Avvicinandosi al Triduo Pasquale: il compendio della vita di Madre Anna Giuseppina

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Compendio della vita e delle virtù della nostra Sorella Suor Anna Giuseppina Sangalli, deceduta in questo Monastero della Visitazione Santa Maria di Soresina il 20 agosto 2016 all’età di 85 anni, 1 mese e 26 giorni; di Professione religiosa 56 anni e 9 mesi.

“Donna, davvero grande è la tua fede!” (Mt 15, 28). Questa esclamazione ammirativa ed elogiativa del Signore nei riguardi della cananea ci sembra si addica molto bene anche alla nostra cara Suor Anna Giuseppina, la quale, non appoggiandosi, nella sua umiltà e modestia, sulla propria intelligenza e sulle sue risorse, confidava nell’aiuto del Signore, sicura del suo amore infinito e onnipotente.

La nostra Sorella nacque a Cassano d’Adda, grosso borgo situato nella provincia di Milano e nella diocesi di Cremona, il 24 giugno 1931 e fu chiamata Carla con l’aggiunta di Giovanna, data la coincidenza della nascita con la festa di San Giovanni Battista, fusi i due nomi in Giancarla. I genitori Carlo e Anna erano proprietari ed esercenti di una trattoria, benvoluti da tutti per la loro onestà e affabilità. Il papà soprattutto, gestore principale, bonario e simpaticissimo, sapeva attirare e conservarsi la clientela, con la quale si intratteneva amabilmente. La prole era formata, oltre che da Giancarla, da due fratelli, ai quali se ne aggiunse un terzo quando già la sorella aveva l’età di 14 anni, per cui ella gli fece da mammina. Dovendo far rigare diritto tre vivacissimi maschietti la mamma era piuttosto severa nell’educazione dei figli, ma sicuramente piena d’amore come il marito, che era invece più tollerante e condiscendente. Cristiani convinti, seppero entrambi trasmettere ai figli una fede viva. La nostra Giancarla s’inserì nell’Azione Cattolica parrocchiale con molto impegno, finanche a ricoprire la carica di Presidente della gioventù femminile e si dedicò a varie opere di misericordia, tra cui la visita ai carcerati. Sentiva in sé la vocazione missionaria, ma, non paga delle mezze misure, si domandava come potesse essere apostola nel modo più pieno. E la fede le suggerì la risposta: rinchiudersi fra le quattro mura di un monastero. Sottopose il suo divisamento al Direttore spirituale, che l’approvò appieno, aggiungendo un’espressione il cui significato le rimase allora incomprensibile, ma che più tardi, quando divenne Presidente federale, le tornò alla mente come una velata profezia. Il 2 febbraio 1958 entrò, dunque, nel nostro Monastero e il giorno 10 dello stesso mese, secondo l’uso di allora, fu inviata al noviziato regionale di Treviso, dove fece il postulato e il noviziato. Rivestì il Santo Abito il 16 ottobre 1958 ed emise la Professione temporanea il giorno di domenica 21 novembre 1959 nelle mani della Madre regionale Anna Margherita Mazzocato. Alcuni mesi dopo ritornava da Treviso per completare la sua formazione nel contesto della vita comunitaria del nostro Monastero in vista della Professione solenne, che emise il 21 novembre 1962 nelle mani della Madre Maria Marta Genestroni, alla presenza del reverendo monsignor Rosolino Saccani nostro Parroco, delegato dal Vescovo Danio Bolognini a presiedere il Santo Rito.

Le furono assegnati via via vari incarichi nella Comunità: dispensiera, aiutante in economia e poi economa, assistente del noviziato, maestra delle novizie, assistente della Comunità, finché il 30 maggio 1979 fu eletta per la prima volta Superiora. Da allora ebbe inizio quel lungo periodo della sua vita che la vide sempre rivestita con costante alternanza delle cariche di Madre e Assistente, fino all’aprile 2016. Ma il Signore voleva chiederle ancora di più ed ecco che l’8 settembre 1990 le piombò addosso la carica di Presidente federale. Stupita di questa scelta dell’Assemblea, timorosa nella consapevolezza della propria insufficienza, provò un certo senso di smarrimento. Qualcuno le suggerì il pensiero di Suor Benigna Consolata Ferrero: Io ho un Gesù onnipotente e mi fido di Lui. Ciò corrispondeva appieno al suo più intimo e profondo sentire e bastò a rincuorarla. Pronunciò il suo fiat incondizionato e si mise generosamente all’opera in un tempo laborioso per la Federazione per i grandi rinnovamenti in atto. Quanto lavoro nella quiete della sera dopo Compieta, perché il suo mandato federale non fosse troppo di aggravio alla sua Comunità!

Le prove di vario genere che non le mancarono palesarono sempre la mitezza del suo carattere e come profondamente si fosse lasciata istruire da Colui che ha detto: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Aliena dai cattivi giudizi, era rispettosa verso ogni persona e, se riceveva qualche offesa, mai e poi mai avrebbe reso la pariglia, ma sapeva scusare, coprire, perdonare, industriosa a vincere il male con il bene, se non altro con un magnanimo silenzio. Eppure, sensibilissima com’era, risentiva al vivo persino le punture di spillo. Ma in noviziato sotto l’esperta guida della “Maîtresse” Suor Anna Giuseppina Ghirardi aveva fatto un buon lavoro di ascesi, combattendo vigorosamente la naturale tendenza alla suscettibilità e permalosità. Se poi accadeva a lei di mancare nei riguardi altrui, con quanta umile sincerità chiedeva scusa, né mai avrebbe lasciato tramontare il sole senza riconciliarsi con chi avesse anche menomamente offeso. Un qualche soggetto un po’ difficile in Comunità metteva alla prova la sua pazienza di Madre o di Maestra? Eccola sempre pronta ad accogliere, ad ascoltare, senza tedio nelle lungaggini, senza alterarsi nelle provocazioni, sol desiderosa di trasmettere il pensiero di Dio e di orientare verso la Divina Volontà, alla quale ella stessa era sempre rivolta e che sapeva vedere in ogni evento. Perciò non si lasciava turbare dalle contrarietà. Quella volta, per esempio, che un inaspettato contrordine venne a scombussolare tutto il suo programma – e non in cose da poco! – con quanta pronta serena tranquillità vi si adeguò senza dar a vedere il minimo segno di sconcerto, tanto da lasciar ammirati gli astanti.

Anche le prove riguardo alla salute fisica misero in evidenza il suo profondo abbandono in Dio e dimenticanza di sé. Nei suoi mali non chiedeva cure, rimedi, non s’interessava delle medicine che le venivano date, ma lasciava fare rimettendosi semplicemente nelle mani di chi l’accudiva. Nel 1982, accorsa in aiuto di una Sorella che accidentalmente si era prodotta una piccola lesione, venne colpita da un’ischemia cardiaca. Era il venerdì 19 marzo, solennità di San Giuseppe. Le Sorelle del Noviziato erano pronte a festeggiare l’onomastico della loro Madre Maestra: l’altarino solennemente addobbato e adorno di innumerevoli violette raccolte ad una ad una nei praticelli del monastero, i canti, le poesie, le espressione in prosa, i doni, tutto preparato con tanto affetto. E invece … anziché la festa, la separazione per il ricovero in ospedale della cara malata. Solo qualche mese più tardi le Sorelline poterono prendersi la rivalsa e festeggiare, questa volta nel tripudio di fiori della lussureggiante estate, la loro Maestra in gioioso ringraziamento al Signore per il discreto ristabilimento della salute.

Una cardiopatia ischemica cronica, dunque, la frattura di una spalla, due volte la frattura di un piede, la sindrome di Sjögren, l’ipertensione e poi un certo grado di sordità e via via altro ancora le procurarono una bella fetta della torta della penitenza, che ella seppe gustare per amore di Gesù Crocifisso. Non si lamentava dei suoi mali e riusciva a convivere in pace con quelli inguaribili, come pure sapeva affrontare con coraggio le situazioni difficili in cui a causa di essi le accadeva a volte di trovarsi. Quando, ad esempio, proprio in prossimità di un’Assemblea di Federazione le successe la frattura di un piede – era allora Madre federale – non volle causare disturbo con uno spostamento di data e, contro il parere stesso dei medici, certamente con non lieve disagio, disimpegnò, condotta in carrozzella, l’oneroso incarico di Presidente. Allorché poi, magari, questo o quel male le causavano umiliazioni, si tuffava nella virtù, a lei tanto cara, dell’amore alla propria abiezione, virtù piccola, ma assai vantaggiosa, essendo “radice di pace e di gioia” e così, lungi dall’abbattersi, si rafforzava ogni volta in quella serenità che le era abituale. Quanto spesso e volentieri ripeteva: “La gioia glorifica Dio”! Ed era proprio perché cercava la gloria di Dio, il contento dello Sposo, che era sempre contenta nel profondo del suo animo, anche quando in superficie le onde erano increspate da travagli o amarezze.

Fedele allo spirito dei nostri Santi Fondatori, su questa via della gioia e della pace interiore indirizzava le anime con i suoi insegnamenti e i suoi consigli, non solo le Sorelle, ma anche le numerose persone secolari che a lei si rivolgevano nelle loro pene, angosce, affanni od ansietà. Sì, molti ricorrevano a lei e le aprivano il loro cuore come ad un’amica sincera o, ancor più, ad una vera mamma ed ella molto semplicemente, senza mai atteggiarsi a maestra o predicatrice, sapeva sempre dire quella parola di fede che toccava i cuori, illuminava, rasserenava, spronava secondo il bisogno. È il cuore che parla al cuore, dice il nostro Santo Fondatore. E proprio perché parlava con il cuore Suor Anna Giuseppina raggiungeva i cuori. Sapeva mettere a proprio agio la persona con cui si intratteneva, chiunque fosse, per quella carica di empatia che possedeva un po’ per natura ma ancor più per grazia. Ci si trova bene con gli umili, non è vero? Ed ella aveva messo a fondamento del suo rapporto con il prossimo la parola dell’Apostolo: “Ognuno consideri gli altri superiori a se stesso”. Ed era in questo tanto più ammirevole in quanto per la maggior parte della sua vita monastica ebbe a ricoprire le cariche più importanti: per diciotto anni Madre federale, altrettanti Superiora locale e ventiquattro Assistente. Se con semplicità si relazionava con le persone, anche nei riguardi di Dio amava i modi semplici. Pregava con il cuore più che con le parole, con lo sguardo contemplativo più che con i discorsi meditativi. Commoveva quando la si vedeva estasiarsi dinanzi ad un uccellino saltellante nel giardinetto o ad una coppia di tortore in amore e la si udiva esclamare rapita: “Come parlano del Signore!”. Amava la Liturgia delle Ore, fedele fin verso il termine della sua vita a parteciparvi e a sostenere il Coro con la sua forte e bella voce, come pure nei canti della Messa. Si avvertiva che vi effondeva il cuore. Stimava grandemente la fedeltà alle piccole cose, non certo per minuziosità o pedanteria, ma perché – come era solita dire e inculcare nelle Sorelle – vedeva in essa “il fiore più delicato di un amore per il quale niente è piccolo”. Come era attenta, ad esempio, ad osservare la tranquillità e il silenzio d’azione, pur quando il daffare era molto e incalzante, a premettere le piccole espressioni di gentilezza nel rivolgersi a una qualsiasi Sorella, a raccogliere un fuscellino da terra, anche allorché il chinarsi le era divenuto piuttosto difficoltoso e simili coserelle, che pregiava quali finezze d’amore, proprio perché, non avendo pregio in se stesse, lo traevano tutto dall’amore, che ne era l’impulso vigile e vivificante.

Verso gli 84 anni di età il declino, già gradatamente in atto, si accentuò con un’ invincibile inappetenza e il conseguente indebolimento fisico che le causò frequenti cadute, per fortuna senza fratture, e la costrinse all’uso più continuativo della carrozzella, perché sempre più malsicura nella deambulazione; finché il 14 giugno 2016 un’improvvisa ischemia vascolare rese urgente un’operazione chirurgica, superata la quale fu necessario il ricovero in un centro di riabilitazione. Si sperava in una ripresa, ma, ahimè, le forze fisiche erano troppo debilitate perché potesse rimettersi in piedi. Chi può dire la sua sofferenza nel trovarsi fuori del suo amato monastero, lontana dalla sua cara Comunità, anche se spesso la Madre o chi per lei andava a visitarla! Come sospirava in cuor suo il ritorno a casa, ma ben comprendeva che in quelle condizioni era impossibile, perciò se ne stava come un agnellino, silenziosa e interamente rimessa nelle mani di Dio e di coloro che la accudivano, soffrendo e offrendo tutta se stessa per la Comunità, il cui notevole assottigliamento era per lei una spina acutissima. Durante il soggiorno nel centro di riabilitazione venne a visitarla il fratello più giovane, quello al quale ella aveva fatto da mammina, unico superstite dei tre fratelli e si intrattenne con lei in un affettuosissimo colloquio, sicché, pur intuendone la prossima fine, se ne partì tutto consolato, portando con sé il ricordo dolcissimo di quella sorella che era sempre stata per lui, come per gli altri parenti, un raggio solare emanante luce di saggezza e calore di amore, ma di un amore divinizzato dal distacco religioso fedelmente vissuto. Passò il mese di luglio, passò la prima quindicina di agosto, finché un giorno a Suor Assistente, che la visitava in vece della novella Madre impossibilitata, disse con la flebile voce che le era rimasta: “Muoio, muoio” e poco dopo: “Non ne posso più” e ciò proferì con tanta dolcezza che ben si comprendeva come, lungi dall’essere un lamento, quelle parole erano un’apertura di cuore verso colei alla quale come a sua Madre non aveva mai nascosto nulla. “Muoio” disse, eppure non sembrava ancora così imminente la morte, ma certo il Signore la preavvisava. Difatti, appena qualche giorno dopo il male letale si manifestò in tutta la sua crudezza. E allora nuova corsa all’ospedale. Tentare un’altra operazione? I chirurghi sentenziarono che non sarebbe giovata a nulla date le condizioni della malata. Perciò un pronto dietro front la riportò al centro di riabilitazione in preda a fortissimi dolori, che costrinsero i medici all’uso della morfina. Le fu amministrato il Sacramento dell’Olio degli infermi (per la seconda volta in poco tempo) che ricevette con fervore, presente la Madre. Questa le stette accanto il più a lungo possibile in quegli ultimi giorni di vita. Era commovente vedere come Suor Anna Giuseppina mostrasse con il guardarla con tenerezza, con il tenerne stretta la mano e il baciarla spesso quanto gradisse quella presenza materna e insieme filiale, poiché la novella Madre era stata la sua prima novizia da Direttrice del Noviziato. All’alba del sabato – 20 agosto – mentre ancora regnava il silenzio notturno, esalò silenziosamente e dolcemente l’ultimo respiro. La Madonna era venuta a prendersi quella figlia che tanto l’aveva amata e onorata in vita: soave materna risposta al desiderio innumerevoli volte espresso con voce vibrante e trasporto d’amore nel canto preferito: “Maria, quanto sei bella … fammi venire in Cielo …”

Esposta la salma in Coro, vi fu un prolungato via vai di persone che venivano alla grata a dare l’estremo saluto a “Madre Anna”, memori e riconoscenti del bene da lei ricevuto. I funerali furono celebrati il 22 agosto, memoria liturgica della Beata Maria Vergine Regina. Numerosi i Sacerdoti concelebranti con il nostro Parroco, reverendo don Angelo Piccinelli, gremita la chiesa, molte le lacrime di commozione. Abbondanti anche le lacrime della nostra cara Madre che, dopo appena un trimestre di superiorato, si trovava ad accompagnare alla sepoltura proprio la sua amatissima e venerata Maestra e Madre. Ma nel dolore anche una piccola consolazione: infatti, poiché il sepolcreto di proprietà del monastero era in via di sistemazione, non si poté tumulare in esso la cara salma, che venne perciò provvisoriamente deposta nel loculo già da tempo acquistato dai genitori di nostra Madre per la figlia e tenuto in serbo per lei.

“O donna, davvero grande è la tua fede”. Quante volte anche la nostra cara Sorella si è resa meritevole di questo elogio del Signore nelle tante evenienze della sua lunga e laboriosa vita. E anche a noi piace considerarla grande non tanto per le alte cariche che ha ricoperto, quanto proprio per la grandezza della sua fede. È stata e rimane faro di luce!

Dio sia benedetto

Compendio della vita e delle virtù della nostra Sorella Suor Anna Giuseppina Sangalli