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A Casalmorano i funerali di mons. Talamazzini con un «a rivederci»

«Perseveranza nella preghiera, amore a Gesù e alla santa Chiesa, devozione filiale alla Vergine santissima e una particolare attenzione ai piccoli, ai poveri e ai sofferenti». Sono queste le raccomandazioni che monsignor Angelo Talamazzini ha voluto lasciare ai propri cari e alle persone che ha amato e servito nei suoi 55 anni di ministero. A dare voce al suo testamento spirituale il vescovo Antonio Napolioni nei funerali presieduti, nel pomeriggio di sabato 23 novembre, a Casalmorano.

Il suo paese, «il più caro», dove lo scorso anno aveva deciso di ritirarsi sentendo sempre più il peso degli anni. Vicino ai suoi cari, che l’hanno accompagnato sino all’ultimo, quando le difficoltà erano cresciute, tanto da rendere necessario un ricovero in ospedale. Pochi giorni prima del decesso, avvenuto giovedì 21 novembre, presso la casa di riposo dove risiedeva.

Il secondo Angelo del presbiterio diocesano salito in Cielo nelle ultime settimane, ha ricordato, con riferimento anche alla recente scomparsa di don Scaglioni, monsignor Napolioni, che ha anche espresso la vicinanza del vescovo emerito Lafranconi, impossibilitato a essere presente per impegni pastorali.

Nella chiesa parrocchiale di Casalmorano tanti preti (con i canonici del Capitolo della Cattedrale) e una folta assemblea si è stretta attorno ai familiari del canonico. Oltre alla gente del paese folte rappresentanze da Casalbuttano (dove nel 1963 aveva iniziato il proprio ministero come vicario), da Corte de’ Frati (dove fu parroco per la prima volta) e S. Michele Vetere, in città, che servì per vent’anni prima di spostarsi di poche centinaia di metri, in Cattedrale, come canonico e penitenziere.

Nell’omelia del vescovo Napolioni è emersa con chiarezza la figura di monsignor Talamazzini, incontrato pochi giorni prima della morte e di cui ha voluto in particolare ricordare la consapevolezza di essere salvato dal Signore. Una certezza che ha potuto sperimentare nei momenti difficili della propria vita e che l’ha accompagnato sino all’ultimo. In quella salda fiducia nel Signore, e anche nelle persone, che monsignor Talamazzini esprimeva a tutti con il proprio sorriso, capace di mettere ciascuno a proprio agio. Un sorriso di ascolto e accoglienza, che in tanti hanno potuto sperimentare, soprattutto nel confessionale della Cattedrale dove «ha offerto in abbondanza la misericordia di Dio», «colpito dallo stile di papa Francesco».

Sempre consapevole che il Vangelo illumina, purifica e orienta i nostri desideri: lo ha imparato lui e ha cercato di aiutare i fratelli a farlo a loro volta, cercando sempre di fare almeno un po’ di bene. Come egli stesso auspicava nel suo testamento spirituale concluso son un «a rivederci in Cielo a Dio».

Al termine della Messa, dopo la benedizione, la salma è stata trasferita nel cimitero locale, dove è stato tumulato.

A rivederci don Angelo!

R.A.M.

Photogallery della celebrazione

 

Profilo di monsignor Talamazzini

Nato a Casalmorano il 29 gennaio 1937, monsignor Talamazzini fu ordinato presbitero l’8 giugno 1963. Una classe di undici sacerdoti, oggi rappresentata solo da monsignor Giuseppe Perotti, don Raffaele Carletti e don Angelo Bravi. Iniziò il suo ministero pastorale come vicario a Casalbuttano. Nel 1977 assunse l’incarico di parroco di Corte de’ Frati. Nel 1984 il trasferimento a Cremona, nella parrocchia di San Michele vetere, dove rimase come parroco vent’anni. Lasciata la parrocchia di San Michele, il vescovo Lafranconi l’ha voluto come membro del Capitolo della Cattedrale, affidandogli nello stesso tempo l’incarico di penitenziere della Cattedrale. Nel 2018 monsignor Talamazzini decise di ritirarsi presso la casa di riposo di Casalmorano, suo paese natale, dove ha scelto di essere sepolto.

 

 

Riproponiamo il testo dell’intervista che monsignor Talamazzini, quale penitenziere della Cattedrale, rilasciò al nostro Portale nel maggio 2013.

«Grazie ai richiami alla misericordia è tornata a confessarsi gente lontana da 30 anni»

In questi ultimi tempi, grazie al carisma di Papa Francesco e ai suoi continui richiami alla misericordia di Dio, il numero di quanti sono ritornati a celebrare il sacramento della Riconciliazione è aumentato.  L’ondata di novità e di entusiasmo portata da Jorge Mario Bergoglio ha toccato anche il confessionale di mons. Angelo Talamazzini, da nove anni penitenziere della diocesi oltre che canonico del Perinsigne Capitolo della Cattedrale. Per lui anche la gioia di accogliere persone che da 30 anni non si inginocchiavano davanti al confessore.

Sabato 11 maggio al santuario di Castelleone, dedicato proprio alla Madonna della Misericordia, il vescovo Lafranconi aveva parlato di un aumento delle confessioni in questo ultimo periodo, anche a fronte del nuovo Pontefice. «Certamente questo papa semplice, che parla continuamente di misericordia – spiega il penitenziere della Cattedrale – ha influito su una fascia di persone che da tempo non si confessava e forse era anche psicologicamente lontana dalla Chiesa». A testimoniarlo sono gli stessi penitenti che entrano in confessionale: «Mi ha colpito il fatto – spiega ancora mons. Talamazzini – che i fedeli, senza essere interrogati al proposito, dicano di essere contenti di questo Papa, di essere rimasti ottimamente impressionati. Direi che improvvisamente, proprio attraverso la figura di Francesco, hanno sentito la Chiesa molto vicina ai loro problemi. In modo particolare ha commosso la sua frase: “Dio mai si stanca di perdonarci, caso mai siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. E poi ha colpito molto anche un’altra frase, sotto forma di auspicio: “Come vorrei ci fosse una Chiesa povera per i poveri”. Parole molto significative in quanto pronunciate in questa stagione di crisi. Tutti sono ammirati dalla sua semplicità e anche dal fatto che abiti in poche stanze a Santa Marta invece che negli appartamenti del Palazzo Apostolico».

Ma cosa porta dopo tanti anni a riaccostarsi alla Confessione? Secondo il penitenziere della Cattedrale di Cremona non è tanto una decisione personale, quanto la Grazia di Dio. «Io credo fermamente che è la grazia di Dio che prepara. Uno non ci pensa, poi comincia a rifletterci, poi decide di confessarsi e inizia anche a dare una sterzata alla propria vita. Credo che dietro la scelta di confessarsi ci sia una preparazione remota, anche se, certamente, ci può essere uno stimolo magari dovuto a una malattia o una guarigione, personale o di chi sta accanto, o un problema di difficile soluzione. Si arriva alla conclusione che l’aiuto degli uomini e delle istituzioni può aiutare, ma serve soprattutto l’aiuto di Dio. È dunque la vita che prepara; poi c’è anche una preparazione prossima, anche attraverso un sussidio che aiuta nell’esame di coscienza».

La Confessione, dunque, non sembra assolutamente passata di moda. «Direi che – afferma il Canonico – se la confessione non ci fosse (Gesù l’ha istituita) bisognerebbe inventarla. C’è un forte desiderio di parlare, di essere ascoltati in un ambito così segreto; e poi sentire “Io ti assolvo dai tuoi peccati”. Forse sugli abitudinari queste parole non hanno quell’impatto forte che è presente invece sempre in chi torna alla confessione dopo tanti anni. C’è gente che dice: “Adesso sono contento”, “Mi sento liberato”, “Mi ha dato coraggio”. Situazioni che si ripetono con tanta frequenza».

Eppure anche per molti cattolici la confessione rimane un appuntamento un po’ ostico. «Quando qualcuno mi dice di far fatica a confessarsi io rispondo che il sacramento ha il nome in testa: bisogna fare una penitenza. Sicuramente per noi, abituati a vivere nel nostro mondo e anche un po’ sospettosi a parlare di noi stessi, la confessione, che costringe ad aprirsi completamente, costa. E però è un prezzo che viene ripagato da un senso di novità e libertà».

Gli “abitudinari” della confessione comunque non mancano e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono anche tanti giovani. «Non credo affatto che a muovere queste persone sia solamente l’abitudine, ma sentimento e motivazioni serie: c’è sempre un bisogno autenticità». Una pratica costante che a volte sfocia in una vera e propria direzione spirituale. «Essa – precisa mons. Talamazzini – di per sé è distinta dal sacramento della Riconciliazione. Però spesso la confessione, specialmente se il penitente viene più volte, diventa anche direzione spirituale».

«In questi 9 anni da penitenziere – conclude mons. Talamazzini – ho scoperto più da vicino le anime, che ci sono, anche dove non lo si direbbe. E ho scoperto che la gente è meno indifferente di quanto si pensi. Proprio nella confessione vengono a galla le esigenze dello spirito, che sono presenti in tutti, anche se magari in modo latente o soffocate da pregiudizi. Comunque sempre si sente l’esigenza di pulizia interiore».

Chi è il penitenziere

Il penitenziere è il sacerdote autorizzato a confessare anche in tutti quei casi speciali, che di norma sono sottratti alla competenza del sacerdote ordinario. Il penitenziere, ai sensi del codice di diritto canonico (can. 508), fa parte del Capitolo dei Canonici e per delega del Vescovo ha, in forza dell’ufficio, la facoltà ordinaria, che però non è delegabile, di assolvere in foro sacramentale dalle censure “latae sentetiae” non dichiarate non riservate alla Sede Apostolica (scomunica, interdetto, sospensione). Tale facoltà riguarda in diocesi anche gli estranei e i diocesani anche fuori del territorio della diocesi.