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Tra crisi mondiale e sfide del cambiamento: all’Università Cattolica un convegno sul futuro del sistema agro-alimentare

 

Un momento di approfondimento sui temi dell’attualità del futuro del sistema agro-alimentare si è svolto presso l’aula magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona gremita dagli studenti e alla presenza delle autorità cittadine nel pomeriggio di mercoledì 8 giugno 2022.

Ad aprire i lavori dell’incontro intitolato “L’impatto del nuovo contesto geopolitico sul futuro del sistema agro-alimentare: crisi congiunturale o cambiamento strutturale?” è stato il rettore dell’Ateneo Franco Anelli, che ha voluto sottolineare l’importanza del ruolo dell’università nell’analizzare e riflettere sulla complessità delle sfide che si pongono con sempre nuova urgenza nel periodo storico che stiamo attraversando: «È necessaria – ha detto – la capacità di comprendere la complessità dei fenomeni del nostro tempo. Noi cosa possiamo fare? Dobbiamo pensare e riflettere, e forse – ha aggiunto – anche affidarci alla Provvidenza»,

Non sono mancati quindi i saluti di mons. Antonio Napolioni, vescovo di Cremona, che ha tenuto a ricordare «il secondo secolo dell’Università Cattolica è un tempo che dev’essere fecondo per il pensiero, per la ricerca e per la formazione. Questa sera verranno affrontate delle tematiche che vedono anche la comunità ecclesiale attenta».

Il dibattito è quindi proseguito moderato da Tonia Cartolano, vicecaporedattrice Anchor e reporter presso Sky TG24 con gli interventi di Lea Pallaroni, segretaria generale Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici (ASSALZOO), Simone Tagliapietra, della facoltà di Scienze politiche e sociali e Guglielmo Gennaro Auricchio, presidente Giovani imprenditori di Federalimentare.

Al termine della tavola rotonda sono state consegnate le borse di studio promosse dalla Fondazione “Romeo ed Enrica Invernizzi” e da “Syngenta Italia S.p.a.”.




«Il pieno di Spirito Santo»: il mandato ai giovani che si preparano ad un’estate di missione

 

«Vogliamo fare il pieno di Spirito Santo per essere capaci di intenderci al di là delle lingue umane» l’augurio del vescovo Napolioni ai sei giovani che quest’estate partiranno per la missione nella parrocchia di Cristo Risorto di Salvador de Bahia (Brasile) durante l’intimo e raccolto incontro tenutosi nel pomeriggio di domenica 5 giugno presso la chiesa di S. Ambrogio a Cremona.

Insieme al vescovo di Cremona è stato presente anche don Maurizio Ghilardi, incaricato diocesano Pastorale missionaria, il quale accompagnerà i giovani nella missione brasiliana. Prima della preghiera un semplice e aperto momento di condivisione tra mons. Napolioni e i giovani in partenza: Marta Ferrari, Tommaso Grasselli, Sara Di Lauro, Anna Capitano, Alessandra Misani e Davide Chiari.

«Una sincronia perfetta in questa Domenica di Pentecoste: anche i dodici erano riuniti insieme. Se in quel giorno lo Spirito agì in modo straordinario, da quel giorno agisce in maniera ordinaria, costante, capillare, nascosta e infinita nella sua fantasia» ha riflettuto il Vescovo aprendo la sua breve riflessione.

Il commento è quindi proseguito nella riflessione della memoria della Pentecoste: «Vogliamo fare il pieno di Spirito Santo, non per fare a meno di studiare un po’ di portoghese che aiuta, ma per essere capaci di intenderci al di là delle lingue umane, riuscendo a comunicare nello spirito, in ciò che è profondo ed essenziale. Il linguaggio della fede è davvero universale perché da quando il Figlio di Dio si è incarnato è la carne umana il sacramento primordiale».

 

 

«Mi piace che la vostra partenza avvenga in questa grande chiesa vuota senza una grande assemblea che vi applaude o vi manda – ha quindi proseguito mons. Napolioni rivolgendosi ai giovani in partenza allargando l’idea della missionarietà – ma mi piace pensare che quando tornerete sarà bello incontrare una grande assemblea, magari tante piccole assemblee, le vostre comunità. Tornerete alle vostre attività, ma mi auguro che questa esperienza non resti chiusa nel cassetto del cuore».

Infine, l’augurio per la partenza nella speranza che l’esperienza potrà portare ulteriori frutti una volta tornati: «Vi aspetto l’indomani per ascoltare i vostri racconti, le vostre impressioni e per elaborare insieme i passi successivi, mi auguro che questa esperienza non vi lasci indifferenti e ci aiuti ad essere la Chiesa di Pentecoste sempre».

Prima della benedizione finale sono stati consegnati ai giovani dei quadernini come segno del mandato ricevuto.

Una missione che non è improvvisata: infatti nel frattempo, don Davide Ferretti, Marco Allegri e Gloria Manfredini, già attivi da tempo a Salvador de Bahia, hanno già steso un ricco programma per questi giovani, pronti a mettere in luce la loro intraprendenza e la loro dedizione.

 

 




«La Cattedrale sia casa nostra, casa di tutti, casa della comunità cristiana»

 

Nella mattina di giovedì 2 giugno, il vescovo Antonio Napolioni ha presieduto in Duomo la Messa in occasione della Dedicazione della Cattedrale, avvenuta il 2 giugno 1592 alla presenza del vescovo Cesare Speciano, che intitolò a Santa Maria Assunta e Sant’Omobono la chiesa madre, ampliamento di quella fondata nel 1107.

All’inizio della celebrazione eucaristica mons. Ruggero Zucchelli, presidente del Capitolo della Cattedrale, ha voluto ringraziare il vescovo per la partecipazione e ricordare la speciale occasione ai fedeli presenti.

«La triplice dedicazione del vescovo Speciano della Cattedrale, a Dio, a Maria Santissima Assunta in cielo e a Sant’Omobono, mi guida a meditare su tre immagini consegnate dalle letture: il tempio, la casa e la tenda» ha riflettuto il vescovo aprendo la sua omelia.

Mons. Napolioni ha quindi iniziato riflettendo sulla prima immagine: «Dio davvero abita la Cattedrale con la Sua presenza sacramentale, con il mistero della sua trascendenza. Un tempio che non lo imprigiona, ma lo racconta anche con la sua bellezza: si viene in Cattedrale per incontrare ed ascoltare Dio e lo benedico perché pur essendo un luogo attraente dal punto di vista artistico e culturale non fa prevalere il turismo sulla preghiera».

 

Il pensiero è stato quindi per il Capitolo della Cattedrale, in buona parte presente a concelebrare insieme al vescovo: «Vi ringrazio perché assicurate la preghiera e il servizio dell’ascolto nelle confessioni, dono di grazia che Dio trasmette attraverso la nostra povertà».

Il vescovo ha quindi proseguito nella sua meditazione rivolta ai fedeli: «La Cattedrale è anche casa, perché se dedicata a Maria il pensiero non può andare che alla famigliarità domestica e feriale, in cui la ragazza di Nazareth accoglie il verbo e lo fa crescere nella sua casa insieme a Giuseppe, introducendolo all’alfabeto dell’umano e gli trasmette i sentimenti e gli atteggiamenti più belli. Che bello quindi che la Cattedrale sia casa nostra, casa di tutti, casa della comunità cristiana e luogo di incontro dove ci si riconosce fratelli, ci si riconosce popolo e da cui si riparte per affrontare la vita e tornare nelle nostre case meno soli, consolati e incoraggiati».

Mons. Napolioni ha quindi proseguito la sua riflessione con l’ultima immagine: «Lego la dedicazione a Sant’Omobono in maniera simbolica all’altra espressione che abbiamo sentito nelle letture, il popolo nel deserto aveva la “tenda della testimonianza”: questa fragilità di Dio in mezzo agli uomini viene spiegata dalla Lettera agli ebrei dove ci viene spiegato che la vera tenda di Gesù è la sua carne, anzi la carne e la vita di ciascuno di noi. Non possiamo adorare Dio su un monte piuttosto che su un altro, misurando la sua presenza perché Dio è nel cuore di ogni uomo».

Nel concludere la sua meditazione, il Vescovo ha anche voluto far riferimento alla giornata di festa civile della Repubblica: «La santità di Omobono ci ricorda come sia possibile essere santi lavorando e impegnandosi nella società, operando per la pace e la riconciliazione. Quanto è bello dirlo oggi, Festa della Repubblica, che ci fa dire cosa la Chiesa dona a tutti: una casa che è luogo di preghiera e di incontro, una casa che educa all’umano».

 

 

Al termine della celebrazione, prima della benedizione finale, il vescovo di Cremona ha voluto far notare ai presenti il restauro delle cantorie sul presbiterio appena conclusosi e ha dato notizia dell’inizio dei lavori per il rinnovamento del presbiterio della Cattedrale: infatti, nei prossimi giorni inizieranno alcuni lavori di prova per poi poter partire in autunno con i lavori veri e propri.

Il vescovo Napolioni, finita la Messa, si è quindi spostato in piazza del Comune per partecipare alle celebrazioni della Festa della Repubblica che si sono tenute per la prima volta dopo l’avvento della pandemia con la partecipazione delle autorità civili e militari: particolarmente spettacolare l’esposizione dell’enorme tricolore, srotolato dai vigili del fuoco al termine della celebrazione civile.




Castelverde in festa per i 120 anni della Fondazione Opera Pia SS. Redentore

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Una mattina di festa e di ringraziamento nel segno della preghiera, della musica e dello stare insieme ha caratterizzato la celebrazione dei 120 anni della Fondazione Opera Pia SS. Redentore di Castelverde. La festa è iniziata con la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, affiancato dal presidente della Fondazione don Claudio Rasoli, dal parroco di Castelverde don Giuliano Vezzosi e da mons. Carlo Rodolfi, canonico della Cattedrale che in passato fu parroco di Castelverde per diversi anni.

Ad animare la celebrazione gli ospiti della RSA e della RSA insieme ai lavoratori della struttura e ai tanti parenti e amici che per l’occasione non hanno voluto mancare. Presenti per festeggiare questo anniversario anche la sindaca di Castelverde Graziella Locci e il direttore generale Fabio Berusi.

Nel saluto iniziale don Rasoli ha voluto ricordare la storia dell’istituto, nato per accogliere i contadini della zona, ripercorrendo le tappe storiche principali: «Dopo 120 anni siamo riuniti per ringraziare il Signore per le persone che hanno avuto questa sensibilità: dai primi diciassette ospiti, oggi siamo a più di duecento ospiti». Il Presidente Rasoli ha quindi voluto ricordare tutti i sostenitori dell’Opera Pia: «Un ringraziamento a tutti, a partire da chi in questi 120 anni ha contribuito a sostenere questo luogo, i fondatori e gli amministratori che si sono succeduti nel corso dei decenni, il sostegno delle associazioni di volontariato e dell’Amministrazione comunale, le suore che vi hanno prestato servizio e il vescovo Lafranconi che ha voluto essere oggi presente». E non è mancato un pensiero alle difficoltà degli ultimi anni: «Usciamo da due anni difficilissimi e ci vorrà ancora tempo per tornare alla normalità, ma sono certo che ce la faremo grazie all’abnegazione, la professionalità, lo spirito di sacrificio e l’amore dei nostri dipendenti che in questi anni hanno fatto davvero tantissimo».

Il vescovo emerito Lafranconi nella sua omelia ha voluto riflettere sul senso di celebrare questo anniversario: «Quando si commemora un’istituzione è bene guardare al passato per vedere con quale spirito gli uomini di allora si sono messi a dare avvio a quest’opera: con lo spirito della solidarietà, dell’amore. Potremmo dire lo spirito del Vangelo che ci aiuta una volta che lo guardiamo attentamente a scoprire le dimensioni più vere e più giuste della vita umana e delle relazioni». E ancora: «Non vogliamo essere schiavi dell’essere chiusi nella mentalità del presente, dove non si può sperare in un miglioramento – ha aggiunto Lafranconi – la speranza non guarda solo vagamente al futuro, ma è qualcosa che si impegna a rivificare quotidianamente la memoria del passato: il Vangelo ci dice che persino nei momenti difficili possiamo guardare con speranza al futuro». Il vescovo ha quindi concluso: «È bello il nome Divino Redentore, perché ci ricorda che possiamo procedere con gioia affrontando qualsiasi condizione futura perché la sua grazia e il suo spirito continuano ad accompagnarci».

Un allegro e gioioso momento musicale ha poi intrattenuto gli ospiti della struttura che hanno assistito alla Messa nel giardino e dalle balconate dei reparti: il corpo bandistico “Giuseppe Anelli” di Trigolo, diretto dal maestro Vittorio Zanibelli, ha infatti divertito i presenti, che hanno molto apprezzato questo momento di svago.

La festa si è conclusa con il taglio della grossa torta – per mano del presidente Rasoli, della sindaca Locci e della presidente San Vincenzo Iole Nava – e un semplice rinfresco per celebrare convivialmente l’anniversario.

 

Storia dell’Opera Pia SS. Redentore

L’Opera Pia “SS. Redentore” fu fondata in seno alla Società S. Vincenzo da’ Paoli nel 1897, per iniziativa del medico condotto del comune, dottor Ercolano Cappi, con il sostegno dell’allora parroco mons. Pietro Gardinali; tra i fondatori figurano altresì Primo Ferrari, Enrico Ferrari, Secondo Balteri e il dott. Giuseppe Camerini.

Lo scopo originario era quello di offrire ai malati cronici del comune di Castelverde una sistemazione adeguata, sia in termini di assistenza sia di vicinanza con i parenti. L’opera nacque dalla convinzione che l’anziano malato rappresenta sempre una forza positiva e, nonostante le sue fragilità, può aiutare a scoprire il valore della vita.

Il 20 marzo 1901 presero il via i lavori di costruzione dell’ospedale, la cui attività fu autorizzata dal prefetto di Cremona il 10 giugno 1902, mentre l’apertura seguì a pochi giorni di distanza: il 1° luglio 1902. Il registro di allora contava diciassette ammalati, dei comuni di Castelverde e Tredossi.

Successivamente il numero degli ospiti crebbe insieme alle esigenze assistenziali. La struttura fu allargata con la costruzione di due infermerie per cento posti letto e una cappella per il culto.

Fin dall’inizio la presenza di personale religioso si rivelò discreta, efficace ed essenziale, prima con le Canossiane (1902/1907), quindi con le Adoratrici del SS. Sacramento (dal gennaio 1908 al 2003). A partire dal 1931, anno in cui l’Opera Pia fu eretta ad ente morale diventando Ipab (Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza), si aprirono nuove prospettive di azione, prima con la creazione della “Casa S. Giuseppe” per disabili (1932), poi, su progetto dell’ing. Giulio Ceruti, con la costruzione della scuola materna (1933), in capo alla Fondazione fino al 2005.

Dal 1° gennaio 2003, con la privatizzazione dell’ente, la gestione della Rsa (con 133 posti convenzionati e 7 solventi) e della Rsd (60 posti) è stata affidata alla Fondazione Opera Pia “SS. Redentore” onlus. Dal dicembre 2010 è stato altresì istituito come servizio per il territorio il Centro diurno integrato per anziani (12 posti) e, infine, dal luglio 2012 la struttura si è arricchita di un servizio di fisioterapia aperto agli esterni. A seguire anche il potenziamento dei servizi territoriali: assistenza domiciliare, voucher dimissioni protette, pasti a domicilio. Dal 2019 l’ente ha ottenuto un budget per la gestione della misura regionale Rsa aperta.

Dall’8 luglio 2022 presidente è don Claudio Rasoli, coadiuvato dai consiglieri di amministrazione Francesca Mondini, Linda Cottarelli, Francesco Longo e don Giuliano Vezzosi.




Al Migliaro l’ultimo saluto a don Enrico Ferrari, il Vescovo: «Era un uomo in ascolto del Signore e della gente»

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Nella soleggiata mattinata di martedì 10 maggio, al Migliaro, nella periferia di Cremona, sono state celebrati i funerali di don Enrico Ferrari, in una chiesa parrocchiale colma dell’affetto e della preghiera di quanti lo hanno conosciuto.

Le esequie sono state presiedute dal vescovo Antonio Napolioni, affiancato dal vescovo emerito Dante Lafranconi e dal vicario generale don Massimo Calvi, insieme al parroco don Maurizio Ghilardi e molti altri sacerdoti.

Nei primi banchi erano presenti la sorella e i parenti di don Enrico, deceduto all’alba del 7 maggio scorso all’età di 82 anni all’ospedale di Cremona, dove era ricoverato da alcune settimane.

Nelle parole del Vescovo durante l’omelia il ricordo di don Ferrari: «In lui prevaleva ai nostri occhi la mitezza, ma che custodiva chiarezza di pensiero e obbedienza al Signore», ha esordito monsignor Napolioni, ricordando come nei giorni successivi alla sua ordinazione episcopale la visita ai preti malati iniziò proprio incontrando da don Enrico. «Un incontro indimenticabile per la semplicità e verità di quell’accoglienza, di quella testimonianza della sofferenza vissuta con candore».

Proseguendo il Vescovo ha voluto poi sottolineare come «nel suo ministero speso in vari contesti, analogamente a quanto raccontato nel passo degli Atti appena ascoltato, egli ha testimoniato l’essenzialità della vita cristiana e sacerdotale: era un uomo in ascolto del Signore e della gente».

Mons. Napolioni ha quindi terminato: «Quando non riusciamo più a predicare, a presiedere, a organizzare, a fare e fare, non resta che essere, lasciarsi nutrire e curare, lasciarsi accogliere dall’abbraccio infinito del mistero santo di Dio a cui oggi affidiamo con fiducia l’anima immortale di don Enrico perché viva la pienezza della sua fede, della sua umanità e del suo sacerdozio insieme ai santi».

Al termine della celebrazione eucaristica, dopo l’aspersione, in ricordo del battesimo, e con il fumo dell’incenso in attesa della risurrezione dei morti, la salma è stata portata fuori dalla chiesa dove c’è stato l’ultimo saluto del Vescovo, dei confratelli presbiteri e dei tanti presenti che hanno voluto rendergli l’ultimo saluto. Quindi il feretro è stato accompagnato al cimitero di Cremona per la sepoltura.

 

Profilo di don Enrico Ferrari

Classe 1940, originario della parrocchia di S. Maria Nascente al Migliaro (Cremona), fu ordinato sacerdote il 22 giugno 1968. Proprio in città iniziò il suo ministero pastorale come vicario parrocchiale: prima a S. Bernardo e poi, dal 1972, a S. Pietro al Po.

Nel 1980 la nomina a parroco di Drizzona, dove rimase 18 anni; quindi nel 1998 il trasferimento a Pieve d’Olmi, sempre come parroco.

Dopo la sua rinuncia a parroco, dal 2003 al 2015 svolse l’incarico di collaboratore parrocchiale a Soresina, prima di ritirarsi a Cremona, nella sua parrocchia d’origine.




Una vita spericolata diventata testimonianza di Dio: l’ex chitarrista di Vasco, Nando Bonini, si racconta

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Il pomeriggio di domenica 1° maggio è stato un’occasione ritrovata di festa e di apertura per l’associazione “Famiglia Buona Novella”: quest’anno è stato ospitato Nando Bonini, chitarrista di Vasco Rossi dal 1991 al 2004. Quella di Bonini è stata una testimonianza di fede, di un grande musicista professionista che fin da bambino, all’età di sei anni, ha iniziato a coltivare il suo talento con la chitarra esprimendolo in diversi modi nella sua vita.

«Questa è una testimonianza che portiamo in giro per l’Italia con altri amici, per raccontare un po’ un cammino di conversione ancora in atto – ha spiegato Bonini nella sua testimonianza – un racconto per spiegare il perché uno di quelli di Vasco Rossi, quindi abbinato alla vita spericolata, a un certo punto va in giro a raccontare di Dio» ha voluto raccontare il chitarrista ai presenti.

Una testimonianza che viene proposta anche tramite le canzoni a tema religioso che Nando ha scritto insieme a diversi musical incentrati su personaggi santi, anche rock, che sta continuando a produrre e portare in tournée.

Il cammino di conversione è iniziato nel 1995 con la proposta di produzione di un musical sulla figura di san Francesco che ha permesso all’artista, all’apice del suo successo professionale, di riprendere in mano la Parola di Dio per ragioni legate alla sceneggiatura dello spettacolo. La lettura delle fonti francescani e dei brani del Vangelo non ha avuto un immediato effetto nella vita del musicista, ma ha lasciato nel suo cuore un seme destinato a fiorire nel tempo.

Il momento di conversione è avvenuto durante un concerto a Napoli anni dopo, nel 2001, presso lo stadio San Paolo, con l’incontro dello sguardo della statua della Madonna di Pompei nell’atrio dell’edificio: «Guardando il volto di quella statua di Maria ho pensato alla mia vita e specialmente a come stessi vivendo il mio rapporto con le persone – ha quindi raccontato il chitarrista nella sua animata testimonianza – la fama aveva ingrassato il mio ego in modo smisurato, più che la vita spericolata in stile rockstar, e da quel momento ho incominciato a riflettere sul modo di vivere la mia vita e sul mio rapporto con Dio».

Un percorso di conversione che l’artista ha percorso anche accompagnato dalla moglie Marina Bonalberti che, dal momento delle nozze a 19 anni sempre, ha sostenuto il marito con la preghiera e la devozione particolare proprio alla Madonna di Pompei.




Il pellegrinaggio diocesano a Lourdes concluso con la preghiera del Rosario alla Grotta in diretta su Tv2000

Per tanti, specialmente anziani e ammalati, il Rosario seguito in televisione su Tv2000 e pregato in comunione con la Grotta di Lourdes è un appuntamento fisso del pomeriggio nel salotto di casa. Mercoledì 27 aprile il consueto appuntamento ha avuto un significato particolare per la Diocesi di Cremona, visto che a presiedere la preghiera mariana è stato il vescovo Antonio Napolioni. È stato questo l’ultimo atto del pellegrinaggio diocesano – il primo dopo la pandemia – proposto dal Segretariato diocesano pellegrinaggi, diretto da don Roberto Rota, e al quale ha aderito un centinaio di fedeli delle diverse parrocchie della diocesi. Tre giorni intesi di spiritualità iniziati lunedì 25 aprile e scanditi da momenti di preghiera comunitari e personali.

Proprio sotto la grotta dove la Madonna apparve alla piccola Bernadette, il gruppo cremonese era ben distinguibile nelle primissime file anche grazie allo stendardo con l’immagine di Sant’Omobono. Proprio il vescovo Napolioni ha guidato la preghiera della prima decina, lasciando poi il microfono ad alcuni altri sacerdoti, e tra questi il vicario di Castelverde don Matteo Bottesini.

 

Le immagini del Rosario del 27 aprile dalla Grotta di Lourdes

 

Mercoledì 27 aprile, il Rosario nella Grotta ha concluso dunque l’ultimo giorno di pellegrinaggio per il gruppo diocesano a Lourdes, accolto al risveglio da un cielo plumbeo e un’aria fresca.

Il primo ritrovo è stato nella grande basilica Pio X, dove si è tenuta la Messa internazionale presieduta da mons. Bruno Valentin, vescovo ausiliario di Versailles. La celebrazione è stata celebrata in lingue differenti, ma con un forte e ben riconoscibile spirito di fraternità e unità nell’espressione della fede.

La giornata è quindi proseguita con un momento di condivisione dell’esperienza vissuta insieme al vescovo Antonio Napolioni: uno spazio comunitario e più intimo tra i membri del gruppo cremonese che si è unito ai grandi momenti di preghiera insieme agli altri gruppi presenti a Lourdes in questi giorni.

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Un momento di preghiera e riflessione personale è rimasto riservato nel pomeriggio per permettere ai fedeli cremonesi di affidare le particolari intenzioni di ognuno, per sé stessi e per i propri cari, all’Immacolata di Lourdes.

«È stata davvero una grazia, una grazia che è giunta dopo la Pasqua a darci quel senso di risurrezione pacato e umile tipico dell’esperienza cristiana vissuta in ascolto del Vangelo e sotto lo sguardo di Maria». Così il vescovo Antonio Napolioni commenta l’esperienza vissuta a Lourdes con il pellegrinaggio diocesano vissuto dal 25 al 27 aprile. Un’esperienza all’insegna della ripartenza: «Abbiamo potuto ripartire con un pellegrinaggio di tanti fratelli e sorelle che si è incontrato con tante altre comunità presenti a Lourdes da tante parti della Francia e del mondo. Non c’è ancora la grandissima folla, ma forse proprio questo ha favorito ulteriormente il raccoglimento, i tempi lunghi di silenzio, la preghiera corale, l’ascolto del messaggio di Dio. E questo è necessario e prezioso in questo tempo difficile, di sofferenza e di paura». E ancora: «La carezza di Maria e la presenza del Signore – prosegue Napolioni – le abbiamo avvertite davvero e questo ci permette di riprendere il cammino anche nelle nostre comunità: il cammino sinodale, i progetti per il futuro, consapevoli delle sfide, ma ancora più consapevoli della Grazia che il Signore non ci fa mai mancare». E con il pensiero si guarda già a una prossima proposta di pellegrinaggio: «Ben venga un’altra proposta del genere, appena possibile, per tutti quelli che vorranno. Non tanto per sentirci tornati alla normalità, ma guidati dal Signore dentro le difficoltà di ogni tempo: quelle che ci tocca affrontare con obbedienza di fede».

 

Lo speciale sul Giorno del Signore Le immagini e le voci dei pellegrini a Lourdes caratterizzeranno la prossima puntata del Giorno del Signore, la rubrica di informazione della Diocesi di Cremona, in onda sabato 30 aprile alle 20.30 sui canali social della Diocesi e dalle 20.25 in tv su Cremona1 (canale 19), con replica domenica 1 maggio alle 12.30.

 

Lourdes, secondo giorno toccando la vita di santa Bernardette

Novanta pellegrini con il Vescovo a Lourdes: «Seguiamo Maria per ripartire da suo Figlio»

 




«Abbiamo bisogno di coscienze inquiete!». Don Ciotti commenta la “Laudato si'” tra pace, ecologia e accoglienza dei poveri

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Un intervento appassionato, coinvolgente e a tutto tondo quello tenuto da don Luigi Ciotti nella chiesa parrocchiale del Maristella a Cremona nel pomeriggio di giovedì 21 aprile. L’evento dal titolo “Laudato si’, laudato qui: pace, giustizia, cura del creato” è stato organizzato nell’ambito della rassegna “La Trama dei Diritti” da Pax Christi, Comunità “Laudato si’” di Cremona, Tavola della Pace di Cremona, Libera contro le mafie e in collaborazione con CSV Lombardia Sud.

Al suo arrivo don Ciotti è stato accolto con tanto affetto, al quale non si è sottratto a scambiando qualche parola con tutti e scattando foto con le tante persone presenti. Dopo l’introduzione di Fabrizio Aroldi e don Antonio Agnelli, sacerdote collaboratore nelle parrocchie dell’unità pastorale Madre Nostra, hanno preso la parola per una presentazione e per un saluto i rappresentanti delle diverse associazioni organizzatrici.

L’audio integrale dell’intervento di don Ciotti

 

L’ampio intervento del sacerdote fondatore del Gruppo Abele e di Libera contro le mafie è iniziato con una condanna alla guerra e alla corsa al riarmo: «Negli anni scorsi, anche durante la terribile pandemia, sempre più risorse economiche sono state investite per il riarmo e questo è uno scandalo». Non è quindi mancato un affondo sulla situazione Ucraina e in particolare sull’accoglienza dei profughi: «Giusto accogliere fratelli e sorelle in fuga dalla guerra, ma come mai non abbiamo messo la testa sulle altre trentatre guerre in atto nel mondo. Perché non toccano i nostri interessi. Questa è una riflessione che si impone».

Dal tema della guerra è stato, quindi, collegato anche il tema dei profughi e dei poveri: «Nell’enciclica “Laudato si’” il papa si dimostra preoccupato ancora una volta per quello che sta avvenendo e per la qualità della vita di tutti. Siamo chiamati anche noi a diventare attivi per occuparci insieme del futuro, che è un tempo che va vissuto, non sprecato perché la vita è un tempo imprevedibile e inafferrabile».

«La crisi è unica, una crisi socio-ambientale, la strada tracciata dal Papa è quella della conversione ecologica: tutela della natura e dei diritti umani. È in gioco la vita! – ha così proseguito don Luigi nel commentare l’ecologia integrale, tema centrale dell’enciclica – con l’aggettivo integrale il Papa sottolinea come il nostro rapporto con la natura deve essere esteso a tutti gli ambiti della vita a cominciare da quello sociale e relazionale: c’è allora un grande richiamo all’accoglienza, perché non basta accorgersi che gli altri esistono intorno a noi. Non basta però accogliere gli altri perché dobbiamo anche sentirli dentro di noi e anche politici in Europa dovranno un giorno rendere conto di come mai l’Europa paga miliardi perché la Turchia si tenga i profughi, come qualcuno dovrà dirci di tutti questi investimenti che abbiamo fatto per la guardia costiera libica che continua a tenere nei lager tantissime persone, come qualcuno dovrà spiegare perché abbiamo venduto armi all’Egitto con cinquemila persone nelle carceri e che non ci consegna la verità su Giulio Regeni».

Il lungo intervento è terminato con un invito forte e sincero: «Vi auguro il conflitto delle coscienze: con la coscienza è sempre bene dialogare, a volte anche litigare in modo acceso, perché non sia una coscienza inerme che porta a mafia e guerra. Abbiamo bisogno di coscienze inquiete!».




Il vescovo alla Messa per la Regina del Po: «Il futuro del nostro piccolo pianeta è legato alla convivenza fraterna»

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«Solo la sete di giustizia, di vita e di verità intercetta il dono di Dio» questo il forte appello di mons. Antonio Napolioni durante l’Eucarestia celebrata sulle rive del Po durante la tradizionale celebrazione dell’Assunta.

La festa mariana della Madonna di Brancere, nonostante la siccità che ha impedito la tradizionale processione di barche sul Po con la statua della Madonna, è stata comunque celebrata con una Messa nella località Sales, presieduta dal Vescovo mons. Napolioni.

A concelebrare, accanto al vescovo, anche don Pierluigi Vei, parroco di Brancere, don Alberto Mangili, parroco di Bosco ex Parmigiano, don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per la pastorale e don Pietro Samarini, vicario zonale e parente da parte di una nonna di don Aldo Grechi, parroco primo ideatore di questa bella tradizione agostana. La celebrazione eucaristica è stata animata dal maestro don Graziano Ghisolfi e dalla soprano Annalisa Losacco.

Dopo i saluti del parroco don Pierluigi, la liturgia è proseguita sotto l’ombra degli alberi che circondano la santella mariana opera di Graziano Bertoldi inaugurata per il Giubileo del 2000.

L’omelia di mons. Napolioni è iniziata con una bonaria provocazione: «Vogliamo proprio il miracolo? Che arrivi quella pioggia non cattiva che riempia gli invasi, irrighi i campi, disseti i popoli? Io questo miracolo non ve lo prometto affatto – ha quindi proseguito il vescovo di Cremona – vi prometto un altro miracolo: che noi passiamo dal lamento alla speranza, dall’essere spettatori all’essere responsabili, che prendiamo coscienza delle parole vere che ci nutrono e rifiutiamo le parole fasulle che ci manipolano».

«Giovanni vede questo segno nel cielo – ha quindi proseguito il Vescovo nella sua riflessione sulle letture della solennità – una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle: ho controllato e nei versetti successivi c’è un fiume. Il nemico vomita un fiume per cercare di travolgere la donna con il suo bambino, ma il libro dell’Apocalisse finisce con la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, una città attraversata da un fiume le cui acque portano vita e guarigione, dove crescono alberi le cui foglie sono medicina. Per quell’acqua c’è un invito universale e gratuito, bevete dell’acqua della vita: ecco la condizione più vera dell’essere umano».

Da questa riflessione biblica il Vescovo ha proseguito la riflessione sulla situazione che quest’anno sta caratterizzando l’estate lungo il fiume: «Ma allora la siccità ci voleva? Sì, ad un popolo sazio, viziato e reso debole da tutte le comodità il momento della prova prima o poi arriva, perché non può essere cuccagna all’infinito per pochi e fame, sete, miseria e morte per tanti. No, non è possibile!»

 

 

Una meditazione che partendo dagli elementi naturali, arriva a quelli più umani: «Non solo si ribella la natura, ma si ribellano le coscienze e i popoli, dobbiamo quindi assumerci questa responsabilità; non egoisticamente, magari litigandoci i litri d’acqua da una sponda all’altra del fiume, perché di questo passo facciamo il gioco del nemico. Tutto è stato affidato a noi in prestito, ci dobbiamo rimboccare le maniche e ci renderci conto che davvero il futuro del piccolo pianeta è legato alla convivenza fraterna, perché se le guerre finora le abbiamo fatte per il petrolio le faremo per l’acqua, per l’aria: svegliamoci!».

Un forte appello che mons. Napolioni ha continuato a declinare: «Solo questa sete di giustizia, di vita e di verità intercetta il dono di Dio. Non perché Egli chiude i rubinetti del cielo a seconda di come noi ci comportiamo (sarebbe un Dio meschino se giocasse con noi in questo modo) ma perché Lui continua a dare se stesso, suo figlio, la madre di suo figlio, la compagnia dei santi, la preghiera dei semplici, la coscienza di essere uomini e donne che hanno una dignità cui tener fede».

Infine, l’ultimo auspicio e incitamento ai tanti fedeli presenti: «Ripartiamo da questa Messa sull’argine del fiume, un po’ dispiaciuti di non averlo potuto navigare, impegnandoci ad altre navigazioni, gli uni incontro agli altri, la navigazione del dialogo che permettano al nostro Paese e alle nostre comunità di non dilaniarsi, ma di essere sagge e forte davanti alle difficoltà: Maria è con noi e si manifesta se ci comportiamo così e cantiamo anche noi il Magnificat, il canto delle situazioni ribaltate, con i potenti rovesciati dai troni e gli umili nel cuore di Dio anche se nell’immediato non sembra».

Un altro riferimento all’attualità non è mancato durante la preghiera dei fedeli. Infatti, il vescovo Napolioni ha sottolineato come nella stessa giornata sia iniziata una “quaresima” particolare con la campagna elettorale in vista delle prossime elezioni e l’augurio affinché tutte le forze politiche si impegnino con serietà nei confronti dei cittadini.

Al termine della Messa la statua della Madonna di Brancere è stata portata a spalla in processione dai “pescatori scalzi” fino sulle sponde del fiume dove è stata letta la preghiera alla Regina del Po scritta dallo stesso mons. Napolioni. Dalla stessa sponda il sindaco di Stagno Lombardo, Roberto Mariani, ha quindi gettato la corona di fiori nel fiume a memoria delle vittime delle inondazioni.

La benedizione finale è stata eseguita in modo particolare dal Vescovo, il quale ha voluto procedere utilizzando la stessa statua per impartirla, aiutato dall’abile bravura dei pescatori scalzi che hanno accompagnato l’effige secondo il movimento delle braccia di mons. Napolioni.

Presenti alla celebrazione molte autorità civili cremonesi e dei comuni rivieraschi con i loro gonfaloni e l’attenta presenza della Protezione civile e dei corpi delle Forze dell’ordine che hanno garantito il regolare svolgimento della celebrazione.




L’arcivescovo Marcianò ai militari e alle forze di polizia: «Il vostro servizio trasforma in vita ciò che altrimenti sarebbe morte»

«Chi cancella il volto dell’uomo scatena guerre e semina morte». La vera potenza non è quella del predominio, «ma quella che fa vivere il volto dell’altro, che dona la vita per la vita dell’altro e solo così cancella la morte». Ed è questa «la potenza che Dio affida al vostro servizio: di difesa della vita e che trasforma in vita ciò che altrimenti sarebbe morte». Così l’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, si è rivolto ai militari e alle forze dell’ordine radunate nella mattina di giovedì 7 aprile in Cattedrale per il Precetto pasquale, la celebrazione per le forze armate e le forze di polizia in preparazione alla Pasqua. A presiederlo, per la prima volta a Cremona, il loro vescovo: l’Ordinariato militare, infatti, è l’equivalente di diocesi con speciale giurisdizione su tutte le parrocchie e cappellanie militari e delle forze armate.

Soldati della Col di Lana, poliziotti, carabinieri e finanzieri di tutto il territorio, agenti della polizia penitenziara, vigili del fuoco e polizia locale, crocerossine e 118. Esercito insieme a forze di polizia e di pronto intervento erano tutte rappresentate nel Duomo di Cremona, insieme alle massime autorità locali. A cominciare dal nuovo prefetto Corrado Conforti Gallo, il neoquestore Michele Davide Sinigaglia affiancati dalla rappresentanza del Comune di Cremona con l’assessora Barbara Manfredini e il consigliere regionale Federico Lena.

In prima fila anche il generale di corpo d’armata Fabrizio Carrarini, comandante interregionale dell’Italia Nord Occidentale della Guardia di Finanza, il generale Stefano Screpanti, comandante regionale della Guardia di Finanza, il generale di brigata Andrea Taurelli Salimbeni, comandante della Legione Carabinieri Lombardia, e il generale Alfonso Miro, del Comando militare Esercito Lombardia. Insieme, naturalmente, ai comandanti locali.

Sull’altare due carabinieri in alta uniforme e alle spalle i gonfaloni delle varie associazioni combattentistiche e d’arma.

A concelebrare l’Eucaristia, insieme a mons. Marcianò, il rettore della Cattedrale mons. Attilio Cibolini con i diversi cappellani, tra cui mons. Andrea Scarabello, decano regionale dei cappellani militari, che all’inizio della Messa ha ricordato il senso della celebrazione, che l’arcivescovo Marcianò avrebbe dovuto presiedere due anni fa all’inizio della pandemia che ora apre le celebrazioni sul territorio regionale.

Tra i cappellani presenti anche alcuni cremonesi: don Andrea Aldovini, cappellano presso la parrocchia militare S. Barbara della Caserma “Col di Lana” di Cremona e don Roberto Musa cappellano della Casa Circondariale di Cremona, insieme a don Graziano Ghisolfi, che ha diretto la selezione del Coro della Cattedrale che ha animato la celebrazione eucaristica.

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«Con questa celebrazione eucaristica per prepararsi insieme alla Pasqua, la memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù ci toccherà il cuore, ci aiuterà a guardare al nostro dolore e del mondo, con sguardo di speranza» ha affermato l’arcivescovo aprendo la celebrazione. «Siamo in un tempo di morte, la quale occupa la cronaca di ogni giorno molto più di altre notizie – ha proseguito l’ordinario militare – Da poco più di due anni ormai siamo avvezzi ad ascoltare il conteggio delle morti quotidiane per covid, un tipo di morte nuova perché si consuma nell’isolamento».

La più stringente attualità è quindi stata al centro della riflessione di monignor Marcianò: «Da poco più di un mese la morte è diventata l’altra faccia della guerra. Non sono nuove le terrificanti immagini che vediamo, perché come ci ricorda il Papa la guerra ha sempre abitato il cuore dell’uomo, perché inizia da lì. Accanto rimangono le immagini delle violenze quotidiane, gli omicidi, gli abusi, i crimini, le stragi di migranti ingoiati dal mare o respinti alle frontiere, delle morti a causa di ingiustizie, fame e persecuzioni religiose, e di tante malattie, anche causate dalla malattia della terra che continuiamo ad avvelenare senza alcun ritegno. La morte ci è dinnanzi. Dinnanzi a voi che la toccate nel vostro servizio quotidiano».

Quindi, non è mancato nemmeno il ricordo dei momenti più terribili vissuti dalla comunità lombarda all’inizio della pandemia: «In questa regione avete vissuto con drammaticità la diffusione del covid, che ha richiesto il vostro sostegno pronto e competente: penso al campo della sanità, alla preparazione delle strutture, la salvaguardia dell’ordine, la campagna vaccinale. Voi siete stati e siete sempre impegnati nella difesa da ogni violenza, crimine, illegalità, corruzione come pure nell’accoglienza degli stranieri».

Mons. Marcianò ha quindi proseguito con una spiegazione dell’amore paterno di Dio, in contrasto con l’idea umana di potere: «È drammatico pensare che la morte ci è dinnanzi, sembra una scena che non cambia, ed anzi peggiora. Ma Gesù come fa a dire che non vedremo più la morte in eterno? Come faremmo a celebrare la Pasqua se non ci credessimo, che cristiani saremmo? Ma la Parola di Dio sfida le parole umane e ci sfida a trovare nuovi significati. Come nella prima lettura, dove Dio promette ad Abramo di dargli le terre dove lui era straniero. Se ci pensiamo bene è per una sete di potenza che molte guerre si consumano, per il desiderio di espandersi e dominare con spirito di totalitarismo e sovranismi nazionalisti come stiamo assistendo in Ucraina».

E ha proseguito: «La promessa di Dio ad Abramo è diversa: non è un progetto di egemonia, ma di paternità. Possiamo, forse, intravedere in queste parole – ha proseguito l’ordinario militare – un riferimento al senso profondo del governo, alla responsabilità politica degli uomini e delle istituzioni, la cui vocazione è custodire con la logica e lo stile del padre, la cui vocazione è prendersi cura dei cittadini, dell’ambiente e della comunità, entrando sempre più in una dimensione che considera il mondo intero come comunità».

Infine, nell’omelia la risposta alla presenza della morte posta all’inizio della riflessione: «Non dimentichiamo che c’è un’altra potenza, quella che fa vivere il volto dell’altro, dona la vita per l’altro e solo così cancella la morte: è la potenza che Dio affida al vostro servizio, di difesa della vita, e che trasforma in vita ciò che altrimenti sarebbe morte». Quindi l’augurio pasquale, espresso nella consapevolezza che «nel vostro servizio il Signore vi è vicino: anche nei momenti difficili alzate lo sguardo verso il cielo e vi troverete il respiro della speranza, il senso della sofferenza e la luce della Pasqua in cui Cristo vince la morte in eterno: è risorto!».

Al termine dell’Eucarestia, dopo la preghiera della Patria, ha quindi preso la parola il generale Alfonso Miro, comandante Militare Esercito Lombardia, il quale ha voluto ribadire il proprio ringraziamento per l’ospitalità in Cattedrale e all’arcivescovo per la sua presenza: «Ci troviamo in una situazione estremamente difficile dopo le difficoltà di due anni di pandemia purtroppo vediamo unirsi un’altra grande emergenza che non ci aspettavamo e che sconvolge i nostri cuori. Le forze armate e tutte le istituzioni operano con il massimo impegno e disponibilità per dare il proprio contributo: mi permetto di auspicare che la preghiera sia momento di ispirazione per coloro che hanno capacità decisionali affinché i loro atti siano adeguati per risolvere le sofferenze che ci riguardano più o meno direttamente».

Prima della benedizione finale non è mancato il saluto del vescovo di Cremona Antonio Napolioni che ha voluto sottolineare come «a Cremona si respira un’aria di fraternità, corresponsabilità e amicizia fra tutti coloro che a vario titolo servono la collettività. Questo aspetto, in tempi difficili quali quelli che abbiamo attraversato, è stato un punto fermo al quale abbiamo potuto sempre fare riferimento». Parole a cui è seguito il grazie alle Istituzioni e agli uomini e donne che quotidianamente operano sul campo che permettono di essere «un vero paese di pace».

Prima della benedizione finale l’arcivescovo militare ha voluto ricordare la figura di don Primo Mazzolari, che fu cappellano militare, e per il quale è in corso il processo di beatificazione, garantendo il supporto dell’Ordinariato nella ricerca di tutte le documentazioni necessarie per il riconoscimento di quella santità «che ci ha formato e che tutti riconosciamo».

Una festa continuata nell’informalità tra i partecipanti, in particolare sulla piazza dove erano schierati i mezzi di servizio e alcuni cani in servizio alla Polizia di Stato.