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Assemblea diocesana, l’arcivescovo Redaelli: «La carità è espressione della comunità cristiana»

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«L’amore non è solo dato, ma ricevuto, persino quando è rifiutato. Chi ama ci guadagna, comunque». È il messaggio iniziale dell’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente di Caritas Italiana, agli operatori della carità e dell’ambito pastorale del servizio, ai sacerdoti e ai diaconi, radunati nella serata di mercoledì 5 ottobre nel salone Bonomelli del Seminario di Cremona, in occasione dell’Assemblea diocesana su Carità e Servizio. Un’iniziativa importante, realizzata alla presenza del vescovo Antonio Napolioni e del direttore di Caritas cremonese don Pierluigi Codazzi, inserita nel contesto del 50esimo anniversario di fondazione della Caritas cremonese e dedicata a tutte le persone impegnate in diocesi nell’ambito della pastorale della carità, della salute, del sociale e del lavoro, missionaria e della migrazioni.

«In un mondo in cui le notizie brutte non mancano, mi piace partire dalle cose belle – ha cominciato Redaelli –. Occorre ricominciare a vedere ciò che il Signore opera in ognuno di noi. È importante anche quando si fa l’analisi della propria realtà caritativa: partire dalle cose belle e dai sogni, da condividere anche con i poveri, per poi arrivare anche ai problemi».

Prendendo spunto dall’articolo 1 dello statuto della Caritas italiana, che nel 2021 ha celebrato i 50 anni, monsignor Redaelli ha delineato alcune caratteristiche della Caritas e della carità. «La Caritas è interna alla Chiesa – ha esordito –, non è un’associazione, e la carità è espressione della comunità cristiana. La carità non pretende l’esclusiva, non ha il copyright, anzi, è contagiosa. E spinge a lavorare insieme, a favore dei poveri».

Altro tema sottolineato, quello della testimonianza. «La carità non ha la pretesa di risolvere tutto – ha continuato il presidente di Caritas italiana – è appunto testimonianza, attenzione alla persona nella sua globalità, non a una parte. Un’attenzione che va anche alle cause della povertà. E che si adegua ai tempi che cambiano».

Cosa è cambiato quindi in 50 anni? Questa la domanda con la quale è proseguita la riflessione. «È cresciuta la sensibilità verso la dignità della persona – ha detto l’arcivescovo di Gorizia –, l’attenzione anche etimologica alla fragilità. È cresciuto il sistema e si è evoluta la legislazione. Certo, sono anche cresciuti alcuni problemi come la complessità del mondo in cui viviamo e la riduzione delle forze umane, anche religiose, che si occupano di carità».

Da qui, il metodo per affrontare la carità anche nelle fatiche dell’oggi. Un metodo tracciato da Papa Francesco, proprio in occasione dei 50 anni di Caritas italiana: quello delle tre vie, la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. «Il Papa – ha commentato monsignor Redaelli – non ha detto poveri, ma ultimi che è una categoria evangelica. Noi che siamo i primi dobbiamo farci inquietare dagli ultimi, riscoprendo il comandamento dell’amore. Amare il prossimo come te stesso vuol dire che ciò che vorresti per te lo devi fare per l’altro. Io per esempio vorrei essere trattato con dignità». «Negli ultimi poi – ha proseguito – ci sono anche le persone fragili e indifese, che sono anche quelle ricche. E il Papa ci dice che bisogna andare a cercarli gli ultimi, intercettando anche chi non ha il coraggio di venire da noi, frequentando i luoghi della povertà, le periferie, le carceri, le situazioni di sfruttamento, liberando le persone dalle dipendenze. Ciò aiuta e cambia anche noi. Occorre sempre più guardare la realtà con gli occhi dei poveri e rendere le persone protagoniste».

La seconda via è quella del Vangelo «inteso – ha precisato il presidente di Caritas italiana – come stile di vita. Il Vangelo ci aiuta a capire, ci consola, ci invita a quel trittico fede, speranza e carità che diventa spesso prima carità, poi speranza e poi fede. Il Vangelo è profezia per tutti e come Caritas dobbiamo essere profezia attenta anche agli altri, anche alle loro paure per viverle insieme».

Infine, la via della creatività «da percorrere – ha detto ancora l’arcivescovo di Gorizia – anche nella carità, curando la bellezza, quella semplice, rinnovando le opere segno per cercare di avvicinare quelle realtà a cui nessuno pensa. Con attenzione ai giovani, ovvero dando loro spazio, lasciando che se lo prendano con il loro stile; e alle famiglie che hanno una potenza di creatività notevole e che spesso sono protagoniste di una preziosa carità della porta accanto».

Dopo l’intervento di monsignor Redaelli e la cena condivisa, la tematica “Camminare sulla via degli ultimi” è stata approfondita nei lavori di gruppo.

Ideale prosecuzione dell’assemblea diocesana nella mattinata di giovedì 6 ottobre con l’incontro, sempre in Seminario, tra monsignor Redaelli e il clero diocesano, incentrato sul ruolo del prete nella comunità.

 

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