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Al PalaRadi il Giubileo è una festa per lo sport, occasione d’incontro e strumento di speranza

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«Una gioia enorme, con la quale vivere la vita come un grande gioco, attraverso il movimento, l’armonia dei sensi, la compagnia degli amici». È questo lo sport che si è celebrato al PalaRadi di Cremona con il Giubileo degli sportivi e che il vescovo Antonio Napolioni ha descritto come un’attività importante, in cui c’è posto per tutti e tutti possono trovare un ruolo, come ha dimostrato l’evento che si è tenuto nella serata di lunedì 29 settembre al PalaRadi di Cremona, promosso nel contesto del Giubileo 2025 dalla Diocesi di Cremona.

Su invito del Vescovo, lo sport cremonese si è ritrovato nel palazzetto di Ca’ de Somenzi, per prendere parte a un appuntamento giubilare dedicato agli atleti, ai dirigenti, ai tecnici delle società professionistiche e dello sport di base, e a tutti coloro che amano lo sport. La serata, organizzata dal CSI di Cremona con la collaborazione di Comune di Cremona ed Ente Fiera di Cremona, e il patrocinio di Provincia di Cremona, CONI, CIP, Sport e Salute e Panathlon Cremona.

Un’importante occasione di incontro, testimonianza e riflessione sui valori dello sport, cui hanno aderito le principali realtà dello sport cremonese con rappresentanti della prima squadra, del settore giovanile e della dirigenza. Presente e ben rappresentato anche tutto lo sport giovanile e dilettantistico delle federazioni e degli enti di promozione, a testimonianza dell’importanza dello sport per il suo valore sociale ed educativo.

Ha aperto la serata un’emozionante esibizione della squadra di ginnastica artistica femminile “Gymnica Cremona”, giocata su un tripudio di bandiere colorate a simboleggiare l’unione e la pace tra le nazioni. Le ragazze di Gymnica hanno riempito di gioia e di speranza il parquet del palazzetto dello sport Mario Radi, chiudendo la loro esibizione alcuni gesti ginnici a simboleggiare il cammino dei pellegrini di tutto il mondo verso la Porta Santa, in piazza San Pietro a Roma.

La serata si è svolta attorno a quattro temi portanti: gioco, gara, squadra e speranza.

Nella prima fase – gioco – si è messo in evidenza come lo sport prima di essere spettacolo, attività salutare, professionismo, incontro, sfide e anche attività commerciale, è essenzialmente un gioco. È così che tutti gli sportivi lo hanno incontrato nella loro infanzia ed è proprio sul filo di questo ricordo che si è disputata una insolita partitella di tennis tavolo tra un atleta under 15 del Corona, Giulio Gaiardi, e il sindaco di Cremona Andrea Virgilio, che hanno dato spettacolo e dimostrato che il gioco è un grande valore condiviso tra tutte le generazioni.

A seguire la toccante testimonianza di don Davide Ferretti, fidei donum in Brasile a Salvador de Bahia, da alcuni anni a servizio della parrocchia di Gesù Cristo Risorto a Salvador de Bahia, in Brasile. Il prete cremonese, giocatore della Sacerdoti Italia Calcio, ha raccontato che cosa significa offrire ai ragazzi della favela l’opportunità di praticare il calcio e la danza, utilizzando lo sport come strumento educativo capace di dare dignità e strappare dalla strada.

«Nella nostra parrocchia – ha detto don Ferretti – le bambine che fanno danza sono oggi circa 200, divise in piccoli gruppi. Il valore fondamentale di questa attività è che dà loro non soltanto delle regole, ma anche una certa dignità: nel vestire, nel comportamento, nel sentirsi delle ballerine. Le insegnanti le aiutano non solo dando loro delle regole, ma anche con l’attenzione a quello che è il loro modo di essere ragazzine e poi donne». Ha poi parlato poi delle attività legate al calcio, che «qui, come un po’ in tutto il Brasile, è un’istituzione. I ragazzi vengono tutti i giorni a giocare a calcio nella piccola palestra che abbiamo. Il calcio porta anche il valore della socializzazione, che qui non sempre è facile. E, anche in questo caso, il rispetto delle regole, degli orari, della divisa. Cose banali, ma che sono molto molto importanti per loro. In più il calcio diventa un modo per non stare sempre in strada».

La successiva riflessione del vescovo Antonio Napolioni è partita dalla sua infanzia. Cresciuto nell’ambito dell’esperienza Scout e da sacerdote è stato anche assistente nazionale dell’Agesci. Nel metodo educativo Scout il gioco ha un ruolo di primo piano: il gioco come strumento educativo e come metafora del “gioco serio” che è la vita. Il vescovo si è descritto come uno sportivo fallito, ma un uomo contento, che ha scoperto il segreto della gioia, del Giubileo. Napolioni ha poi ammesso di aver provato «un brivido di pace, mentre le ragazze ballavano con le bandiere» e un desiderio di gioia che provava sin da bambino, tanto che nello scegliere il proprio motto episcopale ha fatto sue le parole del salmo “servite il Signore nella gioia.

Sì è così passati alla seconda parola chiave: gara. Lo sport non è solo competizione e risultato: al di là del linguaggio bellicistico delle cronache, l’autentico agonismo è rispetto, lealtà e crescita personale. L’avversario non è un nemico, ma uno stimolo a migliorarsi; la sfida più vera è sempre con se stessi.

Con questo spirito si è disputata una sfida di tiri da tre punti tra Vanoli, Juvi e Sansebasket, preceduta dall’intervista ad Andrea Conti, general manager Vanoli Basket, Nicolàs Panizza, direttore sportivo Juvi, e Fabio Tambani, presidente Sansebasket, che hanno descritto i valori che cercano di portare alle loro squadre e alle persone che le tifano, per uno sport che deve avvicinare, educare e divertire. Al termine del suo intervento Andrea Conti ha poi regalato una maglia della Vanoli al Vescovo, che l’ha indossata divertito.

Si è giunti così al momento della sfida tra Sasha Grant della Vanoli, Tommaso Vecchiola ed Edoardo Del Cadia della Juvi e Antonello Baggi della SanseBasket, che hanno tirato da tre punti sul commento di Pietro Ginevra. La vittoria finale è andata ad Antonello Baggi, che ha chiuso il suo ultimo turno con uno strepitoso 3 su 3, a fronte dell’unico centro che gli sarebbe bastato per sorpassare Sasha Grant.

Anche negli sport individuali esiste una dimensione di incontro e relazione: lo sport diventa così occasione per creare legami autentici, superare l’individualismo e vincere la solitudine.

Un bellissimo video celebrativo dei suoi molti successi, ha preceduto l’applauditissima intervista a Efrem Morelli, capitano della squadra di nuoto paralimpica, che ha rappresentato l’Italia ai Giochi Paralimpici nelle edizioni 2008, 2012, 2016, 2020 e 2024 e che ha risposto alle domande di Cristina Coppola, cui è stata affidata la conduzione della serata. Al collo il bronzo conquistato nei 50 rana ai recenti mondiali di Singapore. Dopo il racconto dei momenti che precedono la gara e del rapporto con gli avversari, a Morelli è stato chiesto in che modo gestisce le proprie emozioni: «Non ho ancora capito, in tutti questi anni… Scherzi a parte, cerco di non pensare più di tanto alla gara, perché ormai, arrivati lì, le cose sono fatte. Quindi cerco di stare il più tranquillo possibile per essere pronto per gli attimi successivi». Quanto alla rivalità e all’amicizia con i propri compagni, Morelli ha detto che «si cresce con il gruppo, nel tempo. Si ha tanto tempo da condividere assieme, durante i ritiri e le gare, e si impara anche a conoscersi, ma credo che quando siamo in gara ognuno poi si concentri sulla propria gara e niente altro. Poi quando finisce si va a bere qualcosa».

Il campione ha poi parlato del cambiamento dello sport paralimpico nella sua lunga carriera, in cui lo ha visto costantemente crescere. «I social, i media, le televisioni si sono avvicinate sempre di più e hanno iniziato ad interessarsi in modo genuino e a trasmettere le immagini dei nostri sport nelle famiglie e nelle case. Questo ha permesso di fare un enorme passo avanti. Il mondo non si fermava alla disabilità, alla problematica, ma offriva molte possibilità. Quindi il messaggio che voglio dare è che ci sono tantissimi possibilità nella disabilità e lo sport è un aiuto a superare le difficoltà, a uscire e a condurre una vita normale».

L’appuntamento per Morelli è ora alle Paralimpiadi di Los Angeles, nel 2028, cui spera di poter prendere parte ancora una volta.

Alcuni volontari del CSI hanno poi raccontato il progetto di sport in carcere, grazie alla testimonianza di Antonio Figoli. Ancora una volta si è fatto riferimento al valore simbolico dello sport come strumento educativo e riabilitativo. Come atleti, anche coloro che stanno scontando la pena nella casa circondariale di Cremona, possono sperimentare che un riscatto è possibile. Che la sconfitta può aprire le porte, se accolta e metabolizzata, ad altre vittorie. Si è così assistito alla video intervista di uno di loro: Adam, un ragazzo di 24 anni. Dentro le mura del carcere il tennistavolo non è solo sport, ma un seme di speranza e di cambiamento.

Squadra: questo il tema della terza parte dell’evento del PalaRadi, introdotto dall’Intervista a Claudio Cuello, allenatore della VBC Casalmaggiore, iniziata con un inevitabile riferimento alla vittoria degli Azzurri ai mondiali di pallavolo, spiegando come l’eccellenza italiana del volley aiuti da decenni anche i piccoli club, portando ragazzi che iniziano a giocare a questo sport e in cui, spesso, possono fare meglio che in altri. «A ogni atleta che si avvicina, a ogni dirigente che viene a lavorare con noi, sai cosa diciamo? Cosa possiamo fare per te?». È questo lo spirito con cui Cuello ama formare i suoi gruppi, in cui ciascuno trova la propria strada con l’aiuto degli altri. «L’unica cosa che posso davvero trasmettere alla mia squadra è la gioia di vivere. Faccio con tanta felicità questo lavoro da più di 40 anni. Oggi ne ho sessantasette, sono arrivato qui a ventisei, mi sono divertito enormemente e non voglio smettere di divertirmi», ha detto sorridendo, mentre invitava i ragazzi a godersi il viaggio dello sport «che è il viaggio della vita, ed è fantastico».

A seguire le interessanti riflessioni dell’assessore Zanacchi e del Sindaco Virgilio, che hanno spiegato come il gioco della politica e dell’amministrazione locale sia a tutti gli effetti un gioco di squadra. «Ho un coach che è anche giocatore – ha detto Zanacchi riferendosi al Sindaco –. Anche in questo contesto non si deve cercare ossessivamente la performance, ma dare valore a tutta l’esperienza, anche umana, che le ruota attorno».

Un’esibizione di “Danza Espressiva” inclusiva, introdotta da Micol Manfredini, psicologa e analista del comportamento della Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro Onlus, che tiene un corso rivolto a persone con diverse abilità, promosso e attivato dalla Dinamo Zaist, ha avviato la serata verso la conclusione. Immancabile un ricordato per don Pietro Samarini, recentemente scomparso, «che ci ha accolto per anni all’interno dell’oratorio ed è sempre venuto a trovarci, a dire una parola gentile, attenta e dolce a tutti noi. L’obiettivo degli incontri settimanali del nostro corso è quello di condividere il piacere che ognuno di noi ha nel danzare, che va oltre il semplice muoversi a passo di musica, perché diventa uno spazio  di libertà in cui ognuno può esprimersi».

Dopo l’esibizione dei ragazzi e delle ragazze di “Danza Espressiva”, sulla musica di Hopper, un testo scritto da Gio Evan che parla di coraggio, fiducia negli altri e speranza, è stata la volta del presidente nazionale del CSI Vittorio Bosio, ospite per l’occasione a Cremona, che ha sottolineando il valore di tutti gli operatori sportivi ricordando anche l’ottantesimo anniversario del CSI, rallegrandosi di trovare a Cremona una realtà così viva e capace di fare cose importanti e utili a molti. «In questi 80 anni – ha detto – il CSI è stata un’associazione che si è messa soprattutto in ascolto, che ha accolto tutti, che ha fatto sport anche a livello agonistico, e che ha fatto tante cose belle. In Italia abbiamo esperienze assolutamente fantastiche. Io dico sempre: il CSI se non ci fosse bisognerebbe inventarlo».

Infine il saluto di Fabio Pedroni, presidente del Comitato di Cremona del CSI, con i ringraziamenti a tutti coloro che hanno permesso di realizzare questa serata e «l’augurio che lo sport possa portare con sé un forte un forte messaggio di speranza e di pace».

Alla fine di una lunga cavalcata di sport e incontri, la conclusione della serata è spettata al vescovo Napolioni, che ha richiamato il tema dell’anno giubilare “Pellegrini di Speranza”. Una riflessione che il vescovo ha articolato a partire dalle aspettative di uno sportivo: giocare, vincere e guadagnare. «Cristo non lascia nessuno in panchina: chiama tutti», ha detto. E poi mostrando la croce che aveva al collo paragonandola a una medaglia olimpica ha continuato: «La sua vittoria è la Croce e la Risurrezione, che è dono per ciascuno». Poi il riferimento al «vero guadagno»: «Non sono i soldi, ma conquistare Cristo e giocare nella sua squadra: con Lui, infatti, anche quando sembriamo perdenti, siamo sempre vincenti».

Un augurio e un incoraggiamento suggellati dalla benedizione, ma anche da una gioiosa ola, hanno quindi concluso la serata, salutata da un ultima esibizione di “Danza Espressiva” e dalla consegna di un braccialetto ricordo a tutti i partecipanti.