.

La Messa solenne è stata accompagnata musicalmente dal coro Psallentes.

A celebrazione conclusa, i festeggiamenti sono proseguiti in oratorio per una cena comunitaria. Prima del momento conviviale però il Vescovo ha benedetto gli spazi dedicati alla nuova direzione dell’Oratorio.

Buona partecipazione anche al concerto del Corpo Bandistico “Igino Robbiani” di venerdì 7 dicembre. Il concerto ha visto la partecipazione del coro Psallentes così da alternare musiche per sola banda a intermezzi cantati. Durante il concerto si sono esibiti i gli allievi del corso propedeutico all’ingresso nella banda.

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Apericena in carcere con gli “apprendisti cuochi” di Ca’ del Ferro

Si svolgerà mercoledì 12 dicembre, a partire dalle ore 17, l’evento finale del corso professionalizzante per addetto cucina organizzato nella Casa Circondariale di Cremona da Consorzio Sol.Co Formazione, nell’ambito del progetto RE-START.

In queste settimane i partecipanti – detenuti che avevano già avuto esperienze di studio e di lavoro nell’ambito della ristorazione e della trasformazione agroalimentare – hanno avuto la possibilità di affinare le loro competenze grazie ad attività d’aula e di laboratorio, con la supervisione di professionisti del settore, tra cui lo Chef Alessandro Bellingeri ed il tecnologo alimentare Antonio Elia.

Per valorizzare l’impegno degli allievi e per sottoporre il frutto del loro percorso ad una più ampia “giuria”, la Casa Circondariale, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Nazareth (che gestisce all’interno del carcere un laboratorio di trasformazione agroalimentare impiegando al lavoro alcuni detenuti), aprirà le porte del teatro ai cittadini, ai volontari, al personale interno ed alle autorità per un apericena che varrà come prova finale per la certificazione delle competenze dei detenuti impegnati nel corso.

Sulla tavola imbandita ci saranno i piatti cucinati dai provetti chef e valutati dai certificatori, che il pubblico sarà invitato ad assaggiare: pietanze di valore perché, oltre a raccontare di un buon lavoro, narreranno storie di riscatto.




Movimento Cristiano Lavoratori, a Romanengo incontro su don Mazzolari

Nella serata di venerdì  7 dicembre nei locali del circolo del Movimento Cristiano Lavoratori di Romanengo , Don Bruno Bignami , direttore dell’ufficio nazionale di pastorale sociale e per il lavoro della Cei e presidente della Fondazione «Primo Mazzolari» di Bozzolo, terrà una relazione sulla figura del prete di Bozzolo e in particolare del suo impegno politico sociale fra le due guerre mondiali.

La figura di Don Primo Mazzolari – recentemente anche ricordato in un convegno organizzato nella sede dell’Unesco a Parigi alla presenza del segretario di stato della Santa Sede , il cardinale Pietro Parolin , del Vescovo di Cremona mons. Antonio Napolioni presente con la delegazione della diocesi cremonese e dello stesso Don Bignami – rappresenta una significativa testimonianza di quanto il prete di Bozzolo seppe fare anche in campo sociale e politico mediante il suo impegno a servizio della società.




Giovani e vocazione, riflessione e confronto con il vescovo Antonio

E’ stato ricco di spunti e di emozioni l’incontro tra i giovani  e il Vescovo Napolioni tenutosi venerdì 7 dicembre presso l’Auditorium Giovanni Paolo II nella Parrocchia di S. Stefano a Casalmaggiore. La serata è rientrata nel percorso proposto ai giovani della zona pastorale V “Chiedimi se sono felice” predisposto da Diocesi, Federazione oratori e Azione Cattolica. L’incontro, il secondo dopo quello del 16 novembre tenutosi presso l’oratorio San Pietro di Viadana, è stato incentrato sul tema della vocazione e ha avuto per titolo “Vivi o sopravvivi?”.

Presenti tanti giovani lavoratori, studenti universitari e liceali che hanno partecipato al Sinodo dei giovani da poco conclusosi e che hanno intrapreso un cammino di riflessione sulla loro vita e sul servizio prestato chi nelle parrocchie, chi nei viaggi organizzati a Lourdes con Unitalsi Cremona, tutti indistintamente nella propria realtà di riferimento. Giovani con gli occhi pieni di esperienze e tanta voglia di intervenire, dichiarare, riflettere, sintetizzare, partire dalle proprie scelte di vita e dai dubbi esistenziali per diventare adulti consapevoli e cristiani nel mondo.

Lo stesso Vescovo ha voluto predisporre la serata come possibilità di confronto sincero, di ricerca reciproca, di condivisione, permettendo che, dopo una breve premessa tratta dalla Lettera pastorale “Gesù per le strade. Il sinodo dei giovani ci spinge…”, da poco consegnata da Napolioni alla Diocesi, fossero proprio i giovani i protagonisti di questo momento.

A partire da parole-chiave rappresentative di alcune scelte del vivere quotidiano, i ragazzi hanno potuto sviluppare, in forma laboratoriale, un metodo di esplorazione del proprio vissuto, capace di condurre a conoscere se stessi e il proprio cuore. La domanda che si sono fatti è dove si nasconde la vocazione e come si vive una fede incarnata che modifica le aspettative, i progetti di vita, i piaceri, le curiosità. La risposta è stata trovata nella parola Amore. L’amore che sa vedere le necessità dell’altro e vi sa rispondere concretamente; l’amore che sa essere accettato e sa cogliere l’importanza della reciprocità.

Centrale dunque il tema della comunione. La vocazione non è un fatto privato, esclusivo ed escludente. L’amore vocazionale per essere tale deve essere condiviso, “effusivo e diffusivo” per usare i termini proposti dal Vescovo. Anche se certamente ha bisogno di coltivare nel silenzio la lealtà con se stessi e il riconoscimento della propria identità, la vocazione è relazione perché deriva dalla chiamata che l’uomo può rifiutare o accogliere, dopo una prima iniziale obiezione, paura, titubanza. Sarà il riconoscimento della propria volontà di vivere pienamente da Figlio di Dio, in ogni incontro, ambiente, dimensione del quotidiano, che permetterà alla propria esistenza di evolvere in maniera significativa, fino a giungere alla felicità piena.




Un ponte di solidarietà tra Soresina e il Togo

Da quasi un ventennio, un gruppo di soresinesi realizza progetti in Togo. Si tratta del Gruppo Amici del Togo nato nel 2001 dopo un’esperienza condivisa in terra d’Africa da alcuni giovani legati da un rapporto di amicizia con un sacerdote togolese, Père Honoré Melessoussou. La scoperta di una realtà povera di risorse, mezzi e strumenti, come quella del Togo, ha spinto i partecipanti a costituirsi come gruppo per dare continuità al rapporto nato, rispondendo alle richieste di aiuto degli abitanti dei villaggi.

Numerose le opere realizzate negli anni, volte soprattutto ad aiutare i ragazzi, privi di scuole e di tante altre necessità. In particolare, il gruppo sostiene in via continuativa Père Honoré e invia con costanza medicinali, materiale didattico e sportivo; nel 2002 ha dato avvio al sostegno agli insegnanti e nel 2003 sono partite le adozioni a distanza e le borse di studio. Sono state costruite due scuole, nel 2007 a Oulità e nel 2010 a Mounà dove, già nel 2003 era stata costruita la chiesa. Nel 2014 il gruppo ha inaugurato la Casa dello Studente a Hiheatro su un terreno che ha acquistato. La casa rappresenta una speranza: quella di poter proseguire gli studi per un futuro migliore. La lontananza, infatti, è una delle cause di interruzione degli studi a livelli superiori. Grazie alla Casa dello Studente quale base di appoggio, i ragazzi che abitano in villaggi molto piccoli hanno la possibilità di continuare la scuola.

Nel 2017 il Gruppo si è lanciato in una nuova avventura e ha acquistato un terreno dell’estensione di 10 ettari da destinare alla coltivazione del legno (il tek) con la finalità di rivenderlo e utilizzare i suoi frutti per la popolazione locale. 2500 piantine sono state piantate in 3 dei 10 ettari acquistati, in attesa di metterne al tre a dimora. Il progetto infatti è a lungo termine, perché i primi frutti si vedranno nell’arco di un decennio. Una parte del terreno è stata destinata alla coltivazione di frutta e ortaggi, garantendo così un sostentamento alle famiglie del villaggio adiacente la piantagione.

Il progetto è molto ambizioso e ha richiesto un cospicuo impegno economico, ma il gruppo è certo che i benefici a lungo termine saranno molti. Ecco perché questo Natale è stato destinato a raccogliere fondi per continuare ad investire nella piantagione di tek. In particolare, i volontari del Gruppo Amici del Togo allestiranno una bancarella sul sagrato della chiesa di San Siro domenica 23 dicembre, per tutta la mattinata.

Scarica qui la locandina

Alla domanda su cosa porta a credere in questo progetto e ad andare avanti, ecco cosa risponde un membro del gruppo: “Avendo toccato con mano la realtà del Togo risulta ancora più evidente quanto un piccolo contributo possa avere un riscontro davvero positivo sulla vita di molte persone. I progetti che finanziamo permettono a molti ragazzi di continuare gli studi, di avere un supporto spesso indispensabile per guardare al futuro con più speranza. Così come guarda al futuro il nostro nuovo progetto del tek, che mira a raggiungere un bacino ancora più importante di persone. Riuscire a regalare un sorriso e un aiuto concreto vale da solo tutto l’impegno”.

Per conoscere meglio il gruppo e tutte le novità sui progetti basta tenere monitorata la pagina Facebook, costantemente aggiornata nei contenuti, Amici del Togo Soresina.

 




“La più bella avventura”, don Primo parla all’oggi

 Si è conclusa nella serata di venerdì 14 dicembre la rassegna delle letture “Le parole di Don primo“. L’ultimo appuntamento si è tenuto presso il teatro Monteverdi di Cremona.

È una rilettura del testo “La più bella avventura” attraverso il linguaggio teatrale della Compagnia teatrale Intrecci della Associazione Giorgia che, in collaborazione con la classe 4^AS dell’istituto Einaudi di Cremona, ha presentato lo spettacolo dal titolo “Siamo tutti mendicanti”, ispirato alle parole del prete di Bozzolo e in particolare al libro tra i più noti e – all’epoca della pubblicazione – più discussi della bibliografia mazzolariana.

Musiche, gesti e volti sul palco rendono concrete e presenti le parole di don Primo, lette da Federico Benna. Una riflessione artistica ed emotiva che accende i riflettori sull’altro, sulla apertura agli ultimi e ai lontani che ha caratterizzato il pensiero e l’azione vigorosa del sacerdote cremonese.

Dopo la rappresentazione diretta dal regista Fabrizio Caraffini, ha preso la parola il vescovo Antonio Napolioni che ha proposto una intensa riflessione su “La più bella avventura”, il “testo forse più scomodo e provocante di don Primo – ha commentato -. Ci viene come affidato in compito, per le vacanze come lettura, per la vita come responsabilità concreta”.

Ascolta qui l’intervento del Vescovo

Il vescovo ha riflettuto sulla storia travagliata e sulla dirompente forza profetica di questo libro che rappresenta il commento di don Mazzolari alla parabola del figliol prodigo: “Mazzolari ribalta il consueto schema interpretativo della parabola: il fratello maggiore non si accorge che la festa al prodigo è l’inizio di un futuro basato sulla potenza della misericordia. La salvezza cristiana è offerta a tutti senza esclusioni, tenendo conto della distinzione tra peccato e peccatore, tra errori ed erranti. Il testo contiene un forte invito alla Chiesa e a ogni cristiano a mettere al primo posto l’amore incondizionato verso il prossimo, a praticare senza paura il dialogo con tutti”.

Attraversando i passaggi del libro e ricordandone le vicende editoriali che lo portarono fino alla censura ecclesiastica mons. Napolioni affronta i temi forti del messaggio di don Primo: l’attenzione agli ultimi, la misericordia, il rinnovamento della Chiesa. “Attraverso le vicende della famiglia del prodigo, – osserva – Mazzolari indicava la possibilità di una Chiesa interiormente libera perché misericordiosa nei confronti dell’umanità, Chiesa meno ostile al mondo perché più fedele al Vangelo, Chiesa aperta all’umanità perché segue l’esempio della carità di Cristo”. “Emerge un cristianesimo insieme esigente e misericordioso, basato sulla certezza dell’amore del Padre che salva prodigo e maggiore”

E l’attualità della interpretazione s di Mazzolari è sottolineata dal Vescovo nel rimando al magistero dei papi della contemporaneità, da Giovanni Paolo II a Francesco, di cui cita alcuni testi che mostrano una impressionante continuità con il pensiero di Mazzolari per “la sintonia di contenuti e la somiglianza di linguaggio”: “Gesù «aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente» (EG 270).

E poi di nuovo le parole de “La più bella avventura”: “E’ nel prete mal vestito e grossolano, che guardiamo con aria dispregiativa e insultante. Intorno ai Santi illustri si scrivono tanti libri: per la santità anonima, nella quale siamo provvidenzialmente immersi e protetti, non c’è né il tempo né la voglia di uno sguardo”. 

“Sembra proprio di leggere pagine della recente Gaudete et exsultate di papa Francesco – conclude il vescovo – e invece è il nostro don Primo”.

Al termine della serata il saluto del Sindaco di Cremona Gianluca Galimberti e l’annuncio di un nuovo appuntamento dedicato a don Primo Mazzolari, con l’intervento di don Luigi Ciotti in comune il prossimo 12 gennaio.




Presepe a scuola: la laicità non è negare ma accogliere e distinguere


Il vero guaio è che una questione prettamente culturale e che incide non poco sul sentire comune delle persone del nostro Paese, a cominciare dai più piccoli – visto che sono coinvolte in particolare le scuole – diventa sempre di più occasione di scontro politico e ideologico.


Parliamo della “questione presepe”, che diventa anche “questione crocifisso” e chi più ne ha più ne metta, estendendo i motivi di querelle a qualsiasi simbolo religioso e cristiano in particolare nei luoghi pubblici e tra questi, in quei luoghi pubblici di “eccellenza” – per il valore simbolico che hanno e per la funzione che ricoprono – che sono le scuole. Niente di nuovo, si dirà.
In effetti è da anni che si discute e si litiga anche su chi vuole o non vuole che nelle scuole italiane ci siano i crocifissi, o si facciano i presepi per Natale, o si cantino canzoni popolari religiose eccetera, eccetera.
Tutte le volte, approssimandosi le feste, ecco che si scatena il caso: in Veneto? In Lombardia? Al Sud? Poco importa il luogo. Poco importa anche come si scateni la questione: un preside particolarmente attento alla “laicità”? O dei genitori col desiderio di rivivere atmosfere passate? O viceversa… Il denominatore comune, solitamente, è che le dinamiche scolastiche vengono subito accantonate e dimenticate, per concentrarsi sugli oggetti del contendere: statuine, crocifissi e la loro “potenzialità offensiva”, curiosamente bidirezionale, cioè sia nel caso in cui vengano affermati, sia che vengano negati. Qualcuno si offende sempre.
Il guaio, però, per tornare all’inizio, è che da un po’ di tempo in qua, c’è chi sbandiera il tutto come arma politica, facendosi scudo delle insegne cristiane e duellando con la spada della religione dei padri.
No, non è così che si può affrontare un problema culturale, molto serio, che fa riflettere su come si sta trasformando il sentire comune del nostro Paese. Ha ragione il ministro Bussetti a dire che “il Crocifisso è il simbolo della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni: non vedo che fastidio possa dare nelle nostre aule scolastiche anzi, può aiutare a far riflettere”. Così come ha ragione di affermare che il presepe fa parte “della nostra identità”. Il cattolicesimo, riconosce il Nuovo Concordato (1984), fa parte del patrimonio storico del popolo italiano. E la laicità non è negare, ma accogliere e distinguere. In questo senso, la scuola laica, di tutti, farebbe un pessimo servizio se, per una malintesa laicità oscurasse principi e simboli che hanno un “peso” culturale, cioè hanno orientato e orientano il modo di pensare e di vivere di un territorio. Questo, inoltre, non ha niente a che vedere con i giochi di maggioranza e minoranza: come se adesso, che gli italiani non sono più un popolo di cattolici praticanti – lo dicono le statistiche – si dovessero perdere quelle chiavi di lettura che permettono, ad esempio, di cogliere il significato di molta storia dell’arte, dell’architettura… oltre che dei riti e dei simboli di intere comunità.
Fare cultura è compito della scuola.
Attrezzare a comprendere e pensare in modo autonomo, preparare cittadini protagonisti del proprio mondo. Qui sta il nodo. E su questo piano – ben al di là delle bandiere politiche – va affrontata la “questione presepe” (o crocifisso), come pure molte volte e in molte sedi – anche istituzionali – è stato sottolineato. Allora richiamiamo pure i principi, discutiamo di laicità, ma soprattutto fidiamoci delle scuole, degli insegnanti, invitando ciascuno a fare il proprio mestiere. E a stare al proprio posto.

Alberto Campoleoni (AgenSir)




Catechisti «con la fiducia del seminatore»

Si è svolto nel Santuario di Caravaggio lunedì 3 dicembre alle ore 21 il tradizionale appuntamento di inizio avvento per i catechisti della zona 1. Un incontro di preghiera semplice, ma estremamente profondo, presieduto dal neo Rettore mons. Amedeo Ferrari.

Ad aiutare i catechisti nella riflessione sulla propria missione è stata scelta la parabola del seminatore (Mt 13, 1-23) esplicitata in tre simboli – terra, acqua e un mucchietto di semi – che uno alla volta venivano portati ai piedi dall’altare, dove un piccolo allestimento richiamava il terreno da coltivare.

Tre simboli, tre letture tratte dalla lettera di San Giacomo apostolo, dal Libro del profeta Isaia e dal Vangelo di Giovanni, e tre brevi momenti di silenzio hanno composto l’incontro.

Preziose le parole del mons. Ferrari durante la sua breve omelia: «Dalle parole dei profeti capiamo che la fatica del seminatore non è mai inutile. La Parola porta sempre frutto, anche quando noi non vediamo i risultati».

E ancora: «Dobbiamo quindi maturare una fiducia vera, non illusa o ingenua, perché Dio ci ha detto che il seme crescerà. I nostri sforzi non sono inutili». Importante è anche l’invito che ha rivolto ai catechisti di guardare i bambini e i ragazzi che hanno davanti e di domandarsi a quale terreno possono assomigliare, per meglio coglierne le fragilità e aridità.

L’incontro si è poi concluso con la possibilità di lasciare un’offerta per l’iniziativa diocesana Avvento di Fraternità (quest’anno devoluto alla missione congolese delle Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda) e con una preghiera davanti allo speco della Vergine.

I prossimi appuntamenti da fissare in agenda sono previsti per il 23 febbraio presso l’oratorio di Masano – dove si terranno dei workshop per catechisti – e per il 30 marzo presso il centro di spiritualità del Santuario di Caravaggio per il convegno regionale dei catechisti.




Soresina, Messa con mons. Sigalini per la festa patronale

A Soresina si respira già aria di festa per le prossime celebrazioni in onore del Santo Patrono Siro. Il 9 dicembre, alle 18, nella chiesa prepositurale, appunto dedicata a San Siro, per la solennità patronale interverrà il Vescovo Domenico Sigalini (già Assistente Generale dell’Azione Cattolica Italiana e Vescovo Emerito di Palestina).

Concelebreranno la Messa i sacerdoti soresinesi d’origine e di ministero. Durante la Messa, la Pro Loco offrirà il cero votivo al Santo, quale richiesta di protezione per tutta la comunità. Seguirà una cena comunitaria in Oratorio.

Per prepararsi alla solennità patronale, venerdì 7 dicembre, alle 21, nella parrocchiale, il Corpo Bandistico “Igino Robbiani” proporrà, con la collaborazione del Coro Psallentes, un’elevazione musicale.




A Torre de’ Picenardi un concerto per S. Ambrogio

Le comunità parrocchiali di Torre de’ Picenardi onoreranno venerdì 7 dicembre il loro patrono S. Ambrogio con una giornata di spiritualità, cultura e musica.  Alle 18 nella Chiesa parrocchiale dedicata al santo si svolgerà la S. Messa solenne celebrata dal parroco don Claudio Rossi animata dalla corale parrocchiale.

In serata, sempre alle ore 21.00 il Concerto di S. Ambrogio 2018, giunto alla ottava edizione, iniziativa nata alcuni anni fa per onorare il patrono di Torre de’ Picenardi, ma anche come momento di cultura e di valorizzazione dello storico organo “Franceschini 1855” conservato in chiesa, pregevole strumento ottocentesco.
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Il concerto vede alternarsi ogni anno musicisti della nostra Diocesi con proposte di musica sacra di autori classici antichi e moderni, quest’anno verrà proposta una interessante e variegata serata per organo e ottoni,  con brani sacri di autori quali J.S. Bach, W.A.Mozart e G.F. Handel, eseguiti  dal m° Donato Morselli, musicista, direttore di coro e d’orchestra nonché docente al Conservatorio “A. Boito” di Parma, con i musicisti Enrico Cagnato e Maddalena Olioso alle trombe, Stefano Caniato e Francesco Trevisi ai tromboni.
L’evento è organizzato dalle Parrocchie di Torre de’ Picenardi /Ca’d’Andrea con il Gruppo Culturale di Torre de’ Picenardi.